REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA SEZIONE QUARTACIVILE
Riunita in camera di consiglio e così composta dr.ssa NOME COGNOME presidente dr.ssa NOME COGNOME consigliere rel. dr. NOME COGNOME consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._681_2025_- N._R.G._00002205_2021 DEL_31_01_2025 PUBBLICATA_IL_31_01_2025
nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 2205 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2021, decisa a seguito di discussione orale, ex art. 281- sexies c.p.c, all’udienza del giorno 31/01/2025 e vertente TRA (c.f. p.Iva – già denominata quale incorporante di giusto atto di fusione a rogito del Notaio di Bologna del 31.12.2013, Rep. n. 53712, Racc. 34018 – in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME in virtù di procura allegata alla comparsa di costituzione depositata il 27 gennaio 2025 in sostituzione del precedente difensore ed elettivamente (c.f. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME in virtù di procura generale alle liti per atto di notaio rep. n. 54368 racc. n. 15494 allegata alla comparsa di costituzione nel presente grado ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO; APPELLATA OGGETTO: appello contro sentenza n. 13900/2020 del Tribunale di Roma pubblicata in data 12/10/2020 FATTO E DIRITTO § 1. – La vicenda da cui ha tratto origine il presente giudizio di appello è così riassunta nella sentenza impugnata:
<< con atto di citazione notificato in data 28/8/2017 la in persona del legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio avanti all’intestato Tribunale la , in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna alla restituzione della somma di € 5.950,00, oltre agli accessori di legge ed al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità contrattuale ed aquiliana ex artt. 1218, 1228, 2043 e 2049 c.c., previo accertamento della contraffazione degli assegni bancari non trasferibili nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA e del loro pagamento a soggetti non legittimati. L’attrice esponeva:
– che, in virtù di convenzione relativa al servizio di liquidazione sinistri, aveva ordinato al proprio istituto di credito l’emissione di n. 3 assegni di traenza non trasferibili intestati ad altrettanti beneficiari, per l’ammontare complessivo di € 5.950,00;
– che le somme erano state trasmesse, tramite servizio postale, dall’impresa assicuratrice ai danneggiati mediante tre assegni bancari contraddistinti dai numeri NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA su cui era stata apposta clausola di intrasferibilità mediante € 2.500,00 era stato spedito alla e l’assegno n. 8236103798 di importo pari ad € 2.350,00 era stato inviato a – che la spedizione degli assegni non era sintomatica di una condotta negligente, anche in considerazione della clausola “non trasferibile” apposta sui titoli, dando atto di non aver violato l’art. 83 D.P.R. n. 156/1973, che vieta di includere nella corrispondenza ordinaria “carte di valore esigibili al portatore”, trattandosi di norma non estensibile all’invio di assegni; – che dai controlli effettuati era emerso che non avevano ricevuto gli assegni in parola, che erano stati invece incassati da , il quale, al fine di incassare gli assegni de quibus, se ne era illecitamente impossessato e li aveva posti all’incasso presso la ;
– che la aveva, quindi, ordinato al proprio istituto di credito di reiterare i pagamenti:
in particolare, era stato emesso in favore di l’assegno bancario n. 9102542674, incassato il 22/06/2010, pari ad € 1.100,00, era stato disposto in favore della il bonifico bancario n. 51178662007 del 17/06/2010 della somma di € 2.500,00 ed a favore di era stato emesso l’assegno bancario n. 9102559599 in data 29/06/2010, pari ad € 2.350,00;
– che la presa visione degli assegni originariamente inviati, aveva constatato che risultavano prima facie contraffatti in ordine al nome del prenditore, in quanto erano presenti anomale cancellature.
L’attrice riteneva pertanto la convenuta responsabile del danno subito per i fatti sopra esposti, deducendo che la aveva provveduto con negligenza al pagamento del titolo ad ignoti, concludendo come in epigrafe.
La , costituitasi con comparsa del 2/5/2019, chiedeva il rigetto dell’avversa domanda e, in subordine, invocava il concorso di colpa dell’attrice ex art. 1227 c.c..
La convenuta deduceva in primis la mancanza di prova del danno di cui si doleva la controparte, in mancanza di prova della reiterazione del pagamento delle somme di cui agli assegni controversi a soggetti diversi da colui che li aveva riscossi presso l’ufficio postale di Taranto;
rappresentava, inoltre, che gli assegni erano stati regolati in check truncation, pertanto , dando atto che l’ufficio postale aveva accettato l’assegno con la clausola “salvo buon fine”, senza rendere, quindi, immediatamente disponibile la somma, essendo ciò avvenuto dopo che l’istituto traente non aveva fatto pervenire alcuna comunicazione circa il mancato pagamento del titolo.
La convenuta rappresentava, inoltre, che, anche in caso di pagamento di un titolo di credito a persona diversa dall’avente diritto, la responsabilità dell’ente pagatore deve essere valutata secondo i principi generali in materia di responsabilità contrattuale, non venendo in rilievo un’ipotesi di responsabilità oggettiva.
In subordine, eccepiva il concorso di colpa della controparte a causa del mezzo di trasmissione degli assegni prescelto.
Esperiti gli incombenti preliminari, concessi i termini ex art. 183, co. VI, c.p.c., il giudice ordinava l’esibizione degli assegni in originale;
quindi, fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 17/6/2020, svoltasi ex art. 83, comma VII, lett. h), D.L. n. 18/2020, conv, con L. n. 27/2020, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.
>> § 2. – Il Tribunale di Roma con sentenza n. 13900/2020 così statuiva:
<< RIGETTA le domande proposte dalla avverso la ;
CONDANNA la a rifondere alla le spese processuali, che liquida in € 4.835,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.
>> § 3. – Il tribunale a sostegno della decisione osservava:
<< con particolare riferimento alla causa petendi, la invoca la responsabilità contrattuale ed aquiliana della per aver pagato gli assegni bancari contraddistinti dai numeri NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA su cui era stata apposta la clausola di intrasferibilità mediante punzonatura, a anziché ai legittimi beneficiari chiedendo, quindi, la condanna della convenuta al pagamento della somma complessivamente portata dai suddetti titoli di credito ed al risarcimento del danno.
Le domande sono infondate.
Risulta dagli atti che la S.p.A. Banca Popolare di Novara, in dai numeri NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA portanti le somme, rispettivamente, di € 1.100,00, € 2.500,00 ed € 2.350,00 a favore, rispettivamente, di spediti a mezzo posta, titoli di credito che risultano essere stati negoziati da.
Successivamente, la reiterava i pagamenti, in particolare, in favore di mediante l’assegno bancario n. 9102542674 di € 1.100,00, incassato in data 22/06/2010, in favore della con bonifico bancario n. 51178662007 del 17/06/2010 di importo pari ad € 2.500,00 ed in favore di con l’assegno bancario n. NUMERO_DOCUMENTO del 29/06/2010, pari ad € 2.350,00.
Viene pertanto in rilievo la questione concernente la responsabilità dell’istituto, bancario o postale, per il pagamento dei titoli di credito a persona diversa dal legittimo beneficiario.
Secondo un primo orientamento, l’art. 43, comma II, R.D. n. 1736 del 1933 (legge assegni), nel disporre che colui che paga a persona diversa dal prenditore, o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento, disciplina in modo autonomo il pagamento dell’assegno non trasferibile, con deviazione dalla regola generale che libera il debitore che esegua il pagamento in buona fede in favore del creditore apparente (art. 1189 c.c.), sicché, in caso di pagamento di un assegno bancario non trasferibile in favore di chi non era legittimato, la banca non è liberata dall’originaria obbligazione finché non paghi al prenditore esattamente individuato a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sulla identificazione dello stesso prenditore, trattandosi di ipotesi di obbligazione “ex lege” (cfr. Cass. civ. n. 4381 del 21/02/2017; Cass. civ. 19 luglio 2016, n. 14777; Cass. civ. 22 febbraio 2016, n. 3405).
In base ad un indirizzo ermeneutico parzialmente difforme, la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso. Ne deriva che l’azione di risarcimento proposta dal danneggiato è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale, stabilito dall’art. 2946 cod. civ. (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 14712 del 26/06/2007).
Trattasi di responsabilità contrattuale nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno:
prima di tutti il prenditore, ma eventualmente anche colui che ha apposto sul titolo la clausola di non trasferibilità, o colui che abbia visto in tal modo indebitamente utilizzata la provvista costituita presso la banca trattaria (o emittente), nonché, se del caso, questa stessa banca.
Induce a ciò la considerazione che quelle regole di circolazione e di pagamento dell’assegno munito di clausola di non trasferibilità, pur certamente svolgendo anche un’indiretta funzione di rafforzamento dell’interesse generale alla regolare circolazione dei titoli di credito, appaiono essenzialmente volte a tutelare i diritti di coloro che alla circolazione di quello specifico titolo sono interessati:
ciascuno dei quali ha ragione di confidare sul fatto che l’assegno verrà pagato solo con le modalità e nei termini che la legge prevede, la cui concreta attuazione, proprio per questo, è rimessa ad un banchiere, ossia ad un soggetto dotato di specifica professionalità a questo riguardo.
Ed è appena il caso di aggiungere che tale professionalità del banchiere si riflette necessariamente sull’intera gamma delle attività da lui svolte nell’esercizio dell’impresa bancaria, e quindi sui rapporti che in quelle attività sono radicati:
giacché per lo più si tratta di rapporti, per così dire, asimmetrici, per la corretta attuazione dei quali il banchiere dispone di strumenti e di competenze che normalmente gli altri soggetti interessati non hanno.
Dal che appunto dipende, per un verso, l’affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento, da parte del banchiere, dei compiti inerenti al servizio bancario e, per altro verso, la specifica responsabilità in cui il banchiere medesimo incorre nei confronti di coloro osservi le regole al riguardo prescritte dalla legge (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 14712 del 26/06/2007 cit.).
La Suprema Corte, nuovamente intervenuta ex professo a sezioni unite per dirimere il contrasto insorto in giurisprudenza insorto, ha recentemente statuito che, ai sensi dell’art. 43, comma II, del R.D. n. 1736 del 1933 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma II, c.c. (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 12477 del 21/05/2018). Ne consegue che, sulla base dei suesposti principi, nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 cod. civ., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve. L’adito giudicante condivide quest’ultimo orientamento, fatto proprio dal recente arresto delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che qualifica la responsabilità della banca che paga l’assegno a persona diversa dal beneficiario come contrattuale, non oggettiva, pertanto, l’istituto di credito ha l’onere di provare di aver agito con la diligenza professionale richiesta per l’attività espletata.
Venendo al caso di specie, pur emergendo dagli atti che la convenuta ha proceduto al pagamento degli assegni sopra descritti a persona diversa dagli aventi diritto a causa della contraffazione dei nomi dei beneficiari, si ritiene tuttavia che la abbia agito con la diligenza professionale esigibile nel caso concreto, poiché gli assegni in questione non recano alcuna discernibile traccia da poter indurre al sospetto di falsificazione.
In secondo luogo, la ha pacificamente provveduto al pagamento degli assegni , in favore del quale era stato aperto un conto BancoPosta RAGIONE_SOCIALE, del numero di codice fiscale, acquisiti in copia agli atti del giudizio, priva di alcun evidente segno di contraffazione.
La convenuta, infine, quale ulteriore accorgimento per scongiurare il rischio di pagare a soggetto non legittimato, ha negoziato l’assegno “salvo buon fine”.
Il pagamento, cioè, non è stato eseguito immediatamente, all’atto della presentazione del titolo, ma i titoli sono stati regolati in check truncation e la banca emittente non ha comunicato l’esistenza di irregolarità concernenti gli assegni de quibus.
Alla luce di tali elementi, può ritenersi che il pagamento da parte della banca negoziatrice sia avvenuto in favore di persona che, in base a circostanze univoche, appariva essere il reale beneficiario dei titoli.
Del resto, ove si ritenesse che l’ente negoziatore, in assenza di una visibile contraffazione del titolo e dei documenti esibiti dal portatore e in mancanza di rilievi da parte della banca trattaria, debba comunque rifiutare il pagamento e procedere ad ulteriori accertamenti in ordine all’identità del portatore, verrebbe seriamente compromessa la funzione economico-sociale dell’assegno non trasferibile e la sua diffusione tra gli operatori economici, dal momento che nessun istituto di credito sarebbe più indotto ad onorare l’assegno emesso da un’altra banca, stante il rischio, sempre presente e non altrimenti evitabile, di effettuare un pagamento non liberatorio (cfr. Trib. Roma n. 20712 del 16/10/2015).
Osserva, inoltre, la Suprema Corte che, nel caso di falsificazione di assegno bancario nella firma di traenza – la quale presenti, nella specie, “un tracciato assolutamente piatto” – la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell’accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata, alla stregua del paradigma di cui al secondo comma dell’art. 1176 cod. civ..
Ne consegue che spetta al giudice del merito valutare la congruità della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando cosi un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto, il grado di esigibilità della diligenza stessa, verificando, in particolare, se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche. Non è ascrivibile alla convenuta la colpa per non aver applicato le “indicazioni” della Circolare ABI del 7 maggio 2001 per “riempire” di contenuto la clausola di diligenza di cui all’art. 1176, secondo comma, cod. civ., nel senso sopra chiarito.
Ebbene, premesso che la citata circolare non è applicabile alla S.p.A. , osserva il più recente orientamento della Suprema Corte che, sebbene sia astrattamente predicabile che lo standard di diligenza esigibile dal debitore della prestazione professionale, secondo la clausola generale contenuta nel secondo comma dell’art. 1176 cod. civ., possa essere estratto dal giudice del merito (e qui sindacato dal giudice di legittimità, nei termini sopra chiariti) anche da regolamentazioni di natura negoziale (ovvero di diversa natura precettiva) dettate da associazioni di categorie professionali (come nel caso dell’ABI) – nel caso di specie non possa essere riconosciuta alcuna natura precettiva ovvero cogente (come tale idonea ad integrare la “parte mobile” della clausola generale normativa, sopra richiamata) ad un “regolamento“- quello in esame – (peraltro, licenziato nella forma di una lettera indirizzata agli iscritti), che non introduce, in realtà, alcuna prescrizione per gli associati, ma si limita solo a “segnalare l’opportunità” a quest’ultimi di adottare prassi operative virtuose dirette a scongiurare il rischio di essere convenuti in giudizio in eventuali contenziosi risarcitori, e ciò peraltro con riferimento ad un richiamato mutamento giurisprudenziale (in punto di interpretazione dell’art. 43 legga ass.) da ritenersi – come sopra evidenziato – ormai superato, proprio grazie all’ultimo arresto reso dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte (cfr. Cass. civ. n. 12477/2018). Sul punto si rileva che – secondo quanto già affermato dal Supremo Collegio – i regolamenti e le convenzioni dettate dall’ABI hanno, normalmente, natura giuridica di normativa contrattuale (cfr. Cass. civ. n. 10464 del 14/05/2014; Cass. civ. n. 9095 del 6/6/2003).
Tuttavia, nel caso ora in esame il richiamato “regolamento” ABI del 7 maggio 2001 estremi di una “segnalazione” agli associati di prassi operative, volte a superare il rischio di futuri contenziosi giudiziali.
Non può pertanto fondarsi il giudizio di responsabilità contrattuale della banca negoziatrice nell’attività di corretta identificazione del soggetto beneficiario del pagamento portato dal titolo sulla base della mera violazione della prescrizione contenuta nelle raccomandazioni dell’ABI del 7 maggio 2001, e ciò in riferimento all’asserita necessità di richiedere due documenti identificativi dotati di fotografia al soggetto portatore del titolo per la verifica della corrispondenza dello stesso con l’effettivo e legittimo beneficiario del pagamento. Ma, in realtà, tale regola di condotta prudenziale non è rintracciabile neanche negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili all’interno dell’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale (cfr. Cass. civ. n. 34107 del 19/12/2019).
Le domande attoree devono essere, quindi, respinte.
Quanto alla pretesa risarcitoria, la domanda è sfornita di idonea allegazione e prova della natura e dell’entità del danno asseritamente subito e da risarcire.
Ai fini della risarcibilità ex art. 1223 c.c., in relazione all’art. 1218 c.c. o agli artt. 2043 e 2056 c.c., il creditore o il preteso danneggiato deve infatti allegare non solo l’altrui inadempimento ovvero allegare e provare l’altrui fatto illecito, ma in entrambi i casi deve pur sempre allegare e provare l’esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore o del danneggiante: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente o illecita; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. civ. n. 5960 del 18/03/2005).
In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno-conseguenza in contrapposizione a quello di danno-evento ed escludendo l’ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l’evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione: non si Cass. civ. sez. un. n. 26972 del 11/11/2008).
Nella specie difettano la prova della condotta inadempiente o illegittima della convenuta e del danno patrimoniale sofferto, oltre che del nesso causale.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
>> § 4. – Ha proposto appello formulando tre motivi di gravame, di seguito illustrati e rassegnava le seguenti conclusioni:
<< accogliere lo spiegato appello e per l’effetto riformare la sentenza n. 13900 del 2020 emessa dal Tribunale civile di Roma, per erronea valutazione delle prove documentali e delle risultanze probatorie e per l’effetto accertare che gli assegni bancari di traenza non trasferibili nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA sono stati negoziati dalla società in favore di persone diverse dai legittimi beneficiari, in violazione degli artt. 43 della Legge sugli Assegni e 1218 c.c.;
dichiarare tenuta e conseguentemente condannare la società , in persona del legale rappresentante pro tempore per i motivi di cui sopra al pagamento in favore di della somma pari ad € 5.950,00 oltre interessi legali dal giorno del dovuto al saldo effettivo e rivalutazione monetaria.
Condannare altresì controparte a restituire alla quanto eventualmente da quest’ultima corrisposto per le spese di lite liquidate in primo grado.
Con vittoria delle spese di lite, competenze ed onorari, IVA, CPA, del doppio grado di giudizio, da distrarsi in favore del procuratore che si dichiara antistatario.
>> § 4. 1– Si costituiva per chiedere il rigetto del gravame per infondatezza.
Rassegnava le seguenti conclusioni:
<< nel merito, in via principale, ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa, confermare la sentenza impugnata e per l’effetto, rigettare l’appello della perché infondato in fatto e in diritto per i motivi tutti in epigrafe indicati;
in via subordinata, nella denegata ipotesi di riforma della sentenza appellata, riconoscere ex art. 1227, c.c. la responsabilità concorrente in capo all’attrice per la mancata cautela dimostrata nella scelta della modalità di spedizione per posta ordinaria dei titoli;
Con vittoria di spese, § 4.2– All’udienza di prima comparizione del 15 ottobre 2021 la Corte rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni, poi più volte differita, da ultimo, all’udienza del 31 gennaio 2025.
Con decreto presidenziale del 9 gennaio 2025 veniva disposto il mutamento del rito e la discussione orale ex art. 281-sexies c.p.c. e veniva assegnato ai difensori il termine sino al 21 gennaio 2025 per il deposito di note autorizzate.
L’avv.to COGNOME per l’appellante depositava note conclusionali in data 14 gennaio 2025.
Si costituiva in data 27 gennaio 2025 per l’appellante l’avv.to COGNOME in sostituzione dell’avv.to COGNOME con comparsa nella quale si riportava integralmente a << tutto quanto dedotto, prodotto, eccepito e richiesto anche in via istruttoria negli scritti difensivi>> depositati dal primo difensore in nome e per conto della I difensori delle parti all’odierna udienza precisavano le conclusioni come da verbale e discutevano brevemente la causa che veniva contestualmente decisa.
§ 5. – i motivi di gravame § 5.1 – Con il primo motivo titolato:
<< erronea valutazione da parte del Giudicante in merito alle contraffazioni operate sui titoli e alla diligenza richiesta al banchiere dagli artt. 43 Legge Assegni e 1176 c.c. secondo comma >> censurava la sentenza di primo grado per avere il primo giudice ritenuto diligente il comportamento di quando, invece, gli assegni presentavano << palesi elementi di contraffazione >>, che avrebbero dovuto essere rilevati dal banchiere o ad occhio nudo ovvero avvalendosi di una lampada di wood, inducendolo a procedere a controlli ulteriori. Chiedeva l’ammissione di ctu al fine di demandare all’ausiliario di compiere accertamenti sulle seguenti circostanze:
che in tutti e 3 gli assegni il nominativo del beneficiario e l’importo in lettere sono dattiloscritti con un carattere meccanografico e con un inchiostro difforme da quelli utilizzati per ogni altro carattere presente sugli stessi;
con solo riguardo le lettere “ ” – “ncenzo” e la “a” finale di “ hanno un carattere meccanografico ridotto rispetto alle lettere “no” di – “ncenzo” di ” e di “ ;
che in tutti e tre i titoli la data e il luogo di emissione erano stati apposti a penna, mentre avrebbero dovuto essere apposti con caratteri meccanografici essendo assegni tratti per conto di terzi che nel momento in cui vengono stampati dall’istituto traente recano anche la data ed il luogo di emissione.
§ 5.2 – Con il secondo motivo titolato:
<< erronea valutazione da parte del Giudicante in ordine alla portata precettiva delle circolari dell’Abi >> sosteneva l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva ritenuto inconferente il richiamo alla circolare dell’ABI del 7/05/2001.
Sosteneva, al contrario, che, benché non si trattasse di norma giuridica, essa costituiva comunque un parametro utilizzato dalla giurisprudenza per valutare il comportamento dei banchieri.
Con ulteriore profilo sosteneva che il solo codice fiscale non fosse sufficiente ad identificare i soggetti che presentavano l’assegno all’incasso e si qualificavano beneficiari.
§ 5.3 – Con il terzo motivo titolato:
<< erronea valutazione da parte del Giudicante in merito al danno patito dalla >> censurava la sentenza del Tribunale nella parte in cui il primo giudice aveva ritenuto non dimostrato il secondo pagamento eseguito in favore degli effettivi beneficiari degli assegni e, dunque, il danno patrimoniale subito.
Significava, al contrario, che il danno patito doveva identificarsi non con il secondo pagamento, bensì nella sottrazione delle provviste sottese ai titoli di credito trafugati e che, ad ogni modo, aveva dato prova del secondo pagamento eseguito nei confronti dei legittimi beneficiari.
§ 6 – L’analisi dei motivi § 6.1 – Il primo motivo di appello, con il quale sostiene, in sintesi, che i titoli di credito fossero ictu oculi contraffatti, non può trovare accoglimento.
Osserva, preliminarmente, la Corte che il tribunale nel dirimere la controversia ha dato a provare che l’inadempimento non è ad essa imputabile allorché dimostri di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta e che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve.
Va evidenziato, in iure, che la Suprema Corte con le pronunce rese a Sezioni unite n. 12477 e 12478 del 2018, , a cui si è uniformato il primo giudice, ha enunciato il seguente principio :
<< Il disposto dell’art. 43, comma 2, L.A. – secondo il quale colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento – nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore per errore nella sua identificazione è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi del 2° comma dell’art. 1176 c.c., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve (…), la disposizione, regolando anche le ipotesi di responsabilità derivanti dall’errore sull’identificazione, si pone in rapporto di specialità sia rispetto alla norma di diritto comune, dettata in tema di obbligazioni, di cui all’art. 1189, 1° comma, sia rispetto a quella, riferita ai titoli a legittimazione variabile, di cui all’art. 1992, 2° comma c.c., le quali circoscrivono entrambe detta responsabilità alle ipotesi di dolo o colpa grave. >>.
Orbene, nel caso di specie, ha genericamente denunciato, con l’atto di citazione di primo grado, che i titoli fossero stati:
<< contraffatti in modo talmente grossolano da non poter trarre in inganno nessuno, a maggior ragione un operatore qualificato quale dovrebbe essere il cassiere della società >> e << la rilevabilità ictu oculi dell’artificio >> (cfr. pp. 6 e 7 atto di citazione in primo grado).
, con la comparsa di costituzione in primo grado ha replicato che i titoli di credito, ictu oculi << non inducevano in alcun dubbio circa la loro genuinità >> (pag. 5 comparsa di costituzione in primo grado).
Osserva il Collegio che con la , la loro falsità grossolana, chiedendo l’esibizione, ex art 210 c.p.c., in originale degli stessi (cfr. pag. 2 della memoria:
<< In merito alla presunta diligenza tenuta dalla convenuta nella negoziazione degli assegni de quo, si ribadisce che in concreto non ha agito con la diligenza del banchiere esperto, ove si consideri che la rilevabilità ictu oculi delle manomissioni operate sui titoli di credito.
Gli assegni oggetto del presente giudizio sono stati infatti contraffatti in modo così grossolano da non poter trarre in inganno alcun individuo, a maggior ragione, un operatore qualificato quale dovrebbe essere il cassiere della convenuta.
Le alterazioni presenti sui titoli sono visibili, peraltro, già dalle mere fotocopie degli stessi versate in atti (cfr doc 1 fascicolo di parte attrice).
Ad ogni buon conto per dimostrare la fondatezza della domanda proposta, la scrivente difesa insiste affinché l’Adito Giudice voglia ordinare alla convenuta di esibire ex art 210
c.p.c. in giudizio gli originali dei titoli in contestazione, disponendo all’esito CTU sulla stessa volta proprio ad accertare il grado di rilevabilità della contraffazione.
Se infatti la contraffazione è palese, percepibile ictu oculi, l’imperizia della convenuta e segnatamente dei suoi cassieri risulta pienamente dimostrata.
Ai banchieri è infatti richiesta una diligenza qualificata, superiore a quella del buon padre di famiglia e propria invece degli esercenti attività imprenditoriali ex art 1176, secondo comma c.c.
Sul punto si è di recente espressa la Cassazione Civile, Sez. III con la sentenza n.6513/2014 (..)
>> Il Tribunale ha accolto siffatta istanza istruttoria con ordinanza depositata l’8/11/2018 e, in adempimento di essa, ha depositato i titoli in originale in data 02/05/2019.
All’esito di tale deposito, nulla ha aggiunto per indicare e descrivere gli asseriti segni di contraffazione di immediata evidenza.
Finanche nella memoria sostitutiva dell’udienza di precisazione delle conclusioni, disposta in trattazione scritta, depositata in data 12/06/2020, nulla ha evidenziato.
Solo con la comparsa conclusionale del 10/09/2020, a pag. 3, per la prima volta ha affermato:
<< è infatti evidente la manomissione dei supporti cartacei nel campo del beneficiario, il cui nome originario è stato maldestramente sostituito con quello del contraffattore, sig. con il primo motivo di appello (cfr. pp. 5 e 6 dell’atto di appello) e risultano altresì dedotte per la prima volta nel presente grado le restanti circostanze – sopra riportate al punto 4 – mai dedotte avanti al primo giudice.
Tanto premesso ritiene la Corte che i fatti secondari introdotti a dimostrazione della grossolanità delle alterazioni e della falsificazione degli assegni siano tardivamente allegati e, quindi, ne è precluso lo scrutinio.
Per quanto sopra esposto emerge che essi risultano allegati per la prima volta, in parte, con la comparsa conclusionale di primo grado e diffusamente con il primo motivo di gravame.
Si osserva che la Suprema Corte ha chiarito che:
<< i fatti secondari, che si collocano appunto sul piano probatorio, sono suscettibili di essere indicati, come tali, fino all’ultimo termine preclusivo afferente alle istanze istruttorie, anche se tale termine risulti richiesto ai soli fini dell’indicazione di mezzi probatori compresivi delle produzioni documentali.
>>.
(così Cass. n.8525/2020, conf. Cass. n. 21332/2024).
Invero, a norma dell’art. 183, comma 6, c.p.c., nella formulazione all’epoca vigente, il Giudice può concedere termini perentori per le precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte e per le relative repliche.
All’esito di tali memorie, si cristallizza il thema decidendum e non possono essere dedotte circostanze nuove che avrebbero potuto essere già dedotte in precedenza.
Come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, il legislatore ha individuato nelle memorie ex art. 183 c.p.c. il momento in cui consentire eventuali << cambiamenti >> (cfr. Cass., S.U., n. 12310/2015) e << la deduzione di un fatto secondario trova ultimo preclusivo termine in quello eventualmente concesso all’esito della prima udienza di trattazione, ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, “di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali” >> (Cass., n. 8525/2020). La previsione legislativa risponde al principio costituzionale di ragionevole durata del processo e deve essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.
fotocopie degli assegni e certamente dall’esibizione in originale degli assegni, avvenuta in data 2/05/2019;
ha omesso di indicare entro il termine di cui alla seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c o, comunque, entro l’udienza di precisazione delle conclusioni – data in cui già risultavano acquisiti i titoli in originale – i fatti secondari sui quali fondava il proprio giudizio di contraffazione grossolana degli assegni, a suo dire rilevabile ictu oculi, in modo da consentire a di sviluppare una difesa puntuale in relazione ad addebiti specifici.
Sulla scorta di tali considerazioni tutte le deduzioni analitiche relative agli indici di falsità ictu oculi degli assegni formulate con il primo motivo di gravame sono tardive.
Si osserva, ad ogni buon conto che dall’esame dei titoli prodotti in originale emerge che essi risultano emessi dalla banca Popolare di Novara all’ordine di con importo in cifra che corrisponde all’importo in lettere e senza che per alcuno di essi figurino alterazioni dei caratteri, delle lettere o degli spazi;
non vi sono cancellature, né abrasioni o alterazioni di sorta, così come sostenuto da Per quanto concerne, invece, l’identificazione del prenditore, è pacifico perché documentato che ha acquisito la patente di guida con scadenza 24 aprile 2014 ed il tesserino di attribuzione del codice fiscale di al momento in cui questi presentava all’incasso gli assegni presso l’Ufficio Postale di Taranto 10 in versamento su libretto postale n. NUMERO_DOCUMENTO allo stesso intestato.
Trattasi di documenti che anch’essi non presentavano anomalie o alterazioni che potessero dare adito a sospetto di contraffazione.
La questione della rilevanza dell’identificazione a mezzo un solo documento di identità verrà affrontata nella disamina del secondo motivo.
Di conseguenza, posto che le sole contestazioni ammissibili di su detti fatti secondari sono generiche, deve ritenersi che abbia dimostrato, sul thema decidendum così come cristallizzatosi a valle del maturare delle preclusioni di primo grado, di aver agito con la diligenza che era da quest’ultima esigibile, condotta che, in riportate sul documento di identità con quelle indicate nel titolo >> (cfr. Cass., n. 23390/2024).
Le genericità delle contestazioni e le preclusioni maturate rendono superflua l’ulteriore attività istruttoria richiesta non essendovi sui titoli e sui documenti alterazioni palesi immediatamente percepibili.
§ 6.2 – Il secondo motivo è infondato.
La Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio che la circolare ABI del 7 maggio 2001 non ha alcuna portata precettiva e non concorre ad individuare il livello di diligenza qualificata, esigibile da ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c. In particolare, vanno considerati i principi enunciati da Cass. n. 34107/2019:
<< In materia di pagamento di un assegno di traenza non trasferibile in favore di soggetto non legittimato, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità colposa della banca negoziatrice nell’identificazione del presentatore del titolo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., che è norma “elastica“, da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell’ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli “standards” valutativi esistenti nella realtà sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente; non rientra in tali parametri la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l’opportunità per la banca negoziatrice dell’assegno di traenza di richiedere due documenti d’identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, perché a tale prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, e tale regola prudenziale di condotta non si rinviene negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale>>. Rileva, a giudizio del Collegio, per l’approfondita motivazione, anche Cass. n. 15934/2022 (che ha cassato con rinvio una sentenza di questa Corte d’appello che aveva riformato la pronuncia di prime cure avendo ritenuto che non dell’assegno, sia in relazione agli assegni contraffatti, sia in relazione a quelli incassati da soggetti muniti di falsi documenti).
Questa Corte territoriale aveva valorizzato la singolarità delle circostanze accertate (apertura dei libretti postali in concomitanza con la negoziazione dell’assegno presso l’Ufficio Postale, mancanza sui predetti libretti di ulteriori versamenti in data anteriore alla negoziazione dell’assegno) che avrebbero dovuto indurre ad un controllo maggiormente accurato nella identificazione dei soggetti presentatisi come legittimi beneficiari.
Inoltre, non vi era prova che avesse seguito nella identificazione dei beneficiari degli assegni le modalità cautelative previste dalla circolare ABI (richiesta di un secondo documento di identità munito di fotografia) che, pur non essendo direttamente vincolanti, rappresentavano un utile parametro per valutare la diligenza dell’istituto nella negoziazione degli assegni.
Orbene, la Suprema Corte, cassando con rinvio, dopo aver richiamato il principio espresso da Cass. n. 34107/2019 sottolineava che la ricorrente aveva:
<< evidenziato che la carta d’identità costituisce nel nostro ordinamento il fondamentale strumento di identificazione personale>> e così osservava:
<< Pertanto, contrariamente a quanto statuito dal giudice d’appello, l’istituto bancario non è tenuto, nella identificazione del portatore del titolo, al compimento di attività ulteriori non previste dalla legge, come si evince anche dalla normativa antiriciclaggio ex d.lgs. n 231/2007, la quale stabilisce le modalità tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela.
Questo Collegio condivide pienamente tale impostazione.
Va premesso che questa Corte, nella citata sentenza n. 34107/2019, ha già rilevato che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale (carta d’identità, passaporto ovvero patente di guida), sia nell’ambito delle attività aventi rilevanza pubblicistica (come l’attività di identificazione svolta dagli organi di polizia giudiziaria), sia nell’ambito dell’attività negoziale tra privati (come le attività collegate a scambi commerciali, ovvero quelle, più in generale, di natura contrattuale che presuppongano la corretta identificazione dei soggetti contraenti). Ne consegue che , che segnala l’opportunità per la banca negoziatrice dell’assegno di traenza di richiedere due documenti d’identità muniti di fotografia al presentatore del titolo non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, non rinvenendosi tale regola prudenziale di condotta negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo.
Nella stessa prospettiva si è posta la più recente sentenza di questa Corte n. 3649/2021, la quale, ha enunciato il principio di diritto secondo cui, nel caso di pagamento di assegno di traenza non trasferibile in favore di soggetto non legittimato, va esclusa la responsabilità della banca negoziatrice che abbia dimostrato di aver identificato il prenditore del titolo mediante il controllo del documento di identità non scaduto e privo di segni o altri indizi di falsità, in quanto la normativa vigente, ed in particolare la normativa antiriciclaggio ex art. 19, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 231 del 2007, stabilisce modalità tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela. In particolare, premesso che proprio a tale categoria appartengono gli abusivi prenditori dei titoli, che, nei casi sottoposti all’esame di questa Corte, prima di provvedere al loro incasso, avevano aperto un libretto di risparmio postale su cui poi avevano versato gli assegni, l’art. 19 del d.lgs n. 231/2007 (c.d. legge antiriciclaggio) – avente ad oggetto le modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela – prevede, al comma 1° lett a), che l’identificazione e la verifica della clientela debba essere svolta, in presenza del cliente, con il semplice controllo del documento di identità non scaduto prima della instaurazione del rapporto continuativo. È, invece, imposto, alla lett. b) della stessa norma che l’identificazione e verifica dell’identità del cliente avvenga mediante l’adozione di misure adeguate e commisurate di rischio (anche attraverso il ricorso a pubblici registri, elenchi, etc.) solo se la clientela sia costituita da persone giuridiche, trust o soggetti analoghi, al fine di individuare i soggetti dotati di poteri rappresentativi.
Dunque, anche la legge antiriciclaggio, che si occupa della disciplina dei rapporti degli istituti di credito con i clienti, non ha stabilito modalità più rigorose nella identificazione dei correntisti (come, a titolo di esempio, una indagine presso il Comune di nascita, vedi sempre Cass. Appare pertanto condivisibile l’affermazione del primo Giudice secondo cui:
<< non può pertanto fondarsi il giudizio di responsabilità contrattuale della banca negoziatrice nell’attività di corretta identificazione del soggetto beneficiario del pagamento portato dal titolo sulla base della mera violazione della prescrizione contenuta nelle raccomandazioni dell’ABI del 7 maggio 2001, e ciò in riferimento all’asserita necessità di richiedere due documenti identificativi dotati di fotografia al soggetto portatore del titolo per la verifica della corrispondenza dello stesso con l’effettivo e legittimo beneficiario del pagamento >>. § 6.3 –
Il terzo motivo, relativo al mancato riconoscimento, da parte del primo Giudice, del danno subito da è assorbito dal rigetto del primo motivo di appello, posto che la responsabilità di è stata esclusa.
§ 7. – Le spese del grado seguono la soccombenza dell’appellante e vengono liquidate in favore di sulla base dello scaglione di valore della causa (fino a € 26.000,00) nei valori medi per tutte le fasi, fatta esclusione per la fase istruttoria-trattazione che ha avuto minimo svolgimento e per la quale vengono liquidati i compensi medi dimidiati.
§ 8. – Il rigetto dell’appello comporta la declaratoria, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115/2002, dell’obbligo dell’appellante di pagare l’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, se dovuto, restando demandate in sede amministrativa le verifiche sull’effettiva sussistenza dell’obbligo di pagamento (cfr. Cass. n. 26907/2018, Cass. n. 13055/2018).
PQM
La Corte definitivamente pronunciando sull’appello proposto da nei confronti di contro la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma n. 13900/2020 pubblicata in data 12/10/2020, ogni altra conclusione disattesa, così provvede: .
Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite in favore di che liquida in € 4.888,00 per compensi, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge;
3. dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, DPR 115/2002 per porre a carico dell’appellante l’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 31/01/2025.
Il Consigliere est. Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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