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Codice Penale

Responsabilità medica e prova presuntiva del nesso causale

La sentenza affronta il tema della responsabilità medica e della prova del nesso di causalità, confermando che la prova presuntiva può essere utilizzata per dimostrare l’errore medico e il danno subito dal paziente.

Pubblicato il 21 November 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

R.G. n. 174/2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI SALERNO Prima Sezione Civile La Corte di Appello di Salerno, nelle persone dei seguenti magistrati:

dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere rel.

dott. NOME COGNOME Consigliere riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente

SENTENZA N._969_2024_ N._R.G._00000174_2021 DEL_07_11_2024 PUBBLICATA_IL_08_11_2024

nella causa civile in grado di appello, iscritta al n. 174 del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2021, vertente TRA , nato ad Eboli il 09/02/1989 (C.F. rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in atti;

– appellante in riassunzione – , con sede in Salerno alla INDIRIZZOP.Iva , presso la rappresentanza Generale per l’RAGIONE_SOCIALE in Milano alla INDIRIZZO (P.Iva , con sede in Regno Unito, INDIRIZZO, Londra CODICE_FISCALE;

rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME per procure in atti;

– appellate in riassunzione – OGGETTO:

giudizio di rinvio, ex art. 392 c.p.c., a seguito della cassazione della sentenza della Corte di Appello di Salerno n. 1286/2018, pubblicata il 13.9.2018.

CONCLUSIONI

C.RAGIONE_SOCIALE. , in persona del leg. rapp.p.t. e per l’effetto 2) condannare la stessa singolarmente e/o in solido, con chi tenuto per legge, al risarcimento dei danni tutti patiti dall’appellante, nessuno escluso, come indicati nell’atto di citazione che qui si ha per integralmente riportato e, a cui pienamente ci si riporta, mediante il pagamento di quella maggiore e/o minore somma che sarà accertata in corso di causa anche a mezzo di nomina di CTU di cui si rinnova l’ammissione;

3) con vittoria di spese, competenze e onorari di tutti i giudizi con attribuzione”.

Per l’appellata “1) Rigettare l’avverso appello in quanto completamente infondato in fatto e diritto e per l’effetto confermare la sentenza impugnata.

2) In via subordinata, nell’increduto caso di soccombenza, anche parziale dell’azienda ospedaliera, accertare il solo danno differenziale rispetto al danno che l’appellante avrebbe comunque sofferto a seguito del sinistro stradale patito.

Con vittoria delle spese di lite”.

FATTI DI CAUSA

agiva in giudizio per la condanna dell al risarcimento dei danni patiti per colpa dei medici operanti nella struttura pubblica, ove era stato trasportato, in data 6.6.2005, per una frattura biossea della gamba sinistra riportata in un incidente stradale.

Deduceva che era stato sottoposto, in data 9.6.2005, ad un intervento chirurgico di “riduzione chiusa di frattura della tibia e della fibula” e, in data 21.6.2006, ad un intervento di “rimozione dei mezzi di sintesi” (ovvero del “dispositivo impiantato da tibia e fibula”);

che in seguito, effettuate indagini radiografiche per dolori alla gamba sinistra, era stato rinvenuto un moncone di vite metallica in sede metafisiaria prossimale della tibia, poi rimosso con un ulteriore intervento chirurgico eseguito in data 4.6.2007 presso la casa di cura privata INDIRIZZO di S. Angelo (Pe), cui avevano fatto seguito 10 sedute di elettrostimolazione e massaggi.

Si costituiva in giudizio, non solo l’ convenuta, ma anche , che interveniva volontariamente al fine di manlevare la convenuta per il caso di condanna al risarcimento danni.

Con sentenza n. 2172/11, pubblicata il 7.11.2011, il Tribunale di Salerno rigettava la domanda risarcitoria, osservando che parte attrice era decaduta dalla medica allegata non era in grado di dimostrare la ricostruzione dei fatti esposti in citazione ed il nesso di causalità tra la lesione lamentata e l’operato dei sanitari.

impugnava la sentenza di primo grado, reiterando la richiesta (rigetta dal primo giudice) di consulenza tecnica d’ufficio medico-legale per accertare il nesso causale tra la condotta dei chirurghi e i danni subìti, la sussistenza dei presupposti della colpa professionale e la quantificazione dei danni.

Disattesa (con ordinanza depositata il 25.5.2012) la nomina di Ctu, con sentenza n. 1286/2018, pubblicata il 13.9.2018, la Corte di Appello di Salerno rigettava l’impugnazione per la mancanza della prova, alla quale era onerato l’attore, sia dei fatti dedotti a fondamento della responsabilità, sia del nesso causale tra il terzo intervento, eseguito presso la casa di cura privata Villa Serena a giugno del 2007, e quello di rimozione dei mezzi di sintesi che si assume erroneamente eseguito in ospedale l’anno prima. Premessa l’ammissibilità della produzione in appello degli originali della documentazione medica, stante la conformità delle copie disconosciute in primo grado, esponeva la Corte di Appello che la mera allegazione della documentazione clinica non poteva essere considerata prova idonea a fondare la domanda e, quindi a giustificare la nomina di un Ctu per la verifica del nesso di causalità con i danni lamentati in citazione;

che la documentazione è, altresì, inidonea a fondare l’assunto attoreo secondo il quale quello eseguito presso la fu un intervento diretto a rimuovere una parte di vite metallica rimasta per errore nella gamba dopo la rimozione dei mezzi di sintesi eseguita in ospedale a Salerno;

che, infatti, in nessuno dei documenti che fanno parte della cartella clinica della si richiama siffatta circostanza (il certificato medico a firma del dr. del 15.1.2007, in cui si legge “esiti frattura gamba sin. trattata in altra sede con chiodo endomidollare”;

la descrizione dell’intervento e la cartella dell’anestesista, in cui si legge solo “rimozione di chiodo endomidollare con il moncone della vite”;

l’attestazione della Casa di cura del 5.6.2007, ove si parla di “rimozione di mezzi di sintesi’ a seguito di ‘frattura di gamba sx”);

che, né in questi, né in altri documenti si fa quindi alcun riferimento ad un pregresso intervento di rimozione della vite che appaia incompleto o errato, sicché, anche a volerla utilizzare, detta documentazione deve ritenersi riferita ad un intervento che completava, e non già poneva rimedio, a quello precedente ivi eseguito;

che la richiesta di risarcimento di tutti i danni patiti deve essere dichiarata inammissibile permanenti che gli effetti temporanei sulla sfera individuale e relazionale dell’attore, non riferibili all’incidente stradale.

La sentenza di secondo grado veniva impugnata da e cassata dalla Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 26907/20, pubblicata il 26.11.2020, disponeva il rinvio alla Corte di Appello di Salerno, in diversa composizione.

Osservava la Suprema Corte che il giudice di secondo grado non aveva fatto corretta applicazione dei principi in tema di prova presuntiva del nesso causale, poiché, se è vero che la documentazione prodotta da non consente di dimostrare “direttamente” che l’intervento eseguito presso la era diretto a rimuovere una parte di vite metallica rimasta per errore nella gamba (come sostiene la Corte territoriale), è altrettanto vero, però, che “la documentazione esaminata consente di fondare una prova per presunzioni”. Riportava, a tal fine, le parti della sentenza di secondo grado che descrivevano il contenuto del “certificato medico a firma del dottor del 15 gennaio 2007” (“data precedente al terzo intervento, ma successiva al secondo” che, “nel riferirsi al secondo intervento eseguito presso il nosocomio di Salerno, attesta la esistenza di “esiti frattura gamba sinistra trattata in altra sede con chiodo endomidollare”), della “cartella clinica dell’anestesista” e della “descrizione dell’intervento” (in cui si fa riferimento alla “rimozione di chiodo endomidollare con il moncone della vite”) e della “attestazione della Casa di cura del 5 giugno 2007” (“(redatta, quindi, in occasione del terzo intervento) ove si parla di “rimozione dei mezzi di sintesi a seguito di frattura di gamba sinistra”). Da tali elementi è possibile ricavare la prova presuntiva “che il terzo intervento si è reso necessario per la “rimozione dei mezzi di sintesi”, evidentemente inseriti a seguito della frattura della gamba sinistra, in occasione di un precedente intervento, eseguito presso l’ospedale di Salerno”.

Pertanto, concludeva la Suprema Corte, la sentenza d’appello “deve essere cassata e il giudice del rinvio dovrà verificare la sussistenza dei presupposti concreti della prova per presunzioni e, nel caso di positiva valutazione, esaminare il profilo risarcitorio”, provvedendo “nell’ipotesi di fondatezza della pretesa, a valutare il pregiudizio eventualmente subito dal ”, rispetto al quale riteneva fondato anche il motivo di censura rivolto dal ricorrente al giudizio di inammissibilità della domanda generica, poiché “lo specifico riferimento alla necessità di sottoporsi ad un terzo intervento al fine di rimuovere completamente “i mezzi di sintesi” inseriti rappresenta già un criterio di individuazione specifica del pregiudizio subito dall’attore”. Riassunta la causa, ai sensi dell’art. 392 c.p.c., chiedeva, in riforma della sentenza di primo grado, l’accoglimento della domanda risarcitoria nei confronti dell’ previo espletamento della consulenza tecnica medico-legale, già richiesta in primo grado, che accerti “la sussistenza del nesso causale del danno alla condotta chirurgica, nonché previa illustrazione dello stato d’arte nello specifico settore e poi lo stato di fatto dal punto di vista medico legale, accerti la sussistenza e/o verificazione dei presupposti della colpa professionale all’esito provveda, altresì, alla quantificazione dei danni subiti dall’appellante, per i fatti di cui è causa, con riserva di formulazione di ulteriori quesiti”. (quest’ultima intervenuta, ai sensi dell’art. 111, comma 3, c.p.c., in qualità di cessionaria dalla della polizza dedotta in giudizio), costituitesi congiuntamente, deducevano che l’attore non aveva fornito, né nell’atto di citazione in primo grado, né in quello di appello, alcun elemento utile alla prova del nesso di causalità fra condotta dei medici della struttura sanitaria ed il danno di cui si richiede il risarcimento;

che la Ctu alla quale l’appellante demandava l’accertamento è inammissibile, trattandosi di una consulenza percipiente che assurgerebbe a fonte oggettiva di prova e che, non avendo proposto il rimedio dell’istanza di modifica e/o del reclamo al collegio a seguito del rigetto del mezzo istruttorio, né insistito per la sua ammissione in comparsa conclusionale e in memoria di replica (non depositate in primo grado), deve ritenersi implicitamente rinunciata da parte dell’appellante;

che l’appellante non può sottrarsi all’onere probatorio rimettendo l’accertamento dei fatti costitutivi del diritto ad una consulenza tecnica di carattere esplorativo;

che gli operatori dell’azienda ospedaliera avevano operato secondo diligenza, nel rispetto di tutti i protocolli sanitari e chirurgici in uso, adempiendo, pertanto, in modo puntuale e preciso ad ogni obbligazione contratta;

che difettava, inoltre, il nesso di causalità fra l’operato dei medici e i danni per i quali il sig. aveva chiesto il risarcimento, i quali avevano come unico antecedente eziologico l’incidente stradale precedentemente subito.

Contr fascicolo della Corte di Cassazione (ricorso n. 36385/2016 proposto da , definito con ordinanza n. 96907/2020 depositata il 26/11/2020), a norma dell’art. 126 disp. att. c.p.c. Acquisito il fascicolo, trasmesso a mezzo pec in data 15.11.2022, con ordinanza del 26.1.2023 la causa veniva rimessa in decisione, previo rigetto dell’istanza di revoca dell’ordinanza del 7.10.2021 e di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio.

Con ordinanza del 27.4.2023 la causa veniva rimessa la causa sul ruolo e nel prosieguo del giudizio, prodotti dall’appellante, su richiesta della Corte, la documentazione acquisita in primo grado, l’atto di citazione di primo grado e l’atto di appello del 2012, veniva disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio medico-legale.

All’esito la causa veniva nuovamente rimessa in decisione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va revocata la dichiarazione di contumacia di , resa con ordinanza del 23.9.2021, considerato che la società si era già costituita in giudizio (in data 31.8.2021), congiuntamente all’ e alla cessionaria del contratto assicurativo.

Quanto alla partecipazione al giudizio delle società di assicurazione, va chiarito che ha proposto la domanda risarcitoria solo nei confronti dell società è intervenuta volontariamente in primo grado nella qualità di assicuratore per la responsabilità civile dell’azienda ospedaliera verso terzi e dipendenti, mentre è intervenuta nel giudizio di rinvio in qualità di cessionaria dalla della polizza assicurativa.

Nei loro confronti non vi è alcuna domanda di condanna da parte dell’attore, né domanda di manleva da parte dell’azienda ospedaliera.

Trattasi solo di interventi volontari delle società assicuratrici a sostegno delle ragioni della propria assicurata (la struttura sanitaria pubblica), insieme alla quale si sono costituite.

Ancora in via preliminare, osserva la Corte che la consulenza tecnica d’ufficio è stata disposta ed espletata, dopo un primo rigetto dell’istanza, solo dopo aver acquisito i documenti mancanti.

Infatti, nel fascicolo d’ufficio relativo al primo appello (n. 52/2012), acquisito in data 2.3.2021, non era allegato alcun fascicolo di Contr appello cassato).

In mancanza dei documenti che la Suprema Corte ha rimesso alla valutazione del giudice di merito, non si poteva procedere ad una consulenza tecnica d’ufficio e, per tali evidenti ragioni, la relativa istanza di parte è stata rigettata con l’ordinanza del 7.10.2021.

È stata, allora, disposta, con l’ordinanza del 27.10.2022, l’acquisizione del fascicolo della Suprema Corte, a norma dell’art. 126 disp. att. c.p.c. (trasmesso a mezzo pec in data 15.11.2022), nel quale non è stato rinvenuto alcun documento.

L’ordinanza reiettiva della consulenza tecnica d’ufficio è stata emessa in base all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è onere dell’appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame.

Onere a carico anche della parte che tali documenti non aveva prodotto, la quale deve attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, perché questi documenti possano essere sottoposti all’esame del giudice di appello, per cui egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare (Cass., Sez. U., n. 28498 del 2005 e n. 3033 del 2013). Sicché, l’appello deve essere rigettato nei casi in cui il giudice di appello, per l’inerzia della parte interessata e tenuta alla relativa allegazione, non sia stato in grado di riesaminare i documenti su cui si basa il gravame.

Dopo la rimessione della causa in decisione è intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite 16.2.2023, n. 4835 che, ribadendo il principio per cui il giudice d’appello ha il potere-dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, hanno precisato, con portata applicativa rispetto all’ipotesi che qui interessa (quella dei documenti indispensabili per la decisione del gravame che, in primo grado, erano stati prodotti dall’odierno appellante e dallo stesso non ridepositati in appello), che “può ritenersi consentito al giudice di secondo grado, eventualmente aperto un preventivo contraddittorio, di ordinare la produzione dei medesimi documenti, in copia o in originale, se lo ritiene necessario, a modello di quanto del resto stabilito dall’art. 123 bis disp. att. c.p.c. per l’impugnazione di La causa è, perciò tornata sul ruolo istruttorio e, su sollecitazione della Corte, è stata prodotta la documentazione utile ad un accertamento peritale, nonché gli atti introduttivi del primo grado e dell’appello del 2012.

Ciò ha reso possibile l’espletamento della consulenza tecnica medico-legale.

Tutto ciò premesso, nel merito l’ordinanza della Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto da , cassando con rinvio, per aver ravvisato nella sentenza di appello un vizio di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia:

la Corte territoriale aveva ritenuto insussistente la prova “diretta” dei fatti costitutivi dedotti a fondamento della responsabilità (contrattuale) della struttura ospedaliera, con particolare riferimento al nesso di causalità materiale tra condotta ed evento, senza valutare gli elementi documentali (indiziari), riportati nella medesima sentenza, dai quali poter desumere la prova “per presunzioni” del nesso causale.

Premesso che il giudice di primo grado aveva dichiarato l’attore decaduto dalla prova per testi e che, perciò, gli elementi istruttori acquisiti in primo grado sono solo quelli ricavabili dai documenti (prodotti in copia in primo grado e in originale nel grado di appello definito con la sentenza cassata), il compito del giudice di rinvio, definito dall’ordinanza della Suprema Corte, consiste, in primo luogo, nel “verificare la sussistenza dei presupposti concreti della prova per presunzioni”, ossia nell’individuare e valutare gli elementi documentali dai quali poter ricavare la prova presuntiva dell’errore commesso dai sanitari dell’azienda ospedaliera (per non essersi avveduti della parte di vite metallica rimasta nella gamba) e della sua relazione di causalità con l’intervento eseguito presso la (per rimediare all’errore, rimuovendo il moncone di vite metallica rimasto nella gamba). Solo “nel caso di positiva valutazione” (degli elementi costitutivi della responsabilità), il giudice del rinvio dovrà “esaminare il profilo risarcitorio”, valutando “il pregiudizio eventualmente subito dal ”.

Sia per la prima fase di giudizio (riservata all’accertamento dell’errore degli operatori dell’azienda ospedaliera e della sua relazione di causalità materiale con l’intervento della ), sia per la seconda fase (riservata all’accertamento della causalità giuridica tra l’evento di danno e le conseguenze pregiudizievoli e alla loro liquidazione), il giudice di merito può avvalersi dell’ausilio di una consulenza tecnica d’ufficio sul materiale documentale prodotto.

nel secondo intervento chirurgico di rimozione dei mezzi di sintesi effettuato presso la divisione di ortopedia e traumatologia dell’ di Salerno il 22.6.2006, un anno dopo la frattura biossea della gamba sinistra, i sanitari hanno lasciato in situ il chiodo endomidollare ed un moncone di vite distale.

I sanitari dell’azienda ospedaliera salernitana “si sono limitati rimuovere le viti prossimali e distali del chiodo che vengono descritte come rotte lasciando in situ il chiodo endomidollare e il residuo di una vite distale rotta”, “non estraendo il chiodo endomidollare e la vite distale”.

Ciò ha reso necessario un ulteriore intervento effettuato dagli ortopedici dalla casa di cura privata “RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO” di  NOME

Risulta, perciò, provata, anzitutto, la colpa della struttura ospedaliera per l’errore commesso nell’esecuzione dell’intervento chirurgico, dato che, come precisato dai consulenti, “tale trattamento cozza con la buona pratica medica che prevede che in un adolescente di 17 anni a consolidazione della frattura vadano rimossi tutti i mezzi di sintesi, cosa che è stata fatta dopo 6 mesi presso altra struttura.

Pertanto, ….. è possibile affermare che vi sia stata negligenza da parte dei sanitari dell’Ospedale “ ” a non effettuare la rimozione del chiodo endomidollare e del residuo di vite rotta che ha richiesto un ulteriore intervento chirurgico effettuato dopo 6 mesi presso altra struttura”.

L’evento di danno cagionato dalla prestazione negligente consiste, secondo quanto verificato dai consulenti, in un “allungamento del periodo di malattia dovuto alla necessita di un secondo intervento che può essere quantificata come segue:

ITT giorni 3 (ricovero ospedaliero), ITP al 50 % giorni 30 (trenta)”.

Mentre “non è residuata alcuna IP in quanto questa è riconducibile agli esiti della primitiva lesione ovverosia frattura biossea della gamba sinistra trattata in modo ottimale con il primo intervento”;

“la condotta negligente, colpa professionale, ha determinato solo giorni di invalidità temporanea.

Infatti i lievi residuati attuali (modesta ipotonotrofia muscolare, cicatrici chirurgiche) sono la normale conseguenza della frattura da incidente stradale, ben trattata dai Sanitari dell’OO.RR di Salerno durante il primo ricovero (dal 6/6/2005 al 16/06/2005)”.

Accertata, così, la colpa medica e la sua relazione di causalità materiale con un evento di danno consistito in un ritardo nei tempi di guarigione (tre giorni di invalidità assoluta e trenta giorni di invalidità parziale al 50%, senza postumi della responsabilità contrattuale dell’azienda ospedaliera per i danni cagionati dall’inesattezza nell’esecuzione della prestazione.

Quanto alle conseguenze dell’evento di danno (c.d. danni-conseguenze), nell’atto di citazione di primo grado ha chiesto il risarcimento di tutti i danni “temporanei o permanenti patrimoniali, morali, biologici, esistenziali, materiali, influenti, tra l’altro:

1) sulla sfera individuale …. ;

2) sulla sfera relazionale …. ;

3) sull’espletamento delle normali attività quotidiane …..

Ha chiesto, inoltre, il risarcimento dei danni per la diminuzione della “capacità lavorativa specifica e generica”, la “impossibilità di poter proseguire la precedente attività lavorativa”, per “il livello di sofferenza conseguito” e l’incidenza nella “vita familiare e di relazione”, considerato anche che “tale situazione gli ha impedito di mantenere una normale vita di relazione, sessuale e/o lavorativa”.

In realtà, relativamente al danno non patrimoniale, la limitazione del danno- evento ad un periodo di invalidità temporanea di 33 giorni, senza esiti permanenti riconducibili all’erronea prestazione, non consente di ipotizzare le gravi conseguenze rappresentate dall’attore.

Oltre al danno dinamico-relazionale per il periodo di invalidità temporanea che sarebbe stato evitato dall’esecuzione diligente dell’obbligazione contrattuale, senza alcuna ulteriore ripercussione sulla vita personale e relazionale del danneggiato, deve riconoscersi solo il danno morale per il prolungamento della malattia, considerato anche dai consulenti, secondo cui “non vi è stata menomazione, ma l’iter chirurgico vissuto dal paziente (secondo intervento a Salerno e terzo intervento effettuato alla clinica Villa Serena) hanno senz’altro causato un danno morale non lieve a carico dell’istante, danno rapportato all’immaginabile stato di amarezza e frustrazione connesso al secondo intervento effettuato dai Sanitari dell’OO.RR di Salerno (con mancata rimozione del chiodo endomidollare e del moncone di vite distale) ed all’inevitabile ansia nei giorni precedenti al terzo intervento effettuato dai Sanitari di Villa Serena”. Quanto, invece, al danno (non patrimoniale) per riduzione della capacità lavorativa generica e al danno (patrimoniale da lucro cessante) per riduzione della capacità lavorativa specifica, per quest’ultima non è neppure specificato quale fosse l’attività lavorativa svolta da , il suo livello reddituale, le sue attitudini lavorative.

In ogni caso, i consulenti hanno escluso l’incidenza sulla capacità lavorativa, dato che “le condizioni attuali sono da considerarsi stabilizzate e non obbiettività del ginocchio e tenendo in considerazione la pregressa frattura biossea di gamba avvenuta per trauma della strada”.

Va aggiunto solo il danno patrimoniale per le spese mediche sostenute e documentate, che i consulenti indicano nella somma di € 127,30, “che appaiano congrue e necessarie e non si prevedono spese future”.

Quanto alla liquidazione del danno da invalidità temporanea, l’art. 7, comma 4, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), in vigore del 1.4.2017, dispone che “il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo”. La Suprema Corte ha chiarito che le norme della legge Gelli-Bianco che richiamano gli artt. 138 e 139 del D.L.vo n. 209 del 2005 (Codice delle assicurazioni private) in punto di liquidazione del danno, sono immediatamente applicabili anche ai fatti pregressi, come nel caso di specie, non essendovi un fenomeno di successione delle leggi con effetti abrogativi, perché in precedenza non vi era alcuna norma preesistente volta a definire il “valore-punto” in modo differente.

L’art. 139 cod. ass., che riguarda le lesioni di lieve entità (menomazioni all’integrità psico-fisica inferiori a dieci punti), prevede la liquidazione del danno non patrimoniale secondo i criteri e le misure indicati al primo comma.

Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro della giustizia e con il Ministro dello sviluppo economico, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni dell’integrità psico-fisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità (comma 4).

Gli importi indicati nel comma 1 sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro dello sviluppo economico, in misura corrispondente alla variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall’Istat (comma 5).

Applicando, pertanto, le tabelle aggiornate ex art. 139 cit. (con decreto temporanea subito dall’attore-appellante ammonta ad € 994,32 (€ 165,72 per tre giorni di invalidità totale ed € 828,60 per trenta giorni di invalidità parziale al 50%).

La somma va aumentata di una percentuale del 33,33% per il danno morale (€ 331,41) e del danno patrimoniale per spese mediche (€ 127,30), per un totale di € 1.453,03.

In definitiva, l’appello deve essere accolto, con la condanna della sola azienda ospedaliera al risarcimento dei danni nella misura di € 1.453,03.

Trattandosi di liquidazione all’attualità, non è dovuta la rivalutazione monetaria.

Sono, invece, dovuti gli interessi legali dal momento dell’evento (dal 21.6.2006) fino al soddisfo, che devono essere calcolati sulla somma che, previa devalutazione fino a tale momento, deve essere, poi, via via rivalutata fino alla data di pubblicazione della presente sentenza;

dalla data di pubblicazione della sentenza (che liquida il danno e lo converte in debito di valuta) fino all’effettivo soddisfo, gli interessi legali devono essere calcolati sulla somma, già rivalutata, di € 1.453,03.

Il regolamento delle spese processuali deve comprendere, non solo quelle del giudizio di rinvio e del giudizio di legittimità, come indicato dalla Suprema Corte, ma anche quelle del precedente giudizio di appello, stante l’effetto espansivo che la cassazione della sentenza d’appello produce anche sul capo relativo alle spese (Cass., ord., 7.2.2022, n. 3798).

Trattandosi di accoglimento dell’appello, devono essere regolate anche le spese di primo grado.

La sussistenza di danni-conseguenza molto meno gravi di quelli rappresentati dall’attore e la liquidazione delle sole componenti (dinamico-relazionale e morale) del danno da inabilità temporanea e delle spese, con esclusione di tutte le altre voci dedotte nella domanda risarcitoria (danni permanenti, perdita della capacità lavorativa generica e specifica) implica la compensazione per due terzi delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo (valore € 1.453,03), e la condanna dell’Azienda ospedaliera e della al rimborso di un terzo in favore di. La quota di un terzo delle spese del giudizio di rinvio va posta anche a carico della.

Su richiesta difensiva ex art. 93, comma 1, c.p.c., gli onorari non riscossi e le spese anticipate sono distratti in favore dei difensori antistatari.

Le spese per la consulenza tecnica d’ufficio vanno poste definitivamente a carico delle parti nella medesima quota.

Contr La Corte di Appello di Salerno, prima sezione civile, definitivamente decidendo in grado di appello avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 2172/11, pubblicata il 7.11.2011, così provvede:

1. revoca la dichiarazione di contumacia di 2. accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, condanna l’ al risarcimento dei danni in favore di nella misura complessiva di € 1.453,03 oltre gli interessi legali dal 21.6.2006 da calcolare sulla somma che, previa devalutazione fino al 21.6.2006, deve essere, poi, via via rivalutata fino alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché dalla data di pubblicazione della sentenza e fino al soddisfo sulla somma di € 1.453,03; 3. compensa per 2/3 le spese processuali del giudizio di primo grado, dell’appello e del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente in € 2.292,00 per spese vive (€ 346,00 per il giudizio di primo grado, € 683,00 per il primo appello, € 1.263,00 per il giudizio di legittimità) ed € 6.900,00 per onorari di difesa (€ 2.000,00 per il primo grado, € 2.000,00 per il giudizio di appello, € 2.900,00 per il giudizio di legittimità) e condanna l’ e la , in solido tra loro, al rimborso del restante 1/3 in favore di – pari ad € 764,00 per spese vive ed € 2.300,00 per onorari di difesa -, oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% degli onorari, Cnap ed Iva come per legge, con attribuzione ai difensori antistatari; 4. compensa per 2/3 le spese processuali del giudizio di rinvio, che liquida complessivamente in € 798,00 per spese vive ed € 2.400,00 per onorari di difesa, e condanna l la società e la società , in solido tra loro, al rimborso del restante 1/3 in favore di – pari ad € 266,00 per spese vive ed € 800,00 per onorari di difesa -, oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% degli onorari, Cnap ed Iva come per legge, con attribuzione ai difensori antistatari;

5. pone definitivamente le spese di consulenza tecnica d’ufficio a carico di e di , in solido tra loro, per 2/3.

Salerno lì 29/10/2024

Il Giudice estensore Il Presidente (dott. NOME COGNOME (dott.ssa NOME COGNOME

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