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Codice Civile
Codice Penale

Responsabilità medica per errore diagnostico e tardivo trattamento

La sentenza afferma la responsabilità della struttura sanitaria e del medico per i danni subiti da un paziente a causa di un errore diagnostico e del ritardo nel trattamento. Viene riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni jure hereditatis agli eredi del paziente deceduto e il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale al coniuge e ai figli. La decisione si basa sul principio della compensatio lucri cum damno e sull’orientamento giurisprudenziale in tema di danno da premorienza, con particolare attenzione al criterio della proporzionalità nella liquidazione del danno.

Pubblicato il 21 August 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 10136/2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA TERZA
SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._2295_2024_- N._R.G._00010136_2019 DEL_05_08_2024 PUBBLICATA_IL_06_08_2024

nella causa civile di I grado iscritta al r.g. 10136/2019 promossa da: , in proprio e quali eredi di rappresentati e difesi dagli Avv.ti COGNOME NOME e COGNOME NOME ATTORI contro , rappresentata e difesa dagli Avv. ti COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME NOME CONVENUTI Conclusioni Le parti hanno concluso come da verbale d’udienza del 6.2.24 ovverosia richiamando il verbale del 29.06.2023 e, pertanto:

Parte attrice come da note di trattazione scritta dell’11.02.22 per l’udienza del 17.02.2022 :
“Voglia l’Ill.
mo Tribunale adito, ogni contraria istanza od eccezione disattesa e reietta, accertare e dichiarare che l’ e la Dott. ssa NOME COGNOME sono responsabili, a titolo di responsabilità contrattuale ovvero in subordine extracontrattuale, dei danni patiti dal Sig. relazione ai fatti per cui è causa, nonché dei danni patiti dalla moglie Sig.ra e dai figli Sigg.ri condannare l’ e la Dott. ssa NOME COGNOME in solido ovvero individualmente ciascuno per le proprie responsabilità, al risarcimento di tutti i danni cagionati al Sig. nonché alla Sig. ra , al Sig. e al Sig. sia in proprio che quali eredi del Sig. oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal 15/7/2013 alla data dell’effettivo saldo. Con vittoria di spese e compensi…”;

Parte convenuta, Dott.ssa NOME COGNOME come da note di trattazione scritta del 11.02.2022 per l’udienza del 17.02.2022 in cui si riporta sostanzialmente alle conclusioni precisate in comparsa di costituzione e risposta e, inoltre, si chiede di accogliere l’istanza formulata in udienza 16.2.23 per la rinnovazione della CTU con la nomina di un terzo Collegio o, in subordine, che lo stesso Collegio venga integrato con uno specialista epilettologo;

Parte convenuta, precisa le conclusioni nel merito chiedendo il rigetto integrale di tutte le avverse pretese con condanna alle spese di lite, in via istruttoria chiede di accogliere l’istanza formulata in udienza 16.2.23 per la rinnovazione della CTU con la nomina di un terzo Collegio o, in subordine, che lo stesso Collegio venga integrato con uno specialista epilettologo.

Concisa esposizione delle ragioni di fato e di diritto della decisione.

1. Con atto di citazione il Sig. , in proprio e in qualità di amministratore di sostegno dei Sig.ri , ha convenuto, innanzi all’intestato Tribunale, e la Dott.ssa NOME al fine di veder accolte le seguenti conclusioni nel merito:

“Piaccia all’Ill.mo Giudice adito, contrariis reiectis, previe declaratorie del caso, se d’occorrenza anche incidenter tantum, ed i provvedimenti istruttori meglio visti e ritenuti:
a) Accertata l’imprudenza, l’imperizia e negligenza della dott.ssa NOME COGNOME per l’errore di diagnosi commesso all’epoca in cui il veniva ricoverato d’urgenza all’Ospedale *** nel novembre dell’anno 2012;
b) Accertato il grave danno cagionato alla persona del per “l’errore di diagnosi” protrattosi oltre un anno e mezzo nel susseguirsi dei ricoveri Ospedalieri eseguiti presso la Struttura dell’ clinica Neurologica, nonché Ospedale *** di Asl di ove in seguito ai ricoveri per arresto cardiaco il veniva inviato sempre all’unità Neurologica stante la diagnosi di epilessia sempre confermata per oltre un anno dalla dottoressa NOME COGNOME;
c) Accertate le responsabilità delle Strutture Ospedaliere per quanto accaduto in danno del che per l’errore di diagnosi e per l’errore nelle cure somministrate, lo stesso perdeva l’uso della motorietà restando su di una sedia a rotelle, non poteva più alimentarsi autonomamente e oggi è portatore di peg;
accertato il danno neurologico cagionato dall’errore di diagnosi, tenuto conto che oggi il non ha più le facoltà mentali di un tempo e precisamente ha perso la memoria del presente, dimentica tutto ciò che accade dopo meno di 10 minuti che lo ha vissuto;
non ha più ricordi del presente, ma solo in parte quelli del passato;
d) accertato il nesso di causalità tra l’errore di diagnosi e i danni cagionati al sig.
e) condannare le nonché la dott.ssa NOME COGNOME in solido e/o ognuna per le proprie responsabilità che verranno determinate nel corso del giudizio al risarcimento del danno biologico, danno morale, danno esistenziale, danno da relazione, danno da sfera sessuale, danno da prospettiva di vita nonché danno per le spese occorrenti per una idonea assistenza infermieristica a domicilio specificata nelle varie voci nelle precedenti pagine determinata nell’importo complessivo di euro 2.963.133,00 oltre il danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. che il giudice vorrà determinare e quantificare secondo equità oltre interessi, legali, compensativi e rivalutazione monetaria dal fatto al soddisfo; f) Accertato il grave danno iure proprio cosidetto danno riflesso cagionato ai familiari del ossia alla moglie che si è vista sottrarre un marito giovane come il e ai figli che hanno perso la figura paterna di riferimento;
g) Condannare le strutture , nonché la dott.ssa NOME COGNOME in solido e/o ognuno per le proprie responsabilità che saranno determinate nel corso del giudizio, al risarcimento del danno iure proprio, “danno riflesso” cagionato alla signora che si quantifica nella somma di euro 500.000,00 danno per la perdita della vita familiare, perdita della figura maritale, perdita di una vita serena, perdita della sfera sessuale con il proprio marito, perdita di una vita propria avendo il dovere di proteggere e assistere il marito per sempre;
h) Condannare nonché , ognuna per le sue responsabilità o in solido tra loro al risarcimento del danno iure proprio, “danno riflesso” in favore dei figli dell’importo di euro 350.000,00 cadauno per essere stati privati per sempre di un padre.
Per essere stati privati della loro famiglia e per aver perso per sempre la serenità dovendo assistere ogni giorno il padre che non può più deambulare e ha perso non solo la capacità motoria ma anche quella neurologica non essendo più nelle sue facoltà mentali.
I)
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio”.

In particolare, gli attori lamentano:

Danni non patrimoniali e patrimoniali subiti dal Sig. per effetto di errore diagnostico, e nelle conseguenti cure somministrate, commesso dalla Dott.ssa NOME COGNOME nell’accertamento delle problematiche affliggenti il Sig. In data 23.11.2012, infatti, il Sig. veniva ricoverato d’urgenza presso l’Ospedale Maggiore Asl di presso la divisione di neurologia, per verosimile episodio comiziale con fase post-critica e, poi, dimesso con diagnosi crisi epilettica focale con secondaria generalizzazione.

In data 20.02.2013 veniva inviato all’ in RAGIONE_SOCIALE per una crisi focale e dimesso l’01.03.2013 con diagnosi di anomalie non specificate del cervello del midollo spinale e del sistema nervoso.

Da esame ecocardiografico eseguito, poi, presso il Policlinico risultava affetto da cardiopatia ipertensiva.

In seguito a nuovo arresto cardiaco, in data 15.07.2013, veniva ricoverato presso l’ per episodio di arresto cardio respiratorio, trasferito in rianimazione e ricoverato all’Unità Neuro riabilitativa con prognosi riservata.

Il Sig. veniva dimesso in data 05.09.2013 in affidamento al coniuge per fkt domiciliare ma solo dopo tre giorni veniva nuovamente ricoverato d’urgenza presso l’ Terapia Intensiva Coronarica per perdita di coscienza ab- ingentis e gli veniva impiantato un defibrillatore intracardiaco monocamerale.

Le condizioni di salute del Sig. tuttavia, con le cure prescritte per epilessia nel reparto di Neurologia, peggioravano.
In data 10.01.2014 veniva ricoverato presso l’ nella Unità Cardiologica per storm aritmico da fibrillazione ventricolare in pz con pregresse crisi comiziali ed esiti di coma post anossico e poi dimesso in data 06.02.2014 con la seguente diagnosi:
“Si ritiene che gli episodi parossistici presentati dal pz siano di origine cardiogena, mentre non vi è evidenza che siano innescati da crisi epilettiche come inizialmente ipotizzato”.

A causa dell’errata diagnosi e delle errate cure, il Sig. non era più in grado né di alimentarsi autonomamente né di deambulare, era costretto all’uso di una carrozzina e subiva danni neurologici irreversibili.

In data 28.12.2016 presso la RAGIONE_SOCIALE IRCCS veniva emesso un attestato di correzione diagnostica, in cui veniva precisato che l’origine era cardiogena e non di epilessia focale delle lipotimie presentate.

Seguivano a tale date altri ricoveri per storm aritmico e in data 17.10.2017 il Sig. veniva ricoverato presso la Medicina Interna Policlinico *** per focolaio bronco pneumonico, esisti di encefalopatia anossica, episodio di torsione di punta in portatore di ICD per cardiomipatia ipertrofica non ostruttiva con plurimi episodi pregressi di fibrillazione ventricolare.

Inoltre, a causa dell’errore diagnostico, il Sig. subiva danni di tipo celebrali molto gravi, quali mancanza di ricordi nonché assenza della temporalità.

La consulenza medica effettuata ha determinato il danno cagionato al Sig. da erroneo trattamento sanitario nella misura dell’80%;
Danni non patrimoniali subiti dai figli del SigNOME , nonché dalla moglie, i quali, improvvisamente, vedevano distrutto il loro nucleo familiare.

2.
Si è costituita la Dott.ssa NOME rassegnando le seguenti conclusioni:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, previa ogni opportuna declatoria del caso, respinta ogni istanza ed eccezione contraria:
– Nel merito:
in via preliminare:
– accertare la carenza di legittimazione attiva in capo al Sig. e per l’effetto dichiarare la nullità parziale dell’atto di citazione nonché della procura alle liti, per le ragioni specificate nel corpo del presente atto;
– accertare la carenza di legittimazione passiva in capo alla Dott.ssa NOME COGNOME e per l’effetto rigettare ogni pretesa ex adverso formulata nei confronti della stessa, per le ragioni specificate nel corpo del presente atto;

In via principale- rigettare integralmente le richieste risarcitorie tutte comunque denominate contenute nell’atto introduttivo del presente giudizio, per tutti i motivi indicati nella narrativa del presente atto e per quanto si verrà ad argomentare e provare nel corso del presente giudizio;
– accertare e per l’effetto dichiarare l’insussistenza di alcuna responsabilità in capo alla Dott.ssa COGNOME per avere la stessa agito con diligenza, prudenza e perizia, nel rispetto delle linee guida e/o pratiche assistenziali adeguate alle specificità del caso concreto;
In via subordinata:
– nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento parziale della pretesa avversaria contenere il quantum nei limiti del giusto e del provato escludendosi in ogni caso qualsivoglia duplicazione risarcitoria e/o la corresponsione di somme non dovute;
– nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento anche solo parziale delle domande avversarie, condannare la in persona del legale rappresentante pro tempore a manlevare e tenere indenne la Dott.ssa COGNOME in relazione a quanto eventualmente condannata a pagare e comunque per ogni esborso economico che alla stessa dovesse derivare ad esito del presente giudizio;
In ogni caso:
– condannare parte attrice ai sensi dell’art. 96 c.p.c. al risarcimento dei danni da “lite temeraria” da liquidarsi d’ufficio in via equitativa.
In ogni caso con vittoria di spese e compensi di causa, oltre al rimborso forfettario per spese generali, IVA e CPA come per legge”;

3.
Si è costituita l’ , in persona del Direttore Generale f.f.
e legale rappresentante pro tempore, Dott.ssa , rassegnando le seguenti conclusioni:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, contrariis rejectis:
1) in via preliminare accertare e dichiarare l’inammissibilità delle domande formulate per conto del signor per inesistenza e/o la nullità della procura alle liti, nonché la carenza di legittimazione attiva del signor nella qualità di amministratore di sostegno del signor ;
2) nel merito, rigettare integralmente tutte le domande avversarie perché infondate in fatto e in diritto, sia nell’an sia nel quantum.
In via istruttoria, si chiede sin d’ora ammettersi prova testimoniale diretta e contraria, da articolarsi nelle successive fasi processuali previste dalla legge.

Ci si riserva sin d’ora la nomina di un consulente tecnico di parte, nonché di un ausiliario specialista in affiancamento, sino alla data di inizio delle operazioni peritali.
Con vittoria di spese di lite, oltre oneri e accessori”;

4. Con comparsa di costituzione di nuovo difensore dell’11.12.2019, gli Avv.ti COGNOME NOME e COGNOME NOME si sono costituiti formalmente quali difensori di , in sostituzione dell’Avv. COGNOME COGNOME rassegnando le seguenti conclusioni nel merito:
“Riportandosi integralmente alle conclusioni formulate nell’atto introduttivo, da intendersi in questa sede integralmente riportate e trascritte”;
5. Con comparsa di costituzione ex art. 302 c.p.c. gli Avv. ti COGNOME e COGNOME hanno dichiarano che il Sig. è deceduto in data 09.07.2021;
si sono, quindi, costituiti anche quali eredi dell’attore deceduto, la moglie, Sig.ra , e i figli 6. In data 06.08.2021, gli Avv. ti NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono costituiti in giudizio in qualità di nuovi difensori per e, nel riportarsi a tutti gli atti e/o documenti e/o preverbali, depositati e prodotti sin ad ora dal precedente difensore, hanno chiesto l’accoglimento di tutte le conclusioni ivi formulate.
7. Istruita la causa mediante espletamento di CTU medico legale, dopo il deposito delle autorizzazioni di legge a favore di , amministratore di sostegno di , inutilmente tentata la conciliazione della lite, fatte precisare le conclusioni e trattenuta la causa in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., con ordinanza del 4.09.2022 il Giudice ha rimesso la causa in istruttoria e nominato un secondo Collegio di CTU medico- legale.

All’udienza del 6.2.24, rilevata la tardività del rideposito del fascicolo parzialmente cartaceo degli attori effettuato solo in occasione della predetta udienza, le parti hanno riprecisato le conclusioni con rinuncia ai termini ex art. 190 c.p.c.. 8.

Nel merito le domande attoree sono accoglibili nei limiti che seguono.

Gli attori lamentano l’errore diagnostico in cui l’ nello specifico la Dott.ssa NOME COGNOME è incorsa nell’accertamento della patologia del Sig. sottovalutando le problematiche cardiache e dando rilevanza, invece, ai profili neurologici.

Nello specifico, lamentano la tardiva diagnosi di patologia cardiogena e conseguente responsabilità per i danni provocati dall’arresto cardio respiratorio avvenuto il 15.07.2013.

In particolare, ritengono che se l’ e la Dott.ssa COGNOME avessero correttamente valutato il versante cardiologico del paziente sarebbero potuti arrivare a fare una diagnosi corretta della patologia di origine cardiologica, ad individuare una corretta terapia ed a provvedere ad ogni possibile iniziativa chirurgica, tra le quali rientra quanto meno l’impianto dell’ICD (defibrillatore intra cardiaco), come ha successivamente fatto il Dott. in data 10/9/2013, idonei a scongiurare l’arresto cardiaco che ha causato il danno neurologico.

L’esatta diagnosi e la conseguente adozione di ogni misura necessaria avrebbero consentito di evitare l’arresto cardiorespiratorio in data 15/7/2013 e, conseguentemente, l’anossia cerebrale e tutti i danni neurologici irreversibili derivati (tetraparesi, mioclono e disfagia).
Cont Con Secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, si parla di errore diagnostico “quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo” (Cass. civ. sent. n. 47748/2018) o nel caso in cui “si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi, ai fini di una corretta formulazione della diagnosi” (Cass. Penale sent. n. 12968/2021).

In materia civile, la Cassazione, con sent. n. 10743/2009 ha affermato che:
“È configurabile il nesso causale tra il comportamento omissivo del medico e il pregiudizio subito dal paziente qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi”.

A ciò si aggiunge che:
“L’ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un proprio dipendente;
l’inadempimento del professionista in relazione alla propria obbligazione, e la conseguente responsabilità dell’ente presso il quale egli presta la propria opera, deve essere valutata alla stregua del dovere di diligenza particolarmente qualificata inerente lo svolgimento della sua attività professionale.

Pertanto, è configurabile un nesso causale tra il suo comportamento, anche omissivo, e il pregiudizio subito da un paziente, qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del professionista, se correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto seri ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi” (Cass. sent. n. 19133/2004).

Nel caso di specie, il fulcro della vicenda ruota intorno alla difficoltà di inquadrare i vari episodi di perdita di coscienza, di cui il Sig. era afflitto, in problematiche di tipo epilettico o cardiologico.

L’episodio di perdita di coscienza del 23.11.2012, essendo fortemente suggestivo di crisi epilettica, era stato inquadrato come episodio di “crisi epilettica focale con secondaria generalizzazione”.

Inoltre, nel corso del ricovero erano emerse una cardiopatia ipertensiva e una sporadica extrasistolia.

Il paziente veniva sottoposto ad ulteriori accertamenti sia neurologici, che cardiologici, tutti privi di anomalie significative, all’esito dei quali la Dott.ssa COGNOME emetteva diagnosi di “possibile epilessia” e, prudenzialmente, prescriveva una terapia antiepilettica.

Tuttavia, in data 15.07.2013, il paziente veniva colpito da arresto cardiorespiratorio per fibrillazione ventricolare che provocava un coma postanossico con gravissime ed irreversibili conseguenze neurologiche:
tetraparesi (o quadriplegia), mioclono (spasmi muscolari) e disfagia (inidoneità alla deglutizione).

A seguito di tale evento su direzione del Direttore della Neurologia del , Dott. al Sig. veniva impiantato un defibrillatore intracardiaco e, all’esito di un ulteriore ricovero disposto da parte dello stesso reparto di Neurologia del per valutare la correlazione tra aritmie cardiache e i fenomeni parossistici identificati come espressione di crisi epilettica, la Dott. ssa chiariva come “gli episodi parossistici presentati dal paziente siano di origine cardiogena, mentre non vi è l’evidenza che siano innescati da crisi epilettiche come inizialmente ipotizzato”. In data 28/12/2016 la Dott. ssa definitivamente concludeva che “la diagnosi posta in passato di epilessia focale secondariamente generalizzata NON è corretta.
(…) È opportuno, pertanto, togliere dalla attuale scheda clinica tale diagnosi”;

9. La seconda espletata CTU medico legale, con ragionamento logico privo di errori di fatto e ben argomentato (anche rispetto alle osservazioni dei ctp delle parti), per cui non vi è motivo di discostarsene, ha accertato che:
“Si ritiene che in relazione alle manifestazioni cliniche del fosse indispensabile una presa in carico, attività svolta e condotta dai Sanitari di area neurologica fin dal primo contatto con l’ , e successivamente con la clinica Neurologica dell’ , ove il paziente era giunto a seguito di un malore poi diagnosticato come “Crisi epilettica focale e con secondaria generalizzazione”.

Pur tuttavia, un compiuto approfondimento diagnostico in realtà si è definitivamente completato solo nel ricovero del 23/01/2014-06/02/2014, nel corso del quale la registrazione VIDEO-EEG ha finalmente consentito la formulazione di esclusione delle crisi epilettiche come primum movens di eventi poi evoluti fino all’arresto cardiaco.

Non si può non evidenziare che se tale studio elettrofisiologico con monitoraggio VIDEO-EEG fosse stato effettuato più precocemente, cioè prima dell’arresto cardiaco, durante i precedenti ricoveri, si sarebbe potuti giungere alla diagnosi cardiologica più precisa e, di conseguenza, orientare le decisioni dei cardiologi verso l’impianto più precoce del PMK, ben prima del verificarsi del noto evento critico.

10. In risposta ai quesiti, il Collegio dei CCTTUU ha, quindi, concluso nei termini che seguono:
“Il trattamento sanitario alla data del 1/3/2013, pur nel contesto di un quadro di speciale difficoltà, NON risulta essere stato eseguito con adeguata perizia e diligenza, tenuto anche conto dell’anamnesi effettuata e della successiva evoluzione delle condizioni di salute del paziente.

La diagnosi risultava certamente difficoltosa e di non immediata comprensione;
tuttavia alla data del 1/03/2013 erano già emersi elementi di sospetta cardiomiopatia ipertrofica (all’ECG segni di ipertrofia ventricolare sinistra con la specifica che le alterazioni ECG grafiche nelle derivazioni inferiori fossero espressione dell’ipertrofia del setto interventricolare e non di pregresso infarto, come refertato agli ECG precedenti, unitamente all’ecocardiogramma che mostrava ipertrofia del ventricolo sn moderata in assenza di ostacolo all’efflusso), patologia che non è stata indagata secondo le raccomandazioni delle linee guida in materia vigenti all’epoca dei fatti. 2) Sebbene la gestione complessiva del caso sia stata correttamente effettuata da un punto di vista neurologico, non si può non censurare la tardiva effettuazione del VIDEO EEG.

Se tale indagine, che ha consentito di escludere definitivamente la diagnosi di epilessia, fosse stata effettuata più precocemente, è verosimile ritenere che il conseguente approfondimento in area cardiologica avrebbe condotto alla diagnosi corretta ed alla conseguente adozione delle misure atte ad evitare l’arresto cardio respiratorio del 15/07/2013;
tale ritardo è dunque censurabile.

L’imputabile tardiva diagnosi di patologia cardiogena si pone in connessione causale con i danni provocati dall’arresto cardio respiratorio del 15.7.2013.

La tardiva diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva da parte degli specialisti cardiologi ha compromesso la qualità e l’aspettativa di vita del sig. che non è stato avviato tempestivamente al corretto iter diagnostico-terapeutico.

La patologia cardiaca è, infatti, stata finalmente riconosciuta e trattata solo dopo l’arresto cardiaco del 15/07/2013, quando il quadro clinico si è complicato con numerose aritmie maligne e conseguente danno anossico cerebrale;
3) La durata della inabilità temporanea assoluta è stata pari a mesi 6 (sei), da riferirsi ai periodi di ricovero.
Per quanto riguarda la inabilità temporanea parziale, essa è assorbita dai postumi permanenti.
4) Sul grado ipotetico della invalidità permanente prima dell’evento, intendendo per evento l’arresto cardio respiratorio del 15.7.2013, le patologie pregresse del sig.
erano identificabili in una psicosi al momento dei fatti non più in terapia ed in una ipertensione arteriosa in trattamento, valutabili in misura approssimativa (non conoscendo l’entità della psicosi) nella misura del 15%.

In esito all’arresto cardiaco avvenuto nel luglio 2013 sono esitati nel sig.
postumi permanenti consistenti in tetraparesi, mioclono d’azione, disturbi mnesici, da valutare in misura non inferiore all’80%.

” 11.
Alla luce delle superiori conclusioni e considerazioni del Collegio dei CCTTUU, nel caso specifico è configurabile certamente una ipotesi di “diagnosi differenziale”, la quale in medicina è quel procedimento che tende a distinguere tra patologie che possono presentare sintomi e aspetti simili.

È un percorso di esclusione, non solo dal punto di vista logico ma anche scientifico;
quando ci si trova dinnanzi ad un quadro sintomatologico che può essere dovuto a più cause alternative, a più malattie, l’individuazione della malattia è la tappa di arrivo di un percorso intellettuale per esclusione.

La malattia viene, quindi, individuata per via residuale, una volta che le ipotesi alternative sono state eliminate.

La colpa per omessa diagnosi differenziale consiste in un mancato approfondimento diagnostico, che preclude di giungere ad una diagnosi corretta, alla quale invece poteva approdarsi.

Nel caso di specie, infatti, i CCTTUU sottolineano la tardiva effettuazione del video EEG, effettuata dal 23/1 al 6/2/2014, indagine che ha permesso di escludere in maniera definitiva la diagnosi di epilessia e che, conseguentemente, se fosse stata effettuata più precocemente, verosimilmente avrebbe condotto ad una diagnosi corretta e alla conseguente adozione di misure idonee ad evitare l’arresto cardio-respiratorio del 15/07/2013.

Tale diagnosi tardiva è in connessione causale con i danni provocati dall’arresto cardio – respiratorio e ha compromesso in maniera considerevole la qualità e l’aspettativa di vita del Sig. Il medico è tenuto a valutare se occorra compiere gli approfondimenti diagnostici necessari, per stabilire quale sia l’effettiva patologia che affligge il paziente e adattare le terapie a queste plurime possibilità;
l’esclusione di ulteriori accertamenti può essere giustificata esclusivamente per la raggiunta certezza che una di queste patologie possa essere esclusa.

Nel caso in esame, la natura cardiogena delle crisi del Sig. non poteva essere esclusa con certezza dal momento che, come sottolineato nella perizia medico – legale, “già nel 2012, gli esami ECGgrafici ed ecocardiografici, unitamente all’anamnesi, avrebbero dovuto indurre gli specialisti cardiologi a sospettare la possibile eziologia cardiogena dei sintomi – almeno come diagnosi differenziale – ed a procedere ad un esame di secondo livello quale la RMN cuore, nel sospetto di cardiopatia ipertrofica, come raccomandato dalle Linee Guida ACCF/AHA 2011 sulla cardiopatia ipertrofica. Secondo tali linee guida, infatti, la diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica è generalmente posta sulla base dell’imaging cardiaco mediante ecocardiogramma e sempre più mediante RMN cuore.
Quest’ultimo esame è in grado di fornire una migliore risoluzione spaziale, con netta distinzione tra sangue e miocardio, consentendo, quindi, di caratterizzare con maggior accuratezza presenza, distribuzione ed estensione dell’ipertrofia del ventricolo sinistro”.

Si aggiunge, altresì, che:
“Nel caso di specie era evidente la presenza di un aumento significativo dello spessore del setto interventricolare già ai primi esami ecocardiografici eseguiti durante:
primo ricovero del 23/11/2012 (descritto quadro di cardiopatia ipertensiva);
– al controllo del 03/12/2012 (descritto quadro di significativa ipertrofia del ventricolo sinistro);
– successivo ricovero del 20/02/2013 (descritto quadro di ipertrofia del ventricolo sinistro moderata in assenza di ostacolo all’efflusso ventricolare sinistro).

Alla luce di quanto detto, il Collegio peritale ritiene che:
“Nonostante il riscontro dei suddetti segni ECGgrafici ed ecocardiografici, i cardiologi che hanno valutato il paziente dal 23/11/2012 fino al ricovero del 10/01/2024, hanno concluso sempre per un quadro di cardiopatia ipertensiva.

Dalle linee guida, invece, si evince come tali rilievi strumentali dovevano far porre il sospetto di cardiomiopatia ipertrofica e indurre i sanitari a procedere ad una accurata determinazione del grado di ipertrofia”.

Di conseguenza, dal momento che un adeguato approfondimento diagnostico, previo espletamento di tutti gli esami previsti del caso, poteva ragionevolmente far emergere un quadro clinico diverso, permettendo così di evitare l’arresto cardio – respiratorio ed i conseguenti danni alla vita e alla persona del Sig. la condotta del medico non può essere immune da censure.

Il ritardo nella effettuazione del video EEG è negato dalla convenuta, Dott.ssa COGNOME la quale sostiene di aver eseguito, durante il ricovero del Sig. Video EEG di natura e durata diverse.

Tuttavia, ciò che viene constatato dal Collegio Peritale non è la totale omissione dell’esame, quanto piuttosto la protrazione del suddetto esame per un lasso di tempo insufficiente a consentire di raggiungere una compiuta e corretta diagnosi.
Infatti, nella CTU si legge:

“Un compiuto approfondimento diagnostico in realtà si è definitivamente completato solo con il ricovero del 23/01/2014 – 06/02/2014, nel corso del quale la registrazione ha finalmente consentito la formulazione di esclusione dele crisi epilettiche come primum movens di eventi poi evoluti fino all’arresto cardiaco”, aggiungendo, inoltre che:
“Il fatto che poi dopo l’arresto cardiaco si sia presa la decisione di monitorare ostinatamente l’uomo per ben 15 giorni, ottenendo il chiarimento desiderato, fa anche supporre che i Neurologi avessero già il sospetto di quanto poi accaduto realmente ed abbiano per questo prolungato l’osservazione ben oltre i tempi indicati in precedenza agli altri esami”.

Pertanto, i CCTTUU concludono ritenendo censurabile sia il ritardo nell’effettuazione del monitoraggio video EEg prolungato, sia il ritardo nell’approfondimento diagnostico che la presenza dell’ipertrofia ventricolare sinistra (documentata fin dal primo ricovero del 2012) imponeva.

12.
Alla luce di quanto detto si può ritenere sussistente nel caso concreto una responsabilità concorrente sia dei cardiologi, sia dalla Dott. Ssa COGNOME quale neurologa, nonché della struttura sanitaria.
Tuttavia, poiché i fatti di causa si sono verificati antecedentemente all’entrata in vigore della L. 24/2017, c.d. Legge Gelli – , la quale ha previsto una doppia responsabilità, contrattuale per la struttura sanitaria ed extracontrattuale per il medico, essa non trova applicazione nel caso di specie.

La Cassazione, infatti, con sentenza n. 28994/2014, ha affermato che:
“In tema di responsabilità sanitaria, le norme poste dagli artt. 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, e dall’art. 7, comma 3, della legge n. 24 del 2017, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore”.

Conseguentemente, la struttura sanitaria dovrà rispondere della propria condotta e di quella del personale sanitario di cui si è avvalsa ai sensi dell’art. 1218 c.c., così come il personale sanitario dovrà rispondere a titolo di responsabilità contrattuale da contatto sociale.

La responsabilità da contatto sociale non trova fondamento nell’esistenza di un contratto formale che regola il rapporto tra le parti, bensì nell’esistenza tra di esse di una relazione socialmente qualificata.

Il debitore, in virtù dello status pubblicistico che riveste, genera nel creditore un affidamento, una aspettativa socialmente qualificata ed assume, conseguentemente, un obbligo di protezione e di sicurezza nei suoi confronti.

Nel caso di specie, gli esercenti la professione sanitaria dovranno rispondere dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’errore diagnostico.

In particolare, gli attori hanno, a diverso titolo, tutti subito danni risarcibili.

Inoltre, deve tenersi conto, nel caso di specie, del sopravvenuto decesso del Sig. da cui consegue che la moglie e i figli, in quanto eredi legittimi, hanno il diritto al risarcimento jure heredidatis.

Infatti, nel caso in cui la morte della vittima non sia immediata ed avvenga per cause diverse dalle lesioni stesse si parla di danno c.d. da premorienza e il diritto al risarcimento del danno biologico e morale acquisito dal de cuius si trasferisce nel patrimonio degli eredi (legittimi o testamentari) pro quota.

Il danno biologico in esame, c.d. intermittente, è, peraltro, una posta risarcitoria che vive un profondo dibattito circa le modalità di calcolo della sua liquidazione.

Secondo l’orientamento della Cassazione cambia il criterio di liquidazione del danno, in quanto si deve tener conto non della vita media futura presumibile della vittima, bensì della vita effettivamente vissuta.

La Cassazione ha, infatti, stabilito che:
“In tema di risarcimento del danno biologico, ove la persona offesa sia deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del danno spettante agli eredi del defunto “iure successionis” va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella probabile, in quanto la durata della vita futura, in tal caso, non costituisce più un valore ancorato alla mera probabilità statistica, ma è un dato noto” (Cass. civ. sent.
679/2016).

Più recentemente, la Cassazione ha statuito che:
“ Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti” (Cass. Sez. 3, ordinanza n. 41933/2021). In quest’ultima ordinanza la Corte evidenzia che, data l’assenza di un parametro normativo di riferimento per la liquidazione del c.d. danno da premorienza, pur nella diversità delle possibili tecniche liquidative, appare preferibile adottare un sistema di calcolo che sia rispettoso del criterio della proporzionalità.

Conseguentemente, il danno da premorienza deve essere calcolato considerando come punto di partenza (dividendo) la somma che sarebbe spettata al danneggiato in considerazione dell’età e della percentuale di invalidità, se fosse restato in vita fino al termine del giudizio;
rispetto a tale cifra, assumendo come divisore gli anni di vita residua secondo le aspettative che derivano dalle tabelle dell’ISTAT, dovrà essere calcolata la cifra dovuta per ogni anno di sopravvivenza, da moltiplicare per gli anni di vita effettiva, in modo da pervenire ad un risultato che sia, nei limiti dell’umanamente possibile, maggiormente conforme al principio di equità.

Questo orientamento contrasta con quello seguito dalle Tabelle di Milano, nelle quali si ritiene che un criterio liquidativo per il risarcimento diversificato per fasce d’età sia inidoneo in quanto tale fattore è funzionale a calcolare l’aspettativa di vita, vale a dire il probabile tempo durante il quale la lesione subita dispiegherà i suoi effetti dannosi e, pertanto, rileva quando non sia nota la data del decesso.

Inoltre, tali tabelle affermano che il risarcimento ha funzione decrescente, per cui è tanto maggiore quanto più si è in prossimità dell’evento, per poi diminuire con il passare del tempo e con lo stabilizzarsi della lesione.

Sulla base di tali principi è stato elaborato un criterio che individua, per ogni percentuale di invalidità, un importo uguale per tutti, a prescindere dall’età e dal sesso, valevole per il primo anno, al quale ne segue un altro di importo inferiore che vale per i primi due anni, superati i quali si aggiunge per ogni anno successivo un risarcimento fisso di importo ancora inferiore rispetto ai precedenti.

La Cassazione ha criticato il criterio tabellare adottato dal Tribunale di Milano sul piano logico, giuridico e medico – legale per aver utilizzato una frazione decrescente del risarcimento, essendo il danno biologico permanente, per sua stessa definizione, destinato a rimanere stabile nel tempo, a differenza di quello da sofferenza che, comunque entro certi limiti, può affievolirsi grazie alla capacità di adattamento dell’essere umano.

Diverso, invece, è l’orientamento del Tribunale di Roma in tema di danno da premorienza.

Le tabelle capitoline, infatti, si fondano sulla considerazione che il danno non è funzione costante crescente con il tempo, il che significa che non si acquisisce giorno per giorno una frazione del danno complessivo, in quanto una sua parte, che corrisponde all’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta, si acquisisce al momento stesso della lesione, mentre la parte del danno correlata con i pregiudizi fisici e psichici che il soggetto incontrerà si acquisisce nel tempo.

L’importo corrispondente alla parte di danno che si acquisisce immediatamente viene quantificato in un valore compreso tra il 10% ed il 50% in relazione all’entità del danno biologico, secondo una determinata tabella.

La parte restante, invece, è pari al rapporto tra la somma tabellare ridotta dell’importo già considerato, per il numero di giorni di sopravvivenza rispetto alla vita media, da moltiplicare per il periodo di sopravvivenza concreta.

Per rendere più realistico il calcolo si tiene conto della durata della vita per fasce di età.

Nel caso di specie, il Sig. è deceduto in data 09.07.2021, otto anni dopo il verificarsi dell’arresto cardiaco, verificatosi in data 15.07.2013.

Tenendo conto di quanto stabilito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 41933/2021 e, applicando, conseguentemente, il criterio della proporzionalità, è necessario partire dalla quantificazione del danno biologico che sarebbe spettata alla vittima se fosse rimasta in vita fino al termine del presente giudizio.

Ancora più recentemente Cass. 15112/24, peraltro, ha confermato l’orientamento sopra esposto di Cass. 41993/21 ribadendo che “Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti…. In particolare, si precisa che «il calcolo del danno da premorienza deve essere calcolato considerando come punto di partenza (dividendo) la somma che sarebbe spettata al danneggiato, in considerazione dell’età e della percentuale di invalidità, se fosse rimasto in vita fino al termine del giudizio;
rispetto a tale cifra, assumendo come divisore gli anni di vita residua secondo le aspettative che derivano dalle tabelle dell’ISTAT, dovrà essere calcolata la cifra dovuta per ogni anno di sopravvivenza, da moltiplicare poi per gli anni di vita effettiva»” [sul punto vedasi anche giurisprudenza di merito partenopea secondo cui:

<<…Nel caso in cui sopravvenga la morte di un paziente per cause non ascrivibili all’evento lesivo in oggetto, la Suprema Corte ha statuito che la durata della vita futura cessa di essere un valore ancorato alla probabilità statistica e diventa un dato noto. Pertanto, nel caso di decesso del danneggiato per circostanze autonome dall’evento lesivo, la liquidazione del danno biologico, essendo lo stesso costituito dalle ripercussioni negative all’integrità- psicofisica, va parametrata alla durata effettiva della stessa, cosicché l’ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono iure successionis va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva (cfr. ex multis, Cass civ. 30 ottobre 2009, n. 23053; Cass. Civ. sez. III 18.01.2016, n. 679; Cass. sentenza 3 ottobre 2003, n.14747; id. 24 ottobre 2007, n.22338; id. 31 gennaio 2011, n.2297; id. 14 novembre 2011, n.23739; id. 26 maggio 2016, n.10987; id. 26 giugno 2016, n.12913; Ordinanza n.41933 del 29/12/2021, Rv. 663500)….la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 41933 del 2021 ha ritenuto la suddetta tabella milanese non conforme al parametro dell’equità.

La Suprema Corte ha ritenuto una delle premesse logiche della tabella da premorienza, ovvero che “il danno non è una funzione costante nel tempo, ma esso è ragionevolmente maggiore in prossimità dell’evento per poi decrescere progressivamente fino a stabilizzarsi” non condivisibile, in quanto estranea al parametro dell’età e della statistica di sopravvivenza, elementi ritenuti fondamentali ai fini della liquidazione del danno biologico permanente secondo equità e proporzionalità.

Nel dettaglio, secondo la suddetta pronuncia, non avrebbe senso ipotizzare che un danno possa “decrescere” nello stesso momento in cui lo si definisce, appunto, “permanente”, partendo dall’assunto che esso scaturisce da una lesione i cui postumi, una volta stabilizzatisi, non sono – per l’appunto – più suscettibili di variazioni nel tempo (v. in tal senso le sentenze 7 marzo 2003, n. 3414, e 19 dicembre 2014, n. 26897). Ne consegue che, il danno biologico da invalidità permanente è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo non abbia riacquistato la sua completa validità, con relativa stabilizzazione dei postumi, come nel caso che ci riguarda. Tirando le fila, lo scrivente Collegio aderisce alla considerazione della Suprema Corte secondo cui il fatto che il danno permanente alla salute possa diminuire la propria intensità nel tempo non appare equo, in quanto ignora la probabilità statistica di sopravvivenza, ovvero un fondamentale criterio ai fini di una liquidazione proporzionale.

D’altra parte – volendo fare una sorta di controprova tesa a dimostrare l’inadeguatezza del disancoramento dal criterio dell’età e dalla proiezione statistica della sopravvivenza – si può assumere che, nel caso di un danneggiato molto giovane rispetto ad un danneggiato meno giovane (ovvero con minore aspettativa statistica di vita) a parità di percentuale di invalidità permanente, gli eredi della persona più anziana verrebbero a percepire un risarcimento del danno in proporzione ben più alto di quello riconosciuto al danneggiato più giovane, rimasto in vita per il medesimo numero di anni pur avendo, al momento dell’evento lesivo, una proiezione statistica di sopravvivenza ben più ampia del danneggiato più anziano.

La Corte, pertanto, ritiene che “il danno da premorienza debba essere calcolato considerando come punto di partenza (dividendo) la somma che sarebbe spettata al danneggiato in considerazione dell’età e della percentuale di invalidità, se fosse rimasto in vita fino al termine del giudizio; rispetto a tale cifra, assumendo come divisore gli anni di vita residua secondo le aspettative che derivano dalle tabelle dell’ISTAT, dovrà essere calcolata la cifra dovuta per ogni anno di sopravvivenza, da moltiplicare poi per gli anni di vita effettiva, in modo da pervenire ad un risultato che sia, nei limiti dell’umanamente possibile, maggiormente conforme al criterio dell’equità e della proporzionalità”…>> (Corte appello Napoli sez. IX, 04/01/2023, (ud. 06/12/2022, dep.
04/01/2023), n.6, v. banca dati RAGIONE_SOCIALE).

13.
Sul punto, gli attori lamentano un danno biologico pari all’80% a cui aggiungere una personalizzazione legata al fatto che la menomazione subita aveva inciso in maniera rilevante su specifici e peculiari aspetti dinamico-relazionali personali, considerato anche il complesso iter subito dal paziente per ottenere una corretta diagnosi.

La CTU medico – legale ha riconosciuto al Sig. una invalidità temporanea assoluta pari a 6 mesi, un’invalidità temporanea parziale assorbita dai postumi permanenti, una invalidità permanente prima dell’arresto cardiaco del 15.07.2013 pari al 15%, mentre dopo l’arresto cardiaco postumi permanenti consistenti in tetraparesi, mioclono d’azione, disturbi mnesici, da valutare in misura non inferiore all’80%.

Nel caso in esame per la quantificazione del danno biologico che sarebbe spettata al danneggiato, il Sig. se fosse rimasto in vita fino al termine del giudizio, sarebbe stato possibile applicare il seguente metodo di calcolo, facendo uso delle Tabelle elaborate dall’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Milano 2024 ed applicando i criteri indicati da Corte di Cassazione n.28986 dell’11/11/19 (in particolare cfr. punto 1.9.4 sent. cit.)”.:
Età del danneggiato alla data del sinistro:
49 anni A) Percentuale di invalidità permanente:
80% Punto danno biologico: € 9376,77
Punto base I.T.T.: € 115.00
Incremento per sofferenza soggettiva: € 4688,39
Punto danno non patrimoniale: € 14065,16
Danno non patrimoniale risarcibile con personalizzazione massima:€ 997.689,00
Giorni di inabilità temporanea totale:
180; inabilità temporanea parziale: assorbita dai postumi permanenti;
Totale danno biologico temporaneo: € 20.700,00
Danno non patrimoniale totale risarcibile: 1.018.389,00 B)
Percentuale di invalidità permanente: 15%
Punto danno biologico: € 3.211,51
Punto base I.T.T.: € 115.00
Incremento per sofferenza soggettiva: € 995,57
Punto danno non patrimoniale: € 4.207,08
Danno non patrimoniale risarcibile con personalizzazione massima: € 64.070,00
Giorni di inabilità temporanea totale: 180; inabilità temporanea parziale: assorbita dai postumi permanenti;
Totale danno biologico temporaneo: € 20.700,00
Danno non patrimoniale totale risarcibile: 84.770,00

C) A-B= 1.018.389,00-84.770,00= 933.619,00

L’odierno giudicante ha ritenuto giustificata, alla luce dei fatti di causa e del complesso iter verificatosi (e subito dal paziente) per il raggiungimento della corretta diagnosi, una personalizzazione massima.

14.
Alla luce della succitata giurisprudenza di legittimità, Il superiore importo di euro 933.619,00 deve essere diviso per gli anni di vita residua secondo le aspettative che derivano dalle tabelle dell’ISTAT e così calcolata la cifra dovuta per ogni anno di sopravvivenza, essa deve essere moltiplicata per gli anni di vita effettiva tra evento dannoso e decesso per causa autonoma sopravvenuta medio tempore in pendenza di giudizio, ovverosia:
933.619,00/35= 26.675,00 moltiplicato per [gli anni di sopravvivenza intercorsi tra il 15.07.2013 (data dell’arresto cardiocircolatorio) ed il 09.07.2021 (data della dichiarata premorienza), ovverosia] 8 anni= 213.400,00.

Il superiore importo deve essere maggiorato di interessi di legge dal 15.1.2019 (quale data intermedia tra fatto e presente liquidazione all’attualità, tenuto conto che si tratta di debito di valore liquidato equitativamente e della farraginosità di una duplice operazione di devalutazione e successiva rivalutazione) alla data della presente decisione (v. Cass. 7267/18, secondo cui “In tema di danno da ritardo nel pagamento di debito di valore, il riconoscimento di interessi compensativi costituisce una mera modalità liquidatoria alla quale il giudice può far ricorso col limite costituito dall’impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell’illecito. Non gli è invece inibito, purché esibisca una motivazione sufficiente a dar conto del metodo utilizzato, di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate;
ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia;
ovvero, sempre sulla somma rivalutata e con decorrenza dalla data del fatto, ma con un tasso medio di interesse, in modo da tener conto che essi decorrono su una somma che inizialmente non era di quell’entità e che si è solo progressivamente adeguata a quel risultato finale;
ovvero, di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato”);
la somma così liquidata (divenuta per l’effetto debito di valuta) deve essere ulteriormente maggiorata di interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo effettivo [v., anche, Cass. 19063/23 che, tra l’altro, ricorda, da ultimo, che “…l’art. 1 della legge sul ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali (d.lgs. n. 231/2002), dopo aver stabilito che “le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale”, ha cura di precisare che le medesime disposizioni “non trovano applicazione per pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno” (sul punto v. Sez. 3, Ordinanza n. 7966 del 20/04/2020, Rv. 657571 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 28409 del 07/11/2018, Rv. 651183 – 01;
v. anche Sez. 3, Ordinanza n. 6322 del 2/03/2023)…” e che massimata ha chiarito che “L’obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano costituisce un debito di valore, rispetto al quale gli interessi “compensativi” valgono a reintegrare il pregiudizio derivante dalla mancata disponibilità della somma equivalente al danno subito nel tempo intercorso tra l’evento lesivo e la liquidazione;
la relativa determinazione non è, peraltro, automatica né presunta “iuris et de iure”, occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento.

(Nella specie, la S.C. – rilevando che la scelta di uno dei diversi criteri di liquidazione degli interessi “compensativi” non attiene all’applicazione dell’art. 1284 c.c., bensì dell’art. 1223 c.c. ed eventualmente dell’art. 1226 c.c. – ha rigettato il motivo riguardante il riconoscimento di detti interessi ai sensi dell’art. 1284, comma 1, c.c., anziché al saggio ex art. 1284, comma 4, c.c., perché il ricorrente avrebbe dovuto censurare la decisione impugnata evidenziando le ragioni della pretesa erroneità del saggio individuato per gli interessi compensativi rispetto ad altro, in tesi più adeguato all’effettivo ristoro del danno subito). ”];

15.
Gli attori lamentano, altresì, danni derivanti dalla lesione del rapporto parentale, affermando che la gravità della lesione patita dal Sig. ha determinato il completo stravolgimento della vita familiare e della relazione degli altri tre componenti del nucleo (la moglie e i figli) con lui.

Parte attrice sostiene, altresì, che lo stato di tetraplegia, la totale assoluta costante necessità di assistenza, lo stato di sofferenza e di prostrazione del Sig. hanno determinato nel coniuge e nei figli una lesione del rapporto parentale certamente pari (ove non superiore) a quella della perdita totale.

Il danno da lesione del rapporto parentale deve essere riconosciuto agli attori alla luce di quanto sostenuto dalla Cassazione, secondo cui:

“Il danno parentale è una particolare forma di danno non patrimoniale iure proprio del congiunto, configurabile anche in presenza di mera lesione del rapporto con il familiare, che consiste in fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita e nella sofferenza interiore derivante dal veder compromesso o radicalmente mutato tale rapporto” (Cass. civ. ordinanza n. 4571/2023).
In relazione al danno da lesione del rapporto parentale la Cassazione ha, altresì, specificato che:

“Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali, può spettare anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato da lesione del rapporto parentale, in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso.

In tal caso, traducendosi il danno in un patema d’animo ed anche in uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto, esso non è accertabile con metodi scientifici e può essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità” (Cass, civile, ordinanza n. 13540 /2023).

Nel caso di specie, il Sig. in seguito alle menomazioni conseguenti all’errore diagnostico e alle errate cure, non era più in grado di provvedere a moglie e figli e, necessitando di assistenza continua da parte dei familiari, non era più in grado di provvedere nemmeno a sé stesso.

Da ciò derivava uno stravolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare, nonché delle relazioni intercorrenti all’ interno di essa.

La Cassazione, a tal proposito, ha sostenuto che:
“Il danno subito iure proprio dai congiunti della vittima di lesioni personali (c.d. danno da lesione del rapporto parentale) può manifestarsi in termini di sofferenza interiore, compromissione della salute o contrazione delle abitudini di vita, senza che, in quest’ultimo caso, per la sua risarcibilità sia necessario il totale sconvolgimento delle stesse” (Cass. civ., sent. n. 7748/2020).

Con riferimento alla quantificazione del danno, “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale spettante ai congiunti del soggetto macroleso, il giudice deve fare riferimento a tabelle che prevedano specificamente idonee modalità di quantificazione del danno, come le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma, le quali, fin dal 2019, contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni c.d. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni” (Cass. civ., ordinanza n. 13540/2023). Come evidenziato da parte attrice, quanto al danno da lesione del rapporto parentale le Tabelle di Milano 2022 <<…hanno aggiornato i valori per la quantificazione del danno da perdita del rapporto parentale; con riferimento al diverso profilo del danno da lesione la risposta al Quesito n. 17 (Come liquidare il danno da grave lesione del rapporto parentale ? ) è la seguente: “Quanto alla liquidazione del danno da grave lesione del rapporto parentale, manca una tabella ad hoc, ad oggi, in quanto per ora non è stato raccolto un campione significativo di sentenze utile a costruire una tabella fondata sul monitoraggio. Il giudice potrà valutare se ritiene di avvalersi della tabella sul danno da perdita del rapporto parentale corrispondente al tipo di rapporto parentale gravemente leso, opportunamente adattando e calibrando la liquidazione al caso concreto, per quanto dedotto e provato. ”

Nel caso di specie non vi è dubbio che la gravità della lesione patita dal Sig. ha determinato il completo stravolgimento della vita familiare e della relazione degli altri tre componenti del nucleo (la moglie e i figli) con lui. Lo stato di tetraplegia, la totale assoluta costante necessità di assistenza, lo stato di sofferenza e di prostrazione del Sig. hanno determinato nel coniuge e nei figli una lesione del rapporto parentale certamente pari (ove non superiore) a quella della perdita totale. Il danno da lesione del rapporto parentale, pertanto, potrà essere determinato nella misura intermedia prevista dalla Tabella di Milano 2022 sulla base dei seguenti punteggi: A) età vittima primaria 49 anni 20 punti; B) età vittima secondaria coniuge età 48 anni 20 punti; età vittima secondaria primo figlio 27 anni 24 punti; età vittima secondaria secondo figlio 25 anni 24 punti; C) convivenza 16 punti; D) sopravvivenza altri congiunti 12 punti; E) qualità e intensità relazione (massimo 30) 15 punti…>>.

Alla luce di quanto esposto, applicando anche alla posta risarcitoria in esame il ragionamento effettuato dalla giurisprudenza di legittimità per il danno non patrimoniale iure hereditatis per il caso sopra analizzato di premorienza, anche a voler concordare con l’applicazione dei parametri effettuata dalle parti attrici, il risarcimento spettante alla vedova Sig. ra non può superare 63.838,00 [ovverosia per un totale di 83 punti e dividendo e moltiplicando la conseguente liquidazione come segue:
€ 279.295,00 (/35×8)];
il risarcimento spettante al figlio maggiore non può superare € 66.915,43 [per un totale di 87 punti e dividendo e moltiplicando la conseguente liquidazione come segue:
€ 292.755,00 (/35×8)];
il risarcimento spettante al figlio minore non può superare € 66.915,43 [per un totale di 87 punti e dividendo e moltiplicando la conseguente liquidazione come segue:
€ 292.755,00 (/35×8)].

I superiori importi devono essere maggiorati di interessi di legge dal 15.1.2019 (quale data intermedia tra fatto e presente liquidazione all’attualità, tenuto conto che si tratta di debito di valore liquidato equitativamente e della farraginosità di una duplice operazione di devalutazione e successiva rivalutazione) alla data della presente decisione (v. Cass. 7267/18, secondo cui “In tema di danno da ritardo nel pagamento di debito di valore, il riconoscimento di interessi compensativi costituisce una mera modalità liquidatoria alla quale il giudice può far ricorso col limite costituito dall’impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell’illecito. Non gli è invece inibito, purché esibisca una motivazione sufficiente a dar conto del metodo utilizzato, di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate;
ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia;
ovvero, sempre sulla somma rivalutata e con decorrenza dalla data del fatto, ma con un tasso medio di interesse, in modo da tener conto che essi decorrono su una somma che inizialmente non era di quell’entità e che si è solo progressivamente adeguata a quel risultato finale;
ovvero, di non riconoscerli affatto, in relazione a parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato”cit. );
le somme così liquidate (divenuta per l’effetto debito di valuta) devono essere ulteriormente maggiorate di interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo effettivo (v., Cass. 19063/23 cit.).

16.Sul danno patrimoniale da lucro cessante, parte attrice lamenta che il Sig. nell’anno 2011 (ovvero l’ultimo anno antecedente la sequenza di ricoveri) ha avuto un reddito lordo da lavoro dipendente di € 19.847,00 (Doc.
n. 43), successivamente radicalmente diminuito a seguito dell’interruzione del rapporto di lavoro con la RAGIONE_SOCIALE

Tale parte afferma che l’interruzione del rapporto di lavoro si sarebbe verificata a partire “dalla fine dell’anno 2012”:
parte convenuta evidenzia come dunque ciò si sarebbe verificato in un periodo antecedente alla prima visita del Sig. da parte della Dott.ssa COGNOME

Deve, pertanto, escludersi che tale presunto danno possa essere ricondotto alla prestazione resa dalla Dott.ssa COGNOME

A ben vedere, inoltre, l’estratto conto previdenziale, depositato al suddetto doc. 43, attesta che in realtà, contrariamente a quanto dalla stessa parte attrice sostenuto, già a partire dai primi mesi del 2012 il Sig. non percepiva più alcun reddito dalla Sprint RAGIONE_SOCIALE.p.a.RAGIONE_SOCIALE

Tale circostanza conferma che già prima dei ricoveri effettuati nell’anno 2012, le condizioni fisiche del Sig. non gli consentivano di svolgere tale attività lavorativa.

Pertanto, il calcolo alla base della liquidazione proposta dagli attori risulta comunque inattendibile, dal momento che non considera la condizione fisica già compromessa in cui versava il Sig. prima di quella “serie di ricoveri” considerata quale causa dell’interruzione del rapporto di lavoro.

Non emerge pertanto idonea evidenza di una correlazione immediata e diretta (considerata anche l’età della vittima e le condizioni del mercato del lavoro) tra danno in esame e errore/ritardo diagnostico in esame.

17.
Sul danno patrimoniale relativo ai costi di assistenza, parte attrice allega che <<…a seguito dell’arresto cardiorespiratorio in data 15/7/2013 il Sig. essendo divenuto inabile nella misura (non inferiore) all’80%, ha avuto necessità di assistenza continua per la quale sono state assunte delle persone come badanti. Gli attori hanno prodotto documentazione che attesta un costo mensile a titolo retributivo di € 983,22 per 13 mensilità, a cui deve essere aggiunta l’incidenza contributiva di € 490,00 a trimestre (Cfr. docc. nn. 47-65), oltre ai costi di gestione della Cooperativa che si occupava della redazione delle buste paga e del calcolo dei contributi. Il danno, pertanto, può essere stimato in € 15.000,00 annui per un totale di € 120.000,00 commisurato agli 8 anni di effettiva sopravvivenza>>.
Al fine di determinare l’ammontare del relativo danno patrimoniale, tale parte richiama una serie di documenti (da Doc.
47 a Doc. 65) consistenti in fatture commerciali aventi ad oggetto compensi per prestazioni di assistenza infermieristica rese in favore del Sig. in un periodo, intercorrente tra marzo 2019 e giugno 2020.

Ne deriva che tale voce di danno risulta provata esclusivamente in relazione al periodo intercorrente tra marzo 2019 e giugno 2020, non essendo possibile determinare, sulla base della documentazione prodotta, l’ammontare delle spese per le prestazioni di assistenza infermieristica svolte nel periodo antecedente Sul danno patrimoniale relativo ai costi di assistenza di colf e badanti, tale parte, inoltre, non menziona né tiene conto delle previdenze che il sig. in quanto invalido civile, è presumibile che percepisse dall’INPS.

In questi casi –si concorda sul punto con le difese di parte convenuta- è necessario applicare la teoria della compensatio lucri cum damno e, dunque, la decurtazione di quanto già ha percepito e/o si percepisce a titolo previdenziale, poiché, diversamente, il danneggiato riceverebbe più di quanto gli è dovuto.

Questi, infatti, potrà agire contro il responsabile per ottenere la sola differenza tra il danno subito e quello già indennizzato.

In altri termini, il danneggiato sarà legittimato ad agire in giudizio contro il responsabile non per l’intero danno patito, ma solo con riferimento alla parte eccedente e non coperta.

Il diritto di regresso del gestore sociale nei confronti del responsabile o della sua assicurazione impediscono che il danneggiante possa avvantaggiarsi ingiustamente di tale situazione.

Ai sensi dell’art. 41 L. n. 183/2010 le prestazioni assistenziali (pensioni, assegni e indennità) in favore degli invalidi civili, se corrisposte in conseguenza di fatti illeciti di terzi, sono recuperate dall’ , quale ente erogatore delle stesse, nei riguardi del responsabile civile e della compagnia di assicurazione (v. Cass. 18050/19 secondo cui “In caso di sinistro che comporti la perdita totale o parziale, temporanea o definitiva, della capacità lavorativa, il danneggiato non può cumulare la prestazione previdenziale che abbia eventualmente percepito (a titolo di indennità di malattia o di pensione di invalidità) con l’integrale risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, essendo entrambe le poste finalizzate al ristoro della lesione del medesimo bene della vita (vale a dire, la capacità di produrre reddito), sicchè, nel caso in cui l’ente previdenziale abbia corrisposto a tale titolo un’indennità al danneggiato, di quest’importo si dovrà tenere conto nella liquidazione del pregiudizio posto, sul piano risarcitorio, a carico del danneggiante”). Alla luce delle superiori considerazioni, l’odierno giudicante ritiene risarcibili i seguenti importi, visti i docc.
da 47 a 64 di parte attrice (47: 1142,82;
48:
709, 39; 49: 212,03;
50: 1123,97; 51: 796,58;
52: 508,57;
53: 1114,54;
54: 1123,97;
55: 435,42; 56: 856,57;
57: 925,48; 58: 158,25;
59: 1124,89;
60: 1135,69;
61; 1051,09;
62: 402,77;
63: 193,14;
64: 1135,69) euro 14150,86/2×8=56.303,00, equitativamente arrotondati in euro 60000,00 (al fine di ricomprendere anche la parte di esborsi per contributi, comprovati come versati limitatamente agli anni 2019-2020, laddove, pro quota, non dedotti dal reddito).

L’odierno giudicante ritiene gli importi indicati nella documentazione prodotta sub doc. 65 di parte attrice non rimborsabili, tenendo conto della circostanza che la vittima era probabilmente beneficiaria di assegno di accompagno e che in parte lo stravolgimento della vita sul piano relazionale (oltre che morale) di cui al danno da lesione del rapporto parentale assorbe, ad opinione dell’odierno magistrato, le spese di assistenza, in quanto in parte altrimenti non potrebbe trovare giustificazione.

Non si ritengono rimborsabili in parte, inoltre, contributi in tanto in quanto dedudicibili.

I superiori importi devono essere maggiorati di interessi di legge dal 15.1.2019 (quale data intermedia tra fatto e presente liquidazione all’attualità, tenuto conto che si tratta di debito di valore liquidato equitativamente e della farraginosità di una duplice operazione di devalutazione e successiva rivalutazione) alla data della presente decisione (v. Cass. 7267/18, cit.);
le somme così liquidate (divenuta per l’effetto debito di valuta) devono essere ulteriormente maggiorate di interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo effettivo (v. Cass. 19063/23 cit.).

18.
Visto l’esito della causa, si ritiene corretto porre le spese di entrambe le CTU definitivamente a carico delle parti convenute in solido tra loro, con diritto della parte che ne abbia anticipata una quota maggiore di ripeterla dalle controparti.

19.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo ex DM 55/14 ss.mm.
Non sussistono i presupposti per alcuna condanna ex art.96 c.p.c. con rigetto della relativa domanda riconvenzionale proposta da parte

20.
Assorbita o comunque rigettata ogni questione.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
accoglie le domande attoree nei termini di cui alla parte motiva e, per l’effetto, condanna l , in persona del Direttore Generale p.t.
, e NOME COGNOME in solido tra loro, al risarcimento a favore degli odierni attori:
a) iure successionis, a titolo di danno non patrimoniale, in solido tra loro, di euro 213.400,00, oltre interessi di legge dal 15.1.2019 alla data della presente decisione;
la somma così liquidata deve essere ulteriormente maggiorata di interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo effettivo;
b) iure successionis, a titolo di danno patrimoniale, in solido tra loro, di euro 60.000,00, oltre interessi di legge dal 15.1.2019 alla data della presente decisione;
la Cont somma così liquidata deve essere ulteriormente maggiorata di interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo effettivo;
c) a titolo di risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, i- a favore in particolare di di euro 63.838,00;
ii- a favore di di € 66.915,43;
iii- a favore di di € 66.915,43;
tali importi sub c) devono essere maggiorati di interessi di legge dal 15.1.2019 alla data della presente decisione;
la somma così liquidata deve essere ulteriormente maggiorata di interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo effettivo;
Pone le spese di CTU definitivamente a carico delle parti convenute in solido tra loro, con diritto della parte che ne abbia anticipata una quota maggiore di ripeterla dalle controparti.
Condanna, altresì, l’ , in persona del Direttore Generale p.t.
, e NOME COGNOME in solido tra loro, a rimborsare complessivamente ed in solido a le spese di lite, che si liquidano in € 22.457,00 per compensi, oltre i.v.a.
, c.p.a.
e 15 % per spese generali ex DM 55/14 ss.mm..
Bologna, 5 agosto 2024
Il Giudice dott. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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