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Responsabilità della banca per pagamento assegno

La sentenza chiarisce la responsabilità di una banca nel caso di pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal beneficiario. La Corte ha stabilito che la banca non è responsabile se dimostra di aver agito con la diligenza dovuta, identificando il presentatore anche tramite un solo documento di identità valido, in assenza di elementi che suggeriscano la necessità di controlli più approfonditi.

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Pubblicato il 7 febbraio 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI ROMA SEZIONE QUARTA

CIVILE Riunita in camera di consiglio e così composta dr.ssa NOME COGNOME presidente dr.ssa NOME COGNOME consigliere rel. dr. NOME COGNOME consigliere ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._682_2025_- N._R.G._00004335_2021 DEL_31_01_2025 PUBBLICATA_IL_31_01_2025

nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 4335 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2021, decisa a seguito di discussione orale, ex art. 281- sexies c.p.c, all’udienza del giorno 31/01/2025 e vertente TRA (c.f. e p.Iva ) in persona del presidente e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME in virtù di procura notarile allegata in copia all’atto di appello ed elettivamente domiciliata presso la Funzione Affari Legali Territoriali Centro della Società in Roma, INDIRIZZO; APPELLANTE – già – (P.Iva persona del procuratore ad acta p.t., rappresentata e difesa dall’avv.to NOME COGNOME in virtù di mandato depositato in primo grado ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO

APPELLATA OGGETTO: appello contro sentenza n. 9218/2021 del Tribunale di Roma pubblicata in data 26/05/2021

FATTO E DIRITTO

§ 1. – La vicenda da cui ha tratto origine il presente giudizio di appello è così riassunta nella sentenza impugnata:

<< ha convenuto in giudizio e ha chiesto al Tribunale di condannare la predetta al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di € 19.451,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Si è costituita, in data 30.8.2018, la convenuta, la quale ha chiesto, in via principale, nel merito, di rigettare integralmente le domande attoree, siccome infondate in fatto e diritto;

in via subordinata, ha chiesto di riconoscere ex art. 1227 c.c.

ogni responsabilità in capo all’attrice.

Concessi i termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c., all’udienza del 13.2.2019 la causa, previo rigetto delle istanze istruttorie, è stata rinviata, per la precisazione delle conclusioni, all’udienza del 13.1.2021, di cui, con decreto del 4.12.2020, è stata disposta, a seguito della nota emergenza epidemiologica da Covid 19, la trattazione scritta.

Le parti hanno depositato il foglio di precisazione delle conclusioni nel termine loro assegnato e la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. Con l’atto di citazione, che qui si richiama, ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento della complessiva somma di € 19.451,00, portata dai seguenti assegni di traenza inviati a mezzo posta ordinaria ai beneficiari, ma indebitamente incassati da soggetti ignoti:

1) assegno n. NUMERO_DOCUMENTO intestato a , dell’importo di € 5.551,00, tratto su Banca Popolare di Novara per conto di (doc. n. 3);

3) assegno n. NUMERO_DOCUMENTO intestato a , dell’importo di € 7.500,00, tratto su Banca Popolare di Novara per conto di (doc. n. 4).

Ha dedotto, in sintesi, che gli intestatari avevano comunicato di non aver mai ricevuto gli assegni e, dopo aver appreso l’esito delle ricerche effettuate dall’attrice, avevano sporto denuncia-querela (docc. 5, 6 e 7);

la Compagnia aveva dovuto eseguire un secondo pagamento in favore dei predetti per gli importi di cui sopra (docc. 8, 9 e 10);

la vicenda denotava in maniera univoca la responsabilità in capo a , per aver omesso di prestare la dovuta accortezza e diligenza nell’identificazione dei presentatori dei titoli, risultati poi diversi dagli effettivi beneficiari, violando così specifiche disposizioni normative, quali quelle contenute nell’art. 43, R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, e non osservando le raccomandazioni della circolare ABI del 7.5.2001 (doc. 11).

Che gli assegni non siano stati incassati dai beneficiari non è stato specificamente contestato dalla convenuta, la quale si è limitata a produrre le copie degli assegni, i contratti di apertura dei libretti di risparmio e la stampa delle operazioni, da cui risultava che:

1) l’assegno bancario n. 8238057583 di € 5.551,00, munito della clausola di non trasferibilità, era stato presentato all’incasso in data 27.2.2012, presso l’ufficio postale di Santomato, in versamento su libretto postale n. 38596793, intestato a 2) l’assegno bancario n. 8237828793 di € 6.400,00, munito della clausola di non trasferibilità, era stato presentato all’incasso in data 14.12.2011, presso l’ufficio postale di Monte San Savino, in versamento su libretto postale n. 37697713, intestato 3) l’assegno bancario n. NUMERO_DOCUMENTO di € 7.500,00, munito della clausola di non trasferibilità, era stato presentato all’incasso in data 17.11.2011, presso l’ufficio postale di Bagno a Ripoli, in versamento su libretto postale n. 37532292, intestato a. Ha assunto che gli assegni erano stati pagati nei confronti di persone identificate come beneficiarie, mediante esibizione di idoneo documento di identificazione, incrociato con il codice fiscale, e che i titoli, ictu oculi, non facevano sorgere alcun dubbio circa la loro genuinità, al pari dei documenti identificativi. Ha era configurabile in capo a , avendo questa agito con la diligenza richiesta, e che comunque l’evento era attribuibile alla responsabilità di la quale si era avvalsa della spedizione per posta ordinaria.

>> § 2. – Il Tribunale di Roma con sentenza n. 9218/2021 così statuiva:

<< in parziale accoglimento della domanda, condanna la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, della complessiva somma di € 15.639,94, oltre interessi legali su detta somma dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo;

compensa, nella misura di un terzo, le spese di lite e condanna la convenuta alla rifusione dei residui due terzi in favore dell’attrice, che liquida in complessivi € 176,00 per esborsi ed € 2.477,00 per compensi, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.

>> § 3. – Il tribunale a sostegno della decisione osservava:

<< ciò detto, l’art. 43 del R.D. 1736/1933 (legge assegni) dispone:

“L’assegno bancario emesso con la clausola “non trasferibile” non può essere pagato se non al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato nel suo conto corrente.

Colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore od al banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento”.

La Suprema Corte a Sezioni Unite, con la recente sentenza n. 12477 del 21.5.2018, ha statuito che, ai sensi dell’art. 43 comma 2 legge assegni, la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c. In particolare, ha affermato la Corte che la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 citato, l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso. Una volta ricondotta la responsabilità della banca negoziatrice nell’alveo di quella contrattuale derivante da contatto qualificato – inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. -, la Corte ha escluso che si possa sostenere la responsabilità “a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore”, osservando che una responsabilità oggettiva può concepirsi solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” fra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno. Pertanto, ha concluso, nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi del 2° comma dell’art. 1176 c.c., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve.

In adesione agli esposti principi di diritto, ritiene questo Giudice che la convenuta, per andare esente da colpa, avrebbe dovuto dimostrare di aver adottato appropriate cautele, identificando i tre soggetti presentatisi allo sportello per le descritte operazioni mediante due documenti muniti di fotografia.

L’adozione di tale cautela, oltre ad essere oggetto di raccomandazione ABI, costituisce esplicazione del generale dovere di diligenza e prudenza, esigibile da un operatore professionale quale è la convenuta.

Secondo le regole di comune prudenza, la cautela era ancor più necessaria in considerazione del fatto che i presentatori dei titoli hanno tutti esibito un documento da cui risultava che gli stessi non erano residenti nel Comune ove aveva sede l’ufficio postale, né erano in altro modo conosciuti in quell’ufficio.

A tanto si aggiunga che un maggior grado di cautela era richiesto anche dalle concrete modalità delle operazioni un libretto presso un ufficio postale appartenente ad un Comune diverso da quello di residenza, versare un assegno e contestualmente ritirare la somma.

In definitiva, la convenuta non ha fornito la prova liberatoria, poiché non ha dimostrato di avere assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c. e di avere adottato tutte le necessarie misure volte alla corretta identificazione a sportello dei soggetti che si sono presentati per l’incasso degli assegni, così rimanendo indimostrato che l’inadempimento non le è imputabile.

Nessun rilievo può avere la considerazione che l’istituto trattario non abbia inviato alcun messaggio di impagato, poiché qui è in discussione l’alterazione degli assegni e non è dell’esistenza di fondi a copertura dei titoli che si controverte.

Quanto al concorso di colpa dell’attrice, è pacifico che gli assegni in questione siano stati spediti a mezzo posta ordinaria.

Muovendo da tale presupposto, ha argomentato che l’art. 83 del DPR 29 marzo 1973, n. 156 fa espresso divieto di includere nelle corrispondenze ordinarie e raccomandate denaro ed oggetti preziosi, così come ribadito anche nella nuova Carta della Qualità.

Con recente pronuncia, la Suprema Corte a Sezioni Unite ha statuito che la spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gli interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore (Cass. S.U. n. 9769 del 26/05/2020). In ossequio al suddetto principio, cui il giudicante si uniforma, deve pertanto ritenersi che la spedizione per posta ordinaria degli assegni da parte dell’attrice – condotta imprudente, stante il palese rischio del pericolo di sottrazione degli stessi ove spediti con tale dei presentatori da parte di.

L’accertato concorso di colpa comporta, a norma dell’art. 1227 comma 1 c.c., la diminuzione del risarcimento, che si stima nella misura del 30 %, in quanto la condotta della convenuta, che non ha diligentemente identificato i presentatori degli assegni, si rivela senz’altro di maggiore gravità rispetto alla causazione dell’evento.

Va pertanto affermato un concorso di colpa tra le parti nella misura del 30% a carico dell’attrice e del 70 % a carico della convenuta.

Quanto al danno, questo consiste nell’addebito dell’importo a carico della compagnia, in conseguenza del pagamento a persona diversa dal beneficiario, e sussiste a prescindere dal nuovo pagamento in favore dell’effettivo beneficiario.

Per i motivi sin qui descritti, in parziale accoglimento della domanda, la convenuta va condannata al pagamento, in favore dell’attrice, delle somme portate dagli assegni suindicati, decurtate del 30 % e, segnatamente, degli importi di € 3.885,70 (assegno , di € 4.480,00 (assegno ) e di € 5.250,00 (assegno.

Trattandosi di debito di valore, spettano la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, avuto riguardo alla data in cui la convenuta è incorsa in responsabilità contrattuale non identificando diligentemente i presentatori degli assegni.

Ne discende che le somme devono essere rivalutate sulla base delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati e sulle stesse devono essere calcolati gli interessi legali, che però vanno calcolati sulla somma rivalutata anno per anno (Cass. n. 1712/1995), per il periodo dalla data del versamento (27.2.2012 per l’assegno intestato al 14.12.2011 per l’assegno intestato alla e 17.11.2011 per l’assegno intestato al fino ad oggi.

deve dunque essere condannata al pagamento, in favore della Compagnia istante, delle seguenti somme:

€ 4.419,93 (assegno ; € 5.155,84 (assegno Salvo);

€ 6.064,17 (assegno.

Per quanto sin qui detto, gli importi sono liquidati al valore attuale della moneta e sono comprensivi di interessi e rivalutazione.

In conclusione, spetta all’attrice la complessiva somma di € 15.639,94, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo.

Alla luce dell’accoglimento parziale della domanda attorea e del riconoscimento del suo un terzo, con condanna della convenuta a rifondere i residui due terzi in favore dell’attrice, che si liquidano come da dispositivo, secondo i valori medi dello scaglione da € 5.201,00 ad € 26.000,00, fatta eccezione per la fase istruttoria per la quale si applica il valore minimo, essendo la causa stata istruita soltanto documentalmente.

>> § 4. – Ha proposto appello formulando due motivi di gravame, di seguito illustrati.

Rassegnava le seguenti conclusioni:

<< in via principale, nel merito, rigettare, integralmente le domande avverse formulate nei confronti di siccome infondate in fatto e diritto con condanna dell’appellato alla restituzione di quanto eventualmente già percepito in esecuzione della sentenza impugnata.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.

>> § 4.1 – Si costituiva per eccepire l’inammissibilità e comunque l’infondatezza in fatto ed in diritto del gravame.

Rassegnava le seguenti conclusioni:

<< in via preliminare, dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 348 bis c.p.c.;

nel merito, rigettare l’appello proposto giacché infondato in fatto ed in diritto, con conferma della sentenza impugnata.

Con vittoria di compensi e spese di causa come per legge.

>> § 4.2 – All’udienza di prima comparizione del 18 febbraio 2022 la Corte rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni, poi più volte differita, da ultimo all’udienza del 31 gennaio 2025.

Con decreto presidenziale del 9 gennaio 2025 veniva disposto il mutamento del rito e la discussione orale ex art. 281-sexies c.p.c. e veniva assegnato ai difensori il termine sino al 21 gennaio 2025 per il deposito di note autorizzate.

I difensori depositavano le note conclusionali ed all’odierna udienza precisavano le conclusioni come da verbale e discutevano brevemente la causa che veniva contestualmente decisa.

§ 5. – i motivi di gravame documentale prodotto.

Modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal Giudice di primo grado con riferimento al capo A) >> ha censurato la sentenza di primo grado per avere il Tribunale ritenuto che essa appellante non avesse assolto l’onere di fornire la prova liberatoria circa la sua diligenza.

In particolare, ha rappresentato che gli assegni erano stati regolati in stanza di compensazione e, pertanto, sottoposti all’esame dell’istituto emittente che non aveva sollevato alcuna eccezione;

ha specificato che la negoziazione di ciascuno degli assegni in parola era avvenuta nei confronti dell’effettivo beneficiario come indicato nel titolo;

di aver identificato i soggetti presentatisi per l’incasso degli assegni mediante esibizione di idoneo documento di identificazione e, precisamente, la carta d’identità in corso di validità munita di fotografia e la tessera sanitaria.

Significava, inoltre, che la verifica circa la reale identità dei soggetti sarebbe stata possibile unicamente tramite verifica presso il Comune, attività non esigibile dall’operatore di in presenza di validi documenti di identità, privi di anomalie.

Affermava, altresì, che la circostanza che i soggetti avessero contestualmente aperto un libretto postale non era tale da indurre in sospetto l’operatore, in quanto nessuna regola gli imponeva di indagare le ragioni per le quali il soggetto aveva deciso di versare l’assegno presso un istituto piuttosto che un altro, e da ciò immaginarne la mala fede.

Sosteneva di aver operato secondo la diligenza esigibile, ossia richiedendo il documento identificativo, posto anche che alcun rilievo assumeva la raccomandazione ABI del 7 maggio 2001 che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non aveva alcuna portata precettiva.

§ 5.2 – Con il secondo motivo impugnava il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese legali, in quanto << palesemente incongruo >>.

§ 6 – Le questioni preliminari Va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dall’appellata a mente dell’art. 348-bis c.p.c., secondo cui il giudice dichiara inammissibile l’appello quando verifica, in limine litis, che l’impugnazione non ha “una ragionevole probabilità” di accolta, meritando le ragioni contenute nell’atto di appello un approfondimento motivazionale incompatibile con una pronuncia di mero rito.

§7 – L’analisi dei motivi § 7.1 – Il primo motivo, relativo alla diligenza di , è fondato.

Osserva, preliminarmente, la Corte che la banca negoziatrice o – nella specie – è ammessa a provare che l’inadempimento non è ad essa imputabile allorché dimostri di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta e che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve.

Va evidenziato, in iure che la Suprema Corte con le pronunce rese a Sezioni unite n. 12477 e 12478 del 2018, la prima richiamata anche dal primo Giudice, ha enunciato il seguente principio:

<< il disposto dell’art. 43, comma 2, L.A. – secondo il quale colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento – nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore per errore nella sua identificazione è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi del 2° comma dell’art. 1176 c.c., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve (…), la disposizione, regolando anche le ipotesi di responsabilità derivanti dall’errore sull’identificazione, si pone in rapporto di specialità sia rispetto alla norma di diritto comune, dettata in tema di obbligazioni, di cui all’art. 1189, 1° comma, sia rispetto a quella, riferita ai titoli a legittimazione variabile, di cui all’art. 1992, 2° comma c.c., le quali circoscrivono entrambe detta responsabilità alle ipotesi di dolo o colpa grave. >> Quanto all’onere di diligenza in capo alla banca nell’attività di controllo della rispondenza della persona che presenta il titolo al reale beneficiario, si registrano trasferibile in favore di soggetto non legittimato, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità colposa della banca negoziatrice nell’identificazione del presentatore del titolo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., che è norma “elastica”, da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell’ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli “standards” valutativi esistenti nella realtà sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente; non rientra in tali parametri la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l’opportunità per la banca negoziatrice dell’assegno di traenza di richiedere due documenti d’identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, perché a tale prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, e tale regola prudenziale di condotta non si rinviene negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale>>. Rileva, a giudizio del Collegio, per l’approfondita motivazione, anche Cass. n. 15934/2022 (che ha cassato con rinvio una sentenza di questa Corte d’appello che aveva riformato la pronuncia di prime cure avendo ritenuto che non avesse adottato la diligenza necessaria nell’identificazione del soggetto indicato quale beneficiario dell’assegno, sia in relazione agli assegni contraffatti, sia in relazione a quelli incassati da soggetti muniti di falsi documenti).

Questa Corte territoriale aveva valorizzato la singolarità delle circostanze accertate (apertura dei libretti postali in concomitanza con la negoziazione dell’assegno presso l’Ufficio Postale, mancanza sui predetti libretti di ulteriori versamenti in data anteriore alla negoziazione dell’assegno) che avrebbero dovuto indurre ad un controllo maggiormente accurato nella identificazione dei soggetti presentatisi come legittimi beneficiari.

Inoltre, non vi era prova che avesse seguito nella identificazione dei beneficiari degli , rappresentavano un utile parametro per valutare la diligenza dell’istituto nella negoziazione degli assegni.

Orbene, la Suprema Corte,

cassando con rinvio, dopo aver richiamato il principio espresso da Cass. n. 34107/2019, sottolineava che la ricorrente aveva:

<< evidenziato che la carta d’identità costituisce nel nostro ordinamento il fondamentale strumento di identificazione personale>> e così osservava:

<< Pertanto, contrariamente a quanto statuito dal giudice d’appello, l’istituto bancario non è tenuto, nella identificazione del portatore del titolo, al compimento di attività ulteriori non previste dalla legge, come si evince anche dalla normativa antiriciclaggio ex d.lgs. n 231/2007, la quale stabilisce le modalità tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela.

Questo Collegio condivide pienamente tale impostazione.

Va premesso che questa Corte, nella citata sentenza n. 34107/2019, ha già rilevato che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale (carta d’identità, passaporto ovvero patente di guida), sia nell’ambito delle attività aventi rilevanza pubblicistica (come l’attività di identificazione svolta dagli organi di polizia giudiziaria), sia nell’ambito dell’attività negoziale tra privati (come le attività collegate a scambi commerciali, ovvero quelle, più in generale, di natura contrattuale che presuppongano la corretta identificazione dei soggetti contraenti). Ne consegue che alla raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l’opportunità per la banca negoziatrice dell’assegno di traenza di richiedere due documenti d’identità muniti di fotografia al presentatore del titolo non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, non rinvenendosi tale regola prudenziale di condotta negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo.

Nella stessa prospettiva si è posta la più recente sentenza di questa Corte n. 3649/2021, la quale, ha enunciato il principio di diritto secondo cui, nel caso di pagamento di assegno di traenza non trasferibile in favore di soggetto non legittimato, va esclusa la responsabilità della banca negoziatrice che abbia dimostrato di aver identificato il prenditore del titolo mediante il controllo del documento di vigente, ed in particolare la normativa antiriciclaggio ex art. 19, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 231 del 2007, stabilisce modalità tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela. In particolare, premesso che proprio a tale categoria appartengono gli abusivi prenditori dei titoli, che, nei casi sottoposti all’esame di questa Corte, prima di provvedere al loro incasso, avevano aperto un libretto di risparmio postale su cui poi avevano versato gli assegni, l’art. 19 del d.lgs n. 231/2007 (c.d. legge antiriciclaggio) – avente ad oggetto le modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela – prevede, al comma 1° lett a), che l’identificazione e la verifica della clientela debba essere svolta, in presenza del cliente, con il semplice controllo del documento di identità non scaduto prima della instaurazione del rapporto continuativo. È, invece, imposto, alla lett. b) della stessa norma che l’identificazione e verifica dell’identità del cliente avvenga mediante l’adozione di misure adeguate e commisurate di rischio (anche attraverso il ricorso a pubblici registri, elenchi, etc.) solo se la clientela sia costituita da persone giuridiche, trust o soggetti analoghi, al fine di individuare i soggetti dotati di poteri rappresentativi.

Dunque, anche la legge antiriciclaggio, che si occupa della disciplina dei rapporti degli istituti di credito con i clienti, non ha stabilito modalità più rigorose nella identificazione dei correntisti (come, a titolo di esempio, una indagine presso il Comune di nascita, vedi sempre Cass. n. 6349/2021).

Ne consegue che l’impostazione della Corte d’Appello di non ritenere in nessun modo liberatoria la prova dell’avvenuta identificazione con documento di identità (e con il codice fiscale) – tenuto conto, peraltro, che, secondo la stessa ricostruzione della Corte d’Appello, non risulta che il titolo presentasse alcun segno di alterazione o contraffazione – si pone, anche alla luce di tale normativa, in contrasto con i principi dell’ordinamento e con gli standard valutativi esistenti nella realtà sociale.

Infine, le particolari circostanze contrarie valorizzate dalla Corte d’Appello che, ad avviso della stessa, avrebbero dovuto indurre ad un controllo più accurato nella identificazione del beneficiario dell’assegno (concomitanza dell’apertura del libretto postale con la negoziazione dell’assegno e mancanza di quantomeno “neutre”:

l’apertura di un libretto di deposito è, infatti, una cautela adottata proprio dalle banche, per prassi, al fine di evitare il pagamento immediato in modo da disporre del tempo necessario alla verifica della bontà del titolo da parte della banca trattaria nella stanza di compensazione (il deposito sul libretto, infatti, viene per prassi svincolato solo dopo il placet della banca trattaria).

La mancanza di precedenti versamenti è una mera conseguenza dell’apertura di un nuovo libretto, che non può rendere necessariamente sospetto, in difetto di altri elementi, il primo versamento.

>> La Corte di legittimità ritiene, altresì, che non sia esigibile:

<< l’accertamento presso l’anagrafe del comune dichiarato di residenza, o della regolarità del codice fiscale , costituendo oggetto di un controllo la cui doverosità non è rintracciabile né nell’ordinamento positivo né negli standards valutativi di matrice sociale >> (così Cass., n. 19342/2024).

Pertanto, non possono essere condivise le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, secondo cui l’appellante avrebbe dovuto identificare i soggetti mediante due documenti muniti di fotografia, sia in quanto cautela oggetto di raccomandazione ABI sia in quanto regola di comune prudenza (cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado).

Parimenti, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, non può condividersi l’assunto secondo cui era richiesto, nel caso di specie, un maggior grado di cautela, in quanto i soggetti presentatesi per l’incasso dei titoli erano residenti in Comuni diversi rispetto a quello in cui aveva sede l’ufficio postale e in quanto essi avevano proceduto ad aprire un libretto di risparmio sul quale versare l’assegno e contestualmente ritirare la somma (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), trattandosi di elementi “ neutri” che potevano assurgere a sospetto in ipotesi di presenza di indici di criticità nei documenti identificativi o negli assegni. Orbene, nel caso in esame ha dimostrato di aver identificato i sedicenti tramite due documenti:

la carta d’identità fiscale.

Siffatta circostanza è stata provata documentalmente nel corso del giudizio di primo grado (cfr. fascicolo di parte di primo grado), da cui risulta appunto che ha identificato tali soggetti tramite carta di identità e tessera sanitaria.

Si tratta di documenti che non presentano, ictu oculi, segni di falsità, circostanza, questa, comunque mai contestata dalla controparte.

Invero, i documenti erano in corso di validità e non presentavano anomalie di immediata evidenza.

Più precisamente, il documento di identità del sedicente risulta datato 12/10/2011 e l’assegno veniva presentato all’incasso in data 27/02/2012;

quello della sedicente risulta datato 7/04/2011 e l’assegno veniva presentato in data 14/12/2011;

quello del sedicente , infine, risulta datato 16/09/2011, a fronte di un assegno incassato in data 17/11/2011.

Pertanto, avendo le altre circostanze segno neutro e non assumendo rilievo la circolare ABI del 7 maggio 2001, deve concludersi che abbia operato secondo la diligenza che era ad essa esigibile.

Va ricordato che, con riguardo all’identificazione di colui che presenta l’assegno all’incasso, lo sforzo di diligenza richiesto all’operatore bancario in caso di presentazione all’incasso di titolo non alterato o contraffatto mediante documento di identità anch’esso privo di alterazioni la Suprema Corte si è così espressa:

<<(…) è da rilevarsi che nel caso di assegno circolare in cui sono assenti evidenti segni di contraffazione e di documento di identità anch’esso privo di elementi di criticità tali da far sospettare la apocrifia dei medesimi, lo sforzo di diligenza esigibile al cassiere, nel caso di insussistenza di ulteriori anomalie significative, è assolto con la verifica dell’esatta corrispondenza delle generalità anagrafiche riportate sul documento di identità con quelle indicate nel titolo.>>(così Cass., n. 23390/2024). Del resto, nel caso di specie, la falsità dei titoli non è mai stata contestata e, pertanto, la verifica deve ridursi al controllo dei documenti di identità operato dal banchiere.

In conclusione, ha quindi fornito la prova liberatoria.

§ 6.2 – il secondo motivo rimane assorbito dalla riforma della sentenza che comporta § 7. – Le spese del doppio grado seguono la soccombenza dell’appellata e vengono liquidate in favore della parte appellante sulla base dello scaglione di valore della causa (fino a € 26.000,00) nei valori medi per tutte le fasi fatta eccezione per la fase istruttoria-trattazione che ha avuto minimo svolgimento e per la quale vengono liquidati i compensi medi dimidiati.

ha chiesto nell’atto di citazione in appello la restituzione da parte di delle somme eventualmente già percepite in esecuzione della sentenza e, nelle note conclusive autorizzate, ha reiterato la richiesta evidenziando che :

<< sorte e spese legali riconosciute nella sentenza di primo grado sono state corrisposte e che tanto non ha formato oggetto di contestazione>> Deve quindi seguire la restituzione da parte di della somma di € 15.639,94 per sorte oltre interessi e spese legali come liquidate in sentenza, pagata in esecuzione della sentenza riformata, oltre gli ulteriori interessi legali dalla data dell’avvenuto pagamento al soddisfo.

PQM

La Corte definitivamente pronunciando sull’appello proposto da nei confronti di contro la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma n. 9218/2021 pubblicata in data 26/05/2021, ogni altra conclusione disattesa, così provvede:

1. Accoglie l’appello e, per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda proposta da 2. Condanna al pagamento in favore di delle spese del doppio grado di giudizio che liquida, quanto al primo grado in € 5.077,00 per compensi, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge e quanto al presente grado in € 4.888,00 per compensi, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge;

3. dispone la restituzione da parte di riformata, oltre gli ulteriori interessi legali dalla data dell’avvenuto pagamento al soddisfo.

Così deciso in Roma il giorno 31/01/2025.

Il Consigliere est. Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME dott.ssa NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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