LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Responsabilità del progettista per opere difformi e viziate

La sentenza in esame affronta il tema della responsabilità del professionista incaricato della progettazione e direzione lavori di un’opera, nel caso specifico un’autorimessa. Viene ribadito l’obbligo del progettista di operare con diligenza, rispettando le regole dell’arte e garantendo la fruibilità dell’opera finale. Viene altresì ribadita l’importanza dell’onere probatorio in relazione alla prova del danno e del nesso causale. Infine, la sentenza affronta il tema della copertura assicurativa, con particolare riguardo ai limiti ed alle esclusioni.

Prenota un appuntamento in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza per una consulenza legale.

Pubblicato il 15 marzo 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

CORTE D’APPELLO

DI VENEZIA dott. NOME COGNOME Presidente relatore dott.ssa NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._360_2025_- N._R.G._00001781_2023 DEL_03_03_2025 PUBBLICATA_IL_03_03_2025

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

nella causa di appello iscritta al n. 1781/2023 R.G. e promossa con atto di citazione notificato (C.F.

– appellante –

elettivamente domiciliato in indirizzo telematico, con il patrocinio degli avv.ti NOME e COGNOME NOMECOGNOME contro (C.F. (C.F. – appellate – C.F. C.F. C.F. elettivamente domiciliate in SALZANO, INDIRIZZO con il patrocinio dell’avv. COGNOME NOMECOGNOME (C.F.

– appellata –

elettivamente domiciliata in VENEZIA, INDIRIZZO con il patrocinio dell’avv. NOMECOGNOME

Oggetto della causa:

Appello avverso:

la sentenza non definitiva del Tribunale di Belluno n. 12/2022, pubblicata in data 20.1.22, la sentenza definitiva del Tribunale di Belluno n. 304/23, pubblicata in data 23.8.23, Conclusioni dell’appellante:

previa declaratoria dell’inammissibilità dell’appello incidentale svolto dalle signore poiché tardivo ed ogni altra avversa istanza domanda ed eccezione respinta, voglia la Corte d’appello di Venezia:

Nel merito, in principalità:

respingere le domande risarcitorie avanzate da perché non provate ed infondate in fatto e in diritto.

Per l’effetto, condannare le appellate alle restituzioni delle somme tutte percepite in forza delle impugnate sentenze.

Con gli interessi ex art. 1284, comma 4, c.c. dalla domanda al saldo.

Con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio e delle spese di ATP.

Nel merito, in via subordinata:

nella denegata ipotesi di ritenuta responsabilità dell’ing. – accertare e dichiarare la corresponsabilità delle committenti nella determinazione dei danni ex art. 1227 c.c., – accertare e dichiarare insussistenti e non imputabili all’appellante ing.

i danni derivanti da ritardo e dalla risoluzione consensuale dei contratti stipulati delle attrici con i soggetti terzi;

– riconoscere e liquidare nella misura in € 10.100,00 i costi complessivi per l’adeguamento dell’opera.

– dichiarare, in ogni caso, non dovute dall’appellante le spese asseritamente sostenute dalle appellate per la difesa nel procedimento penale.

Nel merito in via riconvenzionale:

previo ogni necessario accertamento, condannare tra loro in solido, a pagare all’ing. a titolo di compensi per l’attività svolta di progettazione e successiva direzione dei lavori, la complessiva somma di € 26.644,80, salva la diversa di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi dalla data di revoca dell’incarico alla data della domanda, e oltre agli interessi ex art. 1284, comma 4, c.c. dalla domanda all’effettivo saldo.

Nel merito, con riferimento alla domanda di garanzia: condannare l’appellata a manlevare e tenere indenne l’assicurato ing.

per l’intero importo capitale liquidato agli attori in primo grado, interessi e spese, salvo lo scoperto di € 4.081,94= (o il diverso di giustizia), pari al 10% del danno liquidato a titolo di errata progettazione.

Condannare, altresì, l’appellata a manlevare e tenere indenne l’assicurato ing. anche con riferimento alle spese di A.T.P liquidate in favore degli attori in primo grado.

In ogni caso:

con vittoria delle spese del grado.

In via istruttoria: ammettere la prova orale di cui alla memoria ex art. 183, comma 6 n. 2) c.p.c. del 28.2.2019 depositata in data 4.3.2019 di seguito trascritta:

prova per interrogatorio formale delle attrici e per testi sulle seguenti circostanze:

1) vero che antecedentemente al 2011, le signore hanno dato mandato all’immobiliarista signor di realizzare l’autorimessa per cui è causa ed effettuare le successive vendite a terzi dei posti auto;

2) vero che il signor inizialmente propose alle attrici di realizzare l’autorimessa con 9 posti auto interrati ed altrettanti in superficie;

3) vero che il progetto di realizzazione del parcheggio in superficie è stato respinto dal di Cortina d’Ampezzo poiché incompatibile con i vincoli paesaggistici- ambientali, il che ha comportato la modifica in corso d’opera del progetto;

4) vero che il sig. agendo quale consulente e rappresentante delle attrici, ha conferito all’ing. l’incarico di redigere un progetto e seguire l’esecuzione dei lavori inerenti la costruzione di un autorimessa interrata;

5) vero che il sig. richiese all’ing. di redigere un progetto di costruzione dell’autorimessa interrata che potesse contenere 9 posti auto utilizzando la minima superficie, e rispettando l’estensione, la conformazione e la morfologia del lotto di terreno, i vincoli paesistici-ambientali, la pendenza della strada comunale immediatamente adiacente al lotto di terreno dalla quale effettuare l’accesso e la necessità di una servitù di passaggio di larghezza 5 m per l’accesso al fabbricato esistente sulla p.ed. 1619;

6) vero che, tra i vincoli indicati dal sig. vi era quello di limitare l’estensione del terreno necessaria per la realizzazione dell’autorimessa, sia per contenere i costi sia perché la parte rimanente fosse assegnata ad altro erede;

7) vero che l’estensione del terreno di proprietà delle attrici sul quale edificare l’autorimessa era stato indicato dalle committenti;

8) vero che nel corso dell’esecuzione dei lavori, l’ing. si accorse che l’impresa appaltatrice RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato il prolungamento del muretto sulla sponda sinistra della rampa d’accesso, opera non prevista dal progetto, senza un suo ordine di servizio e senza attendere l’autorizzazione dal

9) vero che l’esecuzione delle opere in difformità dal progetto rispondeva all’esigenza di presentare il cantiere finito ai promittenti acquirenti dei posti auto, senza attendere i tempi dell’autorizzazione comunale;

10) vero che il rappresentante dell’impresa RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME giustificò l’esecuzione dei lavori in difformità al progetto dicendo all’ing. “Ho dovuto farli, altrimenti non prendiamo i soldi”

11) vero che l’ing. era all’oscuro della volontà di prolungare il muro con la successiva modifica effettuata dall’appaltatore;

12) vero che su suggerimento del sig. le attrici decisero di non abbattere il muretto realizzato abusivamente e di far presentare la domanda di compatibilità paesaggistica

13) vero che messo di fronte al fatto compiuto, l’ing. dovendo effettuare altra variante imposta da consistente nell’ampliamento di 80 cm dell’entrata dell’autorimessa sul lato destro, dovette chiedere l’approvazione al Comune di Cortina, il quale constatò che era anche già stata realizzata una parte di muretto sul lato sinistro, non prevista dal progetto.

14) vero che l’abbattimento dell’opera abusiva avrebbe comportato tempi tecnici più brevi rispetto alla domanda di compatibilità paesaggistica.

15) vero che la telefonata che mi viene fatta sentire tramite file audio è avvenuta in data 12.3.2012 fra e NOME COGNOME della società RAGIONE_SOCIALE

16) vero che il signor è stato l’unico interlocutore dell’ing. per quanto attiene ai rapporti con le attrici;

17) vero come indicato dalla notifica preliminare allo che si rammostra (doc. 48 fasc. la sede legale della RAGIONE_SOCIALE era all’epoca dei fatti nell’ufficio del dott. NOME) vero che in data 16.10.2013 è stato il sig. a revocare l’incarico professionale all’ing come da documento che si rammostra (doc. 32 fasc.

19) vero che la compatibilità paesaggistica del 16.5.2014 che si rammostra (doc. 40) è stata ritirata presso il Comune di Cortina dal sig. COGNOME) vero che il filmato che mi viene fatto visionare riprende un’autovettura RAGIONE_SOCIALE mente entra ed esce dall’autorimessa per cui è causa (doc. 43).

21) Vero che le attrici hanno presentato la richiesta di concessione in sanatoria delle modifiche esterne della rampa solo in data 13.10.2016, come da documento che si rammostra (doc. 41);

22) Vero che i lavori di costruzione dell’autorimessa sono iniziati il 13.7.2011;

23) Vero che nel mese di agosto per ordinanza Comunale a Cortina i lavori edili sono sospesi;

24) Vero che dall’inizio di dicembre fino alla fine di marzo il gelo e la neve impediscono l’effettuazione di lavori edili.

Si indicano a testi:

entrambi di Cortina d’Ampezzo;

l’ing. e l’ing. presso il Si chiede, altresì, che l’adita Corte d’Appello voglia disporre la rinnovazione della C.T.U. da affidare ad altro Consulente d’Ufficio, al fine di accertare l’adeguatezza del progetto dell’autorimessa commissionato all’ing. la rispondenza dell’opera al progetto approvato e la sua conformità edilizia, nonché di procedere ad una corretta stima dei danni lamentati dalle odierne appellate.

Conclusioni delle appellate Contrariis reiectis, Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Venezia, per le ragioni in fatto ed in diritto esposte in narrativa, viste le perizie rese nel procedimento di ATP 1134/14 del Tribunale di Belluno e nel procedimento 464/2018 del medesimo Tribunale:

– confermare la Sentenza non definitiva n. 12/2022 pubblicata il 20/01/2022 del Tribunale di Belluno afferente l’esclusiva responsabilità professionale dell’ing. nella causazione dei danni di cui si verte;

– rigettare in toto l’appello principale per le causali di cui al presente atto ed in generale agli atti di primo grado, con particolare riferimento alle perizie svolte tanto in primo grado quanto nel precedente giudizio di ATP.

Il tutto oltre interessi ex D.L. n. 132/2014 dal giorno della domanda al saldo e con rifusione delle spese, delle competenze anche del presente grado di giudizio.

Conclusioni della appellata IN INDIRIZZO IN PRIMO LUOGO:

Dichiararsi inammissibile la domanda di appello incidentale siccome formulata da , attrici appellate;

IN INDIRIZZO IN SECONDO LUOGO:

Dare atto che l’appellata si rimette a giustizia per quanto attiene alla richiesta di sospensione della efficacia esecutiva delle sentenza di primo grado così come svolta dall’appellante nel proprio atto di impugnazione;

INDIRIZZO, IN INDIRIZZO

Respingere sia le domande attoree come svolte dalle attrici in primo grado perché non provate, sia quella di garanzia come formulata dal convenuto ing. perché entrambe infondate in fatto ed in diritto;

Per l’effetto condannare le attrici odierne appellate alla restituzione delle somme erogate da in forza delle impugnate sentenze con gli interessi dalla domanda al saldo.

NEL MERITO, IN INDIRIZZO NEL CASO IN CUI

VENGA DICHIARATA

SUSSISTERE UNA RESPONSABILITÀ

DELL’APPELLANTE ING.

Dare atto che si richiama alle conclusioni svolte da parte dell’assicurato ing. che ad ogni buon conto qui si seguito si riproducono:

– accertare e dichiarare la corresponsabilità delle committenti nella determinazione dei danni ex art. 1227 c.c.;

– accertare e dichiarare insussistenti e non imputabili all’appellante ing.

i danni derivanti da ritardo e dalla risoluzione consensuale dei contratti stipulati dalla attrici con i soggetti terzi; – riconoscere e liquidare nella misura di € 10.100,00 i costi complessivi per l’adeguamento dell’opera;

– dichiarare, in ogni caso, non dovute dall’appellante le spese asseritamente sostenute dalle appellate per la difesa nel procedimento penale.

NEL MERITO, CON RIFERIMENTO ALLA DOMANDA DI GARANZIA:

Respingere le richieste formulate dall’appellante ing. come formulate nel quarto motivo d’appello (pag. 36/39 della citazione d’appello) e perciò confermarsi i limiti di manleva così come determinati dal Tribunale di Belluno alla pag. 17 della sentenza definitiva n. 304/2023 e richiamata al punto 5) del dispositivo.

IN OGNI CASO:

con vittoria di spese del presente grado.

IN VIA ISTRUTTORIA Si richiamano le richieste istruttorie già svolte in prime cure e perciò si contestano le risultanze della C.T.U. depositata il 29-31.11.22 per incompiutezza ed erroneità della stessa nonchè le eccezioni di inutilizzabilità della documentazione prodotta irritualmente dalle attrici all’udienza del 24.11.22.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il giudizio di primo grado Con atto di citazione promosso avanti al Tribunale di Belluno, premettendo:

che l’ing. da loro incaricato, aveva commesso gravi ed evidenti errori nella progettazione di una autorimessa da realizzare in un terreno di loro proprietà, sito in Cortina d’Ampezzo, che i predetti vizi erano stati accertati all’esito di una consulenza tecnica d’ufficio redatta nell’ambito di un procedimento appositamente promosso ai sensi dell’art. 696 cpc, che a tali circostanze erano conseguiti vari danni, tra cui la risoluzione di una serie di contratti preliminari di compravendita dei posti auto da realizzare, non conclusi per mancato rispetto dei tempi di consegna dell’opera, hanno convenuto in giudizio la menzionata controparte chiedendo l’accertamento della sua responsabilità nel verificarsi di tutto quanto esposto nonché la condanna del medesimo al risarcimento dei danni così causati dalla presenza dei predetti errori. Costituitosi in giudizio, il professionista contestava lo svolgimento dei fatti:

eccependo la nullità della citazione per indeterminatezza della domanda, rilevando l’assenza dei lamentati difetti dell’opera e, comunque, l’imputabilità degli stessi a scelte operate dalle attrici per mezzo di un loro incaricato, riscontrando siccome incongrua la quantificazione dei presunti vizi dell’opera compiuta ex adverso, sottolineando l’inconsistenza delle ragioni sottese alla richiesta di risarcimento dei danni economici subiti per il ritardo nella consegna dei posti auto ai promissari acquirenti, chiedendo in ogni caso, per l’ipotesi in cui fosse stata ritenuta l’esistenza di difetti ascrivibili alla propria responsabilità, l’autorizzazione alla chiamata in causa delle Compagnie con le quali aveva stipulato le polizze per l’assicurazione professionale. Queste ultime, comparse in giudizio rispettivamente deducevano:

la prima, che pur non contestava l’operatività della polizza, di doversi ritenere la propria garanzia limitata solo ad alcune delle voci di danno lamentate dalle attrici, la seconda, la sopravvenuta prescrizione del diritto e comunque l’inesistenza del rischio al momento della stipula della polizza, la conseguente inoperatività di questa e, infine, la decadenza per mancato avviso di cui agli artt. 1913 e 1915 cc, oltre alla perdita del diritto ai sensi dell’art. 1892 cc, stante l’intervenuto rendimento di dichiarazioni inesatte e reticenti da parte del contraente. Datosi corso allo scambio delle memorie di cui al sesto comma dell’art. 183 cpc, esperita CTU e rigettati i mezzi istruttori capitolati dalle parti, la causa è stata una prima volta trattenuta in decisione all’udienza dell’1.7.21, cui seguiva l’emissione della sentenza non definitiva n. 12/22, pubblicata in data 20.1.22, in forza della quale il Tribunale:

ritenuta infondata l’eccezione di nullità della citazione per insufficiente indicazione della causa petendi, atteso che le attrici, proprietarie per la quota di 16/18 di alcuni terreni siti in Cortina d’Ampezzo (BL), località loro pervenuti a seguito atto di divisione del 2.8.11 (nell’ambito del quale si erano impegnate a costruire a proprie esclusive spese un garage interrato con capienza di nove posti auto, di cui uno riservato a proprietari degli altri 2/18 della stessa particella fondiaria) avevano quindi affidato la progettazione e la direzione dei relativi lavori all’ing. rilevato che le stesse avevano poi incaricato dell’appalto per l’esecuzione dei lavori la quale, rispettando le scadenze previste, aveva completato le opere in data 30.4.12, osservato che a quel punto erano peraltro emersi gravi vizi che ne pregiudicavano l’utilizzabilità, ed in particolare l’accesso, come riconosciuto dallo stesso progettista con propria missiva del 29.5.12, ciò che costringeva a dare corso ad una serie di lavori di sistemazione e rifacimento, preso atto che, a quel punto, venivano notificati alle proprietarie dapprima una ordinanza di sospensione dei lavori adottata dal Comune di Cortina e poi un decreto di citazione a giudizio per abuso edilizio, dal momento che il professionista aveva fatto eseguire i lavori in variante, ritenuti necessari a rendere agibile l’opera, prima di ottenere l’autorizzazione del e, a seguito della richiesta di documentazione fotografica integrativa da parte dell’Ufficio Tecnico Comunale, aveva prodotto fotografie che documentavano l’avvenuta esecuzione dei lavori per i quali aveva già richiesto, ma non ancora ottenuto, l’autorizzazione, viste le risultanze della CTU, la quale accertava: o che il progetto dell’autorimessa presentava una rampa di accesso inadeguata sotto vari profili, o che il progetto strutturale era stato redatto sulla base di carichi erronei e pertanto le strutture risultavano insufficienti e sottodimensionate, o che l’impresa si era limitata ad eseguire le opere seguendo scrupolosamente le indicazioni del progetto, e considerato che lo stesso convenuto riconosceva, almeno in parte, la fondatezza degli addebiti mossigli, ritenuto che il diritto di garanzia vantato nei confronti degli dovesse considerarsi prescritto ex art. 2952 cc poiché, a fronte di una richiesta risarcitoria del 27.11.13, l’ing. aveva per la prima volta informato la compagnia della problematica solo con lettera del 7.5.18, accertava la responsabilità professionale del convenuto, dichiarava prescritto il diritto di garanzia azionato da quest’ultimo nei confronti della predetta compagnia assicurativa e disponeva come da separata ordinanza in merito alla prosecuzione del giudizio. Esperito quindi un supplemento di CTU, la causa è stata definitivamente decisa con la sentenza n. 304/2023, pubblicata in data 23.8.23, in forza della quale:

individuato l’ammontare dei danni subiti dalle attrici in relazione al deprezzamento dei posti auto, alla risoluzione dei relativi preliminari di compravendita, ai costi di modifica e di ripristino della funzionalità dell’opera ed alle spese sostenute nell’ambito del giudizio penale instaurato a causa delle irregolarità progettuali addebitabili all’ing. riscontrata l’infondatezza della pretesa di quest’ultimo, avanzata in via riconvenzionale, volta ad ottenere il pagamento della somma di € 26.644,80 asseritamente dovuta a titolo di compenso professionale, rigettata l’eccezione di inoperatività della garanzia prestata da poiché debitamente attivata entro il termine di efficacia del contratto e ritenuto conseguentemente l’obbligo di quest’ultima tenere indenne il convenuto in ordine a quanto condannato a versare alle attrici in esecuzione della sentenza, fatti salvi il solo scoperto a carico dell’assicurato (pari al 10% del sinistro, con un minimo di € 2.500,00 ed un massimo di € 12.500,00) nonché il limitato indennizzo (con un massimo di € 100.000,00 per sinistro e periodo assicurativo e uno scoperto pari al 10% dell’importo di ogni sinistro, con un minimo di € 2.500,00), il giudice di prime cure: ha condannato l’ing. a corrispondere alle proprie clienti, a titolo risarcitorio, la somma già attualizzata di € 152.533,27, oltre agli interessi al tasso legale a decorrere dal 27.11.13, da calcolare sulla somma capitale devalutata ai valori dell’epoca, in base agli indici ISTAT dei prezzi al consumo, ed annualmente rivalutata sino alla data del saldo effettivo, ha rigettato la domanda riconvenzionale svolta dal professionista, ha condannato la compagnia a manlevare l’assicurato nei limiti più sopra esposti, ha posto le spese di lite a carico dell’ing. in favore delle attrici ed a carico in favore di quest’ultimo. 2.

Il giudizio di appello Avverso le menzionate pronunce ha proposto gravame l’originario convenuto formulando sei motivi di appello e rinnovando, in forza di quanto evidenziato, la richiesta di rigetto delle pretese risarcitorie avanzate in primo grado dalle attrici ovvero di limitazione delle stesse entro i limiti accertati della propria responsabilità, nonché di accoglimento in via integrale sia della propria domanda riconvenzionale sia di quella di manleva, come meglio precisato in epigrafe.

Le appellate, costituitesi a propria volta in giudizio, hanno invocato la reiezione del gravame, in quanto infondato, e formulato a propria volta appello incidentale con riferimento al disposto accoglimento, in misura solo parziale, della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante, chiedendo la riforma della pronuncia sul punto.

La compagnia assicuratrice ha invece concluso per il rigetto sia delle domande di merito svolte dalle attrici, sia di quella di garanzia formulata dall’ing. perché entrambe infondate in fatto ed in diritto.

Respinta l’istanza di sospensiva della esecutività della sentenza di primo grado e procedutosi alla trattazione cartolare del giudizio, nel corso della quale le appellate rinunciavano all’appello incidentale, la causa è stata quindi rimessa al collegio all’udienza del 19 febbraio 2025.

3. I motivi della decisione Il gravame è parzialmente fondato e merita quindi accoglimento nei limiti di cui al dispositivo.

3.1

Con il primo motivo d’appello l’ing. censura le pronunce di primo grado nella parte in cui hanno ritenuto sussistente e provata la sua responsabilità in relazione all’errata progettazione delle opere ed alla conseguente direzione dei lavori.

Sotto un primo profilo ricorda che lo svolgimento dell’incarico è stato sempre supervisionato da parte di tale indicato dalle committenti, il cui intento era meramente speculativo in quanto volto a costruire un’autorimessa che contenesse il maggior numero di posti auto nel minor spazio possibile, al minor costo e con il maggior guadagno ricavabile, ciò che inficiava la realizzazione di un’opera rispondente ai migliori canoni costruttivi.

Deduce poi:

che, una volta quasi ultimata l’opera, gli era stato richiesto di ampliare di 80 cm. lo spazio di manovra in fondo alla rampa con susseguente modifica della tettoia a copertura del portone d’accesso, ciò che avrebbe comportato la necessità di dare unicamente corso ad una variante in corso d’opera (senza rischi di rilevanti ritardi e di commissione di un abuso sanzionabile penalmente) e non anche il rilascio di una nuova autorizzazione paesaggistica, la quale si rendeva invece necessaria a seguito della realizzazione, ordinata dal a sua insaputa, del prolungamento di un muretto posto all’imbocco della parte superiore della rampa d’accesso, che le committenti si rifiutavano poi di abbattere sebbene abusivo, dando così origine alla pratica di sanatoria da cui scaturivano i lamentati ritardi nel completamento dei lavori, che il Tribunale di Belluno non gli aveva consentito di dimostrare siffatte circostanze non ammettendo le prove orali capitolate in proposito, da ritenersi pienamente ammissibili. Contesta inoltre le risultanze della CTU osservando:

che le prove di manovra delle auto, le quali si erano concluse riscontrando l’assenza di particolari difficoltà purché l’accesso avvenisse con prudenza, erano state svolte in un momento antecedente alla realizzazione di un taglio della muratura di circa due metri ordinato dai nuovi tecnici delle committenti e cioè quando era stato unicamente eseguito il minor taglio di 80 cm. da lui stesso disposto, sicché le relative spese, ad eccezione di quella relativa al nuovo portone, non potevano essere poste a suo carico, che l’area di raccordo con la pubblica via non necessitava di alcun intervento di modifica e che le modifiche apportate in proposito presentavano una natura puramente estetica, che la previsione di un mezzo di sollevamento per superare il dislivello tra la strada e la quota di stazionamento delle auto non era applicabile all’edificio in questione giusta il disposto dell’art. 23 del D.G.R. Veneto n. 509/2010 poiché tali posti erano a servizio di unità abitative esistenti in edifici ubicati nelle adiacenze e non dotati di ascensore né conformi alle norme sull’accessibilità, che i carichi considerati per il dimensionamento dell’autorimessa non potevano ritenersi sottostimati giacché erano stati in grado di sopportare sollecitazioni eccedenti rispetto a quanto posto a base del calcolo, dovute alla presenza di un carico di terra indebitamente scaricato sul tetto della rimessa dall’impresa costruttrice ed alle gravosissime nevicate dell’inverno 2013/14, senza che si manifestassero danni di alcun genere. Il motivo è infondato.

Quanto al primo dei dedotti profili vale, invero, rilevare come l’asserita presenza di un soggetto incaricato dalle committenti di supervisionare le opere e la richiesta, peraltro del tutto legittima, formulata dalle medesime di realizzare un’operazione economicamente vantaggiosa, quand’anche provate, non siano comunque tali, di per sé, da poter sgravare delle proprie personali responsabilità l’ing. a cui, quale professionista formalmente incaricato sia della redazione del progetto che della direzione dei conseguenti lavori, incombeva specificamente l’onere, proprio in forza delle competenze di natura tecnica da lui vantate, di prospettare e poi di portare concretamente a compimento una soluzione costruttiva necessariamente rispettosa delle regole dell’arte, essendo ben evidente che un tecnico del settore è tenuto a tenere presenti le richieste della committenza solo nei limiti entro i quali le stesse non siano tali da compromettere la stabilità e la fruibilità dell’opera finale. Tanto da doversi ritenere che il professionista, in tali casi, ben abbia a rispondere dei difetti della stessa giacché, pur essendo in grado di accorgersi di ciò che sarebbe conseguito all’integrale accettazione delle irragionevoli richieste dei clienti, ciò nonostante si determinava in maniera imprudente e comunque per nulla professionale a compiere un’opera gravemente viziata, laddove, per esimersi da ogni responsabilità in proposito, avrebbe al contrario dovuto rinunciare all’incarico.

Considerazioni queste che trovano piena conferma nelle sentenze rese in materia dalla Suprema Corte, la quale ha avuto modo di affermare:

che il progettista, nell’espletamento della propria attività professionale, sia questa configurabile alla stregua di un’obbligazione di risultato o di mezzi, è comunque obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che l’erroneità o la inadeguatezza del progetto, costituisce fatto generatore di una responsabilità che esula dai limiti del rapporto contrattuale intercorso fra le parti, per assumere la configurazione propria della responsabilità da fatto illecito, tale da fondare l’esperimento di apposita domanda risarcitoria (Cass. 26.4.93 n. 4900), che la scrupolosità esigibile da parte del professionista nell’adempimento delle obbligazioni assunte nell’esercizio della sua attività assume i caratteri della diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione richiesta di tal che, nella controversia concernente il suo inadempimento contrattuale, questi, per andare esente da un giudizio di condanna, ha l’onere di provare che l’insuccesso è dipeso da causa a lui non imputabile anche quando la prestazione richiestagli richiedeva la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, posto che problemi speciali esigono dal professionista una competenza speciale, non ostando a tale conclusione l’art. 2236 cc, il quale si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della diligenza professionale (Cass. 25.9.12 n. 16254).

Quanto al secondo dei dedotti profili si osserva invece, innanzi tutto, come l’ing. non possa fondatamente pretendere di andare esente da responsabilità in relazione alla intervenuta realizzazione, a sua asserita insaputa e su presunto ordine del del prolungamento di un muretto posto all’imbocco della parte superiore della rampa d’accesso poiché, quand’anche fossero veri i cennati presupposti, ciò nonostante deve considerarsi che gravava proprio su di lui, nella veste di direttore dei di lavori, di curare che l’esecuzione delle opere avvenisse nel pieno rispetto delle previsioni progettuali, affermando in proposito i giudici di legittimità: che l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, la quale, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta peraltro il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se siano state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Cass. 27.2.06 n. 4366), che il direttore dei lavori per conto del committente esercita i medesimi poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto che questi ritiene di non poter svolgere di persona, sicché ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica (Cass. 19.9.16 n. 18285), che tra le obbligazioni del direttore dei lavori rientra l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, che delle modalità esecutive al capitolato e alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti gli accorgimenti per evitare difetti costruttivi, cosicché incorre in responsabilità il professionista che ometta di vigilare e impartire le opportune disposizioni al riguardo, di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in mancanza, di riferire al committente (Cass. 18.10.24 n. 27045).

Laddove poi, nel caso di specie, oltre a doversi riscontrare una mancata, tempestiva individuazione delle opere realizzate in difformità dal progetto, va ancor più censurato il fatto che il professionista, in spregio delle più elementari norme vigenti in ambito edilizio, abbia a quel punto provveduto a presentare una richiesta di autorizzazione ambientale e non invece in sanatoria, per opere in variante che erano già state eseguite, così affermando tra l’altro il falso, ciò che determinava la successiva sospensione dei lavori ed i conseguenti gravi ritardi nell’ultimazione delle opere, oltre che l’apertura di un procedimento penale nel quale risultavano coinvolte pure le committenti. A fronte delle quali considerazioni, espressamente svolte anche con riferimento all’ipotesi che fossero vere le asserzioni avanzate dall’appellante, che il medesimo lamenta non gli sia stato consentito di dimostrare, risulta del tutto assorbita qualsiasi questione relativa alla mancata ammissione dei mezzi di prova orale.

Con riguardo, invece, alle contestazioni delle risultanze degli elaborati peritali deve innanzi tutto notarsi come entrambe le CTU, svolte rispettivamente in sede di ATP e nel corso del giudizio di merito, abbiano avuto modo di chiarire, per usare le parole utilizzate dall’ing. che “l’ingresso all’autorimessa a valle della rampa non risultava adeguato per dimensioni geometriche come verificato anche dalle numerose prove eseguite in sede di Accertamento Tecnico Preventivo”, nell’ambito del quale, alle pag. da 42 a 43, veniva altresì evidenziato che, tenendo conto del dato progettuale “l’unica autovettura in grado di entrare e uscire dall’autorimessa come progettata senza eseguire particolari manovre aggiuntive è la RAGIONE_SOCIALE Panda” mentre “qualsiasi altro mezzo con dimensioni maggiori e raggio di sterzata maggiore della Fiat Panda ragionevolmente non sarebbe riuscito ad entrare/uscire senza effettuare almeno 2 manovre”, ciò che tra l’altro risultava implicitamente ammesso dallo stesso progettista con l’ordine di servizio del 29.5.12, appunto finalizzato ad eseguire alcuni lavori volti a rendere più agevole l’entrata e l’uscita dei veicoli. Sicché è ben evidente che il professionista deve rispondere delle opere del taglio del muro non solo per la misura minima di 80 cm. – da lui stesso ordinata dopo essersi accorto del problema e tale peraltro da risolvere il problema solo in misura limitata – ma anche di quella di maggiore spessore resasi necessaria per rendere effettivamente agibile l’accesso in condizioni di normale transitabilità per ogni tipo di vettura:

sia poiché l’inadeguatezza del progetto è confermata dai lavori che è stato necessario eseguire, comprensivi del taglio del muro a valle, dello spostamento del portone d’ingresso con modifica della rampa di accesso, della realizzazione di una soletta di copertura dell’accesso e della esecuzione dei doverosi raccordi con la strada comunale (cfr. pag. 36 CTU ing. sia in quanto i committenti hanno diritto di vedersi consegnare un’opera normalmente fruibile secondo i canoni di mercato e non solo un angusto spazio di manovra gravato di numerosi problemi di accesso, tanto più considerando il fatto che a Cortina è del tutto normale che circolino vetture ricomprese nel segmento di mercato maggiormente elevato, sia giacché i muri di raccordo sono comunque stati eseguiti nello stesso periodo temporale e risultavano indicati nella richiesta di autorizzazione paesaggistica predisposta proprio dall’ing. che aveva quindi autonomamente riscontrato la necessità di tale adeguamento. Né, d’altro canto, può fondatamente affermarsi che l’area di raccordo con la pubblica via non necessitasse di alcun intervento di modifica e che le variazioni apportate in proposito abbiano presentato una valenza puramente estetica, avendo il CTU ben chiarito che, sotto tale profilo, il progetto risultava in realtà incompleto, mancando qualsiasi indicazione idonea ad individuare in che maniera si dovesse procedere in proposito e cioè se a mezzo di terre armate, palificazioni, muretti o cordonate.

Laddove poi non devono nemmeno spendersi troppe parole per affermare che il progetto di realizzazione di una autorimessa e della pertinente rampa di accesso sboccante sulla pubblica via debba necessariamente contenere anche la previsione delle modalità di collegamento tra quest’ultima e la rampa, a pena di consegnare un’opera di fatto inadatta a svolgere la sua specifica funzione che è, appunto, quella di ricoverare le vetture provenienti dalla strada.

E parimenti priva di ragione si dimostra l’affermazione secondo cui non sarebbe stato necessario dotare il garage di un apposito montascale, dovendosi riscontrare, come ben evidenziato dal CTU, ing. che era proprio l’Ufficio Tecnico del Comune di Cortina, in ottemperanza alla normativa vigente in materia, costituita dagli artt. 4.1, 14 e 8.1.14 del D.M. n. 236/1989, a richiederne l’installazione in sede di variante, al fine di realizzare l’abbattimento delle barriere architettoniche.

L’ultima delle norme sopra citate, d’altro canto, chiaramente prevede che tutte le autorimesse, ad eccezione di quelle serventi “gli edifici residenziali per i quali non è obbligatorio l’uso dell’ascensore …” devono “essere servite da ascensori o altri mezzi di sollevamento, che arrivino alla stessa quota di stazionamento delle auto …”, fornendo così una prescrizione di carattere generale la cui inoperatività nel caso di specie non è stata dimostrata dall’odierno appellante, sul quale incombeva viceversa l’onere, non adempiuto, di dimostrare i motivi in forza dei quali l’edificio in questione non rientrasse tra quelli soggetti all’obbligo in questione. Da ultimo, infine, va anche respinta la considerazione secondo cui i carichi considerati per il dimensionamento dell’autorimessa sarebbero stati correttamente stimati giacché:

la CTU ha avuto modo di chiarire la necessità di inserire armature aggiuntive nelle travi e di rinforzare tutti i pilastri anche dopo essersi proceduto ad eliminare il riempimento di terreno sovrastante il solaio, sostituendolo con blocchi di polistirene per alleggerire i carichi gravanti sulla struttura (pag. 39 perizia ing. proprio tale ultima circostanza chiarisce che il problema sussisteva anche in assenza del predetto carico di terra, la cui previsione, non tenuta in considerazione di calcolo statico, era invece negligentemente aggiunta solo in sede progettuale, non presenta alcun rilievo la circostanza che la struttura abbia retto senza palesare problemi il peso della neve determinato dalle gravosissime nevicate dell’inverno 2013/14, trattandosi di considerazione di carattere meramente empirico e che ben potrebbe essere stata giustificata da svariati altri motivi (non tra gli ultimi quello relativo al fatto che forse quell’evento atmosferico non aveva comunque raggiunto i limiti di tollerabilità previsti dalla normativa tecnica di riferimento), laddove ai fini di valutare la correttezza di un progetto si deve unicamente verificare la sua corrispondenza alle disposizioni di legge vigenti in materia. 3.2

Con la seconda ragione di gravame l’appellante si duole della errata ed ingiusta liquidazione dei danni relativi alle opere di adeguamento della autorimessa e dei danni da deprezzamento dei posti auto.

In particolare, si contesta il fatto:

che il danno subito dalle attrici per le spese e gli interessi sostenuti per la risoluzione dei contratti indicati negli atti transattivi sia stato determinato in € 94.456,20, che i costi per le modifiche e per il ripristino della funzionalità dell’opera siano stati quantificati in € 38.819,44.

Quanto alla prima delle cifre sopra indicate si lamenta, innanzi tutto, che in relazione ai posti auto nn. 3 e 4 sia stato determinato un danno di complessivi € 72.000 (di cui € 30.000,00 per rinuncia al saldo ed € 42.000,00 per compensi dovuti all’appaltatore RAGIONE_SOCIALE) senza peraltro tenere conto del fatto:

che le pattuizioni considerate risultavano contenute in un contratto preliminare privo di data certa e in un atto di transazione, asseritamente perfezionatasi tra le parti Rossi e non datato né sottoscritto, che il preliminare di cui sopra ed il susseguente atto di cessione avevano in realtà ad oggetto la cessione del diritto di sottosuolo, realizzatasi senza problema, che solo nell’ambito del preliminare si faceva menzione dell’impegno dell’acquirente di pagare mediante accollo gli oneri di costruzione dei posti auto, che all’interno della promessa di vendita le attrici alienanti ponevano peraltro delle scadenze del tutto incongrue rispetto ai tempi di realizzazione del progetto edilizio, prevedendo l’ultimazione dei lavori di costruzione dei garage entro il 31.12.11 laddove il contratto per l’esecuzione degli stessi concluso con la indicava quale termine dei lavori la data del 30.6.12, che la somma di € 42.000,00 relativa all’esecuzione dei predetti lavori, non costituiva in realtà una posta di danno, trattandosi dei costi necessari per la realizzazione dei garage che, in assenza del preliminare, le attrici avrebbero comunque dovuto sostenere. Tale aspetto del gravame è fondato e merita accoglimento.

Sotto un primo profilo deve infatti osservarsi come nessuna valenza probatoria possa essere assegnata in causa al preteso atto di transazione concluso fra le parti *** e dal momento che lo stesso non risulta né datato né, tanto meno, sottoscritto laddove, viceversa, l’art. 1967 cc dispone che la transazione debba essere provata per iscritto, fermo il disposto del n. 12) dell’art. 1350, il quale individua i casi della forma scritta ad substantiam.

Né, d’altro canto, sotto un secondo profilo, vale a superare tale carenza la circostanza che tra le parti sopra indicate siano intervenuti alcuni pagamenti, dal momento che:

da un lato, gli stessi potrebbero in realtà trovare una diversa spiegazione in altri e diversi accordi fra le medesime intercorsi, sanciti in un apposito atto che non è stato prodotto in giudizio, d’altro lato, gli stessi, di per sé, non presentano alcun valore presuntivo, dal momento che i pagamenti compiuti dal Rossi e documentati in atti (doc. 16 attrici):

o in parte ben si spiegano quale adempimento degli obblighi assunti nei confronti delle alienanti in forza della stipula del preliminare di cessione del diritto di sottosuolo, del cui adempimento si dava poi atto nell’ambito del definitivo di costituzione di esso, o in parte si riferiscono alle fatture n. 46/2011 e 57/2011, che non risultano in alcun modo menzionate nell’ambito della transazione.

Conseguendone allora l’assoluta irrilevanza probatoria, anche solo a fini presuntivi, delle predette circostanze e la necessità di scalare dalla somma risarcibile in favore delle odierne appellate il complessivo importo di € 72.000,00, dal momento che incombe all’asserito danneggiato l’onere di dimostrare sia l’esistenza del danno sia la sua riconducibilità all’evento lesivo addebitabile alla controparte.

Con riguardo invece ai posti n. 5 e 6 – premesse una serie di contestazioni in merito al fatto che non vi sarebbe prova del fatto che la risoluzione del contratto stipulato tra le appellate ed i sigg.ri sia stato determinato dai ritardi nella esecuzione delle opere – l’ing. rileva che gli interessi per € 5.203,20, considerati dal CTU alla stregua di un pregiudizio patito dalle non raffigurano in realtà un danno ma, rappresentando i frutti civili delle somme dalle medesime ricevute, semplicemente costituiscono la remunerazione del capitale che le medesime hanno trattenuto a loro arbitrio sino a quando hanno ritenuto di restituire agli aventi diritto le somme capitali in forza di un mutuo consenso allo scioglimento del contratto preliminare, sicché le stesse nulla potrebbero pretendere in relazione ad essi in sede risarcitoria. Tale aspetto di censura è fondato.

Richiamato il principio relativo all’operare dell’onere probatorio, deve innanzi tutto osservarsi come, anche in questo caso, nessuna prova, nemmeno indiziaria, sia stata fornita da parte delle attrici, del fatto che la risoluzione del predetto preliminare sia direttamente riconducibile alle vicende oggetto del presente giudizio, ciò che sarebbe stato loro compito di far risultare in sede di stipula dell’accordo volto al mutuo scioglimento dell’accordo in precedenza concluso.

Mentre, in secondo luogo, non può nemmeno dimenticarsi che, rappresentando gli interessi i frutti civili delle somme inizialmente ricevute in forza del preliminare di cessione del diritto sottosuolo, una volta concordemente riscontrato il venir meno della spettanza della relativa somma, non può che conseguirne la restituzione anche degli interessi sulla stessa maturati in quanto accessori alla stessa, siccome ad esempio ben evidenziato dal tenore del disposto dell’art. 1263 cc.

Sicché – essendosi in presenza di una restituzione dovuta a seguito del venir meno della causa delle rispettive attribuzioni, a fronte della quale le attrici ricevevano peraltro in contraccambio la retrocessione in proprio capo del diritto di sottosuolo – appare scorretto voler individuare siffatto pagamento alla stregua di un danno patito dalle appellate.

Per quanto infine attiene al posto auto n. 7, l’ing. svolge considerazioni sostanzialmente simili a quelle già svolte in relazione ai posti auto nn. 3 e 4, osservando:

che la cessione del diritto di sottosuolo si è regolarmente conclusa mediante la stipula in data 19.12.11 dell’atto costitutivo di esso, che anche in questo caso le venditrici hanno posto delle scadenze di adempimento del contratto del tutto incongrue rispetto ai tempi di realizzazione del progetto edilizio, che, ad ogni modo, la transazione è stata stipulata solo nel dicembre 2015, allorquando era già stata rilasciata la compatibilità paesaggistica n. 3/2014 del 16.5.14 relativa alle opere fatta realizzare delle stesse committenti in assenza di previa autorizzazione ed era dunque ben possibile ottenere il rilascio della concessione in sanatoria. Tale motivo di censura risulta infondato.

Ed invero, sebbene le censure rivolte alla sentenza di primo grado risultino di medesimo tenore di quelle svolte in relazione ai posti auto nn. 3 e 4, la situazione di fatto relativa al posto auto n. 7 appare diversa.

In tale ambito, infatti, si è in presenza di un atto di transazione debitamente sottoscritto e datato, nell’ambito del quale risulta chiaramente evidenziato che la risoluzione dell’atto costitutivo del diritto di sottosuolo e la conseguente attribuzione dei posti auto è dipesa dalla tardiva consegna di questi ultimi, specificandosi in esso:

che la consegna dei garage era prevista per la data del 30.6.12, che questi ultimi sarebbero viceversa stati finiti a regola d’arte ed accatastati solo entro il giugno 2016, che il predetto ritardo di quattro anni era imputabile ad errori progettuali e gravi negligenze del progettista e direttore dei lavori, che le parti erano quindi addivenute alla transazione al fine di evitare il ricorso al tribunale da parte degli acquirenti, e cioè di un documento che vale chiaramente ad individuare quale causa del consensuale annullamento dell’affare proprio la ritardata consegna dei posti auto, imputabile all’ing. Riguardo alle quali circostanze non presentano dirimente rilievo:

né il fatto che fossero stati inizialmente fissati termini incongrui per la consegna dei garage, poiché quand’anche si fosse ritenuto di indicare più correttamente nel preliminare la data di conclusione delle opere pattuita con l’impresa appaltatrice (e cioè quella del 30.6.12), ciò nonostante le alienanti, al momento della sottoscrizione della transazione, si sarebbero comunque trovate in ritardo nella consegna dei beni promessi già da ben più di tre anni, né la circostanza che la transazione venisse stipulata in un momento in cui l’autorizzazione paesaggistica era già stata rilasciata poiché, a fronte dell’assai cospicuo ritardo ormai maturato a carico delle promittenti venditrici, ben spettava ai promissari acquirenti di non accettare un tardivo adempimento, tanto più ove non ancora immediato ma pur sempre sottoposto agli ulteriori tempi di attesa necessari per il concreto rilascio della concessione in sanatoria. Sicché si può convenire con la determinazione del giudice di prime cure secondo cui il danno derivato alle attrici ammonterebbe ad € 17.253,00, corrispondente alle somme corrisposte agli acquirenti per rimborso del costo dell’atto notarile di acquisto del posto auto e relativi interessi (€ 14.362,00) ed ai costi notarili successivamente sostenuti per il riacquisto del posto auto da parte delle attrici in esecuzione della transazione (€ 2.891,00).

Quanto, invece, alla determinazione dei costi sostenuti per l’effettuazione delle modifiche ed il ripristino della funzionalità dell’opera, l’appellante sostiene che sarebbero unicamente dovute le spese affrontate per incamiciare i pilastri poiché, in effetti, le barre d’acciaio di armatura, per quanto verificate tramite apposito programma software, non rispettavano i minimi di norma, mentre tutte le altre voci sarebbero relative ad interventi voluttuari (quali la rettifica rampa e l’ulteriore taglio del muro nonché il conseguente adeguamento della trave centrale dovuta alla modifica dello schema statico) o comunque imputabili ad errori commessi dall’impresa appaltatrice (quali i sondaggi e l’asporto del terreno indebitamente riportato sul solaio per risparmiare i costi del carico e trasporto in discarica e relativi oneri). Tale profilo di censura non merita accoglimento giacché:

per un verso, alla luce di quanto in precedenza esposto, è pacifico che le opere sopra indicate si sono tutte rese necessarie al fine di ovviare alle carenze progettuali ed alle negligenze commesse dal professionista nel corso della direzione lavori, senza che sia stata realizzata alcuna opera voluttuaria aggiuntiva, per altro verso, la copertura del solaio a lastra, compiuta dalla appaltatrice in piena aderenza alle indicazioni di progetto, non è stata effettuata utilizzando materiale di risulta che avrebbe dovuto essere smaltito bensì terreno di coltivo di uno strato di ritombamento, da ultimo, l’erroneità del relativo calcolo statico è derivata da una previsione progettuale errata che indicava un riempimento con materiale ben maggiore dello strato assai più modesto di cui si era tenuto conto in sede di effettuazione dei calcoli statici. 3.3

Con il terzo motivo di doglianza viene contestato il fatto che la pronuncia definitiva di primo grado abbia accolto la domanda di refusione delle spese di lite sostenute dalle appellate per la difesa svolta in sede penale, richiamandosi la tesi che l’esecuzione dei lavori in difformità dal progetto approvato sarebbe stata svolta su autonoma iniziativa delle proprietarie/committenti e dell’appaltatrice senza che la direzione lavori ne fosse previamente informata e che comunque avesse prestato la propria autorizzazione ed osservandosi che le clienti avevano poi optato di ottenere una sentenza di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato a seguito dell’avvenuta presentazione di una richiesta di sanatoria mentre solo lui aveva scelto di dimostrare la propria estraneità ai fatti e, comunque, l’insussistenza dei reati contestati ovvero l’inoffensività delle condotte poste in essere. Sostiene inoltre:

che la presentazione della domanda di condono implica la volontà di avvalersi delle opere abusive, facendole proprie, ed è pertanto idonea a manifestare una partecipazione, quantomeno morale, alla realizzazione delle stesse, che il procedimento penale è scaturito non dai pretesi errori progettuali bensì dalla presentazione di una variante in corso d’opera che necessitava della previa autorizzazione paesaggistica.

Il motivo è infondato.

Il procedimento penale in questione è stato in realtà aperto in relazione ad una condotta posta direttamente in essere ed esclusivamente riferibile all’ing. che:

in primo luogo, dopo aver presentato una variante in corso dei lavori, resa necessaria dai suoi errori progettuali, ma prima di aver ottenuto il rilascio dei permessi edilizi necessari, ordinava alla di dare corso all’esecuzione delle opere necessarie per rendere fruibile l’opera, in secondo luogo, all’atto di integrare la propria domanda in variante, presentava delle foto che ritraevano i lavori già eseguiti, di fatto ammettendo di aver compiuto una clamorosa violazione di legge, così coinvolgendo anche le proprietarie nella pratica di abuso edilizio. Ciò che è stato specifico oggetto di censura da parte del CTU che ha sottolineato come il direttore dei lavori non avrebbe giammai dovuto autorizzare l’esecuzione delle opere prima dell’ottenimento dei necessari permessi.

Né, d’altro canto, vale ad elidere le predette considerazioni la circostanza che le committenti abbiano successivamente presentato una domanda di condono delle opere abusive poiché, nel caso di specie, tale condotta era necessitata al fine di potersi avvalere di quanto realizzato così da limitare gli stessi danni imputabili all’ing. i quali sarebbero stati assai più elevati laddove a ciò non si fosse provveduto.

Laddove poi il richiamo alle sentenze della Cassazione citate nell’atto di citazione in appello si profila del tutto incongruente ove si ponga mente al fatto che le stesse, comunque rese in relazione alla diversa fattispecie in cui il proprietario non sia formalmente committente dei lavori, non affermano che la predetta scelta sia tale da condurre necessariamente ad affermare la responsabilità dell’imputato in relazione alla commissione del reato addebitatogli ma si limitano a prevedere che la stessa possa essere valutata alla stregua di un indizio che, assieme ad altri, consenta di affermare la penale responsabilità dello stesso (Cass. Pen. 30.5.12 n. 25669).

Ciò che non è a dirsi nel caso in esame, ove è stato viceversa positivamente accertato che la commissione del reato risultava esclusivamente riferibile al professionista.

3.4 Con il quarto motivo di contestazione l’originario attore lamenta siccome errata la decisione nella parte in cui, pur accogliendo la domanda di garanzia, ha ritenuto operanti uno scoperto a carico dell’assicurato pari al 10% del sinistro nonché una clausola di limitato indennizzo, con un massimo di € 100.000,00 e uno scoperto pari al 10% dell’importo del sinistro, richiamando, in proposito, il tenore delle clausole 1.3.3 e 1.3.1, lett. d).

Il motivo è da ritenersi fondato.

Escluso, preliminarmente, che possano trovare accoglimento in questa sede le valutazioni esposte dalla compagnia nell’ambito della propria comparsa di costituzione in questo giudizio – ove si afferma che una parte dei danni causati dal professionista non debba ritenersi coperta dalla garanzia, finendo così in contrasto con quanto affermato nella sentenza di primo grado senza che peraltro sul punto sia stato formulato uno specifico motivo di impugnazione incidentale – deve innanzi tutto notarsi come in effetti la polizza contenga due distinte previsioni di danno destinate ad operare separatamente in quanto: la prima, di cui alla clausola 1.3.1, lett. d), relativa ai danni “derivanti da interruzione o sospensione totale o parziale, mancato o ritardato avvio, di attività di qualsiasi genare e di servizi”, la quale “viene prestata nell’ambito del Massimale di Polizza fino alla concorrenza del 30% dello stesso, con un massimo di € 300.000,00 per Sinistro e per periodo assicurativo”, la seconda, di cui alla clausola 1.3.3.

, relativa alle “spese direttamente sostenute dal committente in conseguenza di gravi difetti riscontrati nelle opere progettate o dirette, sopravvenuti dopo la loro ultimazione, che rendano inidonee le opere stesse all’uso o alle necessità cui sono destinate”, la quale “viene prestata nell’ambito del Massimale di Polizza fino alla concorrenza del 30% dello stesso, con un massimo di € 100.000,00 per Sinistro e periodo assicurativo e uno Scoperto pari al 10% dell’importo di ogni sinistro con il minimo di 2.500,00”. Di tal che risulta evidente come, ai fini delle valutazioni dei predetti scoperti, sia necessario fare distinto riferimento ai due tipi di danno presi in considerazione dalla polizza, conseguendone che, a fronte di un massimale di polizza di € 1.500.000,00:

per i danni da ritardo non va applicato alcuno scoperto ed opera un limite di indennizzo di € 300.000,00, per i danni inerenti ai costi di ripristino, determinati dal CTU in € 40.819,44, va applicato uno scoperto del 10%, pari a € 4.081,94 ed un limite di indennizzo di € 100.000,00.

3.5

Con la quinta ragione di gravame l’appellante si duole quindi della pronuncia definitiva nella parte in cui ha ritenuto di comprendere le spese di ATP tra le voci di danno da risarcire alle clienti, assoggettandole ai limiti della domanda di garanzia ed escludendole dalle spese da rifondere all’assicurato vittorioso, osservando che le stesse avrebbero al contrario dovuto essere disciplinate alla stregua delle altre spese di lite, con la conseguenza che non dovevano essere né rivalutate, né assoggettate alle previsioni di polizza circa i limiti di indennizzo. La predetta censura è fondata.

Come, invero, ben chiarito dai giudici di legittimità, le somme erogate dalla parte che abbia esperito una procedura di accertamento tecnico preventivo per compensare il consulente tecnico di ufficio ed il proprio consulente costituiscono, dopo che gli atti dell’accertamento tecnico sono stati acquisiti nel successivo giudizio di merito, spese giudiziali e non componenti del danno da risarcire e le relative somme non sono pertanto soggette a rivalutazione monetaria, ma debbono essere considerate nella liquidazione delle spese processuali da porre, in tutto o in parte, a carico della parte soccombente, salvo che il giudice non ritenga di compensarle ai sensi del disposto dell’art. 92 cpc (Cass. 8.6.17 n. 14268, 27.7.05 n. 15672 e 23.12.93 n. 12759). 3.6

Con il sesto motivo di appello l’ing. contesta infine la statuizione in forza della quale è stato disposto il rigetto della sua domanda riconvenzionale volta ad ottenere il pagamento del proprio compenso professionale osservando che l’opera da lui progettata risultava sostanzialmente idonea a soddisfare gli interessi delle committenti dal momento che gli erano unicamente addebitabili errori di secondario rilievo e che nessuna censura poteva essergli mossa in relazione allo svolgimento dell’attività di direzione lavori. Il motivo è palesemente infondato.

Ed invero – una volta premesso che il progettista, nell’espletamento della propria attività professionale è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che l’erroneità o la inadeguatezza del progetto, costituisce inadempimento dell’incarico abilitante il committente a rifiutare di corrispondere il compenso, avvalendosi dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 cc (Cass. 29.11.04 n. 22487) – vale ricordare come, nel caso di specie, alla luce di tutte le considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, ben risultino acclarate le gravi responsabilità imputabili al professionista: sia nella redazione del progetto, risultato gravemente inidoneo a consentire l’utilizzo dell’opera, che di fatto non risultava accessibile proprio da parte di quei veicoli che all’interno di essa avrebbero dovuto essere parcheggiati, sia nell’espletamento delle attività di direzione dei lavori, durante la quale non solo ometteva di vigilare con attenzione e tempestività sull’andamento delle opere, ma addirittura poneva in essere una serie di condotte penalmente rilevanti tali da dare l’avvio ad una indagine penale per la commissione del reato di abuso edilizio. 3.7

Alla parziale riforma della sentenza definitiva di primo grado, operata nei sensi ed entro i limiti di cui ai paragrafi precedenti, consegue inoltre la condanna delle appellate alla restituzione in favore della compagnia assicurativa del professionista di quanto ricevuto in eccesso rispetto al dovuto, maggiorato degli interessi di legge dalla data di ricezione delle relative somme e sino all’effettivo saldo.

4. Le spese di lite Tenuto quindi conto, quanto alle spese di lite:

della circostanza che il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere, anche d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle stesse, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale (Cass. 12.4.18 n. 9064), dei parametri dettati dal D.M. 13.8.22 n. 147, il quale prevede appunto che le disposizioni del decreto si applichino a tutte le liquidazioni successive alla sua entrata in vigore, pur ove la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le precedenti tariffe, del fatto che ai fini del rimborso delle spese di lite a carico del soccombente, in applicazione del criterio del decisum, il valore della causa è pari all’ammontare della somma accordata in favore del creditore (Cass. 5.1.11 n. 226), della conseguente necessità di utilizzare lo scaglione di riferimento compreso fra € 52.000,01 ed € 260.000,00, della circostanza che si ritiene di liquidare i compensi in misura vicina al minimo, dal momento che il valore della causa si situa in prossimità della soglia inferiore dello scaglione di riferimento, del fatto che in appello la fase istruttoria non si è tenuta, ritiene la Corte che le medesime debbano essere poste ex art. 91 cpc a carico della parte appellante nei confronti delle appellate ed a carico di in favore dell’appellante, in quanto rispettivamente soccombenti, determinandole in € 1.914,00 quanto alla fase di ATP, in € 7.052,00 quanto al giudizio di primo grado ed in € 4.997,00 quanto al giudizio di secondo grado sulla base del seguente prospetto: Fasi processuali Liquidazione Fase di studio ATP € 567,00 Fase introduttiva ATP € 496,00 Fase istruttoria ATP € 851,00

Totale € 1.914,00

Fase di studio I^ grado €

1.276,00 Fase introduttiva I^ grado € 814,00 Fase istruttoria I^ grado € 2.835,00

Fase decisionale I^ grado € 2.127,00

Totale € 7.052,00 Fase di studio II^ grado € 1.489,00

Fase introduttiva II^ grado €

956,00 Fase decisionale II^ grado € 2.552,00

Totale € 4.997,00 Oltre a ciò devono poi porsi a carico del professionista soccombente le spese di entrambe le CTU rispettivamente svolte in sede di ATP e nel giudizio di primo grado, anch’esse poi oggetto di copertura assicurativa a mente del disposto del terzo comma dell’art. 1917 cc.

la Corte d’Appello di Venezia, definitivamente pronunciando sulla presente controversia, rigettata ogni contraria od ulteriore domanda:

1) conferma integralmente la sentenza non definitiva di primo grado del Tribunale di Belluno n. 12/2022, pubblicata in data 20.1.22;

2) in parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Belluno n. 304/2023 pubblicata in data 23.8.23, che per il resto conferma:

o condanna l’ing. a corrispondere in favore di a titolo di risarcimento danni, la complessiva somma capitale di € 64.407,98 (€ 17.253,00 + € 40.819,44 + € 6.335,54), in valori calcolati alla data del 18.5.23 (data di pronuncia della sentenza appellata), con interessi al tasso legale a decorrere dal 27.11.2013, da calcolare sulla somma capitale devalutata ai valori dell’epoca, in base agli indici ISTAT dei prezzi al consumo, ed annualmente rivalutata sino alla data del saldo effettivo;

o condanna l’ing. a rifondere in favore di le spese della fase di ATP, liquidate in € 1.914,00 e quelle del giudizio di primo grado, liquidate in € 7.052,00 per onorari ed € 1.241,00 per spese esenti, oltre al rimborso delle spese generali, dell’IVA e degli accessori di legge, se dovuti;

o condanna a rifondere in favore dell’appellante le spese della fase di ATP, liquidate in € 1.914,00 e quelle del giudizio di primo grado, liquidate in € 7.052,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali, dell’IVA e degli accessori di legge, se dovuti;

o pone a carico dell’ing. le competenze di entrambe le CTU svolte in sede di ATP e nel giudizio di primo grado;

o condanna la terza chiamata a tenere indenne e garantire il convenuto in ordine:

– a quanto egli dovrà corrispondere alle attrici in esecuzione della presente sentenza, a titolo di capitale, interessi e spese, fatto salvo, quanto alla somma di € 17.253,00, il limite di indennizzo di € 300.000,00 e, quanto alla somma di € 40.819,44, lo scoperto del 10%, pari a € 4.081,94, e il limite di indennizzo di € 100.000,00, – nonché a quanto pagato a titolo di competenze di CTU;

3) condanna la parte appellante a rifondere in favore di le spese processuali del presente grado di giudizio che liquida in € 4.997,00, oltre al rimborso delle spese generali al 15%, dell’IVA e degli accessori di legge, se dovuti;

4) condanna a rifondere in favore dell’ing. le spese processuali del presente grado di giudizio che liquida in € 4.997,00, oltre al rimborso delle spese generali al 15%, dell’IVA e degli accessori di legge, se dovuti.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del 26 febbraio 2025

Il Presidente dott. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Articoli correlati