REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI VENEZIA
QUARTA SEZIONE CIVILE La Corte D’Appello di Venezia, in persona dei magistrati:
dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere estensore ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._379_2025_- N._R.G._00001207_2024 DEL_06_03_2025 PUBBLICATA_IL_06_03_2025
nella causa civile di II grado iscritta al n. 1207/2024 R.G. promossa da (C.F. ), assistita e difesa dall’Avvocato domiciliatario NOME COGNOME con studio in INDIRIZZO MARCON (VE) PARTE APPELLANTE contro (C.F. assistita difesa dall’Avvocato domiciliatario NOME COGNOME con studio in INDIRIZZO ESTE PARTE APPELLATA
OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Padova 12.6.2024, n. 1021
CONCLUSIONI
DI PARTE APPELLANTE:
voglia la Corte d’Appello di Venezia, in riforma della sentenza definitiva n. 1091/2024, pronunciata dal Tribunale di Padova nella causa n. 5200/2022 R.G., pubblicata in data 12/6/2024 e notificata in data 18/6/2024, Nel merito:
condannare C.F. C.F. parte appellata a risarcire il danno patito dalla Signora , a causa dell’errore professionale dell’Avv. come specificamente descritto in atti, nella misura di € 24.306,55, con interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo, o in quella minore che sarà ritenuta di giustizia.
In ogni caso, con condanna alla rifusione di spese ed onorari di lite del doppio grado di giudizio
CONCLUSIONI
DI PARTE APPELLATA: voglia la Corte d’Appello di Venezia, in riforma della sentenza definitiva n. 1091/2024, pronunciata dal Tribunale di Padova nella causa n. Nel merito, in principalità, rigettarsi l’appello proposto da perché infondato in fatto e diritto e, comunque, perché il risarcimento non è dovuto all’attrice che avrebbe potuto evitare il danno usando l’ordinaria diligenza, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Nel merito, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento dell’appello proposto, accertato il comportamento colposo tenuto dalla sig.ra in relazione alla genesi del danno da lei lamentato, diminuirsi l’eventuale risarcimento a lei spettante secondo la gravità della sua colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Spese e competenze del presente grado di giudizio rifuse o quanto meno compensate.
In via istruttoria, previa revoca dell’ordinanza 13/04/2023 del Tribunale di Padova, in primo luogo, è richiesto che sia disposto dal Giudice, anche in forma alternativa, l’ispezione ex art. 118 c.p.c. del fascicolo del Fallimento del Tribunale di Padova o ex art. 210 c.p.c., l’esibizione in giudizio almeno del verbale di audizione del legale rappresentante e dei libri contabili della società fallita, dell’inventario e/o dell’elenco dei creditori e dell’avviso ex art. 92
L.F. inviato mediante raccomandata alla sig.ra per quanto essi a opera della parte convenuta.
In difetto di ciò, vale a dire nell’ipotesi di assenza di tutti o di alcuni dei citati documenti nel fascicolo presente in cancelleria e/o in archivio, analoga richiesta è fatta nei confronti del curatore fallimentare, Rag.
che per legge li deve conservare per almeno 10 anni.
In estremo subordine, è fatta istanza affinché il Giudice, ex art. 213 c.p.c., chieda d’ufficio alla Cancelleria Fallimentare del Tribunale di Padova le informazioni scritte relative agli atti e ai documenti sopra indicati.
Tutto quanto sopra al fine di accertare quanto in precedenza esposto, non apparendo altrimenti acquisibile al processo la documentazione indispensabile per la dimostrazione dei fatti de quo, vale a dire se la sig.ra fosse o meno a conoscenza dell’intervenuto fallimento della RAGIONE_SOCIALE
In secondo luogo, è chiesto che l’attrice esibisca, ex art. 210 c.p.c., la sua scheda professionale del lavoratore rilasciata dai Centri per l’Impiego, in cui sono contenuti, tra gli altri, i dati relativi alle esperienze formative e lavorative della persona titolare di esso o, in alternativa, che tale esibizione si chiesta e adempiuta dal Centro per l’Impiego competente per territorio.
Si chiede ciò perché consta che la sig.ra , dopo il licenziamento avesse proseguito per alcuni mesi a lavorare per il dott. , legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE , e, quindi, se la circostanza fosse confermata, appare improbabile che l’attrice non sapesse dell’avvenuto fallimento della citata società.
Si chiede, altresì, che sia ammessa prova per interrogatorio formale dell’attrice e per testimoni, sulle seguenti circostanze:
1. Vero che la sig.ra a seguito del licenziamento subito da RAGIONE_SOCIALE
, si era rivolta al di Padova per essere da questo assistita nella pratica di recupero del suo credito relativo al TFR maturato.
2. Vero che il metteva in la assistesse.
3. Vero che gli incontri tra le odierne parti processuali avvenivano presso i locali del e che i contatti sugli sviluppi della pratica erano tenuti per telefono e attraverso social network.
4. Vero che nella primavera del 2017 la sig.ra ebbe problemi di salute tanto da essere ricoverata in una struttura fino a autunno 2017 inoltrato, senza comunicare dove fosse all’avv. e omettendo di rispondere alle chiamate di costei.
5. Vero che la sig.ra , dopo il suo licenziamento, aveva proseguito a lavorare fino alla primavera del 2017 per il dott. ed era a conoscenza dell’avvenuto fallimento della RAGIONE_SOCIALE fin dal 2017.
6. Vero che la sig.ra era stata avvisata dalla curatrice fallimentare dell’apertura del fallimento con comunicazione scritta a mezzo raccomandata a.r.. 18/6/2024,
Nel merito:
condannare la parte appellata a risarcire il danno patito dalla Signora , a causa dell’errore professionale dell’Avv. come specificamente descritto in atti, nella misura di € 24.306,55, con interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo, o in quella minore che sarà ritenuta di giustizia.
In ogni caso, con condanna alla rifusione di spese ed onorari di lite del doppio grado di giudizio.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza n. 1091/2024 il Tribunale di Padova ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta da contro l’avvocata Alla professionista era stato contestato di aver impedito, con la sua negligenza, alla cliente di recuperare il TFR dovuto dal datore di lavoro RAGIONE_SOCIALE dopo il licenziamento del 17/12/2016.
L’importo del TFR, pari ad euro 24.306,25, risultava da una busta paga elaborata il 12/1/2017.
Nonostante l’incarico risalisse al gennaio 2017 e benché RAGIONE_SOCIALE fosse stata posta in liquidazione il 29/12/2016, l’avvocata aveva depositato un ricorso monitorio solo in data 24/7/2017, senza prima effettuare alcuna aggiornata verifica sulle condizioni della debitrice.
La professionista sapeva anche che la società versava in una situazione di grave crisi, in quanto la circostanza risultava dalla lettera di licenziamento per “giustificato motivo oggettivo”.
RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita il 4/4/2017.
Ottenuto il decreto ingiuntivo, l’avvocata si era limitata a tentare inutilmente la sua notifica e non aveva più informato la cliente sulla pratica.
Si era resa conto del fallimento solo a distanza di oltre due anni, quando il fallimento era oramai chiuso.
Non era stato più possibile chiedere l’ammissione al passivo fallimentare né chiedere l’intervento del fondo di garanzia gestito dall’INPS.
1.2 Nel respingere la domanda di risarcimento il Tribunale ha ritenuto:
➢ che se è vero che l’incarico concerneva il recupero del credito di lavoro, la procura speciale alle liti ne aveva limitato l’ambito all’esercizio dell’azione monitoria.
L’incarico si era esaurito quando il decreto ingiuntivo era divenuto inefficace per la mancata notifica.
In mancanza di un nuovo incarico, non rientrava tra i doveri del difensore svolgere delle indagini aggiornate sulla condizione della società (soprattutto se nulla faceva presagire il fallimento) né presentare una domanda di ammissione allo stato passivo (il creditore avrebbe potuto procedervi autonomamente);
➢
che, considerando le difese della professionista, il credito di lavoro non era stato provato.
Era stata depositata una busta basta “della cui genuinità non c’è certezza” e il credito non era riportato nella quale ex dipendente.
Nei libri contabili avrebbe dovuto essere menzionata la dipendente quale creditrice, salvo che il TFR non fosse stato corrisposto e che il pagamento risultasse dai movimenti bancari acquisiti;
➢ dalla e-mail 6/4/2020 di emergeva che la cliente non fosse stata raggiungibile per anni, a prescindere dalla circostanza che non vi è prova certa della spedizione della mail e del suo ricevimento.
Dalla corrispondenza risultava la fosse a conoscenza del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, “anche se non è dato di conoscere da quanto”.
l’avvocata si era offerta di provare di aver cercato di contattare la cliente mentre quest’ultima non aveva contattato il proprio legale nonostante sapesse del fallimento.
L’appellante chiede che, in riforma della sentenza, sia accolta la domanda di risarcimento del danno.
Ha precisato di non aver avuto alcuna notizia dalla professionista sull’esito della pratica, nonostante si fosse attivata per richiedere informazioni.
Solo quando si era rivolta a un nuovo legale, con la missiva 9.7.2021 aveva riscontrato la richiesta, dando conto dell’intervenuto fallimento di RAGIONE_SOCIALE, peraltro chiuso, e di generici contatti con gli uffici competenti dell’INPS.
Recuperato il fascicolo, era stata presentata domanda al Fondo di Garanzia presso l’INPS in data 14/1/2022.
La domanda era stata respinta per non essere stata corredata con copia autentica dello stato passivo, da cui risultasse l’ammissione del credito della al passivo fallimentare.
L’appellante lamenta:
2.1 che non sapeva cosa fosse una procedura monitoria e quali fossero le iniziative legali più idonee ad ottenere il risultato richiesto.
È lo stesso.
L’avvocata aveva l’onere di fare quanto necessario al raggiungimento del risultato a mezzo delle scelte difensive ritenute opportune e d’informare la cliente dell’esito negativo della notifica, evidenziare i rischi derivanti dal non assumere ulteriori iniziative ed eventualmente suggerire il rilascio di una nuova procura.
Rientrava tra i doveri della legale di procedere alle indagini sullo stato fallimentare della società debitrice e il possibile fallimento era prevedibile;
2.2 che le considerazioni del giudice sull’esistenza del credito si pongono in contrasto con la consolidata posizione della Corte di cassazione, secondo cui le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite dei requisiti previsti dall’art. 1, comma 2, della L. 5 gennaio 1953 n. 4, vale a dire, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro del datore, hanno piena efficacia probatoria del credito che il dipendente intenda insinuare al passivo della procedura fallimentare riguardante il datore di lavoro. L’appellata non aveva posto in discussione la genuinità della busta paga ma avanzato il dubbio che la potesse aver già ottenuto il pagamento.
Adombrando un fatto estintivo, l’onere della prova era a carico della parte che aveva sollevato l’eccezione;
2.3 che la presunta non rintracciabilità della cliente non trova riscontro.
Il Tribunale fa discendere il proprio convincimento non da comunicazioni dell’avvocata non ritirate dalla o rimaste senza risposta, ma dalla e-mail 6/4/2020, che la cliente aveva inviato all’avvocata, dopo tre anni dal conferimento dell’incarico, per ottenere notizie sullo stato della pratica.
È la professionista che avrebbe dovuto dimostrare di aver assolto i propri doveri di informazione e sollecitazione;
.4 che da una prova non ammessa il giudice non avrebbe potuto desumere che l’avvocata avesse cercato di contattare la professionista.
Per avere informazioni sulla pratica, la era stata costretta a rivolgersi a un nuovo avvocato.
Il dovere d’informazione nei confronti della cliente è a carico della professionista;
2.5 che il Tribunale sostiene che la cliente non aveva contattato la professionista per tre anni, pur sapendo che la società era fallita.
È lo stesso Tribunale a riconoscere però, cadendo in contraddizione, che non è dato sapere quando la cliente fosse venuta a conoscenza del fallimento.
La non aveva competenze legali, potrebbe essersi riferita al fallimento in senso atecnico, parlando di un datore di lavoro che semplicemente non è più stato in grado di pagare il TFR.
La parte appellata ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
Oltre che richiamare le argomentazioni del giudice di primo grado, ha replicato:
3.1 che un cliente non può disinteressarsi della propria controversia per quasi tre anni e mezzo, a prescindere che sia in grado o no di comprendere cosa significhi il richiamo all’art. 633 c.p.c. indicato nella procura alle liti;
3.2
che l’avvocata non era stata informata della preoccupazione di un possibile fallimento.
Una notifica a mezzo PEC del decreto ingiuntivo nulla avrebbe mutato perché il fallimento era già avvenuto;
che la busta paga non era timbrata né sottoscritta dal datore di lavoro.
Dato che, a sentire l’appellante, il curatore non le aveva inviato comunicazioni, è stata contestata l’esistenza del credito;
3.4 di aver tentato di comunicare con l’assistita, che avrebbe dovuto chiarire quando era venuta a conoscenza del fallimento.
Il primo motivo di appello sull’ampiezza dell’incarico e sul corretto adempimento dell’incarico è fondato.
4.1
Il contratto di patrocinio deve essere tenuto distinto dalla procura alle liti.
L’incarico aveva per oggetto il recupero del credito, come riconoscono la professionista (v. comparsa di costituzione e risposta di primo grado, p. 1 e 2) e lo stesso giudice di primo grado (v. motivazione della sentenza, p. 3) e quindi comprendeva tutte le iniziative, stragiudiziali o giudiziali, necessarie e utili, secondo un giudizio da formularsi ex ante, per ottenere dal datore di lavoro il pagamento del debito.
La professionista aveva ritenuto opportuno presentare un ricorso monitorio e per tali ragioni aveva richiesto alla cliente il rilascio di una procura alle liti ma la procura non aveva circoscritto l’incarico.
L’interesse della cliente era di conseguire il pagamento del credito.
I mezzi per ottenere il risultato erano rimessi alla competenza professionale dell’avvocata.
Rispetto al generico contratto di mandato, il contratto di prestazione d’opera professionale si caratterizza per l’ampia libertà di azione riconoscibile alla professionista, che, nell’ambito di una valutazione discrezionale, può svolgere l’incarico nel modo che ritiene più opportuno, ovviamente nel rispetto delle norme tecniche e deontologiche.
4.2
Nell’adempimento dell’incarico professionale, l’obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato (cfr. Cass., sez. 3, ord. n. 19520 del 2019). Il tentativo di recupero del credito tramite un ricorso monitorio non era stato regolarmente adempiuto perché l’avvocata avrebbe dovuto curare con diligenza anche l’intera fase di notifica.
Approfondendo le ragioni dell’esito negativo del tentativo di notifica (in data 30.10.2017 aveva rifiutato di ricevere copia dell’atto, riferendo all’ufficiale giudiziario di non essere più il liquidatore della società perché al suo posto era stata nominata la dott.ssa doc. 3 conv.), l’avvocata avrebbe quasi certamente appreso del fallimento e di conseguenza avrebbe dovuto informare la cliente e consigliarla sulle ulteriori iniziative assumere nei confronti della procedura fallimentare.
aveva fatto riferimento a che era la curatrice del fallimento (v. estratto della sentenza dichiarativa del fallimento: doc. 17).
Considerando la distribuzione dell’onere della prova con riferimento a un contratto d’opera professionale, l’avvocata avrebbe dovuto provare:
a) di aver cercato di approfondire con diligenza le ragioni dell’esito negativo della notifica e che nonostante il riferimento di non era comunque venuta a conoscenza del fallimento;
b) di aver assolto agli obblighi informativi, comunicando alla cliente l’esito della propria attività e consigliandola sulle successive iniziative.
La cliente avrebbe dovuto esser informata possibilità di far valere il proprio credito in sede fallimentare e delle possibili conseguenze di una prolungata inerzia.
4.3 Dato che l’avvocata afferma che la cliente non fosse raggiungibile, l’appellata avrebbe dovuto dimostrare aver effettivamente tentato di mettersi in contatto con la cliente.
Considerando le argomentazioni del Tribunale, occorre precisare che un’ “… offerta di prova (non ammessa) per dimostrare che l’avv. aveva cercato un contatto con la cliente …” (v. motivazione della sentenza, p. 4), non equivale all’esito positivo della prova.
I cap. 3 e 4 della memoria istruttoria della convenuta non erano ammissibili per la loro genericità, non consentendo la prova contraria.
Non specificano quando l’avvocata avrebbe telefonato, senza ricevere risposta, alla cliente.
Se si considera che l’avvocata sostiene che i contatti avvenivano anche tramite social network (v. memoria istruttoria di primo grado, p. 3), le sarebbe stato anche agevole documentare di aver cercato di mettersi in contatto con la cliente ai recapiti che le erano stati forniti.
Essendo le istanze istruttorie state rigettate dal giudice di primo grado, l’appellata avrebbe, tra l’altro, dovuto proporre appello incidentale condizionato.
L’appello incidentale non è stato proposto.
Essendosi costituita nel giudizio di appello il 18 novembre 2024 (prima udienza sostituita con il deposito di note scritte:
20 novembre 2024), l’avvocata era anche decaduta dalla possibilità d’impugnare in via incidentale la sentenza di primo grado.
Sul contenuto della e-mail 6 aprile 2020, che non dimostrata affatto che la cliente fosse irrintracciabile, ci si soffermerà trattando del terzo, quarto e quinto motivo di gravame. .
Il secondo motivo di appello sulla prova del credito della lavoratrice è fondato.
5.1
Nel giudizio di primo grado la parte convenuta non aveva contestato in maniera specifica che la cliente fosse creditrice del TFR ma si era limitata a sollevare dei generici dubbi.
Era stata proprio l’avvocata la professionista incaricata del recupero del credito e la professionista aveva depositato un ricorso monitorio per ottenerne il pagamento allegando la busta paga del mese di dicembre 2016 e la lettera di licenziamento 16/11/2016.
Ancora nel luglio 2021 l’avvocata aveva affermato che si era messa in contatto con il curatore e che stava cercando di capire come poter procedere con i competenti uffici INPS per la tutela degli interessi della cliente (doc.
5 att.).
In altre parole, con il suo comportamento aveva concretamente dimostrato di ritenere sussistente il credito.
5.2
Nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado la convenuta aveva dedotto:
“a prescindere dal fatto che al di là della produzione di una busta paga nulla vi è in atti che accerti in maniera incontrovertibile che la sig.ra fosse stata e sia ancora creditrice della società fallita, desta non poche perplessità che il curatore fallimentare … non avesse inviato alla medesima una comunicazione in qualità di ex dipendente che, comunque, nei bilanci e nei libri contabili avrebbe dovuto comparire come creditrice … sul punto appare opportuno assumere informazioni dirette dalla curatrice” (v. comparsa di costituzione e risposta, fg. 3 e 4). Se si considerano informazioni a conoscenza dell’avvocata con riferimento alla pratica di recupero del credito, l’allegazione non costituiva una contestazione specifica ex art. possibile che il credito di lavoro fosse stato pagato in un secondo momento, la convenuta avrebbe dovuto provare il fatto estintivo.
Per chiedere al giudice di attivarsi ai sensi degli artt. 210 o 213 c.p.c. (v. memoria istruttoria di primo grado, p. 2), l’avvocata avrebbe prima dovuto dimostrare di essersi adoperata diligentemente per assumere informazioni sulla documentazione della società fallita e per acquisire copia dei documenti ritenuti necessari.
Aveva invece avanzato delle richieste esplorative.
Il terzo, il quarto e il quinto motivo di appello sulla irreperibilità della cliente devono essere accolti.
6.1
Discutendosi di responsabilità contrattuale, occorre innanzitutto ribadire che era la professionista a dover provare ex art. 1218 c.c. di aver cercato di mettersi in contatto con la cliente nell’adempimento degli obblighi informativi derivanti dal contratto di patrocinio e non la cliente a dover dimostrare di essersi tenuta in contatto con l’avvocata.
6.2
La e-mail 6 aprile 2020 (oggetto: aggiornamento della pratica) inviata all’indirizzo (doc. 20 att.) dimostra unicamente tentativo della cliente ricevere informazioni sull’incarico conferito.
riferimento contenuto nella e-mail “fallimento” è sicuramente improprio.
La cliente afferma:
“ci siamo conosciute presso l’ufficio del patronato di INDIRIZZO nel gennaio 2017, per il recupero del mio TFR in quanto l’azienda per la quale lavoravo era fallita.
Nel tempo ho sentito alcune volte il patronato e l’operatore mi diceva che non c’erano novità.
Sono passati più di 3 anni.
Può dirmi gentilmente a che punto è la pratica e se riuscirò ad il periodo difficile che stiamo vivendo tutti …”.
Non è controverso che nel gennaio 2017, quando le parti si erano conosciute presso il patronato, la società non fosse ancora fallita.
La cliente utilizza l’espressione “fallita” come sinonimo d’insolvente perché nella lettera di licenziamento si faceva riferimento alla chiusura dell’attività aziendale per lo “squilibrio economico finanziario” (doc. 1 att.) e non le era stato pagato il trattamento di fine rapporto.
6.3 L’e-mail 6 aprile 2020 non dimostra affatto che per tre anni si fosse resa irrintracciabile ma solo che fino ad aprile 2020 la cliente aveva chiesto informazioni rivolgendosi al patronato che le aveva presentato il legale e non direttamente al legale.
Anche la contestazione della professionista di aver ricevuto la mail nella terza memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. appare generica.
La professionista conferma che l’indirizzo è corretto (v. memoria 22.3.2023, p. 2), perché sostiene che la mail prova che la cliente disponeva dell’indirizzo della professionista e la e-mail risulta inviata dall’indirizzo di posta elettronica della cliente a quello dell’avvocato alle 12:48 del 6 aprile 2020.
Non vi sono elementi concreti per ipotizzare che il documento sia stato falsificato.
Nello stesso tempo, mancano comunicazioni di epoca precedente inviate dall’avvocata alla cliente (o eventualmente al patronato con la giustificazione di non essere più in grado di contattare la cliente) e manca una riposta alla e-mail dell’aprile 2020.
Considerando le ragioni per cui il Fondo di garanzia rigettò la richiesta della dipendente (cfr. doc. 12 att.: mancata presentazione di copia autentica dello stato passivo esecutivo riportante il credito del lavoratore) e la busta paga di dicembre 2016 riportante il credito per (doc. 2 att.), sono provati sia la responsabilità contrattuale della professionista che, in via probabilistica, il nesso fra l’inadempimento e il danno.
Se l’avvocata avesse diligentemente assolto il proprio incarico, avrebbe appreso che la società era fallita e presentato domanda d’insinuazione al passivo o, in alternativa, non volendo proseguire nell’incarico, informato la cliente della necessità di assumere questa iniziativa per salvaguardare la sua posizione creditoria, anche per l’ipotesi che l’attivo fallimentare non fosse capiente.
Il credito di euro 24.306,55 risultante dalla busta paga viene rivalutato dal dicembre 2016 a oggi e, tenuto conto degli interessi legali maturati, calcolati secondo il criterio indicato da Cass., s.u. , sent. n. 1712 del 1995, ammonta a euro 32.179,65.
Su tale importo sono dovuti gli interessi ex art. 1284, comma 1, c.c. dalla sentenza al saldo.
Le spese processuali, liquidate sulla base del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, seguono la soccombenza di per il doppio grado di giudizio.
Per il giudizio di primo grado i compensi vengono determinati nella somma di euro 5.077,00 nel rispetto della notula del difensore (v. allegato alla memoria di replica 24.5.2024) e per il gravame nella somma di euro 5.809,00, sempre tenuto conto della nota spese (v. allegato depositato l’11.2.2025).
Le richieste del difensore rispettano i parametri medi.
Non si applicano aumenti del compenso ex art. 4, comma 1 bis D.M. cit., perché i collegamenti ipertestuali non risultano attivi.
Ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, si dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati nel medesimo.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sull’appello proposto nei confronti di avverso la sentenza del Tribunale di Padova 12.6.2024, n. 1021, così provvede:
in riforma della sentenza, condanna al pagamento in favore di della somma di euro 32.179,65, oltre interessi ex art. 1284, comma 1, c.c. dalla sentenza al saldo e delle spese legali del giudizio di primo grado, liquidate nella somma di euro 5.077,00 per compensi ed euro 277,60 per esborsi, oltre spese generali (15%), iva e cpa;
condanna al pagamento, in favore di , delle spese del presente grado di giudizio, liquidate nella somma di euro 5.809,00 per compensi ed euro 382,50 per esborsi, oltre spese generali (15%), i.v.a. e c.p.a.;
in caso di diffusione della sentenza devono essere omesse le generalità delle parti e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.
Venezia, 27/2/2025 il Consigliere estensore la Presidente dott. NOME COGNOME dott. NOME COGNOME
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