REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MESSINA VERBALE di UDIENZA (art. 281 sexies c.p.c.)
Il giorno 11 del mese di giugno dell’anno 2024, all’udienza tenuta dal G.U. presso il Tribunale di Messina Sez. 2 civile, dott. NOME COGNOME viene chiamata la causa civile iscritta al n. 5368/2015 R.G.
E’ comparso, per parte attrice l’Avv. NOME COGNOME su delega, che precisa le conclusioni, riportandosi integralmente a quanto dedotto e rilevato in atti e verbali di causa, con il rigetto di ogni contraria istanza, eccezione o difesa.
E’ comparso, per parte convenuta , Avv. COGNOME su delega, che precisa le conclusioni riportandosi integralmente a quanto dedotto e rilevato in atti e verbali di causa, con il rigetto di ogni contraria istanza, eccezione o difesa.
IL G.U. dispone procedersi con la discussione orale della causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. Le parti discutono oralmente la causa.
IL G.U. esaurita la discussione orale, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MESSINA Seconda Sezione Civile, in persona del Giudice dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A N._1501_2024_- N._R.G._00005368_2015 DEL_11_06_2024 PUBBLICATA_IL_11_06_2024
nella causa civile iscritta al n. 5368 dell’anno 2015 R.G., riservata in decisione in esito all’udienza dell’11.6.2024, vertente TRA , nato a , e residente in Torregrotta, , (C.F. ), rappr.to e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. ) – indirizzo di posta certificata:
presso il cui studio in Messina, , elegge domicilio, giusta separata procura alle liti;
–attore– CONTRO in persona del Direttore Generale pro tempore, Dott. con sede in Messina, (P. Iva rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. indirizzo posta certificata: presso il cui studio in Messina, elegge domicilio, giusta procura in atti;
-convenuta-
Conclusioni delle parti C.F. procuratori delle parti insistevano nell’accoglimento delle conclusioni così come ivi rassegnate, nonché in tutti i rispettivi scritti difensivi, negli atti e verbali di causa.
IN FATTO ED IN DIRITTO
La presente sentenza è redatta ai sensi dell’art.132 c.p.c. come novellato, in base al quale si richiede soltanto la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 06.10.2015 conveniva in giudizio l’ per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti e quantificati nella complessiva somma di € 250.000,00 a seguito di errati trattamenti sanitari dallo stesso ricevuti, imputabili a condotte negligenti ed imperite poste in essere dai sanitari in servizio presso l’Ente Ospedaliero, odierno convenuto.
A sostegno della domanda, l’attore, affetto da psoriasi artropatica, deduceva che in data 26.04.2012 veniva ricoverato presso la U.O.C di Dermatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “INDIRIZZO” di Messina in regime di Day Hospital e sottoposto ad indagini clinico strumentali che confermavano l’esistenza di una artropatia psoriasica, con interessamento ai polsi, mani e piedi.
Durante detto ricovero veniva eseguito ECG che evidenziava insufficienza valvolare mitralica di grado severo, collocata in terza classe funzionale NYHA.
In data 03.05.2012 l’attore veniva dimesso e, stante la superiore diagnosi, avviato a terapia con Ustekinumab – Stelara 45 mg fiale, con dosaggio di n.2 fiale per via sottocutanea da somministrarsi in data 25.05.2012 e n. 2 fiale da somministrarsi per via sottocutanea in data 22.06.2012.
A seguito di detto trattamento l’attore evidenziava un peggioramento delle condizioni con insorgenza di episodi di disuria, ematuria e febbre, per i quali veniva sottoposto a visita reumatologica ed a consulto urologico, sempre presso il Messina, in data 16.08.2012.
In data 24.09.2012, a distanza di oltre un mese dall’insorgenza dei sintomi lamentati, il paziente veniva sottoposto a consulto infettivologico dal quale di corda tendinea, ragion per cui, in data 03.10.2012, l’attore veniva sottoposto ad intervento chirurgico di sostituzione valvolare mitralica con protesi meccanica.
Parte attrice lamentava, pertanto, profili di colpa nell’operato dei sanitari del nosocomio convenuto per avergli somministrato un farmaco sperimentale (lo Stelara) per la cura di una artropatia psoriasica, errando nella selezione e nella successiva posologia del farmaco, dei cui rischi ed effetti collaterali sosteneva il paziente di non essere stato adeguatamente informato.
Deduceva, ancora, che la somministrazione del farmaco anzidetto avesse favorito l’insorgenza di una endocardite batterica, tardivamente diagnosticata, che aveva reso necessaria la sottoposizione ad intervento chirurgico per la sostituzione della valvola mitrale con protesi meccanica.
Per tutte le ragioni fin qui esposte l’attore invocava il risarcimento dei relativi danni subiti e quantificati nella complessiva somma di € 250.000,00 sulla base della relazione redatta dal CTP dott. (medico specialista in cardiologia) in cui veniva individuata una percentuale di invalidità pari al 35% in riferimento al danno biologico, atteso che:
“In definitiva, quindi, la condotta professionale posta in essere dai suddetti sanitari determinò l’insorgenza della endocardite batterica.
che, insistendo su un apparato valvolare mitralico già interessato da precedente condizione patologica, si rese responsabile di una sua compromissione anatomo-funzionale tanto grave da renderne indispensabile la protesizzazione chirurgica.
Alle lesioni in precedenza descritte, sono residuati, quali postumi invalidanti carattere permanente, “esiti di sostituzione valvolare mitralica con protesi meccanica”.
Detti reliquati configurano un danno biologico valutabile nella misura del 35% del totale.
Le lesioni in esame hanno anche determinato uno stato di inabilità temporanea assoluta della durata di giorni sessanta, seguiti da ulteriori sessanta giorni di ITP al 50%.
Ulteriormente, i summenzionati reliquati incidono sulla specifica capacità lavorativa del periziato riducendola in almeno pari misura.
” Si costituiva in giudizio l’ che evidenziava l’insussistenza dei presupposti della pretesa risarcitoria avanzata non potendosi riscontrare i profili di negligenza e imperizia invocati dall’attore.
domanda.
Nel merito, deduceva la correttezza dei trattamenti sanitari posti in essere dai sanitari dell’ convenuta nei confronti di per cui chiedeva il rigetto della domanda attorea in ordine all’an e al quantum debeatur in quanto infondata in fatto e in diritto.
Il processo veniva istruito con l’espletamento di una CTU medico-legale allo scopo di accertare la natura e l’entità della patologia lamentata dall’attore, la sussistenza di profili di negligenza e imperizia, nonché di un nesso di causalità tra la condotta tenuta dai sanitari che ebbero in cura il paziente ed i danni eventualmente riscontrati sulla persona dello
Quindi, all’odierna udienza, la causa veniva assunta in decisione all’esito della discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.
La domanda è parzialmente fondata e va accolta nei limiti di seguito indicati.
Deve, preliminarmente, rigettarsi l’eccezione di nullità della citazione sollevata dalla convenuta in ordine alla violazione degli artt. 2697 c.c. e 163 c.p.c..
Orbene, ai sensi dell’art. 164 c.p.c. la citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto il petitum e la causa petendi.
Nel caso in esame la domanda proposta non risulta affetta dai predetti vizi e, pertanto, l’eccezione di nullità deve ritenersi priva di fondamento.
Venendo al merito della controversia, deve, innanzitutto, procedersi alla corretta qualificazione giuridica dell’azione proposta dall’odierno attore.
La domanda risarcitoria proposta nei confronti di una struttura sanitaria è da ricondursi nell’alveo della disciplina della responsabilità contrattuale.
E’ ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità e di merito che qualifica la responsabilità della struttura sanitaria come responsabilità contrattuale (sul punto, Cass. n.1620/2012; Cass. n.5590/2015).
Tale indirizzo si basa sulla circostanza che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto atipico:
il c.d. contratto di spedalità o di assistenza sanitaria, che comprende prestazioni primarie di carattere medico-sanitario, ma anche prestazioni accessorie quali vitto, alloggio, assistenza.
Del pari, si ritiene di natura contrattuale la responsabilità del medico convenuto, e paziente sorge un’obbligazione che trae fondamento nell’art.1173 c.c. (gli altri atti o fatti idonei a far sorgere l’obbligazione) e che soggiace alle ordinarie regole di riparto dell’onere probatorio di cui alla disciplina della responsabilità contrattuale ex art.1218 c.c..
Ed infatti, sebbene non sia ignota al Giudicante l’emanazione della legge c.d. che all’art. 7, comma 3, stabilisce chiaramente che l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., il presente giudizio è stato incardinato in data anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina che trova invece applicazione per le cause introdotte dopo l’01.04.2017, di talchè nella fattispecie in esame la responsabilità del medico deve continuare a classificarsi di natura contrattuale. Invero, la Suprema Corte, aveva già ribadito la natura contrattuale della responsabilità medica anche a seguito dell’entrata in vigore del c.d. Decreto Balduzzi (legge n.189/2012), che all’art.3 comma 1 espressamente recita:
“L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve.
In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile.
Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
I giudici di legittimità, nell’interpretare la norma in commento avevano ribadito il proprio orientamento ritenendo che il legislatore non avesse inteso qualificare la responsabilità del medico in termini di responsabilità aquiliana:
“Ora, la fattura della norma, là dove omette di precisare in che termini si riferisca all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c., poiché in lege aquilia et levissima culpa venit, vuole solo significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso certamente prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. Non sembra ricorrere, dunque, alcunché che induca il implicazioni (da ultimo riaffermate da Cass. n. 4792 del 2013). ” (Cass. sez. VI, ordinanza n.8940/2014).
In buona sostanza, secondo la previgente disciplina (Decreto Balduzzi) l’accettazione del paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (fra le tante, Cass. 19/10/2006 n.22390; Cass. 24/5/2006 n.12362; Cass. 19/4/2006 n.9085; Cass. 26/1/2006 n.1698;
Cass. 28/5/2004 n.10297; Cass. 21/7/2003 n.11316; Cass. 14/7/2003 n.11001; Cass. 11/3/2002 n.3492; Cass. 10/9/1999 n.9198; Cass. 22/1/1999 n.589; Cass. 2/12/1998 n.12233; Cass. 27/7/1998 n.7336) di prestazione d’opera atipico di spedalità, essendo essa tenuta ad una prestazione complessa che non si esaurisce nella prestazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonchè di quelle latu sensu alberghiere (Cass. 26/1/2006 n.1698; Cass. 14/7/2004 n.13066; Cass. sez. un. l/7/2002 n.9556; Cass. 22/1/1999 n.589).
Ne consegue che la responsabilità dell’ente ospedaliero ha natura contrattuale sia in relazione a propri fatti d’inadempimento (ad es., in ragione della carente o inefficiente organizzazione relativa alle attrezzature o alla messa a disposizione di medicinali o del personale medico ausiliario e paramedico, o alle prestazioni di carattere alberghiero) sia per quanto concerne il comportamento in particolare dei medici dipendenti.
L’ente risponde, infatti, di tutte le ingerenze dannose che al dipendente sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al terzo danneggiato, e cioè dei danni che il dipendente può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il paziente nell’attuazione del rapporto con la struttura sanitaria, responsabilità che trova fondamento non già nella colpa (nella scelta degli ausiliari o nella vigilanza) bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (Cass. n.6 756/2001; Cass. n.5329/2003).
paziente che si duole dell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale deve soltanto dimostrare l’esistenza e l’efficacia del contratto e/o contatto sociale e del danno patito, allegando altresì l’inadempimento del debitore, mentre è onere del convenuto dimostrare o di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento non è causa del danno (Cass. sez. un. n. 577/2008).
Ne consegue che è onere del medico o del personale paramedico dimostrare che il danno non sussiste, ovvero non è dipeso da propria colpa e pertanto grava sul medico l’onere di provare che l’insuccesso dell’intervento è dipeso da fattori indipendenti dalla propria volontà, dimostrando di aver osservato nell’esecuzione della prestazione sanitaria la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione (Cass., n.24791/2008).
Deve precisarsi, in proposito, che dalla natura contrattuale della responsabilità dell’ente ospedaliero consegue che, in omaggio al principio della vicinanza o riferibilità dei mezzi di prova, “… consistendo l’obbligazione professionale in un obbligazione di mezzi, è a carico del danneggiato la prova dell’esistenza del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie), nonché del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico di questi ultimi o dell’ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. civ. sent. n.9085 del 19.4.2006; si vedano anche Cass. civ. sent. n.23918 del 23.11.2006; Cass. civ. sent. n.12362 del 24.5.2006; Cass. civ. sent. n.22894 del 11.11.2005).
In ordine poi all’esistenza del nesso di causalità è stato altresì affermato che ”in tema di responsabilità civile, per l’accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica.
Ne consegue che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile” (Cass. civ. sent. n. 14759 del 26.6.2007).
La sufficienza di un credibile ed elevato giudizio probabilistico, supportato da rigorose leggi scientifiche, per dimostrare la sussistenza del nesso causale in sent. cit. n.576/2008, Cass. civ. sent. n.22894 del 11.11.2005; Cass. civ. sent. n.632 del 21.1.2000; 11287 del 16.11.1993), spesso affermato proprio in materia di responsabilità per attività sanitaria;
si tratta di un orientamento che in linea di principio può essere condivisibile in quanto, ad esigere la prova del nesso causale in termini di certezza, si richiederebbe al danneggiato una probatio diabolica e si frapporrebbe un eccessivo ed ingiustificato ostacolo alla tutela del diritto ad agire in giudizio.
Ebbene, la CTU opportunamente espletata nel corso del giudizio, redatta dai dott.ri (medico chirurgo specialista in Medicina Legale), (medico chirurgo specialista in Cardiologia) e (medico chirurgo specialista in Dermatologia), dopo aver ripercorso l’anamnesi patologica, rispondendo ai quesiti formulati dal magistrato, ha evidenziato in particolare che “il Sig. era affetto sia da psoriasi cutanea che da artrite psoriasica, e la terapia a lui somministrata, ustekinumab (stelara), rientra nelle linee guida sia della psoriasi cutanea che dell’artrite psoriasica; è di conseguenza un farmaco ideale per trattare entrambe le Patologie;
I medici dell’ hanno effettuato, senza alcun dubbio, una prestazione medica secondo i criteri di diligenza professionale, senza che fossero previsti problemi tecnici di speciale difficoltà, somministrando la terapia secondo le tecniche usuali.
Non è ravvisabile imperizia.
Per quanto riguarda la posologia del farmaco, che è stata di 90 mg e non di 45 mg, episodio giudicato come grave imperizia da parte attrice, bisogna considerare due aspetti:
– lo pesava 96 chili, solo 4 chili in meno della soglia di 100 chili per la quale è prevista la posologia di 90 mg;
– nei pazienti affetti da morbo di chron o da rettocolite ulcerosa lo stesso farmaco viene somministrato in flebo alla posologia di 240 mg per individui di oltre 85 chili.
Quindi, anche se il farmaco è stato somministrato in modo generoso dai sanitari, si deve tenere conto che in altri pazienti dello stesso peso, ma affetti da altre patologie, tale posologia è considerata sottodosata, quindi non si può assolutamente attribuire a tale procedura terapeutica la causa di tutti i malanni accaduti allo ***.
Per tale posologia non è pertanto ravvisabile imperizia o lamentate dal periziando, rientrando le stesse in quella piccola percentuale di effetti collaterali gravi (0,03%) che l’utilizzo di può causare”.
I CC.TT.UU. , ancora, evidenziavano:
“il ritardo nell’esecuzione dell’esame colturale (24.9) e conseguentemente nell’inizio della terapia mirata, configura a nostro parere una condotta negligente ed imprudente dei sanitari, essendosi reso responsabile dell’endocardite batterica che rendeva urgente ed indifferibile l’intervento di sostituzione valvolare mitralica (il paziente avrebbe dovuto comunque, per evitare gravi complicazioni, sottoporsi a tale procedura di sostituzione valvolare ma lo sviluppo dell’endocardite ne ha determinato una indubbia necessaria anticipazione).
Pertanto, risulta ammissibile al risarcimento poiché causalmente ascrivibile alla condotta colposa dei sanitari, un periodo di inabilità temporanea biologica quantificabile sulla base dei dati in atti in circa giorni 30 di assoluta, 30 al 50% e 60 al 25%, così considerando il mese di persistenza della febbre colposamente non trattata correttamente con insorgenza dell’endocardite, il periodo dei ricoveri per l’effettuazione dell’intervento chirurgico di sostituzione valvolare mitralica e della riabilitazione cardiologica, e l’attendibile ulteriore periodo successivo di malattia e convalescenza in considerazione della fattispecie chirurgica in oggetto.
Sottolineamo che non è comunque configurabile danno biologico permanente causalmente ascrivibile alla condotta colposa dei sanitari, dato che l’intervento di sostituzione valvolare, che avrebbe dovuto essere effettuato in ogni caso come detto, ha avuto esito favorevole, in assenza di complicanze.
” Gli anzidetti accertamenti medico-legali, che qui devono intendersi integralmente richiamati ed ai quali più in dettaglio si rimanda, basati su un attento esame della documentazione clinica prodotta in atti, resi all’esito di una accurata valutazione della documentazione in atti, appaiono coerenti e scevri da vizi logici e devono essere condivisi.
In particolare, il Giudicante aderisce alle risultanze della consulenza tecnica espletata in sede processuale, rese in puntuale risposta ai quesiti giudiziali formulati e alle specifiche contestazioni mosse in giudizio dalle parti.
Ebbene, alla luce delle suesposte considerazioni tecniche, l’unico profilo di negligenza dei sanitari evidenziato dai CCTTUU è quello relativo al ritardo indifferibile l’intervento di sostituzione della valvola mitralica con protesi meccanica.
Alla stregua di quanto sopra la domanda va accolta nei limiti indicati nella consulenza tecnica depositata agli atti del giudizio, con rigetto nel resto.
Passando ad esaminare i profili attinenti al quantum debeatur, deve accogliersi la richiesta risarcitoria avanzata da parte attrice nei limiti, come già detto, di quanto evidenziato nella CTU dei dott.ri (un periodo di inabilità temporanea biologica quantificabile in circa giorni 30 di assoluta, 30 al 50% e 60 al 25%).
Va chiarito, ancora, che il danno non patrimoniale non può che essere liquidato in via equitativa e che tale valutazione ha da tempo trovato un utile parametro di riferimento nelle note tabelle che sono state elaborate dagli uffici giudiziari per assicurare una tendenziale omogeneità di trattamento fra situazioni analoghe;
com’è noto, al fine di assicurare il massimo grado di uniformità, la stessa Corte di Cassazione è poi pervenuta a riconoscere alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano valenza generale di “parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt.1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono” (Cass. n.12408/2011).
Ed allora, all’attore deve riconoscersi (prendendo come punto base dell’invalidità temporanea l’importo di Euro 99,00 al giorno indicato nelle predette tabelle Milanesi) l’importo di € 5.940,00 a titolo di invalidità temporanea (parziale) per come riconosciuta in CTU.
Ne discende che parte convenuta va condannata a rifondere in favore dell’attrice la somma, all’attualità, di € 5.940,00 oltre interessi legali come di seguito specificato:
l’attuale credito innanzi determinato deve essere devalutato all’epoca della causazione del danno – giugno 2012 – e rivalutato anno per anno secondo gli indici Istat ad un saggio equivalente agli interessi legali, con esclusione degli interessi sugli interessi (cfr. Cass. sez. III n.23225/2005).
Le spese di lite del presente giudizio, in ragione dell’originaria richiesta di risarcimento e della, conseguente, soccombenza reciproca, possono essere compensate.
Tribunale di Messina, Seconda Sezione Civile, in persona del giudice unico dott. NOME COGNOME uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da nei confronti dell’ , in persona del Direttore Generale pro tempore, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede:
– accoglie la domanda nei limiti di cui in parte motiva e, per l’effetto, condanna convenuta al pagamento della somma complessiva di € 5.940,00 oltre interessi come indicati in parte motiva;
– compensa tra le parti le spese del giudizio;
– pone definitivamente a carico di entrambe le parti, in ugual misura, le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento.
Così deciso in Messina in data 11 giugno 2024
Il Giudice dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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