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Codice Penale

Responsabilità medica e risarcimento danni da decesso

La sentenza affronta il tema della responsabilità medica per infezioni nosocomiali e la corretta quantificazione del danno da perdita del rapporto parentale. Viene confermato il principio in base al quale l’esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza per la perdita del congiunto.

Pubblicato il 24 November 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

RG. n. 604/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE SECONDA nelle persone dei magistrati:

dott. NOME COGNOME Presidente dott.ssa NOME COGNOME Consigliere relatore dott.ssa NOME COGNOME Consigliere riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente:

SENTENZA N._1313_2024_- N._R.G._00000604_2022 DEL_03_11_2024 PUBBLICATA_IL_04_11_2024

nella causa d’appello avverso la sentenza n. 2769/2021 del 22/12/2021 del Tribunale di Genova promossa da: , p.iva. e c.f. , in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con sede in Rapallo (Ge), INDIRIZZO rappresentata e difesa in forza di procura speciale allegata all’atto di appello, dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in Genova, INDIRIZZO scala sinistra APPELLANTE contro (cod. fisc. (cod. fisc. ), in proprio sia quale esercente la potestà genitoriale (unitamente al signor – C.F. ) sul figlio minore rappresentati e difesi dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Savona, INDIRIZZO presso lo studio di questi ultimi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso ex art. 702 bis c.p.c. introduttivo del primo grado di giudizio APPELLATI

CONCLUSIONI

DELLE PARTI PER L’APPELLANTE:

“Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello di Genova, respinta ogni contraria istanza eccezione e deduzione, in accoglimento della presente impugnativa ed in riforma della sentenza n. C.F. C.F. indicati:

In INDIRIZZO

in accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi d’impugnativa I e/o II e/o III, riformare la sentenza n. 2769/2021 del Tribunale di Genova e, previa dichiarazione d’assenza di una qualsivoglia responsabilità di COGNOME per il decesso della sig.ra rigettare la domanda risarcitoria avanzata dagli eredi della sig.ra nei confronti dell’appellante e, per l’effetto, condannare gli appellati a restituire o rimborsare a quanto da quest’ultima a ciascuno già corrisposto a qualsivoglia titolo (risarcimento e spese di lite) in esecuzione della sentenza impugnata; In via subordinata:

nella denegata e non creduta ipotesi di rigetto, in tutto o in parte, dei motivi d’impugnativa I e/o II e/o III, in accoglimento dei motivi IV e/o V, riformare la sentenza n. 2769/2021 del Tribunale di Genova in punto di quantum e, previa rideterminazione in misura inferiore del danno liquidato in favore degli appellati, condannare questi ultimi a restituire o rimborsare alla struttura quanto da quest’ultima già corrisposto in loro favore in esecuzione alla sentenza di primo grado in eccesso rispetto a quanto dalla stessa effettivamente dovuto. In ogni caso:

– in accoglimento del VI motivo d’appello, in riforma della sentenza n. 2769/2021 del Tribunale di Genova, rideterminare in misura inferiore quanto dovuto in favore degli appellati a titolo di spese di lite e, per l’effetto, condannare questi ultimi a restituire o rimborsare a quanto dalla stessa già corrisposto a titolo di spese di lite in eccesso a quanto effettivamente dovuto.

In via istruttoria: disporre la rinnovazione e/o integrazione della ctu medica, non condivisibile nelle sue conclusioni.

In tutto con vittoria di spese ed onorari di causa di entrambi i gradi di giudizio”.

PER GLI APPELLATI:

“Voglia l’Ecc.ma Corte adita, disattesa ogni avversa domanda, istanza ed eccezione, accertare e dichiarare l’infondatezza, sia in fatto sia in diritto, per tutti i motiviesposti, del gravame proposto avverso la sentenza n. 2769/2021 del Tribunale di Genova e, per l’effetto, confermare integralmente la sentenza impugnata;

vinte le spese e le competenze professionali relative ad entrambi i gradi di giudizio”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., in proprio e quale erede, , al fine di sentirne accertare la responsabilità per il decesso della signora (rispettivamente coniuge, madre e sorella, nonché nonna di ), avvenuto in Rapallo il 18/08/2016, e ne chiedevano la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali iure proprio per la lesione del rapporto parentale, del danno non patrimoniale iure hereditario a titolo di danno terminale subito, in vita, dalla loro congiunta, nonché del danno patrimoniale. Deducevano di aver depositato ricorso ex art. 696 bis c.p.c. all’esito del quale era emerso che , affetta da steno-insufficienza di bioprotesi aortica, con necessità di intervento di risostituzione, in paziente già operato per analoga patologia, era deceduta per stato settico, esitato in insufficienza multiorgano, il tutto quale conseguenza di un danno iatrogeno conseguito al primo intervento e a infezione nosocomiale.

Si costituiva l (di seguito solo , contestando la domanda di cui chiedeva il rigetto, nonché la CTU resa in sede di ATP, insistendo per la rinnovazione delle operazioni peritali e per la redazione di un nuovo elaborato.

In via preliminare la resistente chiedeva dichiarare l’improcedibile e/o inammissibile la domanda svolta dalla signora stante la mancanza partecipazione al pregresso procedimento ex art. 696 bis c.p.c. né in alternativa aver esperito un tentativo di mediazione obbligatoria, avendo promosso direttamente l’azione di responsabilità medica nei confronti della struttura con il ricorso introduttivo del giudizio.

Chiedeva quindi con idonea istanza di poter chiamare in causa il dott. e la dott.ssa , quali sanitari che ebbero in cura la signora , dai quali chiedeva di essere manlevata e tenuta indenne in ipotesi di sua soccombenza.

Respinta dal Tribunale, con ordinanza datata 13/03/2019, l’istanza di autorizzazione alla chiamata in causa richiesta da nei confronti dei sanitari, e in considerazione dell’ampia capitolazione di prove richieste dai ricorrenti disponeva la conversione del rito da sommario di cognizione ad ordinario, fissando udienza ex art. 183 c.p.c. per il 17/05/2019.

A tale udienza, Tribunale dichiarava estinto il giudizio parzialmente, fra alla luce delle reciproche rinuncia e accettazione.

Sulla base di istruttoria di natura documentale, il Tribunale, con la sentenza impugnata, condannava “ in persona del legale rappresentante pro-tempore, a pagare:

in favore di € 304.007,00 a titolo di risarcimento danno non patrimoniale per perdita parentale, € 22.828,00 a titolo di risarcimento iure hereditatis del favore di , in proprio, € 160.000,00 a titolo di risarcimento danno non patrimoniale per perdita parentale, € 22.828,00 a titolo di risarcimento iure hereditatis del danno terminale patito da , € 70.000,00 quale genitore esercente la potestà sul minore , a titolo di risarcimento proprio del minore per perdita del rapporto parentale.

Sugli importi liquidati a titolo di danno non patrimoniale (già rivalutati al 2019 secondo la tabella di cui allo schema di motivazione) devono essere riconosciuti gli interessi di natura compensativa previa devalutazione fino alla data del sinistro (18 agosto 2016) e rivalutazione di anno in anno.

Sugli importi riconosciuti a titolo di danno patrimoniale in favore di spettano gli interessi legali dal dì di messa in mora al saldo.

Condanna in persona del legale rappresentante pro-tempore, a rifondere le spese sostenute nel procedimento di A.T.P. e nel presente giudizio dagli attori, che liquida in solido:

per la fase di A.T.P. in complessivi € 7.327,00 oltre aumento del 30% per ogni parte in più difesa (tre parti complessive) oltre esborsi vivi, rimborso spese forfettario al 15%, IVA e CPA, e spese di CTP documentate;

per il giudizio di merito in complessivi € 14.914,00 oltre aumento del 30% per ogni parte in più difesa (tre parti complessive) oltre esborsi vivi, rimborso spese forfettario al 15%, IVA e CPA.

Pone in via definitiva a carico di le spese della C.T.U. svolta in A.T.P., nella misura già liquidata”.

Ritenuta l’ammissibilità e la ritualità dell’acquisizione in giudizio della C.T.U. resa in sede di ATP, ritenuto insussistenti i presupposti per rinnovare, e per integrare la relazione di consulenza tecnica d’ufficio già in atti, escluso che i medici responsabili fossero litisconsorti necessari, in base al disposto dell’art. 9 e dell’art. 12 della L. 24/2017, il Tribunale richiamava integralmente il contenuto della predetta CTU per la quale:

-le scelte chirurgiche iniziali sembrano siano stati conformi alle consuete regole tecniche ed ai protocolli affermati dalla scienza medica in materia, seppure qualche dubbio si ipotizzabile nell’esecuzione dell’intervento nella tempestività della diagnosi della complicanza (difetto interventricolare), mentre dal punto di vista clinico e terapeutico, nella fase post intervento, sussistono criticità legate a fatti infettivi di sicura origine nosocomiale e sulle cure a ciò indirizzate, non giudicate adeguate a quanto si andava manifestando; -gli interventi svolti e le cure prestate in ambito sanitario sono stati quindi in parte non conformi, in relazione al loro tipo ed al tempo in cui furono adottati, e non del tutto tempestivi e conformi alle prescrizioni della scienza medica;

in particolare relativamente al trattamento della patologia , con necessità di prolungamento della degenza ospedaliera e aumento dei rischi a ciò connessi; – le prestazioni sanitarie da eseguire presentavano carattere di ordinaria difficoltà e routinarietà, tenuto conto dell’alta specialità della Struttura in cui avvennero;

-in merito alla lamentata infezione nosocomiale, la prima polmonite nosocomiale fu trattata in modo adeguato mentre la seconda infezione che ha colpito la Sig.ra non è stata trattata in modo adeguato, per tutto il periodo interessato, dai sanitari che hanno l’hanno avuta in cura;

-vi è un collegamento causale tra interventi terapeutici con danno iatrogeno derivato dal primo intervento chirurgico, infezione contratta in sede ospedaliera e suo non adeguato trattamento ed il decesso della Sig.ra , nei tempi e con le modalità in cui avvenne.

Affermava, quindi, il Tribunale che “Dalla lettura dell’ATP emergono il carattere routinario dell’intervento, il danno iatrogeno esitato al primo intervento chirurgico, il ritardo nella diagnosi del danno iatrogeno del primo intervento, l’urgenza del secondo intervento, e infine la contrazione di infezioni nosocomiali non adeguatamente trattate.

Il decesso della paziente si pone, in questo quadro, in nesso di causalità integrale ed esclusiva con l’inadempimento delle prestazioni mediche, in assenza di concause alternative o aggiuntive, e non residuano margini per valutare una pregressa e tale gravità di condizioni della paziente, da ridurre le sue aspettative di vita” (pag. 14 sentenza).

Riconosceva, quindi, le voci risarcitorie sopra indicate.

Avverso la sentenza ha interposto appello chiedendo la riforma della sentenza, con il rigetto dell’originaria domanda, o, in via subordinata, la riduzione del quantum di risarcimento.

In via istruttoria, ha chiesto la rinnovazione e/o integrazione e/o i chiarimenti dei CTU alla luce di quanto evidenziato in atti (primo e secondo motivo d’appello), stante i ritenuti errori e/o contraddizioni in cui sarebbero gli stessi, poi recepite in sede di sentenza del Tribunale di Genova.

Si sono costituiti in proprio sia quale esercente la potestà genitoriale (unitamente al signor ) sul figlio minore contestando integralmente, siccome infondate sia in fatto sia in diritto, tutte le allegazioni, deduzioni, domande ed istanze proposte nei loro confronti da parte di Con ordinanza del 15/11/2022, la Corte disponeva l’assunzione a chiarimenti, previo nuovo giuramento, dei consulenti già nominati in sede di ATP (Dott. , medico legale, e Prof. , professore di infettivologia), sul seguente quesito:

“Valutino i dedotta correttezza della terapia antibiotica messa in atto dai sanitari della struttura appellante durante la degenza della Sig. , prendendo posizione su tali argomentazioni e sulla, appunto, eventuale indicata adeguatezza della terapia antibiotica praticata, e pronunciandosi, altresì, sulle eventuali diverse soluzioni che sarebbero state terapeuticamente indicate e/o su quelle che siano state omesse in base alle linee guida e buone pratica accreditate dalla comunità scientifica e dicano se, alla luce di tali argomentazioni, ritengano o meno di confermare le conclusioni assunte nella CTU medico legale del 18/9/2018 relativamente alla sussistenza di collegamento causale, secondo un criterio di preponderante probabilità, fra i trattamenti sanitari cui è stata sottoposta la Sig. ed il decesso della stessa”. Con la stessa ordinanza venivano ammessi alcuni dei capitoli di prova dedotti dalla originaria parte ricorrente in memoria ex art. 183, 6 comma, n. 2 c.p.c. nel giudizio di primo grado in relazione alla prova del danno non patrimoniale.

Escussi testi e depositata la CTU, veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni.

Disposta la sostituzione dell’udienza di precisazione delle conclusioni con il deposito di note scritte contenenti le conclusioni definitive delle parti, ai sensi dell’art. 83, c. 7, lett. h), D.L. 18/2020, la causa è stata trattenuta in decisione con ordinanza del 26/06/2024, con concessione dei termini di legge per conclusionali e repliche

MOTIVI DELLA DECISIONE

Parte appellante ha articolato i seguenti motivi:

1) “Errate conclusioni in punto di responsabilità di per l’asserita inadeguatezza della profilassi antibiotica – Omessa e/o errata valutazione della documentazione medica agli atti – Superficialità ed erroneità delle conclusioni della ctu – Erroneità della decisione di rigetto dell’istanza di rinnovazione della ctu – Assenza di responsabilità di Censura la sentenza nella parte in cui ha affermato la responsabilità di in ragione della condotta dei suoi sanitari per l’inadeguata ed errata somministrazione di profilassi antibiotica e, dunque, per aver affermato che la signora sia stata sottoposta a terapie prolungate che non avrebbero giustificazione alcuna. Lamenta che non sia stata correttamente valutata la documentazione medica prodotta in atti relativa alla adeguatezza della somministrazione antibiotica praticata, e che non fosse stata erroneamente concessa la rinnovazione – integrazione della CTU resa in sede di A.T.P. anche alla luce di quanto affermato dal dott. ella relazione prodotta (doc. 7).

Riporta analiticamente in appello “germi multiresistenti” tenuto conto che l’unico germe multiresistente era lo Pseudomonas aeruginosa, presente ab inizio e, dunque, non selezionato da alcuna terapia.

La Vancomicina non era affatto posizionata come profilassi, bensì come terapia empirica, in virtù degli indici di flogosi elevati con emocolture negative e, insieme alla hanno mostrato efficacia sugli indici di flogosi.

La causa del decesso della sig.ra sia stata l’improvvisa invasione del torrente ematico da parte di un microrganismo ignoto in quanto mai isolato.

Il decorso clinico rapidamente ingravescente e resistente alla terapia antibiotica correttamente posizionata supporta la convinzione che si trattò di evento acuto legato, come detto, ad un fatto “nuovo” ovvero dall’improvvisa comparsa sistemica di un agente infettivo che andrà poi a sostenere lo shock settico responsabile del decesso della paziente.

2) Errate conclusioni in punto di responsabilità di per il manifestarsi dell’infezione nosocomiale – Omessa valutazione della documentazione prodotta da COGNOME – Errato richiamo giurisprudenziale in tema di infezioni ospedaliere – Assenza di motivazione circa il discostarsi dalle conclusioni dei ccttuu – Assenza di responsabilità di COGNOME.

Il Tribunale avrebbe errato nell’attribuire a la responsabilità per il manifestarsi dell’evento infettivo ritenendo che “l’adozione di protocolli astrattamente adeguati a prevenire infezioni non costituisc prova liberatoria da responsabilità”, sul presupposto che la tematica delle infezioni ospedaliere rappresenta un fenomeno sicuramente prevedibile poiché trattasi di una delle più comuni “complicanze” di ogni intervento chirurgico.

Erroneamente afferma il Tribunale che le infezioni del sito chirurgico sarebbero assolutamente evitabili.

Parte appellante afferma aver prodotto numerosa documentazione a dimostrazione del suo corretto operato e dell’ottemperanza alle prescrizioni ministeriali per eliminare le possibili fonti di infezione.

Il Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi per l’adempimento di al proprio onere probatorio e così per l’assenza di una sua propria responsabilità quanto al manifestarsi della problematica infettiva, avendo posto in essere tutto quanto necessario e prescritto dalla legge al fine di evitarla.

3) Inadempimento avversario al proprio onere probatorio – Violazione dell’art. 2697 c.c. – Omessa prova del nesso causale – Causa ignota – Assenza di responsabilità di Afferma parte appellante che la causa della morte della signora è dipesa da un evento settico acuto e improvviso, rispetto al quale, proprio in ragione dell’improvvisa sua.

Il danneggiato, ribadisce l’appellante, è tenuto a provare non solo l’errata condotta medica ma anche il nesso di causalità intercorrente tra quest’ultima e le lesioni sofferte.

*** I motivi di cui sopra possono essere esaminati congiuntamente fra loro in quanto strettamente connessi, attenendo all’accertamento della causa della morte della Sig. e dell’inadempimento ai propri obblighi terapeutici della struttura sanitaria appellante.

Essi ad avviso della Corte sono infondati, meritando conferma, anche alla luce dell’istruttoria svolta in questa sede, le argomentazioni e conclusioni del Tribunale.

In primo luogo, si osserva che la Corte di Appello ha accolto l’istanza istruttoria della parte appellante di chiamata a chiarimenti dei CTU nominati in sede di ATP (non si tratta quindi come afferma parte appellante in conclusionale di un nuovo collegio peritale), istanza formulata nel giudizio di primo grado ( ma non ammessa dal primo giudice), al fine di consentire di valutare, alla luce della relazione medica prodotta appunto nel giudizio di merito (doc. 7 Dott. la correttezza o meno dell’operato dei sanitari della struttura appellante con riferimento alla somministrazione terapeutica, ed in specie antibiotica, sostenuta da ed anche quindi di instaurare un contraddittorio tecnico su tali nuove argomentazioni. L’esito degli accertamenti peritali effettuati in questa sede ha condotto alla conferma del giudizio già espresso dal Collegio peritale, già nominato in sede di ATP (composto come si è detto da medico legale e specialista infettivologo) relativamente all’accertato contributo causale tra gli interventi terapeutici con danno iatrogeno derivato dal primo intervento chirurgico, l’infezione contratta in sede ospedaliera e il suo non adeguato trattamento ed il decesso della Sig. , nei tempi e nelle modalità con cui avvenne (cfr. al riguardo penultima pagina della CTU in ATP, cui peraltro nulla ha controbattuto il ctp di nominato in quel procedimento Dott. ) . Ed invero sono emersi sia dalla suddetta CTU, richiamata dal primo giudice a fondamento della condanna dell’allora convenuta, che dai chiarimenti resi nel presente giudizio di appello i seguenti dati:

-quanto al primo intervento chirurgico eseguito il 18/5/2016, ossia l’intervento di sostituzione valvolare aortica mediante protesi biologica di analogo intervento eseguito nel 2001 (allorchè la Sig. aveva 53 anni ed in cui la sostituzione era avvenuta con impianto di bioprotesi stenless Freestyle #19, assai probabilmente per la presenza di un anulus manovre di decalcificazione dell’anulus aortico, a livello delle cuspidi coronarica dx e non coronarica, eseguite in maniera estesa (forse troppo), hanno portato all’assottigliamento del sottostante e contiguo setto membranoso, nella sua porzione atrio ventricolare o interventricolare, si tratta di una complicanza nota e ben segnalata in bibliografia. Nei giorni successivi (il 23.5.) il setto membranoso si è poi definitivamente lacerato, causando il difetto segnalato (pag. 16 CTU primo grado).

Ne è conseguito un danno cardiaco iatrogeno (DIV) che determinò scompenso cardiaco grave, e necessità di reintervento, con prolungamento della degenza;

-vi fu, poi, ritardo diagnostico di due giorni per la diagnosi della complicanza iatrogena, posto che la complicanza poteva essere identificata o sospettata prima, mediante auscultazione toracica ed identificazione del nuovo soffio, circostanza che determinò la necessità dell’esecuzione del secondo intervento in urgenza;

-la comparsa di infezione nosocomiale insorta a seguito della inadeguata terapia antibiotica praticata, ed in particolare:

1) l’iniziale prolungato trattamento con , che non ha giustificazione alcuna (ad es. fino al 29.5), in quanto la letteratura indica che la profilassi di infezione di ferita chirurgica e tessuti sottostanti con glicopeptidi in caso di intervento cardiochirurgico non superi le 48h (cit.), risultando incongruo il protrarsi della profilassi oltre il 27.5.

Tenuto conto che trattasi di paziente anziano, con ridotta funzione renale e polmonite da MRSA (rectius MRS come precisato dai CTU nelle risposte alle osservazioni delle parti), era da preferire il linezoid;

2) tale valutazione di erronea condotta procedurale si riferisce a:

a) la somministrazione isolata di un fluorochinolone attivo su Gram negativi con bassa barriera genetica ed elevato potere di induzione di resistenze (ciprofloxacina) per ben 3 giorni, aggiunta il 29/5, b) la scelta di non iniziare in contemporanea un trattamento per stafilococchi meticillino-resistenti e c) la scelta di non somministrare, fin dall’inizio, nessun antibiotico attivo su cocchi Gram positivi meticillin-sensibili.

I germi che con maggiore frequenza determinano polmoniti nosocomiali postchirurgiche sono infatti Stafilococchi (sia MR che MS) e batteri Gram negativi (Pseudomonas Enterobacter Serratia Klebsiella);

3) in seguito, nel decorso clinico compaiono esami colturali su sangue e BA positivi per germi Gram negativi multiresistenti, la cui selezione è certamente stata facilitata dalla somministrazione di Ciprofloxacina fino al 7/06.

Al momento degli eventi, le linee guida di trattamento delle polmoniti nosocomiali in pazienti settici escludevano la somministrazione (DOI: 10.1097/CCM.NUMERO_CARTA).

4) con riferimento alla effettiva sospensione della terapia antibiotica fra il 7.6 e 13.6 quando avrebbe proseguito terapia con Fluconaziìolo per l’isolamento di C.albicans su BA, il comportamento prescrittivo antinfettivo è stato ritenuto non congruo.

Infatti la C.albicans su BA rappresenta una colonizzazione senza malattia invasiva.

La infatti nei pazienti non immunosoppressi non determina praticamente mai polmonite e pertanto non necessita di trattamento;

5) il 13.6 risulta positiva un’emocoltura (set) per S.hominis (MRSE) con successivo inserimento in terapia di Linezolid e Merrem a dosaggi più che adeguati per una donna di circa 44kg in nutrizione parenterale.

Vennero eseguiti broncoaspirati di sorveglianza negativi, fino al 24.6 uando fu isolato un ceppo di S.maltophilia, ed il 13.7.16, quando fu isolato un ceppo di Pseudomonas aeruginosa multiresistente con resistenza ai carbapenemi quali il , fino ad allora utilizzato senza interruzione dal 15.6.16 , ma anche ai beta lattamici ai quali risultava allergica, i fluorochinoloni ed agli aminoglicosidi (tranne Amikacina).

6) emendabile è stato ritenuto il passo della relazione prodotta da parte attrice/appellante che ribadisce che per l’isolamento di MRSA su emocoltura e Stenotrophomonas maltophilia la terapia con Meropenem e fosse “mirata” e pertanto corretta.

Le motivazioni di osservazione al riguardo nascono dalla tipologia del germe e dalle sue caratteristiche.

Affermano i CTU che Stenotrophomonas maltophilia è certamente un bastoncino Gram negativo.

Si tratta di un patogeno poco invasivo, che affiora in pazienti che hanno ricevuto un prolungato trattamento antibiotico o che hanno ricevuto un troppo prolungato trattamento o che, oltre al trattamento eccessivamente prolungato ed indipendentemente dalle motivazioni che hanno giustificato tale trattamento si trovano in condizioni di ridotte difese immunitarie naturali.

E’ altresì noto che la presenza di S. maltophilia su BA, in assenza di una clinica indicativa di polmonite con febbre rappresenta una semplice colonizzazione senza causa di malattia.

Aggiungono “Al momento dell’isolamento di S. maltophilia la paziente aveva una batteriemia da MRSA, in assenza di chiari nuovi focolai broncopneumoici.

L’isolamento di S. maltophilia su BA in assenza di isolamenti dal sangue o di polmonite ed isolamento profondo del germe segnala una colonizzazione superficiale da germe, ed indica la necessità di ridurre il trattamento antibiotico non necessario.

Par il cui trattamento in elezione si avvale, se possible, di trimetoprim/sulgfametossazolo o di fluorochinoloni, non certo di meropenem, che invece venne utilizzato in tale occasione con dicharazione di “mirata”.

La presenza di un saggio in vitro di sensibilità a meropenem (antibiogamma) non indica l’indicazione “mirata” per S.maltophilia.

In caso di utilizzo di meropenem, tale impiego implica un ulteriore danno ad ampio spettro ad una flora batterica già compromessa (segnalato dal prolungato trattamento antibiotico fino a quel punto e dall’emergenza di colonizzazione da S.maltophilia) e favorisce la ulteriore seleione di Gram negativi resistenti.

Quest’ultimo evento poi si manifestò effettivamente in seguito il 17.7 con un ceppo resistente al Meropenem” (pag. 24 CTU);

7) dopo il primo episodio di polmonite, trattato adeguatamente con miglioramento del quadro clinico, successivamente venne instaurata terapia con carbapenemi il 15.6 e protratta fino al 15.7 in assenza di evidenti segni di infezione d’organo ma solo di S.maltophilia (peraltro resistente a merrem e pure a linezolid);

8) “L’isolamento di leuconostoc, un lattobacillo coccoide-ovalare, opportunista molto raro in patologia umana, che determina infezioni in pazienti immunocompromessi, in pazienti con neoplasie dsolide o infezioni collegate ad infezione di cateteri vascolari, e che ha una resitenza intrinseca alla vancomicina e ridotta sensibilità alla penicilina, ribadisce nuovamente come il trattamento prolungato con antibiotici (in questo caso la vancomicina) avesse selezionato la crescita di un germe resistente.

Il trattamento con Daptomicina era indicato, mentre il proseguire del trattamento con meropenem non aveva indicazione alcuna (vedi sopra) , come pure non aveva indicazione la somministrazione di metronidazolo dal momento che il meropenem in ogni caso ha uno spettro di attività sui batteri anaerobi pari al metronidazolo.

Inoltre non vi erano motivi per intensificare il trattamento antibiotico in quel momento, ed eventualmente sarebbe stato necessario semplificare somministrando solo la daptomicina Il trattamento di P. aeruginosa con polmonite nosocomiale fu adeguato dal 15.7.

al 6.8.16 (quando fu reintrodotto e sospesa colistina, anche in relazione alla funzionalità renale).

” (pag. 25);

9) dal 13/7 fa la sua comparsa una Pseudomonas aeruginosa, produttrice di carbapenemasi, per la quale al tempo non erano disponibili farmaci direttamente attivi.

Fu iniziata terapia con colistina da sola, sospendendo meropenem, e poi il meropenem venne iniziato nuovamente a fine luglio, quando era presente polmonite da P.aeruginosa ceppi produttori di carbapenemasi di origine nosocomiale che poi determinano infezioni con elevata mortalità.

L’impiego di terapia continuativa per tutti i giorni della degenza con glicopeptidi e fluotochinoloni, e poi con carbapenemi ha facilitato e determinato la colonizzazione del germe nosocomiale di P. aeruginosa.

I CTU hanno concluso, nel ribadire le precedenti conclusioni (pag. 25 e segg. CTU) che “vi furono episodi di pratica clinica emendabile, sia da un pdv chirurgico sia clinico, come i germi che hanno determinato le infezioni fossero appunto “ospedalieri” multiresistenti e pertanto contratti ed acquisiti in ospedale, come il trattamento per gli stessi non fu esente da rilievi e come appunto la modalità prescrittiva abbia contribuito all’acquisizione di ulteriori germi (Leuconostoc, S.maltophilia) da immunosoppressione e prolungato trattamento antibiotico, è poi noto come l’acquisizione dei germi multiresistenti ospedalieri avvenga, con elevata probabilità e documentazione in ambito nosocomiale dalle mani degli operatori, dalle suppellettili, dagli strumenti ed in generale dall’ospedale e dal personale”. I CTU hanno risposto adeguatamente ed esaustivamente alle osservazioni dei ctp nominati in questa sede (dovendo fin da ora mettersi in rilievo, come da essi evidenziato nella risposta alle osservazioni, l’errore di battitura cui sono incorsi i CTU nell’indicare, riguardo la sepsi da Gram positivi che insorse durante la degenza la definzione di MRSA, posto che è chiaro che il germe isolato era comunque un S. hominis ed era Meticillino-Resistente, ed era ad acquisizione nosocomiale come indicato e considerato in relazione, ossia MRS), particolarmente in merito all’assunto dei ctp inerenti l’assenza di P. aeruginosa, posto che “Circa l’assenza di polmonite da P.aeruginosa, si dissente con evidenza nei fatti dalle affermazioni fatte dai Ctp, infatti la diagnosi di Polmonite da P.aeruginosa viene scritta in cartella e si può trovare a pagina 2 di 960 confermata dai curanti. Per quanto riguarda la setticemia da P.aeruginosa ,che risulterebbe assente secondo i CCTTPP, si richiama l’attenzione a quando indicato in epicrisi di cartella clinica il 18.8.2016 in cui vengono dichiarate e certificate emocolture positive per pseudomonas aeruginosa.

Si allegano alla relazione di CTU pagine della cartella al proposito.

(pag. 33 CTU).

Parimenti, affermano che “La paziente, all’inizio del decorso clinico non aveva una Pseudomonas aeruginosa.

La prima evidenza di una Pseudomonas aeruginosa da broncoaspirato dimostra acquisizione ospedaliera del germe.

Tale acquisizione è poi confermata stabilmente in corso di polmonite da Pseudomonas aeruginosa (polmonite accertata in quanto definita dai curanti e inserita nell’impianto diagnostico conclusivo) e P.aeruginosa dai curanti” (pag. 34).

Quanto alla causa del decesso, a conclusione delle lunghe e dettagliate valutazioni espresse dai CTU, esso è dovuto, ed stato ricondotto, a stato settico, esitato in insufficienza multiorgano, quale conseguenza di danno iatrogeno (DIV) prodotta dal primo intervento e necessità di ulteriore intervento chirurgico, con necessità di prolungamento della degenza, e successiva infezione nosocomiale, di cui sopra indotta ed largamente facilitata dall’inadeguato trattamento terapeutico.

Le affermazioni dei CTU consentono, quindi di superare i motivi di appello relativi alla causa ignota del decesso, così come quelli inerenti al rispetto dei protocolli in materia di infezioni ospedaliere, posto che nel caso in esame la contrazione dell’infezione, di natura certamente nosocomiale, è stata ricondotta e facilitata dall’inadeguatezza e inidoneità delle terapie farmacologiche somministrate alla paziente durante il prolungamento della degenza ospedaliera.

4) Errata quantificazione del danno iure hereditatis – errata decorrenza del predetto danno dal 30 luglio 2016 – Errato conteggio – Rideterminazione e riduzione del risarcimento;

Il Tribunale avrebbe errato nella determinazione del danno iure hereditatis sia per quanto riguarda l’indicazione dei 19 giorni di lucida agonia;

sia quanto al conteggio del risarcimento:

sotto il primo aspetto il primo giudice ha ritenuto di far decorrere il predetto danno dal 30 luglio 2016, ossia dal momento del trasferimento della paziente in terapia intensiva fino al 18 agosto 2016, giorno del decesso, ossia 19 giorni di lucida agonia.

Afferma parte appellante che dal diario clinico (cfr doc. 4 ATP) risulta che la sig.ra una volta trasferita in terapia intensiva, fosse per la maggior parte del tempo sedata e, dunque, non in grado di percepire l’imminente fine della propria vita:

per il periodo dal 1 agosto al 5 agosto, la paziente era sedata, così come lo era ancora in data 9 agosto.

In data 16 agosto la sig.ra era “soporosa non contattabile” e nei giorni successivi fino al decesso sempre sedata.

I giorni di lucida agonia al più potevano essere 9 decorrenti dal 5 agosto.

L’assunto è infondato.

Nel periodo in questione la Sig. non è stata sempre sedata, circostanza che tra l’altro di per sé non esclude la consapevolezza della propria condizione, risultando dal diario clinico le seguenti evidenze:

il 1/8 sedata;

il 2/8 stabile nella notte;

il 3/8 sedata;

il 4/8 sedata;

/8 sedata;

l’11/8 stabile;

il 12/8 stabile, il 13/8 stabile vigile, collaborante, intubata, ventilata;

il 14/8 stabile, h. 18 tranquilla, vigile, collaborante;

il 15/8 sospesa sedazione, vigile collaborante;

il 16/8 orientata, ha lamentato tutta la notte dolore, poi viene soporosa e non contattabile nel pomeriggio;

il 17/8 dispnea e atti respiratori inefficaci.

Poi il decesso.

Può trovare, quindi, conferma che il periodo in cui la paziente restò vigile, cosciente e collaborante, pur se talvolta sedata, ed assistette al progressivo peggioramento delle proprie condizioni di salute coincide col periodo decorrente dal trasferimento in terapia intensiva dal 30 luglio 2016 al 18 agosto 2016.

Afferma, poi, parte appellante, che in base a quanto sostenuto dal Tribunale di Genova, si tratterebbe di 19 giorni di lucida agonia (determinanti un risarcimento pari ad euro 45.656,00).

Il Tribunale sarebbe incorso in errore nel conteggio liquidato a titolo di danno iure hereditatis.

Precisamente, se correttamente è stato individuato l’importo per i primi 3 giorni in euro 30.000,00, alla luce dei valori tabellari decorrenti dal quarto giorno fino al sedicesimo giorno (19 giorni totali meno i primi 3 giorni = 16 giorni residui) sarebbe evidente l’errore in cui è incorso il Tribunale nella quantificazione del predetto danno chiaramente eccessiva rispetto al dovuto.

Il motivo risulta ai limiti della inammissibilità, in ragione della mancata chiara ed esplicita articolazione del quantum che, a dire dell’appellante, sarebbe eccessivo, e in ogni caso appare infondato, posto che il conteggio effettuato dal Tribunale sulla base delle tabelle di Milano e specificato a pag. 17 della sentenza non risulta effettuato per eccesso (risultando per contro l’esatto calcolo maggiore rispetto a quello riconosciuto dal Tribunale, ed in particolare euro 46.581,00 per 16 giorni ulteriori ai primi tre, in luogo di euro 45.656 riconosciuti). 5) Errata determinazione del danno iure proprio – Omesso adempimento avversario al proprio onere probatorio – Rideterminazione e sua necessaria quantificazione in misura inferiore;

Il Tribunale di Genova quanto al danno iure proprio in favore degli appellati avrebbe errato nel riconoscerlo e nel determinarlo in relazione, in assenza della prova di quel rapporto di affetto, di reciproco affidamento e/o di frequentazione che, nel sentire comune e al di là di riscontri puramente anagrafici, rappresenta il proprium del rapporto parentale.

Il motivo è infondato.

Il danno rivendicato e riconosciuto è il danno non patrimoniale iure proprio:

ossia la lesione Il danno da perdita del rapporto parentale certamente non è un danno in re ipsa (come correttamente dedotto da parte convenuta) ma è pur sempre presuntivo.

Nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello) l’orientamento unanime della Cassazione è che l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, essendo tale conseguenza, per comune esperienza, connaturale all’essere umano (così Cass. Civ. Terza Sezione, n. 11212 del 24/04/2019, Cass. Civ. terza Sezione n. 31950 dell’11/12/2018 La sua liquidazione deve avvenire in base a valutazione equitativa ai sensi degli art. 1226 e 2056 cod. civ., tenendo conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza (quali ad es. le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti ecc.). E nel caso in esame, trattandosi principalmente di stretti congiunti (moglie e figli) la sussistenza del vincolo affettivo va presunta ex art. 2729

cod. civ., potendo desumersi, dal fatto noto del rapporto di genitorialità e coniugio, il fatto ignoto del patimento di natura non patrimoniale sofferto dagli attori in conseguenza della morte del loro caro.

In merito alle modalità di liquidazione di tale tipologia di danno, la Corte di Cassazione si è espressa nel senso che (Cass. Civ. Sez. III 30/8/2022 n. 25541) “Come noto, a fronte della morte o di una gravissima menomazione dell’integrità psicofisica di un soggetto causata da un fatto illecito di un terzo, il nostro ordinamento riconosce ai parenti del danneggiato un danno iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, per la sofferenza patita in conseguenza all’irreversibile venir meno del godimento del rapporto parentale con il congiunto. Tale voce risarcitoria intende ristorare il familiare dal pregiudizio subito sotto il duplice profilo morale, consistente nella sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare a causa dell’impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare, e dinamico- relazionale, quale sconvolgimento di vita destinato ad accompagnare l’intera esistenza del soggetto che l’ha subita (Cass. civ. sez. III n. 28989 dell’11 novembre 2019).

Quanto alla prova del danno, non v’e’ dubbio che, in linea generale, spetti alla vittima dell’illecito altrui dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa e, dunque, l’esistenza del pregiudizio subito:

onere di allegazione che in alcuni casi potrà essere soddisfatto anche ricorrendo a presunzioni semplici e massime di comune esperienza.

Ebbene, nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), è superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e, di norma, connaturale all’essere umano (Cass. civ. sez. III n. 11212 del 24 aprile 2019; Cass. civ. sez. III n. 31950 dell’11 dicembre 2018; Cass. civ. sez. III n. 12146 del 14 giugno 2016).

Naturalmente, trattandosi di una praesumptio hominis sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. civ. sez. VI – 3 n. 3767 del 15 febbraio 2.018)”.

Ciò è quanto ha fatto il Tribunale.

Quanto al nipote la giurisprudenza ha sostenuto da tempo che anche tale rapporto affettivo è meritevole di tutela giuridica, anche in difetto di convivenza (in questi termini, Cass. 7743/20).

Del resto, è fin troppo noto che, nella società odierna, i genitori, assorbiti da ritmi di vita e lavorativi sempre più incalzanti, sempre più spesso affidano i figli alle cure dei nonni che, quindi, assumono una posizione di preminenza nella crescita e nella serenità dei nipoti.

Secondo la giurisprudenza più recente (Cass 21230/16), quindi, lo stretto vincolo di parentela tra nonni e nipoti fa presumere la sussistenza del danno non patrimoniale.

Spetterà al debitore dimostrare che nonno e nipote non si frequentavano, o non si amavano, o non si parlavano, e via dicendo.

In difetto, deve essere riconosciuto il risarcimento del danno.

In ogni caso la Corte, alla luce dello specifico motivo di cui sopra, ha ritenuto di espletare le prove orali dedotte.

I testi amici, vicini e parenti delle parti appellate e della Sig. hanno confermato il grande affetto, l’affiatamento e le passioni comuni esistenti fra i coniugi (passeggiate in montagna e riviera, balli, sagre paesane), nonché in particolare l’amore che legava nonna e nipote, la loro frequentazione assidua e l’accudimento della nonna verso il nipote.

Pertanto, anche alla luce delle prove raccolte, e quindi di quanto emerso in ordine alla frequentazione, convivenza, qualità delle relazioni ed intensità del vincolo affettivo, possono essere confermati gli importi liquidati dal Tribunale alla luce dei parametri anche numerici indicati dalle Tabelle di Roma.

6) Errata determinazione delle spese di lite liquidate in favore degli eredi – Errato incremento del 30% – Rideterminazione e riduzione dell’importo dovuto.

impugna altresì la sentenza del Tribunale di Genova laddove ha liquidato le spese di lite con incremento del 30% in ragione della difesa di più parti, non sussistendo ragioni riconoscere detto incremento, ciò nondimeno – afferma – l’applicazione di detta maggiorazione per l’assistenza e difesa richiede specifica motivazione che non può essere limitata all’affermazione di una difesa per più partiche la difesa ha riguardato più parti, trattandosi, tra l’altro, di posizioni analoghe per le quali non era richiesta alcuna differente difesa. Il motivo è infondato.

Rileva la Corte che, seppure lo scaglione indicato dal Tribunale come applicato (ossia quello tra euro 500.000,00 ed euro 1.000.000,00) sia errato – aspetto peraltro non censurato da parte appellante – poichè (come affermato di recente da Cass. n. 10367/2024) le domande proposte da più attori contro un solo convenuto (litisconsorzio facoltativo attivo) non si sommano tra loro ( sono cumulate soltanto dal lato soggettivo, e vanno ritenute fra loro distinte ed autonome, anche agli effetti della liquidazione degli onorari, dovendo il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese processuali parametrarsi quello della domanda di valore più alto), – va considerato che il Tribunale ha valutato quale compenso su cui effettuare l’aumento del 30% quello di euro 14.914,00, somma che risulta inferiore ai valori medi dello scaglione inferiore (che risulta essere euro 21.387,00). Tanto premesso, l’aumento del 30% , come efficacemente esplicitato nella sentenza della Corte Suprema summenzionata, inerente ad un caso analogo ( vittime del medesimo fatto illecito che domandino il ristoro di danni), è riconoscibile anche per causa che possono differenziarsi solo nel quantum:

“l’avvocato che assiste più parti aventi la medesima posizione processuale ha diritto ad un solo compenso, ma maggiorato ex art. 4, comma 2, d.m. 55/14, anche quando le pretese dei suoi assistiti siano esattamente coincidenti;

la difesa di più parti, infatti, anche nel caso di identità di pretese comporta pur sempre l’onere di raccogliere plurime procure, fornire plurime informazioni, compilare plurime anagrafiche, ecc.;

b) la suddetta maggiorazione è obbligatoria per le prestazioni professionali concluse dopo il 23.10.2023, facoltativa per quelle concluse prima;…).

Se le pretese dei vari assistiti sono diverse, a base del calcolo va posto il compenso che si sarebbe dovuto comunque liquidare per una sola parte, maggiorato del 30% per i primi dieci clienti.

Nel caso di specie, pur essendo le prestazioni anteriori al 23/10/2023, per le quali l’aumento poteva quindi essere effettuato “di regola”, il Tribunale ha nella sua discrezionalità ritenuto di applicare l’aumento che, alla luce di quanto affermato dalla Corte Suprema e della diversità delle singole posizioni anche ai fini risarcitorie, può trovare conferma.

aggiornato, secondo lo scaglione sopra indicato (da euro 260.000,00 a euro 520.000,00), e con la medesima maggiorazione del 30%, operata dal Tribunale.

Le spese di CTU della presente fase di gravame vanno poste in via definitiva a carico di Si ravvisano i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

definitivamente pronunciando nella causa d’appello contro la sentenza n. 2769/2021 del 22/12/2021 del Tribunale di Genova, R.G. 14163/2018, così provvede:

-respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;

-condanna parte appellante alla rifusione in favore delle parti appellate , in proprio sia quale esercente la potestà genitoriale sul figlio minore delle spese del grado che liquida in euro 13.000,00, oltre aumento del 30% per ogni parte in più difesa (tre parti complessive), oltre spese forfetizzate, iva e cpa;

-pone in via definitiva le spese di CTU a carico di Si dà atto, in ragione del rigetto dell’appello, della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.

Genova, 22/10/2024 IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE Dott.ssa NOME COGNOME Dott.

NOME COGNOME

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