REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
– II SEZIONE CIVILE –
in composizione monocratica, in persona del giudice designato dott., ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 18330/2021 pubblicata il 24/11/2021
nella causa civile di primo grado promossa con atto di citazione notificato telematicamente in data 11.4.2018, iscritta al n. 24460 del ruolo generale dell’anno 2018 e vertente
TRA
XXX, rappresentata e difesa da sé medesima ai sensi dell’art. 83 c.p.c., e YYY, rappresentato e difeso dall’avv. per procura a margine dell’atto di citazione, entrambi elettivamente domiciliati in Roma alla
– attori –
E
ZZZ e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, entrambi elettivamente domiciliati in Roma, che li rappresenta e difende ex lege
– convenuti –
avente per oggetto: azione di risarcimento danni da responsabilità extracontrattuale.
CONCLUSIONI
Per gli attori: “Voglia l’Ecc.mo Tribunale Civile di Roma, contrariis reiectis: 1. in via pregiudiziale, respingere l’eccezione di giurisdizione proposta dai convenuti in quanto infondata e, per l’effetto, confermare la giurisdizione del Giudice civile; 2. in via preliminare, rigettare l’eccezione di intervenuto giudicato tra le parti in quanto infondata; 3. sempre in via preliminare, ma subordinata, rigettare l’eccezione di intervenuta prescrizione in quanto infondata; 4. nel merito, in via subordinata: 4.a.: accertare e dichiarare l’illegittimità della condotta assunta dai convenuti anche in proprio nella vicenda oggetto di causa, in ragione di quanto dedotto e per quanto sarà dimostrato ovvero in forza dell’accertamento che il Giudice riterrà; 4b: accertare e dichiarare la responsabilità extracontrattuale degli odierni convenuti anche in proprio, in ragione di quanto dedotto e per quanto sarà dimostrato ovvero in forza dell’accertamento che il Giudice riterrà, per i danni di natura patrimoniale e non patrimoniale subiti e subendi, danni causati dalle condotte dei medesimi convenuti all’Avv. XXX e al Sig. YYY; 4c: condannare gli odierni convenuti anche in proprio a risarcire agli attori a titolo di risarcimento del danno di natura patrimoniale, morale e biologico, quantomeno per la somma di € 100.000.000,00 (cento milioni di euro/00), o altro diverso e maggiore importo che sarà accertato o che il Giudice riterrà, ovvero che sarà meglio quantificato in corso di giudizio, il tutto con interessi e rivalutazione monetaria dal 18.06.2010 e sino al saldo. Con vittoria di spese e onorari di giudizio.”.
Per i convenuti: “Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, in via preliminare dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo; conseguentemente, sempre in via preliminare, accertare e dichiarare l’intervenuto giudicato tra le parti in ordine alla domanda risarcitoria, come sopra dimostrato; in subordine, accertare e dichiarare l’avvenuta prescrizione della odierna domanda risarcitoria; nel merito, ed in ulteriore subordine, rigettare le domande proposte, in quanto inammissibili e/o infondate in fatto ed in diritto. Con vittoria di spese”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La domanda di parte attrice.
L’avv. XXX e il sig. YYY hanno convenuto in giudizio il Direttore generale delle finanze, prof.ssa ZZZ, e il Ministero dell’economia e delle finanze (di seguito: MEF) esponendo quanto segue.
1.1.- L’XXX è stata dapprima azionista di riferimento, poi amministratore delegato e da ultimo amministratore unico di *** s.p.a. (già *** s.p.a. e prima ancora *** s.p.a.); il YYY ne è stato il fondatore. *** s.p.a. (di seguito: la società), che in forza di specifiche convenzioni collaborava con molti enti locali e ne curava la gestione delle entrate, tributarie e non, nelle varie fasi dall’accertamento alla riscossione, spontanea e coattiva, dal 18.6.2010 è stata posta in amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 25.3.2010, n. 40, convertito, con modificazioni, nella legge 22.5.2010, n. 73. Tale norma – ideata, scritta e promossa dalla convenuta, che per un verso avrebbe convinto il Ministero dello sviluppo economico ad introdurla nell’ordinamento e per altro verso avrebbe addirittura rappresentato al Parlamento, in sede di audizione, in termini quanto meno reticenti la situazione economico-finanziaria della società – avrebbe comportato, secondo gli attori, lo spossessamento della società, definita “azienda di famiglia”, l’impossibilità di ristrutturarla secondo i loro programmi e di “rilanciarla con dimensioni finanche superiori”.
Le vicende che portarono a tale esito, diffusamente illustrate in pressoché tutte le 70 pagine dell’atto di citazione dedicate alla illustrazione del fatto (mentre due sole pagine sono riservate all’esposizione delle ragioni giuridiche della domanda), possono essere così riassunte.
La società ebbe un periodo di costante crescita, che nel triennio 2005-2007 l’aveva portata ad acquisire molteplici aziende operanti nel suo stesso settore di mercato che, seppur presentavano esposizioni debitorie, erano comunque titolari di concessioni con molti capoluoghi di province e di regioni che avrebbero generato crediti per il corrispettivo del servizio prestato (cd. aggio), come poi effettivamente avvenne sotto la sua gestione, improntata alla emersione di aree di elusione e di evasione fiscale. Tuttavia, i tempi lunghi di incasso degli aggi, la mancanza – fino al 2008 – di efficaci strumenti per la riscossione coattiva, una scarsa attenzione del management della società alla gestione del riscosso impedivano il raggiungimento di un positivo risultato finanziario, nonostante il conseguimento di un risultato economico sempre crescente. Perciò nel 2008 il nuovo management della società (che all’epoca operava come *** s.p.a.) iniziò la ricerca di un partner finanziario ed ebbe ripetuti incontri con il “gruppo Rothschild”, che mostrò di apprezzare la struttura organizzativa e il modus operandi della società; la trattativa però non andò a buon fine a causa del sopravvenire della nota crisi finanziaria che nel corso di quell’anno investì i mercati di tutto il mondo. Contemporaneamente, altri fattori rendevano ancor più preoccupante la condizioni finanziaria della società: l’abolizione dell’ICI sulla prima casa (decreto-legge 27.5.2008, n. 93, convertito, con modificazioni, nella legge 24.7.2008, n. 126) riduceva notevolmente l’ammontare delle imposte riscuotibili, ma non i costi; la stessa crisi finanziaria mondiale rendeva sempre più difficile l’accesso al credito bancario, necessario per sopperire alle lunghe tempistiche della riscossione dei tributi e dell’incasso degli aggi; molti Comuni, peraltro in violazione del diritto di esclusiva della società previsto dalle convenzioni, avevano iniziato a procedere alla riscossione diretta dei loro tributi. L’adozione di innovative misure di gestione – concentrazione dell’azione della società nella gestione delle entrate degli enti locali; acquisizione di altre aziende del settore (fra cui *** s.p.a.); incremento dell’azione di accertamento e riscossione verso i contribuenti; studio di fattibilità dello “smobilizzo” degli aggi – non impedì alla società di incorrere in una condizione di “tensione finanziaria”. Pertanto, dopo lo scarso risultato di un’operazione di finanziamento con banche italiane, dall’inizio del 2009 la società si avviò alla ricerca di un “finanziamento destinato” ex art. 2447-bis, comma 1, lett. b), e 2447-decies c.c. per addivenire allo smobilizzo dei crediti da aggio, che al 31.12.2008 superavano i 142 milioni di euro come da certificazione di *** s.p.a., in modo da procedere innanzi tutto a estinguere i suoi debiti verso i Comuni. Tale finanziamento avrebbe consentito di sostenere il procedimento di ristrutturazione dei debiti previsto dall’art. 182-bis l.f., che la società attivò, impegnandosi nei confronti degli enti locali al pagamento integrale di debiti e interessi scaduti. Entrata in vigore la normativa di supporto finanziario alle imprese creditrici verso le pubbliche amministrazioni tramite le garanzie prestate da SACE s.p.a. (art. 9, comma 3, legge 28.1.2009, n. 2), nel settembre 2009 la società si attivò anche presso il Governo per un “affiancamento istituzionale” volto a velocizzare i tempi di deliberazione delle banche interessate al “finanziamento destinato” e al rilascio delle garanzie di SACE.
Frattanto, la società informava di tutte le iniziative assunte la Commissione, istituita presso il MEF, preposta alla tenuta dell’albo dei soggetti privati abilitati all’accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali, previsto dall’art. 53 d. lgs. 15.12.1997, n. 446 ed al quale essa era iscritta. La Commissione avviò il monitoraggio di tutte le posizioni debitorie e, all’esito, riscontrato un parziale rientro del debito, venne sollecitata dalla società a soprassedere dall’assumere iniziative che potessero pregiudicare la fase finale del “finanziamento destinato”. Il Ministero, informato dell’invito, rivolto anche alla convenuta in veste di Direttore generale delle finanze e “Capo” della Commissione, richiese alla società di fornire idonee garanzie per il superamento della situazione. Nonostante la pronta risposta delle banche (2526.11.2009), sia pure in termini di eventuale partecipazione all’accordo di ristrutturazione, il 9.12.2009 la Commissione deliberò la cancellazione della società dall’albo, così precludendo il procedimento di ristrutturazione del debito, che la società sostituì con una richiesta di ammissione al concordato preventivo ai sensi dell’art. 160 l.f., presentata il 18.3.2010. L’impugnativa della delibera di cancellazione fu respinta dal giudice amministrativo in entrambi i gradi del giudizio (TAR Lazio 27.1.2010, n. 1009; Cons. Stato 9.12.2010, n. 8687).
In questo contesto, su richiesta di alcuni Comuni e sotto la spinta di una campagna di stampa ad hoc, alcune Procure della Repubblica avviarono indagini a carico dei responsabili di *** per peculato e disposero sequestri preventivi di denaro e conti della società. I vari procedimenti confluirono presso l’autorità inquirente di Roma e le indagini preliminari si conclusero nel settembre 2017; al momento dell’introduzione del presente giudizio il dibattimento non era ancora stato avviato. Analoghe iniziative furono assunte dalla Procure regionali della Corte dei conti per danno erariale a carico dei medesimi soggetti: i successivi giudizi, dopo alcune iniziali pronunce di condanna, accertarono l’infondatezza delle contestazioni.
Tutte le iniziative della società furono però, di fatto, annullate dall’introduzione nell’ordinamento del d.l. n. 40/2010, convertito in l. n. 73/2010, il cui art. 3, comma 3, (cd. Marzanina) rese applicabili ai soggetti operanti nel settore dell’accertamento e della riscossione delle entrate degli enti locali la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, prevista dal d.l. 23.12.2003, n. 347, convertito nella legge 18.2.2004, n. 34 (cd. legge Marzano). Il primo effetto fu la declaratoria di improcedibilità della domanda di ammissione al concordato preventivo; seguì la presentazione al Ministero dello sviluppo economico, da parte della società, della domanda di ammissione in amministrazione straordinaria: il 18.6.2010 la domanda fu accolta e nominato il Commissario straordinario. La gestione che ne seguì portò allo spossessamento e alla dispersione del patrimonio della società.
1.2.- Tanto premesso, alla prof.ssa ZZZ, nella sua veste di “Dirigente generale delle finanze, preposta al Dipartimento del federalismo fiscale”, gli attori contestano: (a) di aver disatteso “l’obbligo di una veritiera rappresentazione dei fatti in sede istituzionale”, in particolare omettendo di riferire – in sede di audizione presso le Commissioni parlamentari VI (Finanze) e X (Attività produttive e commercio) tenutesi il 12.11.2009 e il 14.4.2010 per l’istruttoria legislativa sul disegno di legge C 3350 di conversione del d.l. n. 40/2010 – il piano di risanamento elaborato dalla società, che prevedeva un finanziamento destinato alla riscossione e al riversamento ai Comuni dei tributi accertati, la corresponsione del 10% dell’aggio di sua competenza a Equitalia s.p.a. per l’attività di riscossione da quest’ultima svolta, l’incasso del 90% dei crediti da aggio spettanti alla società (pp. 23, 25, 26-27, 36, 43, 63-64);
(b) di aver omesso di “vigilare sul comportamento dei comuni”, essendosi limitata “a recepire apodittiche lamentele [p]e[r] ritardati versamenti, senza approfondire la genesi dell’accaduto”, comportamento ancor più grave “alla luce dell’informazione che la società costantemente forniva al Ministero” (pp. 23, 29, 30-31);
(c) di aver consentito la permanente iscrizione nell’albo di almeno altre due società (*** s.p.a. e *** s.p.a.), operanti nel medesimo settore di ***, con altrettanto gravi e conclamate esposizioni debitorie verso i Comuni, una delle quali definita “polpetta avvelenata” (***), acquisita proprio dalla società degli attori (pp. 24, 34-35);
(d) di aver manifestato quanto meno una grave incompetenza e negligenza, se non addirittura di aver agito con dolo, nella predisposizione della norma (la cd. Marzanina), definita senza mezzi termini un “abominio giuridico”, un “mostro bicefalo”, un vero e proprio “pasticcio giuridico”, soprattutto perché essa affida la gestione dell’impresa in crisi alla politica e non all’autorità giudiziaria, senza peraltro risolvere i problemi di coordinamento con le altre normative in materia di amministrazione straordinaria né le sovrapposizioni di competenze fra giudice civile e giudice contabile (pp. 17, 35, 46-48, 57-58), ed era perciò destinata a sicuro fallimento perché, lungi dal favorire il prefisso risanamento della società, avrebbe provocato la dispersione della sua ricchezza (pp. 40, 44, 49-51);
(e) di aver posto in essere tutto quanto precede al chiaro scopo di favorire Equitalia s.p.a. nell’affermarsi nell’attività di gestione – dall’accertamento alla riscossione – dei tributi degli enti locali, in danno delle altre società già operanti in quel settore di mercato come *** (pp. 59-64).
Al Ministero – segnatamente al Dipartimento delle finanze e alla Commissione per la tenuta dell’albo – viene contestato l’omesso svolgimento di attività istruttoria, anche avvalendosi della Guardia di finanza di cui dispone, riguardo le segnalazioni dei Comuni circa l’esposizione debitoria della società nei loro confronti (p. 23) e riguardo l’acquisto compiuto nel 2014 da *** s.p.a. del ramo d’azienda di *** in amministrazione straordinaria relativo all’attività di riscossione di tributi locali per un corrispettivo assolutamente irrisorio (€ 100.000,00) rispetto al valore dei crediti da aggio (circa 142 milioni di euro) che esso comprendeva (pp. 49-50, 54).
1.3.- Parte attrice ritiene dunque che la condotta illecita della convenuta, adottata in violazione degli artt. 2043 c.c. e 97 Cost., sia caratterizzata “nella migliore delle ipotesi da grave negligenza e imperizia, ma addirittura dal dolo” e sia “tale da spezzare l’immedesimazione organica che costringe … a chiamare in causa … il Ministero dell’economia e delle finanze”.
Essa ha perciò chiesto di condannare i convenuti al risarcimento del danno, patrimoniale e non, subìto, quantificato in almeno cento milioni di euro.
2.- Le difese di parte convenuta.
I convenuti hanno decisamente contestato le argomentazioni di parte attrice sotto plurimi aspetti.
2.1.- L’operato della prof.ssa ZZZ, a loro avviso, è riconducibile all’esercizio delle sue funzioni istituzionali, non essendo neppure ipotizzabile che abbia agito come semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico, assolutamente estraneo all’amministrazione (ciò che, invece, per costante giurisprudenza determina l’interruzione del rapporto di immedesimazione organica tra funzionario e pubblica amministrazione). In particolare, la convenuta ha agito non per una motivazione personale, addirittura dolosa secondo l’assai opinabile interpretazione degli atti parlamentari offerta dagli attori, ma esclusivamente su delega del Ministro per illustrare e sostenere un provvedimento del Governo alle Commissioni parlamentari che ne avevano fatto richiesta ai sensi dell’art. 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei Deputati.
Trattandosi di un provvedimento legislativo, sarebbe semmai configurabile la ben diversa responsabilità politica del Parlamento; quanto al potere di iniziativa legislativa riconducibile al Governo (nel caso di specie, peraltro, il provvedimento rientra nella diretta competenza del Ministero dello sviluppo economico e non del Ministero dell’economia e delle finanze, anche con riguardo agli adempimenti attuativi), l’art. 7, comma 1, c.p.a. esclude che siano impugnabili gli atti o i provvedimenti da esso ema-nati nell’esercizio del potere politico.
2.2.- Ove poi la domanda risarcitoria degli attori fosse fondata sull’omesso esercizio di poteri di vigilanza o su comportamenti scorretti nella gestione di procedimenti amministrativi – come sembra dedursi dal richiamo alla cancellazione di *** dall’albo dei soggetti privati abilitati all’attività di gestione dei tributi e delle entrate patrimoniali degli enti locali, nonché dalla contestazione della mala gestio della società una volta posta in amministrazione straordinaria – vi sarebbe il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo ai sensi dell’art. 30, comma 2, c.p.a. E sulla richiesta risarcitoria si è già pronunciato, respingendola, il giudice amministrativo adìto con l’impugnativa del provvedimento di cancellazione della società dall’albo, per cui i convenuti oppongono anche un’eccezione di giudicato.
Peraltro, oltre al TAR e al Consiglio di Stato, sulla vicenda oggetto del presente giudizio, in relazione ai danni erariali arrecati dal 2007 agli enti locali laziali che si avvalevano del servizio di riscossione svolto da ***, è intervenuta anche la Corte di conti che si è pronunciata, con la sentenza n. 70/2017 del 10.4.2017, in un giudizio di responsabilità amministrativa a carico del Direttore e del Dirigente dell’Ufficio del federalismo fiscale, anche nelle rispettive vesti di presidente e di componente della Commissione di cui all’art. 53 d. lgs. n. 446/1997. Tale azione di responsabilità non è stata invece promossa nei confronti del Direttore del Dipartimento delle finanze, vale a dire la prof.ssa ZZZ, per cui secondo i convenuti si può ragionevolmente affermare che la Corte dei conti ha escluso che le funzioni istituzionali dalla medesima svolte fossero suscettibili di determinare una qualche forma di responsabilità nella vicenda a suo carico.
2.3.- Del tutto erroneamente, inoltre, gli attori attribuiscono alla convenuta funzioni che non le sono affatto riferibili, in particolare quella di Capo della Commissione di tenuta dell’albo e quella di Direttore del Dipartimento del federalismo fiscale. La prof.ssa ZZZ, all’epoca dei fatti e al momento dell’introduzione del presente giudizio, era ed è Direttore generale delle finanze, non è affatto preposta al Dipartimento del federalismo fiscale, né tanto meno dirige o fa parte della Commissione per la gestione dell’albo, organo che non “controlla” affatto come invece gli attori hanno ripetutamente affermato.
Nella condotta della convenuta mancherebbero dunque gli elementi caratterizzanti l’illecito civile che le viene ascritto.
2.4.- In ogni caso, il diritto al risarcimento dei danni azionato da parte attrice sarebbe prescritto essendo trascorso il termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c. dal giorno in cui si verificò l’asserito “spossamento dell’azienda”, consumato con la nomina del Commissario straordinario effettuata, secondo le previsioni della cd. Marzanina, con decreto del 18.6.2010. Peraltro, la Corte dei conti nella sentenza n. 70/2017 ha individuato il dies a quo per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale nella data del provvedimento di cancellazione di *** dall’albo degli agenti della riscossione (9.12.2009). Secondo i convenuti, l’accertamento del giudice contabile in ordine ai fatti, tra i quali il presupposto dell’azione risarcitoria consistente nella esatta individuazione del dies a quo, non può non valere, data la sua incontrovertibilità, anche nell’odierno giudizio civile.
3.- Gli ulteriori sviluppi processuali.
Con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., gli attori hanno ribadito tutti i loro assunti. In particolare, hanno insistito nell’affermare che la prof.ssa ZZZ, omettendo di rappresentare correttamente al Parlamento la realtà dei fatti, aveva agito “per fini certamente non istituzionali”, che avrebbero dimostrato essere stati “esclusivamente egoistici e privati, o piegati ad altri e diversi interessi”. La cd. Marzanina, che la convenuta aveva confessato di aver ideato e promosso, non era affatto una normativa generale ed astratta, ma una “leggina” scritta e fatta approvare in danno di ***, sola società che al momento di promulgazione della norma si trovava nelle specifiche condizioni in essa previste. Dal canto suo il Ministero sarebbe responsabile, secondo gli attori, per omessa vigilanza “ove fosse vero che la prof.ssa ZZZ, e così non è, ha agito per fini istituzionali”.
Gli attori hanno quindi contestato le eccezioni sollevate.
Quanto al difetto di giurisdizione osservano che non si controverte in questa sede della legittimità o meno del provvedimento di cancellazione della società dall’albo e dei danni che ne sarebbero derivati. Sul giudicato replicano che le pronunce del giudice amministrativo e di quello contabile riguardano fatti diversi da quello oggetto del presente giudizio. Relativamente alla prescrizione oppongono che l’illecito compiuto dalla convenuta ha natura permanente.
Per contrastare l’eccezione di prescrizione, gli attori hanno anche affermato che la domanda riguarda il risarcimento di danni causati dall’ “inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili all’Ente ed ai suoi funzionari, rivenienti dal rapporto contrattuale instauratosi con il rapporto intercorso tra le parti anche in termini di servizio pubblico (di controllo e vigilanza)”, sostenendo che “il rapporto tra le parti è quindi riconducibile ad un [rapporto] contrattuale, ovvero per tali figure dal cd «contatto sociale»”, che “può essere rinvenut[o] nel caso in esame in ragione dei legami negoziali e giuridici intercorrenti tra l’Azienda (di cui gli attori erano stakeholder) ed i convenuti”.
Con la memoria di cui all’art. 183, comma sesto, n. 2, c.p.c. i convenuti hanno prontamente replicato alle tesi degli attori, in particolare alla nuova configurazione “da contatto sociale” della dedotta responsabilità.
Acquisita la produzione documentale di entrambe le parti, senza svolgimento di istrut- toria la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate.
4.- La qualificazione della domanda e il suo oggetto.
4.1.- Nella comparsa conclusionale gli attori ribadiscono di aver convenuto in giudizio “la Prof.ssa ZZZ, nella qualità di Direttore Generale del MEF, e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per accertare e dichiarare la loro responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 del Cod. Civ., per violazione dell’art. 97 della Costituzione e, per l’effetto, condannarli al ristoro dei danni patrimoniali e morali subiti dagli attori, quantificati in € 100.000.000,00 (cento milioni di euro/00) o in altro diverso e maggiore importo accertato o ritenuto dal Giudice, o da meglio quantificarsi in corso di giudizio”.
Precisazione che esclude senza riserve il dubbio che la domanda sia fondata anche su una responsabilità di natura contrattuale, come parrebbe adombrato dal richiamo al “contatto sociale” operato nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c.
4. 2.- Sempre nella comparsa conclusionale degli attori è specificato che “la condotta illecita della Prof.ssa ZZZ, caratterizzata … finanche da dolo, tale da interrompere il rapporto di immedesimazione organica fra la stessa e il MEF, è da individuarsi: a) nella omissione di doverose informazioni “sulla vicenda *** S.p.A.” delle quali il Direttore Generale del Mef avrebbe dovuto partecipare il Parlamento in sede di audizioni, in seno alle quali, peraltro, b) promosse la promulgazione da parte del Parlamento di una norma speciale di Amministrazione straordinaria (la c.d. Marzanina) che avrebbe comportato, come ha comportato, … lo spossessamento dell’Azienda di Famiglia, *** S.p.A. … L’introduzione della citata norma de qua ha comportato, altresì, fatto ancora più grave, una dissoluzione del patrimonio aziendale sul quale si cerca di mantenere l’assoluto silenzio. … Infine, sempre con riferimento alle condotte illecite ascritte in questa sede alla convenuta vi è c) l’aver mentito alle Commissioni parlamentari quando spiegò il contenuto dell’istanza di affiancamento istituzionale proposta da *** S.p.A. Queste le condotte contestate che sono state foriere dei danni dei quali si chiede il ristoro.”
Alla luce di queste inequivoche precisazioni riesce arduo comprendere come si possa affermare, o anche soltanto ipotizzare, l’interruzione del rapporto di immedesimazio- ne organica tra la prof.ssa ZZZ e il Ministero dell’economia e delle finanze.
4.2.1.- Infatti, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, che nel corso del tempo ha progressivamente ampliato l’area della responsabilità della pubblica amministrazione per l’attività dei pubblici dipendenti che abbia arrecato danno a terzi, tale rapporto non risulta in alcun modo interrotto nel caso di specie.
Premessa costante delle decisioni assunte su questo tema è che l’attività del dipendente può essere riferita all’ente pubblico e costituisce fonte di responsabilità in quanto sia e si manifesti come esplicazione dell’attività dell’ente stesso, cioè sia diretta al conseguimento dei suoi fini istituzionali nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio al quale il dipendente è addetto. Perciò, una frattura del rapporto organico, capace di escludere la responsabilità della pubblica amministrazione, si verifica allorquando il funzionario agisca come semplice privato per una finalità strettamente personale, configurandosi in tal caso l’attività da lui posta in essere come del tutto estranea all’amministrazione e priva di ogni collegamento con i poteri propri dell’agente (v. Cass. 17.12.1986, n. 7631; conf. Cass. 5.9.1985, n. 4620; 5.1.1979, n. 31). È stato poi precisato che l’interruzione del rapporto organico sussiste quando la condotta del pubblico dipendente – oltre a non essere in alcun modo riferibile alla pubblica amministrazione perché determinata da motivi esclusivamente personali e perciò estranei alle finalità istituzionali – non sia strumentalmente connessa con l’attività d’ufficio, neppure con nesso di occasionalità necessaria (cfr. Cass. 12.8.2000, n. 10803; 22.5.2000, n. 6617; 6.12.1996, n. 10896). È stato poi ulteriormente chiarito che la responsabilità diretta dello Stato per l’attività dei pubblici dipendenti che arrechi pregiudizio a terzi presuppone la riferibilità di quell’attività allo Stato, in quanto diretta al perseguimento dei suoi fini istituzionali, ancorché con abuso di potere; tale riferibilità va però esclusa quando essa trovi nell’esplicazione della pubblica funzione solo l’occasione del suo manifestarsi per finalità estranee a quelle dell’ufficio, o addirittura, contrarie all’interesse della pubblica amministrazione (Cass. 3.8.2005, n. 16247). Nello stesso senso altre pronunce successive hanno affermato permanere il rapporto di immedesimazione organica anche qualora la condotta del dipendente si innesti, comunque, nel meccanismo dell’attività complessiva dell’ente e sia perciò riconducibile, anche solo indirettamente, alle attribuzioni proprie del medesimo (Cass. 10.10.2014, n. 21408; 29.12.2011, n. 29727; 30.1.2008, n. 2089).
Recentemente, le sezioni unite sono intervenute per comporre un contrasto fra l’indirizzo prevalente riassunto supra, fondato sulla responsabilità diretta della pubblica amministrazione ai sensi degli artt. 28 Cost. e 2043 c.c., e quello minoritario, ispirato dalla giurisprudenza delle sezioni penali e seguìto soprattutto per i rapporti di preposizione meramente privatistici (funzionari di banche o promotori di queste o di società di intermediazione finanziaria), basato sullo schema della responsabilità indiretta di cui all’art. 2049 c.c. Dopo aver ribadito la validità di entrambi gli schemi ricostruttivi, che si integrano fra loro in quanto quello “pubblicistico” ex artt. 28 Cost. e 2043 c.c. si riferisce all’attività provvedimentale della pubblica amministrazione e quello “privati-stico” dell’art. 2049 c.c. attiene all’attività materiale “disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali”, Cass. sez. un. 16.5.2019, n. 13246 ha enunciato il principio di diritto che segue. Lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell’amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo.
4.2.2.- Con riguardo al caso in esame, a parte la contraddizione immediatamente rilevabile tra l’affermazione del venir meno del rapporto organico e la proposizione della domanda di condanna di entrambi i convenuti, che invece presuppone il permanere di quel rapporto, l’operato della convenuta, del quale si dolgono gli attori, è di sicuro ascrivibile all’esercizio delle funzioni di alta amministrazione delle quali all’epoca dei fatti era titolare (e, a quanto consta, è tuttora). Non è dato cogliere, invece, neppure a livello di prospettazione della domanda, quali finalità strettamente personali, perseguite con l’esercizio della pubblica funzione, abbiano animato la condotta della convenuta. E comunque è da escludere che venga in considerazione una condotta penal-mente illecita, consistente in un’attività materiale “disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali”, tale per cui possa trovare applicazione il principio di diritto enunciato da Cass. sez. un. n. 13246/2019.
4.3.- Quanto all’oggetto della domanda proposta, gli attori hanno precisato che esula dalla presente controversia la cancellazione della società dall’albo dei soggetti privati abilitati all’accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali (art. 53 d. lgs. n. 446/1997) e le conseguenze dannose che ne sarebbero derivate. Tale aspetto della vicenda di ***, infatti, è stata oggetto del giudizio svoltosi dinanzi il giudice amministrativo (al quale avrebbe dovuto essere proposta la domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 30, comma 2, c.p.a.) e concluso con la decisione, ormai irrevocabile, di piena legittimità dell’operato della Commissione ministeriale. Nel presente giudizio, pertanto, la cancellazione dall’albo ha una funzione puramente descrittiva del complesso e tormentato rapporto fra gli attori (veri domini della società) e il MEF o, meglio, il suo Direttore generale delle finanze, prof.ssa ZZZ.
La domanda su cui il Tribunale è chiamato a pronunciarsi attiene dunque, per un verso, alle conseguenze che l’approvazione dell’art. 3, comma 3, d.l. n. 40/2010 (cd. Marzanina) ha prodotto nei confronti di *** e, per altro verso, alla condotta della convenuta nell’esercizio dei suoi poteri istituzionali di Dirigente ministeriale, in sede di audizione parlamentare o, più, in generale nel procedimento di approvazione del decreto-legge. A latere della responsabilità della convenuta, con la stessa domanda risarcitoria gli attori intendono far valere la responsabilità del MEF per non aver vigilato sullo scorretto esercizio dei poteri pubblici da parte del suo Dirigente: in particolare, sulle pretese inadempienze dei Comuni e sull’acquisto del ramo d’azienda di *** da parte di *** s.p.a. a prezzo assolutamente vile.
5.- Le eccezioni pregiudiziali di carenza di giurisdizione e di giudicato.
La domanda, come innanzi delineata nella sua qualificazione giuridica e nel suo oggetto, va dichiarata inammissibile in parte. Per altra parte ne va dichiarato il difetto di giurisdizione. Non è invece preclusa dal giudicato, amministrativo e contabile, opposto dai convenuti, la cui eccezione va perciò respinta.
5.1.- Con specifico riguardo agli effetti dell’approvazione e della conseguente applicazione della norma che ha esteso l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi a quelle operanti nel settore dell’accertamento e della riscossione delle entrate degli enti locali (art. 3, comma 3, d.l. n. 40/2010), emerge con immediatezza il limite all’ammissibilità della domanda costituito dall’essere la funzione legislativa espressione di potere politico, incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale. Rispetto all’esercizio di tale potere, infatti, non si possono configurare situazioni giuridiche soggettive dei singoli protette dall’ordinamento (Cass. 22.11.2016, n. 23730; quanto all’insindacabilità degli atti politici v. Cass. sez. un. 14.5.2014, n. 10416).
In sostanza, non è ipotizzabile che dalla promulgazione della legge possa derivare un danno risarcibile, perché l’eventuale pregiudizio subìto dal singolo non può essere ritenuto ingiusto, neppure nei casi in cui la norma venga poi espunta dall’ordinamento, perché in contrasto con la Costituzione (così Cass. 24.12.2019, n. 34465, che ha escluso una responsabilità per “illecito costituzionale”, rilevante sul piano risarcitorio, dell’organo governativo che aveva presentato il disegno di legge e dato impulso all’iter parlamentare sfociato nella pubblicazione della norma, poi dichiarata incostituzionale). Non a caso nel processo amministrativo, come rilevato dai convenuti, è espressamente escluso che possano essere impugnati gli atti o i provvedimenti del Governo assunti nell’esercizio del potere politico (art. 7, comma 2, c.p.a.).
Non deroga ai princìpi appena esposti, ma anzi è con essi coerente Cass. sez. un. 17.4.2009, n. 9147, la quale – sul presupposto che l’esercizio o il mancato esercizio della funzione legislativa “è suscettibile di essere qualificato come antigiuridico nell’ambito dell’ordinamento comunitario, ma non alla stregua dell’ordinamento interno, secondo princìpi fondamentali che risultano evidenti nella stessa Costituzione” – ha qualificato la responsabilità dello Stato per inadempimento degli obblighi assunti in sede comunitaria (nello specifico: recepimento di direttive) come di “natura indennitaria per attività non antigiuridica”. Ed infatti, come rileva Cass. n. 34465/2019 cit., “nell’ordinamento comunitario «i cui soggetti sono non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini …, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, il diritto comunitario è altresì volto a creare diritti che entrano a far parte del loro patrimonio giuridico», diritti che sorgono «non solo nei casi in cui il Trattato espressamente li menziona, ma anche in relazione agli obblighi che il Trattato impone ai singoli, agli Stati membri e alle istituzioni comunitarie» (Corte di Giustizia 19.11.1991, cause C-6/90 e C-9/90 Francovich)”.
Questo capo della domanda, relativo al risarcimento dei danni che gli attori hanno genericamente individuato nello spossessamento della società e nella dispersione del suo patrimonio, va dunque dichiarato inammissibile.
5. 2.- La domanda risarcitoria fondata sulle condotte attribuite alla prof.ssa ZZZ e al MEF, invece, non rientra nell’ambito della giurisdizione ordinaria, ma di quella amministrativa.
Infatti, sussistendo per le ragioni esposte ai punti 4.2, 4.2.1 e 4.2.2 il rapporto di immedesimazione organica fra la Dirigente e il Ministero, tutte le condotte ascritte alla prima e alla stessa effettivamente riferibili (v. infra) sono state tenute nell’esercizio dei pubblici poteri propri della sua funzione dirigenziale. Le attività e le omissioni del Ministero, riconducibili alla vigilanza sull’operato dei propri Dirigenti, sono a loro volta esse stesse esercizio del potere amministrativo.
5.2.1.- Per quanto riguarda in particolare la prof.ssa ZZZ occorre premettere che, come dettagliatamente spiegato nella comparsa di risposta, la stessa all’epoca dei fatti rivestiva la qualifica Direttore generale del Dipartimento delle finanze e non era affatto preposta né alla Direzione della fiscalità locale, né alla Commissione per la tenuta dell’albo di cui all’art. 53 d. lgs. n. 446/1997. Pertanto, rientra certamente nella sua competenza la predisposizione delle norme che, previo vaglio degli uffici di staff (Ufficio legislativo e Gabinetto), il Ministro avrebbe presentato al Consiglio dei Ministri per l’adozione del decreto-legge n. 40/2010 e che il Governo avrebbe poi presentato alle Camere per la conversione in legge (attività che gli attori enfatizzano descrivendola come “ideazione e promozione“ della norma). Parimenti, rientra in tale competenza anche l’attività informativa delle Commissioni parlamentari, esercitata su delega del Ministro, nel procedimento di formazione del testo legislativo (attività che gli attori censurano perché affetta da “omissioni di doverose informazioni sulla vicenda ***” e da vere e proprie menzogne durante l’esposizione del “contenuto dell’istanza di affiancamento istituzionale proposta da ***”). Va in proposito comunque rilevato che lo stesso iter legislativo, culminato nell’approvazione delle norme da parte del Parlamento, costituisce fattore interruttivo del nesso causale fra la condotta della convenuta e i danni lamentati dagli attori.
Non sono invece riferibili alla prof.ssa ZZZ la mancata cancellazione dall’albo di cui all’art. 53 d. lgs. n. 446/1997 della società *** s.p.a. (si ricorda: la società oberata di debiti, ma con rilevanti potenziali crediti, acquisita da ***) e l’omessa vigilanza sulle inadempienze dei Comuni rispetto alle obbligazioni nascenti dalle convenzioni sottoscritte con ***. La prima condotta riguarda una competenza della Commissione ministeriale incaricata della tenuta dell’albo (della quale la convenuta, si ribadisce, non era affatto il “Capo”, come hanno pure affermato gli attori, né tanto meno componente), ai sensi l’art. 4 D.M. 9.3.2000, n. 89 e dell’art. 11 D.M. 11.9.2000, n. 289. L’attività di vigilanza sulle convenzioni con i Comuni, poi, rientra nelle competenze del Dipartimento della fiscalità locale, ufficio nel quale la prof.ssa ZZZ non era affatto inserita. Infine, non è certamente riferibile alla convenuta neppure la mala gestio della società durante l’amministrazione straordinaria: come già affermato dal Consiglio di Stato, essa è semmai imputabile all’ “amministratore (anche straordinario) negligente” (sentenza n. 8687/2010).
5.2.2.- Pertanto, la controversia – che secondo la prospettazione degli attori ha per oggetto l’illegittimo esercizio del potere amministrativo (nel quale sono compresi comportamenti ad esso riconducibili anche mediatamente) e, per alcuni aspetti, il mancato esercizio di quel potere – appartiene alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo (art. 7, commi 1 e 4, c.p.a.), trattandosi di poteri discrezionali, a fronte dei quali il privato vanta meri interessi legittimi (cfr., da ultimo, Cass. sez. un. 29.7.2021, n. 21768). E il risarcimento del “danno ingiusto che sia derivato dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria” può essere richiesto non al giudice ordinario, ma al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 30, comma 2, c.p.a.
5.2.3.- Né può essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda proposta deducendo, come fanno gli attori, la lesione dei diritti soggettivi di proprietà e di esercizio dell’impresa privata.
Per giurisprudenza costante, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da un privato che, facendo incolpevole affidamento su un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, in seguito legittimamente annullato, abbia compiuto scelte rivelatesi pregiudizievoli per l’integrità del suo patrimonio: in tal caso, infatti, si tratta di controversia relativa non alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo, rappresentato dalla conservazione dell’integrità del patrimonio (v., di recente, Cass. sez. un. 25.5.2021, n. 14324; 8.7.2020, n. 14231; 8.3.2019, n. 6885). Nel caso di specie, al contrario, non vengono in considerazione scelte imprenditoriali indotte dall’affidamento su provvedimenti amministrativi, tanto meno ampliativi della sfera giuridica del privato. Al più, la lesione dei diritti soggettivi degli attori sarebbe riconducibile ai provvedimenti assunti dall’amministratore straordinario in esecuzione dell’art. 3, comma 3, d.l. n. 40/2010, la cui illegittimità è tutta da verificare nella competente sede della giurisdizione amministrativa.
5.2.4.- È infine da escludere la giurisdizione ordinaria anche ove si abbia riguardo all’intento della convenuta di favorire Equitalia s.p.a. nell’acquisizione dell’attività di riscossione delle entrate degli enti locali (finalità che gli stessi attori fanno oggetto di una mera allusione). Per affermare la giurisdizione ordinaria nel giudizio risarcitorio occorrerebbe infatti il previo accertamento della sussistenza di una responsabilità penale nella condotta della convenuta o, quanto meno, della sua manifesta sussistenza. Nel caso in esame non solo non v’è alcun giudicato penale, ma neppure può ipotizzarsi che la convenuta abbia commesso reati nell’esercizio delle sue funzioni. Gli stessi attori, infatti, si limitano ad adombrare sospetti fondati esclusivamente su notizie di stampa che, peraltro, riguardano soggetti diversi dalla prof.ssa ZZZ (pp. 65-70 della citazione; pp. 31-34, 42, 44-47 della comparsa conclusionale).
5.2.5.- In conclusione, nessun capo della domanda risarcitoria, per come prospettata dagli attori, rientra nella giurisdizione ordinaria.
5.3.- Non è invece fondata l’eccezione di giudicato, prospettata con riferimento alle decisioni sia del giudice amministrativo, sia del giudice contabile.
Si è già rilevato, infatti, che TAR e Consiglio di Stato hanno deciso in ordine alla legittimità del provvedimento di cancellazione di *** dall’albo di cui all’art. 52 d. lgs. n. 446/1997; in particolare, il giudice di appello ha anche escluso che in relazione ad essa possa configurarsi un danno risarcibile. E si è pure osservato che il thema decidendum del giudicato amministrativo non coincide, neppure in parte, con quello del presente giudizio, nel quale la cancellazione della società dall’albo costituisce un semplice antefatto della vicenda.
Quanto alla sentenza della Corte dei conti n. 70/2017 del 10.4.2017, basta osservare che sia i soggetti, sia l’oggetto sia la causa petendi sono diversi da quelli del presente giudizio. Né può desumersi da quella pronuncia, come invece sostengono i convenuti, l’assenza di qualsiasi responsabilità della prof.ssa ZZZ. Responsabilità che, semmai, avrebbe natura contabile e non civile.
6.- La prescrizione.
Le declaratorie di inammissibilità di parte della domanda e di carenza di giurisdizione del giudice ordinario adìto quanto alla restante parte della domanda assorbono le altre questioni prospettate.
Tuttavia, anche ai fini della regolamentazione delle spese processuali, appare opportuno considerare l’eccezione di prescrizione. Essa è fondata, in quanto il termine quinquennale di cui all’art. 2947, primo comma, c.c. era sicuramente decorso al momento dell’introduzione del giudizio (citazione notificata in data 11.4.2018). Il dies a quo – individuabile in base alla prospettazione della domanda – va infatti individuato, al più tardi, nella data di ammissione di *** alla procedura di amministrazione straordinaria prevista dall’art. 3, comma 3, d.l. n. 40/2010. Tale data è quella del 18.6.2010, in cui il Ministro dello sviluppo economico emise il relativo decreto. Da quel momento gli attori erano in condizione di rendersi conto dei danni lamentati in questa sede, nonché del nesso causale degli stessi con la condotta dei convenuti.
Non è, al riguardo, condivisibile la tesi di parte attrice, secondo cui si tratterebbe di illecito permanente, per cui il termine prescrizionale (che peraltro viene individuato in quello ordinario decennale) non sarebbe decorso. L’illecito ascritto ai convenuti, infatti, non ha natura permanente; al più, si tratta di illecito istantaneo con effetti permanenti, per il quale la prescrizione decorre da quando, con la prima manifestazione del danno, l’illecito viene percepito o può essere percepito, secondo un criterio di ordinaria diligenza, come danno ingiusto conseguente al comportamento del danneggiante (Cass. 11.2.2020, n. 3314; 16.4.2018, n. 9318; 28.5.2013, n. 13201; 22.4.2013, n. 9711; Cass. sez. un. 14.11.2011, n. 23763).
7. Le spese processuali.
L’attore, in quanto soccombente, va condannato alla refusione delle spese processuali in favore dei convenuti.
Per la liquidazione, oltre il valore della domanda determinato sulla base del petitum (100 milioni di euro), non possono essere ignorati i seguenti fattori, che hanno reso l’attività difensiva della parte vittoriosa particolarmente onerosa: lunghezza eccessiva degli atti processuali; ripetute divagazioni dall’oggetto effettivo della domanda; introduzione del giudizio dinanzi a giudice carente di giurisdizione, in senso assoluto (risarcimento del danno da atto normativo) o relativo (controversia appartenente alla giurisdizione amministrativa); proposizione dell’azione a tutela di un diritto già prescritto.
I valori medi stabiliti nella tabella allegata al D.M. n. 55/2014 possono perciò essere aumentati, nella misura – che appare congrua alla specificità del caso – del 10%.
Le spese processuali sono pertanto liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale in composizione monocratico, definitivamente pronunciando sulla causa
in epigrafe, così provvede:
a) dichiara inammissibile il capo della domanda relativa al risarcimento dei danni derivanti dall’approvazione dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 25.3.2010, n. 40, convertito, con modificazioni, nella legge 22.5.2010, n. 73;
b) dichiara il difetto di giurisdizione ordinaria sul capo di domanda relativa al risarcimento dei danni derivanti dall’attività amministrativa dei convenuti, trattandosi di controversia appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo;
c) condanna gli attori XXX e YYY, in solido fra loro, a rifondere ai convenuti ZZZ e Ministero dell’economia e delle finanze le spese processuali, liquidate in € 35.000,00 per compensi professionali (di cui € 5.000,00 per la fase di studio, € 4.500,00 per la fase introduttiva, € 10.000,00 per la fase istruttoria ed € 15.500,00 per la fase decisoria), oltre rimborso forfetario delle spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma il 22 novembre 2021.
IL GIUDICE
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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