RG. n. 514/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE SECONDA nelle persone dei magistrati:
dott. NOME COGNOME Presidente dott.ssa NOME COGNOME Consigliere relatore dott.ssa NOME COGNOME Consigliere riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente:
SENTENZA N._1358_2024_- N._R.G._00000514_2023 DEL_13_11_2024 PUBBLICATA_IL_14_11_2024
nella causa d’appello contro la sentenza n. 964/2023 del 19/04/2023 del Tribunale di Genova, promossa da:
(C.F.: ), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, presso la cui sede, sita in Genova, INDIRIZZO è ex lege domiciliato COGNOME contro (C.F.: )
, LA (C.F.: ), LA (C.F.: ), LA (C.F.: ), in qualità di eredi di rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta, presso il quale sono elettivamente domiciliati in GenovaINDIRIZZO INDIRIZZO APPELLATA
CONCLUSIONI
DELLE PARTI PER L’APPELLANTE “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello, contrariis reiectis, riformare l’impugnata decisione per i motivi sopra illustrati e, per l’effetto, rigettare ogni domanda in quanto prescritta;
in subordine, ridurre la condanna come meglio visto in parte motiva.
Con vittoria, o in caso di accoglimento del secondo motivo, compensazione, di spese, C.F. C.F. C.F. C.F. “Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello adita:
– rigettare l’avverso gravame – siccome destituito di fondamento in fatto ed in diritto, sia in punto an, sia in punto quantum e, comunque, non provato – per l’effetto confermando la sentenza di prime Cure;
– con vittoria di compensi e di spese anche del secondo grado di giudizio, da liquidarsi con distrazione in favore dello scrivente legale, anticipatario”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato in data 09/08/2019, (rispettivamente mogli e figli del de cuius) convenivano in giudizio dinnanzi al Tribunale di Genova, sezione lavoro, il , in qualità di datore di lavoro di , al fine di sentirne accertare la responsabilità nella causazione del decesso del loro congiunto, e per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni patiti sia dal de cuius, sia dai suoi eredi.
Esponevano che era deceduto nel 2005 a causa di un mesotelioma pleurico maligno conseguente all’attività lavorativa svolta nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco dal 3/07/1962 al 24/12/1994, in occasione della quale era esposto alle fibre di amianto, sia per via ambientale, sia per manipolazione.
La Commissione Medica di verifica di Genova e il avevano accertato la dipendenza da causa di servizio della patologia e avevano concesso agli eredi di l’equo indennizzo e la pensione privilegiata.
Si costituiva nel giudizio il , preliminarmente eccependo l’avvenuta prescrizione della domanda azionata iure proprio dagli attori e insistendo per il rigetto nel merito della domanda attorea in quanto infondata e non provata sotto il profilo dell’avvenuto contatto tra il de cuius e l’amianto sul luogo di lavoro.
Inoltre, il eccepiva che ogni violazione doveva essere valutata con riferimento al grado di avanzamento tecnologico proprio dell’epoca di verificazione dei fatti in causa e che non fosse possibile evitare la verificazione dell’evento dannoso con le conoscenze dell’epoca dei fatti.
Con sentenza n. 433/2019 del 10/05/2019 il giudice del lavoro adito declinava la propria giurisdizione in relazione alla domanda risarcitoria proposta iure hereditatis, concedendo un termine per la riassunzione di fronte al giudice amministrativo.
Con ordinanza in pari data del 10/05/2019 trasmetteva gli atti al presidente per testi, il Tribunale, con la sentenza impugnata, accertata la responsabilità del , lo condannava a versare a titolo di risarcimento dei danni euro 306.215,00 in favore di , euro 326.405,00 in favore di , euro 215.360,00 in favore di ed euro 215.360,00 in favore di oltre interessi e rivalutazione, nonché alla rifusione delle spese legali in favore degli originari ricorrenti.
Respinta l’eccezione di prescrizione proposta dal , essendo il caso sussumibile all’interno del reato di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. e dovendosi, di conseguenza, applicare il relativo termine di prescrizione, il Tribunale riteneva provata la responsabilità del ex art. 2043 c.c. per il decesso di sia sulla base delle prove testimoniali, sia sulla base delle prove documentali.
La condotta omissiva del datore di lavoro e il nesso eziologico dovevano ritenersi provati.
Pertanto, condannava il a risarcire agli attori il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale subito, da considerarsi non in re ipsa, ma presuntivo, ed in ogni caso emerso anche dalle deposizioni testimoniali, liquidato secondo le Tabelle di Milano.
Avverso detta sentenza ha interposto appello il , preliminarmente chiedendone la sospensione della provvisoria esecutività e instando per l’integrale riforma ovvero, in subordine, una riduzione del quantum risarcitorio.
Il articolava i motivi di seguito indicati.
Si sono costituiti nel giudizio chiedendo il rigetto del gravame proposto da controparte, in quanto infondato sia in punto an, sia in punto quantum e la totale conferma della sentenza gravata.
Con ordinanza del 26/09/2023 di questa Corte è stata rigettata l’istanza di sospensiva avanzata dal La causa è stata trattenuta in decisione con ordinanza del 31/10/2024 all’esito del deposito delle memorie conclusionali e di replica ex art. 352 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo rubricato “In punto prescrizione.
Violazione dell’art. 2947 c.p.c..
Difetto di motivazione.
Violazione e falsa applicazione artt. 589 ss. c.p.”, il censura la sentenza nella parte in cui il Tribunale ha rigettato l’eccezione di prescrizione.
Lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado laddove, nel ritenere applicabile il termine di prescrizione previsto per il reato di cui all’art. 589 c.p., avrebbe valutato “astrattamente” che l’evento dannoso costituisca un fatto di reato.
Secondo i dettami della Corte Suprema dalla data del fatto, occorre l’esistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sia soggettivi che oggettivi, e particolarmente il Tribunale avrebbe dovuto vagliare la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa dell’agente, che non potrebbe essere supplito dalle valutazioni svolte dal Tribunale (pp. 11/13 della sentenza) nel capo relativo all’accertamento dell’an debeatur, in ordine alla sussistenza di una “colpa di organizzazione” o della generica violazione, da parte dell’Amministrazione datrice, della disposizione di cui all’art. 2087 c.c..
Il Tribunale avrebbe omesso di valutare se i soggetti preposti (e mai identificati) del Comando dei VVFF di Genova abbiano colposamente esposto il de cuius ad asbesto, e cioè abbiano violato disposizioni di legge vigenti, ma anche ciò fatto potendo prevedere e prevenire l’evento di reato (morte del de cuius).
Il Tribunale, quindi, avrebbe dovuto applicare il termine di prescrizione quinquennale proprio dell’azione aquiliana, rilevando che ormai il termine per proporre l’azione era già decorso e, di conseguenza, il diritto vantato era già prescritto.
Il motivo, ad avviso della Corte, è infondato.
Come affermato dal Tribunale, secondo l’articolo 2947 c.c., se il fatto è considerato dalla legge come reato e per tale reato è previsto un termine di prescrizione più lungo, come per il caso di omicidio colposo, tale termine deve essere applicato anche all’azione civile.
Ciò vuol dire che, quando il decesso del congiunto integra il reato di omicidio colposo, il termine di prescrizione da applicare anche alla causa civile è quello più lungo previsto per il reato di omicidio colposo e quindi 10 anni, termine applicato dal Tribunale.
Il decesso ( fatto reato) è avvenuto in epoca precedente all’entrata in vigore della legge 251/2005 (ex Cirielli), che ha previsto il raddoppio dei termini di prescrizione in presenza della violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e della legge 102/2006 che ha inasprito il trattamento sanzionatorio in caso di omicidio colposo commesso con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (da 5 a 7 anni di reclusione).
Pertanto, si applicano i termini di prescrizione in vigore al tempus commissi delicti, quindi 10 anni, ai sensi dell’art. 157 c.p. (massimo edittale, 5 anni, raddoppiato = 10 anni) decorrenti dalla data della morte.
Tanto premesso sul termine, il Tribunale ha correttamente individuato nell’illecito civile gli estremi del reato di omicidio colposo “ di cui gli attori hanno allegato e documentato con sufficiente livello di specificità sia l’elemento oggettivo che soggettivo, sotto forma di violazione specifica di norme cautelari poste a tutela della salute del lavoratore)” (pag. 5 Il Tribunale, poi, con ampia motivazione nel decidere l’an della responsabilità (da pag. 7 a pag. 13 della sentenza) – statuizione non impugnata dall’appellante tanto che il motivo si presente ai limiti dell’ammissibilità- ha accertato sia la protratta esposizione all’amianto del sig. sia per via ambientale che per manipolazione, nell’esercizio delle proprie incombenze d’istituto, allorchè ha fatto parte del Corpo dei Vigili del Fuoco, sia la mancata adozione da parte del datore di lavoro di misure a protezione dei lavoratori dall’esposizione a fibre di amianto, che avrebbero potuto impedire l’insorgenza della malattia, e quindi la condotta omissiva del datore di lavoro che non ha dimostrato di aver adempiuto agli obblighi di protezione (oltre il nesso di causalità tra esposizione all’amianto e mesotelioma che ha condotto al decesso del ). Occorre ricordare che in tema di delitti colposi contro la persona per violazione della normativa antinfortunistica (come nella specie, omicidio colposo, conseguente all’insorgere di un mesotelioma pleurico, in danno di un lavoratore reiteratamente esposto, nel corso della sua esperienza lavorativa all’amianto, sostanza oggettivamente nociva), si è in presenza di un comportamento soggettivamente rimproverabile a titolo di colpa quando l’attuazione delle cautele possibili all’epoca dei fatti avrebbe significativamente abbattuto le probabilità di contrarre la malattia, senza che sia necessario, come assume l’appellante, procedere all’individuazione nominativa dei soggetti responsabili dell’omessa adozione delle cautele necessarie. Il Tribunale ha evidenziato che la pericolosità dell’esposizione all’amianto per il rischio di mesotelioma risale almeno agli anni sessanta, sia in ambito scientifico che imprenditoriale perché le misure protettive da adottare sarebbero state comunque quelle già prescritte dall’ordinamento per l’asbestosi (malattia anch’essa mortale e comunque gravemente invalidante inserita nell’elenco tipizzato delle malattie professionali dalla legge 455/1943), ossia quelle prescritte per tutelare il medesimo bene salute offeso (dall’una o dall’altra malattia). Era onere quindi del datore di lavoro acquisire tali conoscenze, individuandosi quindi la colpa del nella violazione delle norme sulla disciplina per la prevenzione di infortuni sul lavoro, ossia sia quelle contenute nelle leggi specificamente dirette ad essa, sia quelle che, direttamente o indirettamente, perseguono il fine di prevenire malattie professionali e che, in genere, tendono a garantire i lavoratori in relazione ad agenti nocivi presenti nell’ambiente di lavoro.
2.
Con il secondo motivo di appello rubricato “ Errata quantificazione degli importi riconosciuti dalla sentenza a titolo di risarcimento del danno.
Illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Violazione degli artt. 1226 c.c. e 2056, 2059 c.c.”, l’appellante moglie del de cuius, il massimo liquidabile sulla scorta del rilievo per il quale alla massima (ratione aetatum) attribuzione di punteggio impone di giungere tanto l’applicazione delle presunzioni in ordine all’affetto e alla condivisione di ogni ricorrenza, anche le prove orali circa il grave turbamento seguito alla morte del marito;
identicamente per la figlia, in cui oltre a richiamare le motivazioni (e il richiamo a presunzioni) svolto per la madre, il Tribunale ha fatto riferimento alle prove in ordine agli attacchi di panico sofferti dalla ragazza;
quanto ai figli, non conviventi, il Tribunale ha liquidato il valore medio in relazione all’intensità della relazione affettiva in dichiarato difetto di prove sul punto.
Il Tribunale avrebbe errato nel concedere 30 punti per la voce dell’intensità della relazione affettiva avendo riguardo alla presunzione connessa al rapporto (di coniugio in un caso, di filiazione nell’altro), poiché tale circostanza era già stata valorizzata dal sistema tabellare, attraverso l’utilizzo di tabelle separate per le diverse tipologie di rapporto.
La concessione del punteggio massimo su tale voce non apparirebbe giustificata in modo appropriato:
il Tribunale avrebbe dovuto applicare il valore medio per l’intensità della relazione affettiva, sia con riferimento alla moglie del de cuius, , sia con riferimento alla figlia, .
Con riguardo, invece, ai figli , in difetto di prova circa l’intensità del legame, il Tribunale avrebbe dovuto attenersi, con riguardo a tale voce, ai valori minimi e avrebbe dovuto concedere un risarcimento pari ad euro 164.885,00 ciascuno.
Anche tale motivo, ad avviso della Corte, è infondato.
Le applicate dal Tribunale tabelle di Milano, che utilizzano la tecnica del c.d. “punto variabile”, attribuiscono rilevanza a cinque diverse circostanze (età della vittima primaria, età della vittima secondaria, convivenza, sopravvivenza di altri congiunti del danneggiato, qualità e intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto), per ognuna delle quali stabiliscono un determinato punteggio in base alle peculiarità della fattispecie concreta.
Il valore del risarcimento viene determinato dalla moltiplicazione del punteggio complessivo ottenuto (somma dei punti attribuiti a ogni circostanza) per il “valore-punto” indicato dalle tabelle medesime.
Le prime quattro circostanze hanno natura oggettiva e, pertanto, la discrezionalità del giudicante riguarda solamente l’ultima circostanza, ossia la qualità e l’intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto, determinata sulla scorta delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio.
Ebbene, per quanto riguarda la moglie per il caso di relazioni familiari di lungo periodo, in cui deve presumersi, oltre che l’affetto, la condivisione di ogni attività/festività/ricorrenza, e tenuto conto che sull’attrice è senz’altro gravato il carico assistenziale maggiore durante la malattia del coniuge, fatti comprovati anche a livello istruttorio – vedasi teste che hanno confermato il grave turbamento subito dalla donna (pag. 15 sentenza).
Per quanto riguarda la figlia convivente diciannovenne il Tribunale, nell’applicare parimenti il punteggio di 30 punti ha affermato “per le stesse ragioni sopra indicate in favore del coniuge, comprovate anche a livello istruttorio – vedasi teste che hanno confermato il grave turbamento subito dalla ragazza sfociato anche in attacchi di panico”.
Risulta, in effetti, dalle suddette deposizioni che sia la signora , che è stata vicina al marito durante tutta la malattia accompagnandolo in ospedale, che la figlia hanno avute serie problematiche di salute dopo il decesso del congiunto (di tipo ansioso, facilità al pianto, insonnia, quanto alla moglie che è ricorsa ai farmaci, e di attacchi di panico quanto alla figlia).
Le sofferenze di cui hanno riferito i testi dopo la morte del sig. sono il chiaro segno del forte legame che esisteva in vita tra il de cuius e la moglie e la figlia , tale consentire di apprezzare la sofferenza ed il turbamento che, pur non sfociato in un danno biologico, ha avuto esplicazione nella sfera emotiva e morale delle originarie attrici, e danno contezza di un nucleo familiare coeso che godeva di un legame particolarmente forte e costante.
Va poi valorizzato, quanto alla moglie NOME COGNOME che la stessa è stata privata, in una età ancora relativamente giovane (47 anni), del sostegno affettivo del compagno della sua vita, e della possibilità di trascorrere con il marito gli ultimi anni della vita, tenuto conto della durata media della vita ai giorni attuali e del tempo libero a disposizione tipico dell’età pensionistica.
Occorre, poi, tener conto anche, nella valutazione degli importi risarcitori, sia del coniuge che dei figli, della sofferenza di chi è colpito dal mesotelioma pleurico, correlata alla natura della patologia, caratterizzata dalla compromissione della funzione respiratoria, che aggrava e rende dolorosa per i congiunti l’assistenza e l’accompagnamento del proprio familiare fino al decesso, e il ricordo nel tempo di tale agonia.
Quanto ai figli non conviventi il Tribunale si è attenuto condivisibilmente ad una valutazione dell’intensità della relazione nella media (15 punti).
L’assunto del per cui il punteggio per la relazione affettiva dovrebbe essere pari a 0 non tiene conto del fatto “iuris tantum”, fondata sulla comune appartenenza al medesimo nucleo familiare minimo, che può essere superata dalla prova contraria fornita dal convenuto, anch’essa imperniata su elementi presuntivi tali da far venir meno (ovvero attenuare) la presunzione suddetta, e l’assenza di puntuali contestazioni mosse da parte appellante impedisce di smentire l’esistenza, ricavata dall’id quod plerumque accidit, di una sofferenza interiore patita dai congiunti della vittima, dato lo stretto legame di parentela (Cass. n. 3767/2018). Ne consegue che l’appello va rigettato Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in base al DM n. 55/2014 in conformità ai criteri applicati dal Tribunale, esclusa la fase istruttoria non tenutasi.
Si ravvisano i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
PNOMERAGIONE_SOCIALE
definitivamente pronunciando nella causa d’appello contro la sentenza n. 964/2023, del 19/04/2023, del Tribunale di Genova, così provvede:
-respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
-condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali del grado che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre spese forfetizzate, iva e cpa.
Si dà atto, in ragione del rigetto dell’appello, della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.
Genova, 4/11/2024 IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE Dott.ssa NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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