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Codice Penale

Responsabilità medica per interventi estetici e rivalsa

L’ordinanza afferma la responsabilità contrattuale di una struttura sanitaria e di un medico chirurgo per i danni subiti da una paziente a seguito di interventi di chirurgia estetica. Viene riconosciuto l’inadempimento del consenso informato, l’esecuzione non corretta degli interventi e la cattiva gestione post-operatoria. Viene altresì accolta la domanda di rivalsa avanzata dal medico nei confronti della struttura sanitaria e della compagnia assicurativa, con condanna di quest’ultima alla manleva parziale.

Pubblicato il 10 January 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 14326/2022

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA SEZIONE CIVILE

nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c. iscritto al n. r.g. 14326/2022 promosso da:

(C.F. ) con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME con studio in INDIRIZZO 27100 PAVIA RICORRENTE contro (C.F. ) con il patrocinio dell’avv. COGNOME e con studio in INDIRIZZO BOLOGNA C.F. con il patrocinio dell’avv. COGNOME con studio in INDIRIZZO 20122 MILANO RAGIONE_SOCIALE.F. con il patrocinio degli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME, con studio in INDIRIZZOA MILANO TERZA CHIAMATA Il Giudice dott. NOME COGNOME lette le note a trattazione scritta depositate dalle parti, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA N._R.G._00014326_2022 DEL_02_01_2025 PUBBLICATA_IL_02_01_2025

1. Esposizione delle domande e delle difese svolte dalle parti La ricorrente ha convenuto in giudizio la casa di cura ed il dott. per ottenere la condanna degli stessi al risarcimento dei danni derivanti da responsabilità contrattuale in relazione alle prestazioni sanitarie rese in suo favore danni così determinati:

1. € 19.000,00 a titolo di importi necessari per i futuri interventi che la ricorrente dovrà sostenere;

2. € 58.825,00 a titolo di danno alla salute permanente;

3. €7489,00 a titolo di danno alla salute temporanea per l’esecuzione dell’intervento di ripristino 4. €10.000,00 per i compensi corrisposti al dott. 5. €2970,02 a titolo di rimborso spese dei CTP;

6. € 5.945,60 a titolo di spese di CTU;

RAGIONE_SOCIALE , mastopessi e mastoplastica presso la casa di cura , eseguiti in contemporanea in data 01 settembre 2017.

Il decorso operatorio di tali interventi era stato complicato dal verificarsi di una grave emorragia, che aveva comportato il trasferimento della paziente presso il *** ed il suo ricovero nel reparto di terapia intensiva.

Secondo la prospettazione della ricorrente, l’esecuzione dei citati interventi da parte del dott. non era stata corretta e non aveva risolto né migliorato lo stato antecedente delle parti anatomiche interessate ed inoltre il ritardato compimento dell’esame emocromocitometrico aveva comportato il verificarsi della grave complicanza emorragica.

La ricorrente ha richiamato integralmente, a sostegno dell’an della pretesa, le risultanze della consulenza preventiva depositata nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c promosso dalla stessa, che aveva accertato la sussistenza degli errori professionali dedotti in giudizio ed ha quindi richiesto la condanna dei convenuti a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti.

Si è costituita che ha contestato la fondatezza della domanda della ricorrente, rilevando la mancanza di qualsiasi profilo di responsabilità in capo alla stessa.

La resistente ha in particolare osservato che il danno conseguente alla deiscenza della ferita addominale era ascrivibile alle successive prestazioni mediche rese dai sanitari del Policlinico ***, in quanto solo dopo l’intervento di revisione chirurgica dell’emostasi ivi eseguito la paziente aveva iniziato a lamentare per la prima volta una sofferenza della parte centrale del lembo addominale.

In secondo luogo, ha allegato la esclusiva responsabilità del dott. nella causazione dei danni accertati in sede di consulenza preventiva, in quanto tali danni non erano riconducibili a carenze organizzative della struttura sanitaria né a responsabilità del suo personale, ma alla condotta colpevole del chirurgo che aveva eseguito l’operazione e che aveva agito in regime di libera professione.

In subordine, la convenuta ha svolto azione di regresso nei confronti del dott. chiedendo di essere totalmente manlevata dallo stesso dalle eventuali conseguenze dell’accoglimento della domanda della ricorrente.

Si è costituito il dott. , il quale ha chiesto il rigetto della domanda della ricorrente.

Il resistente ha in primo luogo dedotto l’assenza di qualsiasi profilo di colpa nel proprio operato.

In particolare, secondo la prospettazione del ricorrente l’intervento di addominoplastica era stato correttamente eseguito, nel rispetto delle linee guida ed essendo previsto dalle linee guida e dalla pratica medica l’accostamento di tale intervento con quello di liposuzione, così come era da ritenersi corretta l’esecuzione degli interventi di mastoplastica additiva e di mastopessi.

In secondo luogo, il resistente ha dedotto che la successiva complicanza riportata dalla paziente non era conseguenza del proprio operato ma era riconducibile alla condotta di inesatto adempimento di , che aveva omesso di prestare le dovute cure alla paziente nella notte tra l’1 ed il 2 settembre Il resistente ha poi contestato la quantificazione del danno svolta dalla paziente, dovendosi tenere conto del fatto che le prestazioni svolte avevano comunque arrecato un miglioramento del quadro precedente.

Il dott. ha chiesto altresì l’autorizzazione alla chiamata in causa di per essere tenuto indenne dalle conseguenze dell’eventuale accoglimento della domanda attorea in forza del contratto di assicurazione in essere tra le parti.

Si è costituita che ha preliminarmente dedotto la insussistenza dell’obbligo assicurativo, dovendosi fare applicazione dell’art. 1892

cod.civ. per la reticenza dell’assicurato il quale, all’atto della stipula del contratto di assicurazione in data 28 febbraio 2018, era al corrente della causazione del danno nei confronti della parte ricorrente ed aveva omesso di riferire le circostanze relative alle complicanze verificatesi dopo l’intervento chirurgico eseguito, evidenzianti la sua responsabilità.

In subordine, la resistente ha allegato la sussistenza di una esclusiva responsabilità della , data la applicabilità della disciplina dettata dalla L. 24/2017 ed il conseguente obbligo della struttura sanitaria di rispondere anche per le condotte colpose o dolose degli esercenti la professione sanitaria di cui si è avvalsa per l’adempimento delle proprie obbligazioni.

La terza chiamata ha poi richiamato le condizioni di polizza prevedenti l’operatività della garanzia solo per la quota di responsabilità imputata all’assicurato, l’esclusione dal rischio assicurato dei danni dipendenti dalla mancata rispondenza dell’intervento all’impegno di risultato assunto, le clausole sulla franchigia a carico dell’assicurato e la non operatività della garanzia per il credito relativo alla restituzione dei compensi percepiti dall’assicurato.

All’esito dell’acquisizione del fascicolo della consulenza preventiva e della formulazione di una proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. non accettata da tutte le parti, è stata fissata udienza di discussione del procedimento.

2.

La materia del contendere e la consulenza tecnica preventiva In base al contenuto degli atti introduttivi, il thema decidendum verte sull’accertamento della dedotta responsabilità contrattuale dei convenuti sotto il profilo della inadeguata predisposizione dei plurimi interventi di chirurgia estetica eseguiti in contemporanea, della non corretta esecuzione tecnica di tali interventi e della cattiva gestione del decorso postoperatorio.

Dalla consulenza tecnica preventiva svolta dai consulenti tecnici dott.ssa e dott. , emergono i seguenti dati:

1) la ricorrente, prima dell’esecuzione degli interventi chirurgici in esame, presentava un quadro di addome pendulo e distrofia mammaria;

2) in data 01 settembre 2017 la paziente è stata ricoverata presso la ed è stata sottoposta nella stessa data ad intervento chirurgico di addominoplastica e mastopessi+additiva eseguito dal dott. che è durato, in base alle annotazioni della cartella clinica, dalle ore 16.15 alle ore 21.30;

) il giorno successivo, alle ore 14.30, la paziente è stata trasferita presso l’Ospedale *** a causa dell’instaurarsi di shock emorragico, che ha richiesto intervento in regime di urgenza di revisione di addominoplastica, evacuazione di ematomi ed emostasi di vasi sanguinanti;

4) con riferimento alla scelta del chirurgo di eseguire congiuntamente gli interventi di mastopessi / mastoplastica e di addominoplastica / liposuzione, si è rilevato che, pur non essendovi una assoluta controindicazione, si tratta di scelta azzardata sotto il profilo chirurgico, sia in quanto l’associazione dei due trattamenti determina una più estesa cruentazione tessutale del paziente, alla quale si correla maggiore reazione infiammatoria e diffusione di cataboliti, sia per il maggior rischio di calo prestazionale di attenzione e di esecuzione dell’operatore; 5) in merito all’intervento al seno, si è osservato che l’inserimento di protesi di diverse dimensioni non è censurabile, trovando giustificazione nella situazione di asimmetria di partenza giustifica documentata dalle immagini preoperatorie.

Tuttavia, si è riscontrato che il risultato esteticamente insufficiente del lato sinistro, in cui il polo superiore prevale su quello inferiore ed il capezzolo risulta orientato verso il basso, è correlabile ad una tecnica operatoria inadeguata;

6) in relazione all’intervento all’addome, si è riscontrato che l’operatore non ha proceduto ad una accurata emostasi, il che ha determinato il verificarsi di sanguinamento arteriolare, formazione di ematomi e shock emorragico, con conseguente necessità di trasferimento della paziente presso altro ospedale per intervento, in regime di urgenza, di revisione chirurgica, evacuazione degli ematomi e emostasi.

Inoltre, si è rilevato un livello di incisione chirurgica eccessivamente prossimale da cui è derivato un risultato gravemente insoddisfacente.

In particolare, come risulta dalla parte descrittiva della relazione, l’addome presenta una cicatrice di 49 cm, caratterizzata da una depressione nella parte centrale con aspetto fusiforme e, in tale parte, da discromia della cicatrice;

le parti laterali della cicatrice migliorano dal punto di vista cromatico ma presentano evidente diastasi.

Nella zona dell’ombelico, la cicatrice, oltre a presentare la diastasi, appare eritematosa ed ipertrofica;

7) sono state poi rilevate condotte censurabili anche nella fase di assistenza durante il decorso postoperatorio, per il ritardo nelle procedure di risoluzione dell’emorragia addominale che ha messo a rischio la sopravvivenza della paziente;

8) in particolare, si è rilevata una preponderante responsabilità del dott. in quanto, secondo quanto riportato nella cartella clinica, tale sanitario, pur se contattato il 2 settembre alle ore 08:30, quando in cartella clinica risultavano registrati valori di parametri vitali di allarme (ipotensione e grave ipossia, con valori di PA 80/60 mmHg, SO2 89%), non era intervenuto tempestivamente, non aveva autorizzato la richiesta di esame emocromocitometrico ed aveva proceduto a visitare la paziente solo alle ore 11:40; 9) con riferimento al personale di , si è ritenuto adeguato il monitoraggio della paziente ma si è censurata la scelta di non procedere all’emocromo, in conformità alle indicazioni quali quelli poi rilevati il decorso clinico non sarebbe sostanzialmente variato, se non con un più precoce trasferimento ad altro ospedale, ove si sarebbe in ogni caso reso necessario intervento di revisione chirurgica ed emostasi dei vasi sanguinanti;

10) la condotta colposa del dott. ha comportato un prolungamento della convalescenza chirurgica di 8 giorni in forma assoluta, corrispondenti al periodo di degenza ospedaliera, 20 giorni al 75 %, 20 giorni al 50 % e 20 giorni al 25 %, sino all’attestato esito regolare dei processi di cicatrizzazione.

Sono stati riscontrati postumi permanenti, consistenti nei difetti riscontrati nella parte del seno e dell’addome, valutati unitariamente come integranti un danno biologico permanente del 13-14%;

11) l’attuale situazione della paziente è stata ritenuta emendabile nella misura di due terzi mediante interventi di revisione del seno sinistro e dell’addome di costo preventivabile rispettivamente in €7.000,00 ed in €12.000,00 Da ciascuno di tali interventi è prevedibile derivi un periodo di convalescenza di 1-2 giorni in forma assoluta, da ricovero, e circa 30 giorni di inabilità temporanea suddivisibili in parti uguali al 75 %, 50 % e 25%.

All’esito della trasmissione delle osservazioni dei CTP, i consulenti tecnici hanno ribadito le conclusioni esposte nella bozza di relazione.

3.

La valutazione del dedotto inadempimento dei convenuti e il nesso causale Ritiene il giudicante di condividere le conclusioni della consulenza preventiva in quanto fondate sulla applicazione di criteri tecnici esenti da censure e sorrette da congrua motivazione.

In adesione alle conclusioni della consulenza tecnica, risultano provati i dedotti inadempimenti, attinenti sia all’intervento eseguito in data 01 settembre 2017 dal dott. presso la casa di cura , sia all’assistenza nel postoperatorio.

In particolare, da un lato, si ritiene, in sintonia con le valutazioni svolte dai consulenti, che la scelta di eseguire le procedure di mastopessi e mastoplastica unitamente a quelle di addominoplastica e liposuzione non sia conforme ai canoni della prudenza, proprio per i maggiori rischi in termini di reazione infiammatoria e di cattivo esito delle procedure cui ha esposto la paziente;

al contempo, gli interventi non sono stati svolti in maniera corretta, in quanto i negativi esiti conseguiti sotto il profilo estetico sono conseguenza, quanto al seno, di una non adeguata tecnica operatoria e, quanto all’addome, oltre che di un livello di incisione troppo prossimale, della non accurata emostasi in sede di intervento che ha determinato il verificarsi di sanguinamento e la successiva evoluzione in shock emorragico.

Dall’altro lato, è altrettanto censurabile anche l’assistenza prestata alla paziente dopo l’intervento, data la mancata tempestiva diagnosi della complicazione emorragica, il ritardo nell’esecuzione degli esami ematici necessari alla valutazione delle condizioni della paziente, tutti fattori che hanno determinato il notevole peggioramento delle condizioni della paziente, rendendo necessario il trasferimento presso il Policlinico *** ed il suo ricovero nel reparto in terapia intensiva, l’esecuzione di un nuovo intervento, che ha conclusioni in quanto non sufficienti ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova liberatoria dell’esecuzione dell’intervento e delle successive prestazioni sanitarie nel rispetto delle linee guida e delle regole dell’arte e della derivazione dell’evento dannoso da causa non imputabile. Al riguardo, secondo quanto si desume dalle risposte alle osservazioni dei consulenti di parte, per quanto riguarda l’intervento al seno, i risultati della procedura sono insufficienti rispetto agli obiettivi raggiungibili e, proprio la accertata, significativa, sproporzione del polo superiore del seno sinistro verso il basso nonché l’orientamento verso il basso del capezzolo è indice del ricorso ad una tecnica operatoria non adeguata.

Con riferimento al riscontrato profilo di colpa derivante dalla non accurata emostasi, come evidenziato dai consulenti d’ufficio, non sono state addotte né rilevate altre spiegazioni plausibili del riscontrato sanguinamento arteriolare e la ricostruzione svolta in sede di elaborato peritale ha altresì evidenziato la coerenza dei tempi di manifestazione della complicanza con la medicazione compressiva post-operatoria a guaina.

Infine, si osserva che il nesso causale tra il danno estetico rilevato nella zona addominale e le prestazioni sanitarie rese dai resistenti non viene ad essere escluso dal successivo intervento eseguito in tale ragione dai sanitari del Policlinico ***, atteso che, secondo quanto osservato dai CTU, tale intervento è stato eseguito in modo corretto ed è stato posto in essere proprio per rimediare ai citati censurabili comportamenti tenuti nel corso dell’intervento eseguito dai resistenti, che hanno per l’appunto determinato la necessità di un successivo intervento in urgenza, (cfr. pag. 3 e 4 delle risposte dei CTU alle osservazioni dei CTP). In base ai citati rilievi è quindi configurabile la responsabilità contrattuale di entrambi i resistenti.

Invero, con riferimento al dott. dalle allegazioni della ricorrente, non contestate dal resistente, si evince che il rapporto con tale sanitario ha natura contrattuale, in quanto la paziente si è rivolta, prima del ricovero presso la struttura, a tale professionista, che ha poi suggerito l’esecuzione degli interventi chirurgici in esame.

Per quanto riguarda la casa di cura , come rilevato dalla Corte di Cassazione, “il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 cod. civ., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto” (Cass. civ. Sez. 3, 14 giugno 2007 e Cass.civ., sez. 3, 22 settembre 2015 n. 18610).

Occorre poi rilevare che la fattispecie in esame è soggetta alla disciplina introdotta dalla L. 24/2017, dalle cui disposizioni, e segnatamente dal combinato disposto dell’art. 9 comma 7 e dell’art. 10 comma 2, si evince la sussistenza della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria privata anche nel caso di esercente la professione sanitaria che si avvalga della struttura per l’adempimento della obbligazione contrattuale assunta con il paziente, escludendo in tal caso soltanto la applicazione del limite alla misura rivalsa previsto dall’art. 9 comma 6 della legge Gelli. Pertanto, il fatto che, secondo quanto prospettato dalla difesa di , tale istituto si sarebbe limitato a mettere a disposizione i locali e le strutture attrezzate per lo svolgimento dell’attività medica, non comporta il venire meno di tale responsabilità.

Peraltro, occorre rilevare che la cartella clinica relativa all’intervento evidenzia come sia il modello di consenso informato, sia tutte le etichette relative a materiali e strumenti utilizzati, sia la scheda anestesiologica, siano redatti su modulistica recante i dati della casa di cura;

inoltre, è pacifico che le prestazioni di assistenza infermieristica rese alla paziente in fase di ricovero siano state rese dal personale di , il che dimostra come l’ambito delle prestazioni svolte da tale casa di cura sia stato più ampio rispetto a quello indicato dalla parte.

Infine, si rileva che non porta a diverse conclusioni il contenuto della dichiarazione sottoscritta dall’attrice il giorno dell’intervento chirurgico per cui è causa (doc. 4 del fascicolo della ricorrente).

Nella predetta dichiarazione contenuta in un modulo prestampato e sottoscritto dall’attrice, la stessa.

dopo aver dato atto di avere “scelto liberamente e autonomamente il Dott. quale proprio medico curante di fiducia per prestazioni chirurgiche, diagnostiche e terapeutiche” e dopo avere reso le dichiarazioni sul contenuto del contratto concluso con tale professionista e delle informazioni ricevute, ha dichiarato di esonerare “espressamente la da qualsiasi onere o responsabilità per tutto quello che riguarda l’operato del predetto professionista medico, dei suoi collaboratori e consulenti, dovendosi intendere la responsabilità della limitata all’utilizzo delle strutture sanitarie (sale operatorie, assistenza infermieristica) ed alberghiere mediante l’operato del personale da essa direttamente dipendente”. Al riguardo si ritiene che si tratti di patto affetto da nullità, come allegato dalla attrice nel ricorso, per contrarietà all’art. 1229 cod.civ. , in quanto volto ad esonerare la casa di cura da ogni responsabilità nascente dall’operato del medico che ha eseguito l’intervento e da ritenersi contrario ad obblighi derivanti da norme di ordine pubblico, ricomprendenti quelli inerenti alla responsabilità dei danni alla persona, miranti alla tutela della altrui integrità fisica o morale.

Inoltre, considerato che il caso in esame ricade nell’ambito di applicazione della L. 24/2017, tale patto non sarebbe in ogni caso idoneo a fare venire meno il carattere precettivo e vincolante dell’art. 7, che sancisce la Come già rilevato, l’esame della documentazione prodotta dalla parte attrice e l’elaborato peritale evidenziano che gli interventi eseguiti hanno comportato, sotto il profilo estetico, un risultato insufficiente al seno e gravemente insufficiente all’addome, oltre ad avere prolungato l’iter clinico e terapeutico della paziente per lo shock emorragico conseguito. La procedura chirurgica ha quindi lasciato un indubbio ed evidente inestetismo, differentemente dai normali esiti della procedura.

Pertanto, si ritiene configurabile la responsabilità contrattuale dei resistenti nella causazione dell’evento dannoso lamentato dalla ricorrente.

In via generale è opportuno richiamare il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale “in tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del “più probabile che non”, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. Sez. 3, 16 gennaio 2009 n. 975, Cass.civ. , sez. 3, 11 novembre 2019, n.28991).

Si ritiene quindi che la ricorrente abbia assolto all’onere di dimostrare il nesso di causalità tra la lesione alla salute psicofisica lamentata e la condotta dei resistenti, mentre le controparti non abbiano assolto all’onere di fornire la citata prova liberatoria.

Il danno risarcibile In base a quanto fin qui esposto, risultano sussistenti gli inadempimenti dedotti, ascrivibili alle condotte dei resistenti ed il nesso causale tra tali violazioni e i conseguenti danni psico-fisici subiti dalla ricorrente costituiti dal prolungarsi del periodo di invalidità temporanea e dal danno permanente relativo agli esiti descritti e valutati in sede di consulenza tecnica preventiva.

Va quindi in primo luogo risarcito il danno di natura biologica, che, tenuto conto dell’intenzione di parte ricorrente di non sottoporsi all’intervento correttivo idoneo alla riduzione dei postumi così come allegata nelle note conclusive e della sua rinuncia alla domanda di risarcimento delle spese future per l’esecuzione di tale intervento, va stimato, nell’ambito della forbice indicata dai consulenti, nella percentuale del 14%.

Ai fini della liquidazione del danno si ritiene di adottare quale parametro di riferimento le tabelle elaborate da questo Tribunale e comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art. 1226 cod.civ.

del danno non patrimoniale derivante da lesione dell’integrità psico/fisica (criterio di liquidazione espressamente sancito dalla Suprema Corte – cfr. Cass. civ., sez. 3, 7 giugno 2011 n. 12408, Cass. sez. 3, 26 agosto2018 Il contenuto delle tabelle consente di distinguere la parte di somma liquidabile a titolo di ristoro del danno alla salute dalle lesioni e quella volta a risarcire il danno da sofferenza derivante dalle lesioni stesse.

Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il danno biologico è quella componente di danno non patrimoniale che va intesa quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico relazionali del soggetto, mentre il danno morale contraddistingue la sofferenza interiore del soggetto, manifestabile come dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione, che richiede una separata allegazione, valutazione e liquidazione (Cass.civ. sez.3, 19 febbraio 2019 n. 4878) In particolare, come rilevato dalla Corte di Cassazione, “ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l’utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle S.U. n. 26972 del 2008, non comporta che, provato il primo, il secondo non necessiti di accertamento, perché altrimenti si incorre nella duplicazione del risarcimento;

invece deve prima accertarsi, con metodo presuntivo, il pregiudizio morale subito, attraverso l’individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo, allegando i fatti dai quali emerge la sofferenza morale di chi ne chiede il ristoro, e successivamente, se provato, può ricorrersi al suddetto metodo percentuale come parametro equitativo” (Cass. civ. sez.3, 19 febbraio 2016 n. 3260) Nel caso in esame, le ultime tabelle di Milano, aggiornate al 2024, prevedono, in relazione all’età della danneggiata al momento del fatto (32 anni) la somma di € 47.542,00 di cui € 36.571,00 per la componente del danno dinamico relazionale e la residua somma di €10.971,00 per il danno da sofferenza interiore. Al riguardo, l’attrice ha chiesto specificamente il risarcimento anche di tale voce di danno ed anche l’adeguamento rispetto al valore tabellare standard, sul rilievo della sofferenza per la grave alterazione estetica subita e del patema d’animo conseguito alle gravi complicanze conseguenti all’intervento che hanno messo in pericolo la sua vita e che hanno inciso anche sul suo attuale benessere psicologico.

Come rilevato dalla Suprema Corte, in caso di evento dannoso incidente sulla integrità fisiopsichica del danneggiato, la esistenza di tale pregiudizio non comporta automaticamente anche la risarcibilità del cosiddetto danno morale, ma il danneggiato è onerato dell’allegazione e della prova, eventualmente anche a mezzo di presunzioni, delle circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza e turbamento (Cass.civ. sez. 3, 13 gennaio 2016 n.339, Cass.civ. , sez. 3, 19 febbraio 2019 n.4878).

Nel caso in esame si ritiene che vi siano sufficienti elementi da cui inferire la prova di tale tipo di pregiudizio, desumibili sia dalla rilevanza della lesione sotto il profilo estetico, che fa presumere il senso di angoscia e di vergogna per il proprio aspetto, sia dagli accadimenti successivi all’intervento – che hanno reso necessario il ricovero della parte in terapia intensiva, l’esecuzione di un nuovo intervento chirurgico all’addome – e dalla consapevolezza in capo alla parte del grave rischio corso, circostanze, queste, che avvalorano lo stato di timore e di alterazione della propria serenità psicologica allegato dalla ricorrente. Per ciò che attiene alla personalizzazione del danno non patrimoniale, non si ravvisa la allegazione di quelle postumi tiene conto proprio del danno estetico e del conseguente impatto sulla vita di relazione della paziente.

Diversamente, con riferimento al danno da sofferenza si ritiene che sia possibile riconoscere un adeguamento del danno da sofferenza rispetto alla percentuale standard, alla luce dei rilievi sopra indicati sul patimento morale e psicologico, sull’iter clinico e sul rilevante impatto delle complicanze subite.

Pertanto, si ritiene di liquidare per tale voce di danno l’ulteriore somma di € 2.500,00.

Per quanto riguarda il danno da invalidità temporanea, pari a giorni 8 di inabilità assoluta, 20 giorni al 75%, 20 giorni al 50% e 20 giorni al 25%, va riconosciuto alla ricorrente l’importo complessivo di €4.370,00, determinato considerando come valore base la somma di € 115,00, comprensiva di danno dinamico relazionale e danno da sofferenza, per ogni giorno di invalidità assoluta, ridotta proporzionalmente per il grado di inabilità riconosciuta.

Pertanto, il danno non patrimoniale va liquidato nella complessiva somma di € 54.412,00 in moneta attuale.

Venendo al danno patrimoniale, la ricorrente ha in primo luogo allegato di avere subito il pregiudizio economico derivante dal versamento del corrispettivo per le prestazioni mal eseguite dal dott. Il fatto che la parte non abbia formulato una domanda di risoluzione del contratto non preclude l’esame di tale domanda.

Come rilevato dalla Corte di Cassazione in una recente pronuncia, “nei contratti a prestazioni corrispettive, se, a fronte dell’inadempimento della controparte, il contraente adempiente si limita a domandare il risarcimento del danno senza invocare la risoluzione, il corrispettivo dallo stesso inutilmente versato è utilizzabile quale parametro per l’integrale liquidazione del danno” ( Cass.civ. , sez. 3, 29 dicembre 2023 n. 36497).

Nella motivazione, la Corte ha osservato che nei sistemi come il nostro che ammettono la convivenza del risarcimento con la risoluzione del danno, il rimedio della risoluzione ed il rimedio del risarcimento del danno hanno carattere omogeneo, in quanto entrambi costituiscono una reazione al fatto che lo scambio insito nei contratti a prestazione corrispettiva è rimasto inattuato.

Nel caso in cui la parte faccia valere la tutela risarcitoria, il danno risarcibile si deve intendere esteso al cd. “interesse positivo”, dovendo il contraente adempiente essere messo nella stessa condizione in cui si sarebbe trovato ove avesse ricevuto la prestazione dovutagli.

Pertanto, indipendentemente dall’esperimento della tutela risarcitoria, in caso di mancato o inadeguato conseguimento della prestazione subita, è configurabile una perdita in capo al contraente adempiente, che si individua nelle spese sostenute invano.

Il caso in esame va quindi affrontato facendo applicazione di tali principi.

E’ infatti evidente, alla luce delle risultanze della relazione peritale, che la prestazione svolta dal dott. non è stata correttamente eseguita e ha determinato un significativo peggioramento dello status quo ante della paziente, con conseguente lesione dell’interesse positivo sotteso alla stipula del contratto.

Ne deriva che il compenso versato al sanitario per lo svolgimento di una prestazione che di fatto ha accertati, ha dovuto subire una diminuzione economica del proprio patrimonio derivante dalla spesa sostenuta per ottenere la prestazione fonte di danno.

Va quindi risarcita tale voce di danno, pari a € 10.000,00, corrispondente alla somma che la ricorrente ha allegato di avere corrisposto al sanitario per gli interventi eseguiti, da ritenersi provata alla luce dell’assenza di specifica contestazione da parte del convenuto nella comparsa di costituzione in ordine alla ricezione di tale somma.

Tale importo, rivalutato alla data odierna dalla data del fatto (settembre 2017), ammonta a €11.880,00.

Per quanto riguarda le spese documentate, si rileva che esborsi per l’assistenza legale e per il pagamento degli onorari del CTP e CTU nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. e non costituiscono danno risarcibile ma rientrano tra le spese del giudizio e sono liquidate ai sensi dell’art. 91 c.p.c. Va rimborsato l’importo delle spese per le relazioni medico legale redatte prima della proposizione del ricorso ex art. 696 bis c.p.c., costituite dalla somma di € 180,02 per la relazione psicologica redatta dalla dott.ssa di € 2440,00 per la relazione redatta dal dott. e di € 230,00 per la relazione della dott.ssa (doc. 26-28 fascicolo ricorrente). Tali somme, rivalutate con decorrenza da maggio 2018, tenuto conto della data di emissione delle fatture, ammontano a € 3.354,47.

Il danno patrimoniale ammonta quindi a €15.234,47.

Si arriva quindi alla complessiva somma di € 69.646,47.

Spettano poi alla parte attrice gli interessi a titolo di danno da lucro cessante ex art. 2056 cod.civ.

per il mancato godimento della somma equivalente al danno subito.

Tale voce di danno può essere liquidata equitativamente nella somma di € 6.607,79, che si ottiene prendendo come base di calcolo la somma devalutata alla data dell’illecito (settembre 2017), pari a € 58.624,47, con applicazione di interessi da calcolarsi anno per anno sui singoli scaglioni via via rivalutati secondo l’indice medio ISTAT, previo ricorso a titolo puramente parametrale al tasso legale di interessi.

I convenuti vanno quindi condannati, in solido, al pagamento in favore di della somma di €76.254,16.

5.

La domanda svolta da nei confronti del dott. Le prestazioni sanitarie riconducibili a tale professionista sono state rese dopo l’entrata in vigore della legge Gelli Bianco.

Ne deriva che la decisione sulla domanda della resistente nei confronti del sanitario deve tenere conto delle disposizioni previste dagli artt. 9 e ss. della L. 24/2017, così richiedendo l’accertamento dei presupposti del dolo o della colpa grave del sanitario.

Occorre poi considerare che la paziente ha direttamente convenuto in giudizio il sanitario unitamente alla struttura sanitaria, sicchè non si pone un problema di ammissibilità della domanda di rivalsa svolta contestualmente nel presente giudizio nei confronti del dott. , neppure peraltro prospettato dalla premesso, nel caso in esame, secondo quanto emerge dalle risultanze istruttorie e dalla consulenza medico legale espletata nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c., si ritiene che sussistano i presupposti per configurare la condotta del dott. in termini di colpa grave alla luce dei seguenti rilievi: a) a carico del sanitario risultano configurabili plurime condotte colpose, costituite dall’avere eseguito in contemporanea le procedure di mastopessi e mastoplastica unitamente a quelle di addominoplastica e liposuzione;

dall’avere eseguito l’intervento al seno adoperando una tecnica operatoria non corretta;

dall’avere eseguito, nel corso dell’intervento all’addome, una incisione troppo prossimale e una inadeguata emostasi che ha determinato il verificarsi del successivo sanguinamento, poi evoluto in shock emorragico;

dal ritardo nella diagnosi e nell’intervento terapeutico da compiere a seguito del peggioramento delle condizioni della paziente;

b) le citate condotte configurano in primo luogo una violazione delle regole di perizia, manifestando un evidente scostamento dalle buone pratiche mediche in tema di programmazione degli interventi, di scelta della tecnica operatoria, di esecuzione materiale delle operazioni chirurgiche e degli atti necessari ad una corretta emostasi In secondo luogo, il comportamento del dott. non appare neppure conforme alle regole di prudenza e diligenza, sia in considerazione della rilevata sottoposizione contestuale della paziente ad un numero rilevante di interventi, così da aumentare il rischio di esposizioni a complicanze ed a fenomeni infiammatori, sia in relazione al non tempestivo intervento a seguito dell’avviso sul peggioramento delle condizioni della paziente. Ricorrono quindi, i presupposti per l’esercizio dell’azione di rivalsa, essendo ravvisabile nella condotta del sanitario un evidente e rilevante scostamento da quanto previsto dai canoni della perizia, nonché della diligenza e prudenza.

Quanto alla misura della rivalsa, occorre considerare che, come emerge dalla documentazione prodotta, il dott. ha prestato la sua opera all’interno della struttura in regime libero-professionale e per effetto di un rapporto contrattuale con la paziente, il che fa sì che, a norma degli artt. 9 comma 6 e 10 comma 2 della Legge Gelli, non si applichino i limiti quantitativi posti dall’art. 9. Va poi rilevato che emergono tuttavia anche delle colpevoli condotte ascrivibili direttamente al personale di , atteso che, come già evidenziato sulla base delle risultanze della CTU, è comunque censurabile la condotta di non avere proceduto comunque ad eseguire l’emocromo, anche a fronte dell’ulteriore calo pressorio registrato al controllo delle 7.20. Inoltre, come emerge dalla cartella clinica, già alle ore 2.00 si era verificato un primo sensibile calo pressorio cui aveva fatto seguito la somministrazione di zucchero, e alle ore 6.00 si registrava anche un episodio di nausea e vomito.

Ciò porta a ritenere che non sia stato tempestivo né l’avviso al dott. , né la condotta di approfondimento della sintomatologia della paziente.

Inoltre, occorre considerare che, come emerge dalla cartella clinica e dagli atti del procedimento penale, , quale componente dell’equipe medica e data la qualità di chirurgo, avrebbe potuto e dovuto rilevare quanto meno l’aspetto relativo all’inadeguata emostasi.

Tuttavia, si ritiene condivisibile il rilievo dei consulenti sul carattere preponderante delle condotte inadempienti ascrivibili al sanitario, sia in considerazione della pluralità di condotte colpose ascrivibili al dott. quale specialista in chirurgia plastica, sia alla luce della maggiore incidenza delle condotte tenuta da tale sanitario sul verificarsi dell’evento dannoso.

Alla luce di ciò, in applicazione dell’art. 2055 cod.civ., si ritiene che la quota di incidenza della colposa condotta concorrente della casa di cura vada stimata nel 30% e che la domanda di rivalsa vada quindi accolta in relazione al 70% del danno liquidato.

Le deduzioni della difesa del resistente non sono idonee a inficiare le conclusioni fin qui raggiunte, in considerazione del valore probatorio da riconoscere alle annotazioni contenute nella cartella clinica prodotta e considerato che le dichiarazioni acquisite in sede di procedimento penale e prodotte agli atti dalla ricorrente hanno confermato il ritardo nell’intervento del dott. Pertanto, in accoglimento della domanda di il dott. è tenuto a rimborsare alla resistente , in caso di integrale pagamento da parte della stessa del risarcimento dovuto alla ricorrente, l’importo del 70% di quanto la stessa avrà pagato alla ricorrente a titolo di capitale, interessi e spese, così come liquidati nella presente ordinanza. 6.

La richiesta di manleva del dott. nei confronti di Preliminarmente si rileva l’infondatezza dell’eccezione della terza chiamata sull’assenza di copertura assicurativa ai sensi dell’art. 1892 cod.civ.

Da un lato si rileva che la prima richiesta di risarcimento del danno risulta formulata dalla paziente con lettera del maggio 2018, in epoca successiva alla stipula del contratto di assicurazione e che anche l’iniziativa assunta dalla paziente in sede penale è successiva.

Se è vero che dalle dichiarazioni acquisite nel procedimento penale emerge che il dott. nel 2017 aveva proposto alla paziente di eseguire un nuovo intervento correttivo a sue spese, temendo di essere denunciato, è pur vero che all’atto del rinnovo della polizza nel mese di febbraio 2018 nessuna denuncia di sinistro era ancora pervenuta.

Dall’altro lato, si osserva che, come emerge dalla documentazione prodotta dal resistente, il dott. stato assicurato con la terza chiamata senza soluzione di continuità in base agli anni precedenti.

Ne deriva che in base all’art. 18 delle condizioni generali di contratto, la polizza sarebbe comunque operativa, essendosi verificato l’evento dannoso nella vigenza della polizza stipulata nel 2017 ed essendo ivi prevista la rinuncia ad avvalersi della tutela di cui all’art. 1892 cod.civ.

Con riferimento al rapporto assicurativo, si osserva che, come rilevato dalla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, nel caso in cui l’assicurato sia responsabile in solido con altri soggetti, l’obbligo , di liberare il patrimonio dell’assicurato dall’obbligazione risarcitoria (Cass.civ., sez. 3, 20 giugno 2023 n.17656).

Occorre rilevare che la polizza prevede una franchigia del 10% per ciascun sinistro fino all’importo massimo di €30.000,00.

Ne deriva che va accertato che è tenuta a tenere indenne il dott. da quanto lo stesso dovrà pagare in favore della ricorrente a titolo di capitale, interessi e spese, pari a dedotta la franchigia del 10% su tale somma e/o da quanto dovrà pagare a per effetto dall’esercizio dell’azione di rivalsa, ai sensi dell’art. 16 delle condizioni generali di contratto.

Le spese del giudizio Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

I resistenti, data la loro prevalente soccombenza, vanno altresì condannati altresì alla rifusione delle spese relative alla fase del procedimento di consulenza preventiva, comprensive di spese legali e di spese di CTU di cui al doc. 29 di parte attrice.

Le spese si liquidano ai sensi del DM 55/2014, con riferimento al valore dell’accolto, tenendo conto della natura e del valore della controversia, con riduzione rispetto ai valori medi del 50% per la fase istruttoria e decisoria, considerato che non si è proceduto ad istruzione.

La liquidazione delle spese della fase del procedimento di consulenza preventiva va effettuata in base ai valori medi, sempre sulla base del valore dell’accolto.

Per quanto riguarda i resistenti, va disposta la compensazione delle spese, considerata la reciproca soccombenza.

In considerazione dell’accoglimento della domanda di garanzia svolta dal dott. va disposta la condanna di alla rifusione delle spese sostenute da tale parte.

P.Q.M

1. in accoglimento della domanda della ricorrente, condanna in via solidale, al pagamento in favore di pagamento in favore di della somma di €76.254,16, oltre ad interessi al tasso legale dalla data della presente decisione al saldo;

2. condanna i convenuti, in solido, alla rifusione in favore della ricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in € 379,50 per spese vive, €9141,50 per compensi, oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge, nonché alla rifusione delle spese del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. che liquida in €379,50 per spese, €3827,00 per compensi, oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge oltre al rimborso delle spese di CTU di cui alle fatture prodotte dalla ricorrente;

3. in parziale accoglimento della domanda di rivalsa avanzata da condanna a tenere indenne la resistente, in via di rivalsa, ed in caso di pagamento integrale da parte di del risarcimento dovuto alla ricorrente, dal pagamento del 70% delle somme dovute per capitale ed interessi di cui al capo 1) e di spese di cui al. in accoglimento della domanda di manleva avanzata da nei confronti della terza chiamata condanna la terza chiamata a tenere indenne il resistente da quanto lo stesso dovrà versare alla ricorrente per capitale, interessi e spese così come determinati ai capi 1 e 2 del dispositivo, dedotta la franchigia del 10%, e/o da quanto dovrà pagare a per effetto dall’esercizio dell’azione di rivalsa per effetto del capo 3 del dispositivo, dedotta la franchigia del 10%; 6. condanna la terza chiamata alla rifusione in favore del dott. delle spese del presente giudizio che liquida in €9141,50 per compensi, oltre spese generali, Iva (se dovuta) e Cpa come per legge.

Si comunichi.

Milano, 2 gennaio 2025

Il Giudice dott. NOME COGNOME

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