N. R.G. 3130/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di TRENTO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice dott. NOME COGNOME pronunzia la seguente
S E N T E N Z A N._280_2025_- N._R.G._00003130_2023 DEL_01_04_2025 PUBBLICATA_IL_01_04_2025
nella causa civile di II grado iscritta al n° 3130/2023 R.G. promossa da:
, residente in Cavalese, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME PARTE APPELLANTE C O N T R O in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato PARTE APPELLATA OGGETTO:
appello avverso la sentenza del giudice di pace di Cavalese n° 39/2023, pubblicata in data 5.9.2023
CONCLUSIONI
Parte appellante così conclude:
“Voglia l’Ill.mo Giudice, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvedere:
– in via principale e nel merito, accogliere per i motivi tutti dedotti in narrativa il proposto appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 39/2023 pubbl. il 05/09/2023, resa inter partes dal Giudice di Pace di Cavalese, in persona del Dott. NOME COGNOME – R.G. n. 313/2021, pubblicata il 05/09/2023, mai notificata, accogliere tutte le conclusioni già avanzate nel giudizio di primo grado che qui si riportano:
“Voglia l’Ill.mo G.d. P. di Cavalese, emesse tutte le più opportune pronunce, condanne e declaratorie del caso, respinta ogni contraria e diversa domanda, eccezione e deduzione, in via principale:
– accertare e dichiarare la responsabilità esclusiva dell’ dell’evento dannoso di cui è causa, condannare la al pagamento dell’importo di € 2.629,94, oltre alle spese legali stragiudiziali ed oltre ad interessi e rivalutazione dalla data del pagamento a quella della restituzione, ovvero del maggiore o minore importo che dovesse risultare in corso di causa o nella diversa misura che il Giudice di Pace riterrà congrua, oltre ad interessi e rivalutazione dalla data del pagamento a quella della restituzione, il tutto entro i limiti e la competenza per valore del Giudice di Pace. In via istruttoria viene fatta espressa riserva di formulare istanze e deduzioni istruttorie nei termini di legge, anche in relazione alle deduzioni ex adverso formulate.
In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente Giudizio.
” e conseguentemente disattendere tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall’appellato dinanzi all’Ufficio del Giudice di Pace di Cavalese per tutti i motivi meglio esposti nel presente atto” Parte appellata così conclude:
“In rigetto dell’appello principale avversario e in accoglimento dell’appello incidentale, e quindi in parziale riforma della sentenza di prime cure, rigettare ogni domanda avversaria.
Con vittoria di spese di entrambi i gradi di giudizio.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato conveniva in giudizio innanzi al giudice di pace di Cavalese l’ , in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, per chiedere di condannarla al pagamento della somma di € 2.629,94 a titolo di risarcimento dei danni da lui subiti alle ore 12,55 del 6 febbraio 2021 in Cavalese allorché, mentre si trovava a percorrere INDIRIZZO Pretura alla guida della sua autovettura Audi TARGA_VEICOLO tg. TARGA_VEICOLO, giunto all’altezza del civico INDIRIZZO, era stato investito da una abbondante quantità di neve distaccatasi dalla falda del tetto dell’edificio denominato “INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE” (corrispondente alla p.ed. 997/1 C.C. Cavalese), di proprietà della suddetta convenuta.
A sostegno della domanda esponeva, in estrema sintesi, che:
➢ l’ aveva omesso di curare la manutenzione dell’edificio con l’adozione di tutti i possibili accorgimenti per evitare la caduta di neve e ghiaccio dal tetto e, quindi, di tenerlo in condizione tale da non costituire pericolo per gli utenti, con ciò incorrendo nella responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. o, in subordine, dell’art. 2043 c.c.;
➢ il veicolo aveva riportato danni per complessivi € 2.629,94, come da documento fiscale della ➢ gli dovevano essere rimborsate anche le spese per l’attività di assistenza stragiudiziale e quelle per l’assistenza alla procedura di negoziazione assistita che gli erano state prestate dal proprio legale.
Costituitasi in giudizio in persona del suo legale rappresentante, l’ contestava in fatto e in diritto la domanda attorea e ne chiedeva l’integrale rigetto, rappresentando, fra l’altro, che:
➢ la p.ed. 997/1 C.C. non era di sua proprietà, ma allibrata “alla scheda del patrimonio disponibile dello stato TNB0022 “Ag. Entrate e Giudice di Pace di Cavalese-ex Pretura””, come attestato dalla visura tavolare, era intestata al ➢ l’edificio era, per la parte prevalente, gestito da essa convenuta e allo stato libero;
la restante parte era, invece, “in consegna in uso governativo …all’Agenzia delle Entrate” e adibita ad uffici del giudice di pace;
➢ questi ultimi uffici dovevano essere trasferiti a titolo gratuito alla di Trento ai sensi del D.Lgs. n° 16/2017;
➢ tale trasferimento non era ancora stato formalizzato;
➢ stando a quanto riportato nella tabella millesimale per le manutenzioni ordinarie, la quota dell delle Entrate era pari 164/1000, quella del giudice di pace (anticipate dal ma di competenza della Regione o della Provincia in base agli accordi tra le stesse pattuiti) a 139/1000 e quella dell a 697/1000;
➢ non vi era certezza sulla dinamica del sinistro, in quanto il verbale della Polizia Municipale si fondava sulle sole dichiarazioni dello stesso attore;
➢ nel caso di specie non era applicabile l’art. 2051 c.c., ma l’art. 2043 c.c., non trovandosi essa convenuta nelle condizioni di controllare tutti i numerosi beni in gestione;
➢ non le era imputabile alcuna colpa, avendo sempre adottato tutte le più opportune cautele per evitare lo scivolamento di neve dal tetto, tra cui l’installazione di barriere paraneve;
➢ le amministrazioni che avevano in uso il bene non le avevano mai fatto presente alcuna situazione di pericolo;
➢ in ogni caso il dedotto evento lesivo doveva essere comunque configurato come caso fortuito, in quanto derivante da un pericolo imprevedibile, insorto improvvisamente e derivante da fatti straordinari estranei alla sfera d’azione di essa convenuta;
➢ il richiesto quantum risarcitorio era eccessivo.
All’esito del giudizio l’adito giudice di pace accertava e dichiarava “il concorso di responsabilità delle parti per i danni subiti dall’attore” e “la responsabilità dell’ convenuta limitatamente alla quota di proprietà pari a 697/millesimi (da dividersi della metà a ragione del concorso di responsabilità dell’attore)” e, per l’effetto, condannava la convenuta al pagamento a favore dell’attore della somma di € 916,00, oltre accessori, compensando interamente le spese di lite.
Tali declaratorie venivano fondate sulle seguenti considerazioni:
➢ gestendo “un numero cospicuo di beni immobili”, per i quali aveva adottato “ogni esigibile accorgimento di sicurezza volto ad impedire il verificarsi di danni a cose e/o persone”, l’ del demanio non poteva essere gravata da un obbligo di custodia e vigilanza sugli stessi, ragion per cui nel caso di specie non era applicabile l’art. 2051 c.c., ma l’art. 2043 c.c., che “richiede come requisito soggettivo fondamentale ai fini della sua configurabilità, l’elemento soggettivo della colpa”;
➢ l’attore avrebbe, dunque, dovuto provare la colpa della convenuta;
➢ tale onere probatorio non era stato assolto, avendo la convenuta “sempre provveduto alla adozione di tutte le cautele idonee ad impedire il verificarsi dei danni a cose e persone”, come la collocazione delle barriere paraneve;
➢ l’evento dannoso dedotto in causa era imprevedibile, come provato “dalla mancanza di altre simili segnalazioni di pericolo o richieste di risarcimento danni tali da far ritenere inadeguata l’attività di monitoraggio e di custodia dei beni immobili demaniali da parte della P.A.”, di talché “inesigibile era una diversa condotta da parte della P.A.”;
➢ “in un paese di montagna (quale quello di Cavalese) le precipitazioni nevose sono molto frequenti e il rischio di caduta neve dai tetti è fenomeno prevedibile anche dall’utente medio”, ciò significando che, essendo “a conoscenza dell’abbondante ed eccezionale nevicata”, il danneggiato aveva “accettato (anche nella formula dubitativa) il rischio della possibile caduta di neve dai tetti”;
➢ nel caso di specie sussistevano “sia un caso fortuito (abbondante nevicata) sia la corresponsabilità del danneggiato”;
➢ ne conseguiva “la infondatezza della pretesa dell’attore”;
➢ in punto di quantum, l’azionata pretesa risarcitoria si basava “unicamente su un accertamento operato unilateralmente dall’attore in mancanza di un legittimo contraddittorio”;
➢ analogo rilievo poteva essere svolto in ordine alla stima dei danni, fondata un unico preventivo di spesa, oltretutto recante un importo eccessivo;
➢ la dinamica del sinistro si fondava “sulla ricostruzione della stessa operata dall’attore sebbene confermata dai due testi di parte attrice escussi”;
➢ “l’agente di polizia intervenuto pur avendo attestato la presenza di neve sull’asfalto non ha ricondotto la stessa ad una caduta dal tetto dello stabile demaniale”;
➢ le foto versate in atti non documentavano “alcun distacco di neve dal tetto dello stabile de quo”;
➢ i locali oggetto del giudizio erano stati “seppur formalmente, trasferiti dal demanio dello Stato alla Provincia Autonoma di Trento”, essendo comunque ancora in corso la procedura di divisione in porzioni materiali;
➢ al momento della decisione la quota di proprietà di tale fabbricato riferibile alla convenuta era pari a 697/1000;
➢ pertanto, la convenuta poteva “al più essere condannata al risarcimento dei danni proporzionalmente alla quota millesimale di proprio possesso o sulla quale esercita de facto una custodia, essendo la custodia dell’immobile de quo affidata a soggetti diversi (si pensi al Comune di Cavalese)”;
➢ si doveva comunque escludere la responsabilità del custode, visto che il danno era “legato, non già ad un comportamento (passivo, negligente) del custode, ma, al caso fortuito”, come tale da ricondurre alla responsabilità di cui all’art. 2043 c.c..
Avverso tale sentenza proponeva appello per chiedere di riformarla integralmente e di accogliere le conclusioni rassegnate in primo grado, formulando cinque distinti motivi.
Con il primo l’impugnante contestava la sentenza di primo grado nella parte in cui era stato ritenuto inapplicabile l’art. 2051 c.c. e, con riguardo al disposto dell’art. 2043 c.c., rilevava che comunque era stata provata la colpa di controparte, evincendosi dalle assunte deposizioni testimoniali la caduta della neve dal tetto dell’edificio demaniale.
Con il secondo motivo evidenziava l’incoerenza e l’incomprensibilità della sentenza appellata in ordine alla ritenuta imprevedibilità ed eccezionalità dell’evento di danno, essendo venuta in rilievo una nevicata in pieno inverno e in zona di montagna.
Con il terzo motivo l’appellante censurava la decisione del primo giudice per avergli attribuito un concorso di colpa, senza considerare che al momento del suo passaggio nei pressi dell’edificio di controparte non nevicava.
Con il quarto motivo rappresentava che all’introduzione del giudizio l’immobile risultava intestato al e comunque la controparte aveva ammesso di averne la custodia e di gestirlo.
Con il quinto motivo, relativo al quantum debeatur, si rilevava che al primo giudice era sfuggito il documento prodotto sub 4, corrispondente non già a un preventivo, ma alla fattura n. 713 dd. 16.7.2021 della Nel costituirsi in persona del legale rappresentante, l’ chiedeva di respingere l’impugnazione e, in accoglimento del proprio appello incidentale, di rigettare la domanda di risarcimento dei danni di controparte.
Con riguardo ai cinque motivi di appello rappresentava che:
➢ nel caso di specie ricorreva un caso fortuito, per essersi verificato “un pericolo imprevedibile insorto improvvisamente e derivante da fatti straordinari estranei alla sfera d’azione” di essa appellata, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2051 c.c., e comunque non era stata provata la sua colpa, desumendosi eventualmente dai testi soltanto “il nesso causale fra il distacco della neve e causazione del danno”;
➢ nell’osservanza delle regole cautelari atte a prevenire possibili danni a terzi, sul tetto dell’edificio erano stati installati “presidi di sicurezza, consistenti negli sbarramenti di neve”;
➢ doveva essere ritenuto imprevedibile il distacco di neve da un tetto provvisto di barriere paraneve;
➢ ricorreva il concorso di colpa dell’attore, il quale non aveva tenuto una condotta improntata all’ordinaria diligenza, visto che per evitare il danno, avrebbe potuto scegliere un percorso alternativo;
➢ essa convenuta non aveva il controllo sulle porzioni di fabbricato in uso all’Agenzia delle Entrate e al giudice di pace di Cavalese;
➢ il dedotto quantum risarcitorio era eccessivo.
A sostegno dell’appello incidentale, relativo alla parte della sentenza in cui, “pur riconoscendo l’assenza di responsabilità dell’Amministrazione convenuta quanto all’an debeatur”, l’aveva condannata al pagamento di una somma a titolo risarcitorio, parte appellata assumeva che trattavasi di declaratoria non coerente con le considerazioni svolte, per poi eccepire la carenza di motivazione in ordine alla compensazione delle spese processuali statuita in dispositivo, visto che in parte motiva erano state collegate alla soccombenza. Il primo, il secondo e il quarto motivo di appello, riguardando tutti, in sostanza, anche la qualificazione giuridica della fattispecie concreta dedotta in giudizio, possono essere esaminati congiuntamente.
Tali motivi appaiono fondati per le ragioni di seguito esposte e, pertanto, devono essere accolti.
In punto di fatto si può ritenere provata l’effettiva verificazione del sinistro oggetto di causa nelle circostanze di tempo (poco prima delle ore 13,00 del 6 febbraio 2021) e di luogo (in INDIRIZZO Cavalese) indicate nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e con le modalità ivi esposte.
Nell’allegata relazione di servizio redatta dall’agente di Polizia Locale si legge, per quanto qui rileva “il giorno 06/02/2021 alle ore 12,55 circa, a seguito di una segnalazione mi sono recata in INDIRIZZO a Cavalese, per accertare i danni subiti per la caduta della neve, sull’autovettura Audi TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO, di proprietà del sig. stesso mi ha dichiarato che, mentre transitava con il proprio veicolo da INDIRIZZO verso INDIRIZZO, all’altezza del INDIRIZZO, un grosso quantitativo di neve si è staccato dal tetto del palazzo del Tribunale di Cavalese, andando a colpire il veicolo sopra citato. Il veicolo Audi TARGA_VEICOLO risultava danneggiato sul tetto, parte posteriore destra, con lieve ammaccatura, rottura dell’antenna e del braccio nonché della spazzola tergilunotto.
Al momento dell’intervento era ancora presente la neve sull’asfalto, sul tetto dell’autovettura, visibilmente caduta dal tetto del palazzo del Tribunale di Cavalese.
Presenti sulla sede stradale l’antenna staccata ed il braccio con spazzola del tergi lunotto.
Ho proceduto al rilievo fotografico dello stato dei luoghi”.
Tale ricostruzione dei fatti ha trovato piena conferma nel testimoniale assunto innanzi al primo giudice.
Nel deporre all’udienza del 18.10.2022, il teste ha confermato la corrispondenza al vero dell’intero capitolato di prova articolato da parte attrice, con ciò, di fatto, asserendo di aver visto un’abbondante quantità di neve cadere dal tetto dell’edificio oggetto di causa e colpire l’autovettura del Tenuto conto di ciò e considerato che nell’immediatezza del fatto l’agente di polizia locale, come ha poi confermato anche in sede di deposizione testimoniale, ebbe a verificare de visu che la prospettazione di trovava oggettivo riscontro non solo nell’effettiva sussistenza dei danni lamentati, ma anche nella presenza di neve sul tetto dell’auto e sulla sede stradale, nonché nella presenza dell’antenna e della spazzola del tergilunotto sul selciato, si può ritenere dimostrato in termini sufficientemente chiari e univoci il nesso causale tra la detta caduta di neve e i danni descritti nella citata relazione di servizio, che del resto parte appellata ha, di fatto, riconosciuto nella comparsa di costituzione depositata nel presente giudizio (v. pag. 6). Una volta ricostruita la dinamica del sinistro nei termini sopra esposti, ne va verificata la riconducibilità nel campo applicativo dell’art. 2051 c.c., in virtù del quale chi ha in custodia una cosa risponde del danno originato da essa, di talché, ai fini dell’accertamento della responsabilità del preteso danneggiante, il danneggiato è tenuto a provare, da un lato, la sussistenza di un nesso causale fra la res e l’evento dannoso;
e dall’altro, la ricorrenza del rapporto di custodia, intesa come signoria di fatto con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, ciò significando che la colpa del custode è priva di rilievo ai fini dell’affermazione della sua responsabilità, che, pertanto, può essere esclusa solo dal caso fortuito (da intendersi come elemento esterno recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità, la cui dimostrazione è a carico del custode medesimo) e, quindi, “prescinde dalle caratteristiche della cosa custodita, c.d. seagente (ovvero dotata di intrinseco dinamismo) oppure no” (così in motivazione Cass., n° 2480/18). Come detto, le acquisite risultanze istruttorie consentono di ravvisare uno stretto ed immediato rapporto di causa ed effetto tra la caduta di neve dal tetto del palazzo di proprietà della parte appellata e i danneggiamenti del veicolo del descritti dall’agente di Polizia Locale, sicché deve ritersi assolto il primo onere probatorio a carico dell’appellante.
Appare parimenti sussistente l’ulteriore presupposto applicativo dell’art. 2051 c.c., rappresentato dal rapporto di custodia con la res, “rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa, che comporti il potere dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore” (v. Cass., n° 15096/13).
Nell’individuare il fondamento della responsabilità ex art. 2051 c.c. nell’esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla res (a cui inerisce il dovere di vigilarla e di mantenerne il controllo, onde evitare che produca danni a terzi), la giurisprudenza di legittimità, sia pure facendo riferimento alle strade aperte al pubblico transito, ma svolgendo considerazioni riferibili anche ai fabbricati, ha statuito che l’ente proprietario si presume responsabile “dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile” (così, per tutte, Cass., n° 8935/13), individuando il fattore decisivo per l’applicabilità della disciplina ex art. 2051 c.c. “nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l’impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all’uso generale e diretto da parte dei terzi, da considerarsi meri indici di tale impossibilità, ma all’esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso singolo, che tenga in debito conto innanzitutto gli indici suddetti” (così, in motivazione, Cass., n° 21508/11); si è, quindi, sostenuto che “la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti” (v. la citata Cass., n° 21508/11;
nello stesso senso Cass., n° 24529/09, che ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dell’ente proprietario sul presupposto che le dimensioni della strada non consentissero un’adeguata sorveglianza).
In adesione al menzionato orientamento giurisprudenziale, appare fondato ravvisare nel caso di specie quel concreto rapporto di custodia sulla res che costituisce il presupposto applicativo dell’art. 2051 c.c., deponendo in tal senso, da un lato, le stesse deduzioni svolte da parte appellata, sia nella comparsa di costituzione depositata in primo grado (ove si legge “l’edificio per la parte prevalente è gestito dalla scrivente ” “l’ del , infatti, solo in gestisce più di 750 cespiti immobiliari e per ciascuno di essi ha puntualmente adottato tutti i possibili accorgimenti/sistemi di sicurezza volti ad impedire il verificarsi di danni a cose e/o persone”), sia in quella depositata nel presente giudizio (ove si legge “l’ ha prudentemente osservato, in via preventiva, le regole cautelari atte a prevenire possibili danni a terzi installando sul tetto del palazzo demaniale sugli appositi presidi di sicurezza, consistenti negli sbarramenti paraneve”), da ciò desumendosi che all’epoca la stessa fosse già provvista di mezzi e di personale per la manutenzione degli immobili in gestione e che, quindi, era nelle condizioni di esercitare sugli stessi un’effettiva e adeguata vigilanza; sia la stessa collocazione dell’edificio in questione, ubicato nel centro di Cavalese, dunque in zona di agevole accessibilità, il che lo rende vieppiù suscettibile di uno stabile e continuativo monitoraggio da parte del soggetto proprietario.
Ai fini per cui si procede non appare poi ascrivibile rilievo al fatto che tale fabbricato non sia nell’esclusiva materiale disponibilità della parte appellata, per essere in parte anche in uso all’Agenzia delle Entrate e in parte adibito a uffici del giudice di pace, in relazione ai quali la manutenzione grava sull’amministrazione provinciale.
Ciò, infatti, potrebbe consentire di individuare altri custodi dell’edificio e, quindi, ulteriori soggetti potenzialmente responsabili ex art. 2051 c.c., ma non è però valorizzabile ai fini di una declaratoria di rigetto, anche solo parziale, della pretesa risarcitoria dell’appellante, non constando che questi abbia rinunciato alla parte del credito corrispondente al grado di responsabilità di eventuali altri custodi o ad avvalersi della solidarietà nei confronti del corresponsabile convenuto, rinuncia, peraltro, non ravvisabile nella sola circostanza di non avere agito anche contro i terzi, avendo del resto la persona danneggiata, in conseguenza di un fatto illecito imputabile a più soggetti legati dal vincolo della solidarietà, diritto di pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche da una sola delle persone coobbligate (in tal senso v. Cass.. , n° 19492/2007;
nello stesso senso Cass., n° 11179/2015, secondo cui “…l’azione giudiziaria per il conseguimento dell’intero risarcimento…non implica di per sé una remissione tacita del debito nei confronti del corresponsabile del danno, né una rinuncia alla solidarietà, presupponendo la prima un comportamento inequivoco che riveli la volontà del creditore di non avvalersi del credito, e la seconda che il creditore agisca nei confronti di uno dei condebitori solidali solo per la parte del debito gravante su quest’ultimo”). Per tutto quanto esposto si può, dunque, ritenere che parte appellante ha assolto il proprio onere probatorio in relazione sia al rapporto di causa ed effetto tra la caduta di neve dal tetto del palazzo intestato alla controparte (cosa in custodia) e l’evento dannoso dedotto in giudizio, sia alla riferibilità, alla parte convenuta, di una relazione con la detta res valorizzabile ai fini e per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c., che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale (v., per tutte, Cass., n° 24214/14), disciplina un’ipotesi di responsabilità oggettiva ancorata alla sola sussistenza del nesso causale, e non anche alla negligenza, prevedendo, di fatto, una “presunzione di responsabilità”, non una “presunzione di colpa”, di talché non rileva la condotta del custode, ma soltanto il suo rapporto con la cosa (ed è per tale ragione che il custode, per evitare la condanna, non può limitarsi a dimostrare di aver tenuto una condotta diligente, ma deve invece provare che il danno è derivato da un caso fortuito). Di contro, da parte appellata non è stata fornita la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..
In primo luogo non si può ritenere che l’insidiosità assunta dal detto edificio fu prodotta da un’imprevedibile alterazione dello stato dei luoghi, non potendosi ritenere tale l’accumulo di neve sul tetto, avuto riguardo alle circostanze di tempo (pieno inverno) e di luogo (zona di montagna), né consta che la pregressa nevicata che lo causò fu un evento meteorologico assolutamente eccezionale per durata e consistenza.
Non risulta, neppure, che la neve caduta sul veicolo del si accumulò sul tetto del fabbricato dell’appellata in modo del tutto repentino e inaspettato, immediatamente prima del sinistro, sì da costituire una situazione di fatto non eliminabile o non segnalabile per mancanza del tempo materiale necessario a provvedere in un senso o nell’altro.
Ai fini per cui si procede non rileva l’incontestata apposizione di barriere paraneve, visto che la verificazione del sinistro induce di per sé a ritenere che quel dispositivo, forse anche per oggettiva conformazione strutturale e/o per le modalità di installazione, non era idoneo a contenere tutta la neve accumulatasi sul tetto, fermo restando che comunque, come detto, la responsabilità disciplinata dall’art. 2051 c.c. prescinde dalla colpa del custode e, quindi, da un’eventuale sua condotta conforme alle regole di prudenza e diligenza. Non può essere parimenti qualificata in termini di caso fortuito neppure la condotta di , il quale si limitò a percorrere la strada adiacente all’edificio, che, per quanto consta, nella circostanza era regolarmente aperta al pubblico transito, di talché non gli si può certo addebitare una condotta imprudente per la scelta del percorso, né tantomeno di non aver considerato il rischio di caduta di neve dai tetti degli edifici prossimi alla strada da lui percorsa, proprio perché, non essendovi alcun divieto di accesso, aveva ragione di riporre pieno affidamento sulla transitabilità della via in tutta sicurezza. Al riguardo giova poi rammentare che, in sostanziale condivisione con l’impostazione interpretativa seguita da precedenti pronunce, secondo cui elide il nesso di causalità tra la cosa e l’evento “soltanto una condotta della vittima che rivesta il carattere di una peculiare imprevedibilità e con caratteristiche tali che esse si debbano ritenere eccezionali e cioè manifestamente estranee ad una sequenza causale ordinaria o “normale”, corrispondente allo sviluppo potenzialmente possibile in un contesto dato secondo l’id quod plerumque accidit” (così in motivazione Cass., n° 6550/11), la Suprema Corte ha ribadito che per “caso fortuito” idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno “va generalmente inteso quel fattore causale, estraneo alla sfera soggettiva, che presenta i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità (fattore causale comprensivo…anche della colpa del danneggiato)”, precisando in proposito che “l’imprevedibilità va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento, mentre l’eccezionalità…come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come ‘normale’” (così in motivazione Cass., n° 2480/2018, che ha richiamato, fra le altre, Cass., n° 25837/17, secondo cui la condotta della vittima di danno da cosa in custodia può costituire caso fortuito soltanto se colposa, ossia connotata da negligenza, imprudenza, imperizia secondo lo schema dell’art. 1176 c.c., e imprevedibile da parte del custode per essere stata “eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata; v. anche Cass., n° 18317/15 secondo cui la condotta dello stesso danneggiato può assurgere a caso fortuito idoneo a escludere la responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. quando essa, “rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo” al punto da svilire il bene custodito a mero tramite;
come quando, stando a Cass., n° 13337/2000, si risolve in una sua impropria utilizzazione, la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque da renderla del tutto imprevedibile).
Il comportamento del danneggiato può, dunque, interrompere il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno, sì da integrare il caso fortuito e, quindi, la causa esclusiva del sinistro, se e in quanto rappresenti un evento del tutto eccezionale, ovvero “soltanto quando sia dotato di autonomo impulso causale e sia, per lo stesso custode, imprevedibile ed inevitabile” (cfr. Cass., n° 98/5796; Cass. n° 88/2458; Cass., n° 25029/08;
nello stesso senso, v. Cass., n° 20619/14 e Cass., n° 18317/15, secondo cui la condotta dello stesso danneggiato può assurgere a caso fortuito idoneo a escludere la responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. quando essa, “rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo”).
La parte appellata non ha provato la ricorrenza dei detti presupposti, non avendo dimostrato che la condotta di sia stata tale da risultare “estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto” (per usare le stesse parole della citata Cass., n° 2480/2018), sì da privare di qualsivoglia efficienza eziologica la connotazione insidiosa assunta dalla res in custodia, al punto da renderla giuridicamente irrilevante, dovendosi, di contro, ritenere, in base a una valutazione ex ante, che non fosse certo evento oggettivamente improbabile il transito veicolare in loco, visto che, come detto, la via non era stata chiusa al traffico. I rilievi sopra svolti inducono a escludere anche un concorso colposo dell’appellato e, quindi, a ritenere fondato il quarto motivo di appello.
La parte appellata deve, pertanto, rispondere in via esclusiva dell’evento lesivo de quo, quale custode della cosa che l’ha provocato.
Sul quantum debetaur Con riguardo, invece, all’ammontare del richiesto importo risarcitorio, oggetto del quinto motivo di appello, va preliminarmente rilevato che:
la somma di € 916,00 posta dal primo giudice a carico dell’ corrisponde, previo arrotondamento, a quella (=€ 2.629,94) portata dalla fattura allegata dall’appellante, ridotta in proporzione ai millesimi (697) di proprietà dell’appellata e ulteriormente diminuita del 50% per il ritenuto concorso di colpa del per tutto quanto sopra esposto entrambe le riduzioni devono essere escluse;
l’appello incidentale riguarda il solo an debeatur, non avendo l’ impugnato anche la liquidazione del quantum.
Pertanto, una volta ritenuta l’imputabilità del sinistro alla sola parte appellata, la condanna di quest’ultima non può che avere a oggetto l’intero importo preteso ex adverso.
A parte ciò, devesi comunque considerare, da un lato, che l’acquisito materiale probatorio, e segnatamente la citata relazione di servizio dell’agente di polizia locale e la deposizione testimoniale della stessa consentono di ritenere provata l’effettiva sussistenza dei danni arrecati al veicolo e, quindi, al patrimonio dell’appellante per la necessità di rimediarvi, quale conseguenza diretta e immediata del fatto dannoso per cui era causa, e ciò a prescindere dal fatto che il danneggiato abbia già fatto fronte agli esborsi per porvi rimedio, di talché la circostanza che non sia stato provato l’esborso per le riparazioni indicate nell’allegata fattura non è idonea, di per sé sola considerata, ad escludere il diritto al risarcimento (in tal senso, v. Cass., n° 17670/2024); e dall’altro che l’allegata fattura consente di stimare la consistenza quantitativa dei danni in questione nell’importo ivi indicato, in difetto di validi e oggettivi elementi di segno contrario e di specifici e argomentati rilievi della parte appellata, che non ha indicato un più congruo costo di riparazione al ribasso, il che, complessivamente valutato, induce a escludere, anche per ragioni di economia processuale, un approfondimento istruttorio di natura tecnica sul punto mediante l’espletamento di ctu.
, quale responsabile del sinistro, alla cui verificazione l’appellante non ha contribuito, va, dunque, condannata a pagare la somma di € 2.629,94.
A tale importo nulla può essere aggiunto a titolo di spese legali stragiudiziali, visto che al riguardo l’impugnante si è limitato a richiederne il pagamento, reiterando la domanda proposta in primo grado, senza però formulare una specifica censura alla sentenza del giudice di pace, sì come richiesto dall’art. dall’art. 342 c.p.c., il che induce a ritenere in parte qua l’appello inammissibile;
devesi comunque rilevare, solo per mera completezza espositiva, che l’appellante non ha provato, e invero neppure indicato, l’effettiva consistenza quantitativa della spesa a cui egli sarebbe tenuto.
Sull’appello incidentale Le motivazioni esposte a fondamento dell’accoglimento dell’appello principale valgono anche a giustificare il rigetto dell’appello incidentale proposto dall’ Come rilevato da quest’ultima, la sentenza appellata risulta effettivamente connotata da un evidente contrasto tra la finale declaratoria di condanna e l’iter argomentativo che la precede, risultando questo diretto a giustificare l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. ai beni pubblici e ad evidenziare l’insussistenza dell’elemento della colpa richiesto dall’art. 2043 c.c.. Tale contraddizione va però risolta, per quanto sopra esposto, con la riconduzione della fattispecie concreta in esame nell’ambito operativo della responsabilità da cosa in custodia e con l’esclusione del contributo colposo del danneggiato, quindi con l’accoglimento della pretesa risarcitoria di quest’ultimo.
Sulle spese di lite Le spese di lite, liquidate (di ufficio in difetto di nota) per le quattro fasi processuali del primo grado e per le tre del presente giudizio di appello, come da dispositivo (previa riduzione dei valori medi relativi alla fase decisionale dell’odierno procedimento, non essendovi stata necessità di esaminare nelle memorie conclusive questioni significativamente diverse da quelle trattate negli scritti introduttivi), seguono la soccombenza e, pertanto, devono gravare su parte appellata.
Il Tribunale di Trento, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da nei confronti dell , in persona del legale rappresentante, avverso la sentenza n° 39/2023 emessa dal giudice di pace di Cavalese e pubblicata il 5.9.2023, disattesa ogni diversa domanda, istanza, deduzione ed eccezione, così provvede:
accoglie l’appello e rigetta l’appello incidentale;
per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna a pagare a la somma di € 2.629,94;
condanna a rifondere a le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio, che liquida (di ufficio in difetto di nota) per il primo grado in € 1.265,00 per compenso, € 127,58 per esborsi, oltre rimborso spese forfettarie del 15%, Iva e cpa come per legge;
per il secondo grado in € 1.275,00 per compenso, € 545,00 per esborsi, oltre rimborso spese forfettarie del 15%, Iva e cpa come per legge.
Così deciso in Trento in data 1.4.2025 Il giudice dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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