REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI FOGGIA
II SEZIONE CIVILE
in composizione monocratica, nella persona della Giudice designata, dott.ssa , ha pronunciato ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c. la seguente
SENTENZA n. 616/2021 pubblicata il 11/03/2021
nella causa civile iscritta al n. /2014 di RG vertente fra le pari:
XXX, erede di, rappresentata e difesa dall’Avv., giusta mandato in atti;
–parte attrice-
CONTRO
COMUNE DI YYY, in persona del Sindaco pro tempore, con l’Avv., che lo rappresenta e difende giusta mandato in atti;
-parte convenuta- E
AZIENDA SANITARIA LOCALE ZZZ, in persona del Direttore Generale, rappresentata e difesa dall’Avv., giusta delega in atti;
-parte convenuta-
CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da note di trattazione depositate per l’udienza del 15 dicembre 2020 svoltasi nella modalità della c.d. trattazione scritta.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato l’attrice -nel premettere che: a) in data 10 dicembre 2010 mentre percorreva Via *** dell’abitato di ***, giunta nei pressi del civico n.69, è stata aggredita da “due cani randagi che saltandole addosso l’hanno fatta cadere rovinosamente in terra con la schiena..”; b) a causa della caduta ha accusato forti dolori alla schiena e, pertanto, si è recata al Pronto Soccorso dell’Ospedale di *** dove le è stata diagnosticata “frattura del corpo d12” con prognosi di 40 giorni; c) è residuata una invalidità “che oscilla tra il 10/15%”- ha convenuto in giudizio la ASL di ZZZ ed il Comune di YYY, al fine di sentirli condannare in solido al risarcimento del danno conseguente, quantificato in € 24.950, oltre interessi, rivalutazione e spese di lite.
Si è costituita la Asl di ZZZ che ha preliminarmente eccepito la nullità dell’atto introduttivo, carente del requisito delle ragioni di diritto su cui la domanda azionata si fonda; nel merito ha contestato la fondatezza della pretesa risarcitoria.
Del pari il Comune di YYY si è opposto alle avverse domande, facendo valere preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e nel merito deducendo la mancanza degli elementi costitutivi della responsabilità degli enti convenuti ex art. 2043 c.c.
Assegnati i termini di cui all’art. 183, VI comma, c.p.c., la causa è stata istruita esclusivamente con prove orali, all’esito delle quali -ritenuta la causa matura per la decisione- è stata fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni.
Dopo taluni rinvii, disposti dalla precedenti Magistrate assegnatarie del fascicolo a causa del gravoso carico di ruolo e della necessità di definire procedimenti di più antica iscrizione, all’udienza del 15 dicembre 2020, svoltasi mediante comparizione figurata delle parti, queste ultime hanno precisato le conclusioni come da note scritte depositate nel termine assegnato giusta decreto del 25 novembre 2020.
La causa è stata quindi introita per la decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e repliche.
Per completezza va dato atto che, pendente il giudizio, l’attrice è deceduta e si è costituita in prosecuzione ex art. 302 c.p.c. XXX, in qualità di erede della ***.
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Prima di passare a scrutinare la fondatezza della domanda, giova rimarcare -quanto alla richiesta di ammissione di CTU reiterata da parte attrice in sede di precisazione delle conclusioni e di comparsa conclusionale- che secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità “il giudice del merito non è tenuto a motivare specificamente sulla reiezione di tutte le istanze istruttorie, essendo sufficiente che il medesimo giustifichi, con motivazione adeguata, la sua valutazione in ordine alla sufficiente istruzione della causa” (Cass., 16297/2015).
Nel caso di specie, anche alla luce dei motivi di seguito illustrati, l’accertamento peritale invocato da parte attrice si appalesa superfluo ai fini della decisione.
Ciò chiarito, occorre esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Comune convenuto.
Tale eccezione è fondata e va accolta alla luce del più recente e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in base alla legislazione regionale della Regione Puglia l’attività di ricovero, implicante la cattura, dei cani randagi, è estranea ai compiti dei Comuni, i quali devono limitarsi alla gestione dei canili ai fini della mera accoglienza dei cani, mentre al ricovero provvedono i soggetti tenuti al recupero dei cani randagi, e cioè i servizi veterinari delle Asl (così da ultimo Cass. n. 9167/2020). A tale condiviso esito i giudici di legittimità pervengono facendo applicazione degli artt. 2 e 3 della legge quadro n. 281/1991, da cui si desume che il riparto di responsabilità tra le istituzioni preposte alla prevenzione e contrasto del randagismo debba essere stabilito sulla base delle disposizioni contenute nelle singole leggi regionali che disciplinano concretamente le funzioni assegnate da detta legge alle AA.SS.LL. e ai Comuni, così permettendo all’interprete di individuare i soggetti tenuti all’eventuale risarcimento dei danni determinati dall’aggressione di detti animali.
In particolare la Regione Puglia con L.R. n. 12/1995 ha disposto all’art. 6 che, al fine di prevenire il pericolo dell’incolumità pubblica, le funzioni di recupero e custodia dei cani randagi, nonché di controllo della popolazione canina a fini di igiene e profilassi fossero svolte dalle aziende sanitarie locali, riservando invece ai comuni una generica attività di redazione di piani di controllo delle nascite e meri compiti di gestione dei canili al fine dell’accoglienza dei cani randagi recuperati (cfr. ex multis: Cass. n. 6392/2020; Cass. n. 22522/ 2019, Cass. n. 17060/2018).
Dunque, dal richiamato quadro normativo regionale emerge che l’attività di ricovero (implicante la cattura) è estranea ai compiti dei comuni, i quali devono limitarsi alla gestione dei canili al fine della mera «accoglienza» dei cani, mentre al «ricovero» evidentemente provvedono i soggetti tenuti al recupero dei cani randagi, e cioè i Servizi veterinari delle ASL.
Come rilevato da ultimo da Cass n. 1760 del 28 giugno 2018 il discrimine ai fini della responsabilità civile risiede nella differenza fra «accoglienza» e «ricovero», posto che solo il secondo presuppone l’attività di recupero e cattura. All’accoglienza si legano gli obblighi di custodia e mantenimento dei cani, la cui violazione, a seconda delle circostanze, è suscettibile di determinare la responsabilità civile; non vi è invece un dovere a carico dei Comuni di recupero e cattura dei cani randagi quale obbligo giuridico la cui violazione possa integrare una fattispecie di responsabilità civile.
In definitiva, l’ente comunale è privo di legittimazione passiva con riguardo alla domanda risarcitoria proposta dall’attrice per i danni subiti a seguito della aggressione di alcuni cani randagi di grossa taglia.
Passando al merito della controversia, occorre preliminarmente ribadire che la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi è disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 cod. civ., e non da quelle di cui all’art. 2052 cod. civ., che sono applicabili al diverso caso della fauna selvatica (da ultimo, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 31059 del 28 novembre 2019 e Cass. Sez. 3 – n. 31957 del 11/12/2018).
Dovendosi fare applicazione dello statuto normativo della responsabilità aquiliana, grava sul danneggiato l’onere di individuare non in astratto, bensì in concreto, il comportamento colposo ascritto alla ASL.
Di talchè non è sufficiente -per affermarne la responsabilità in caso di danni provocati da un animale randagio- individuare semplicemente l’ente preposto alla cattura dei randagi e alla custodia degli stessi, non essendo materialmente esigibile -anche in considerazione della possibilità di spostamento di tali animali- un controllo sul territorio così penetrante e diffuso e uno svolgimento dell’attività di cattura così puntuale e tempestiva da impedire del tutto che possano comunque trovarsi sul territorio in un determinato momento degli animali randagi.
Occorre, pertanto, che sia specificamente allegato e provato dall’attore che nel caso concreto la cattura e la custodia dello specifico animale randagio che ha provocato il danno erano nella specie possibili ed esigibili, e che l’omissione di tali condotte sia derivata da un comportamento colposo dell’ente preposto (ad esempio perché vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto e ciò nonostante quest’ultimo non sia era adeguatamente attivato per la cattura).
Diversamente opinando, ossia se bastasse, per invocarne la responsabilità, l’individuazione dell’ente preposto alla cattura dei randagi ed alta custodia degli stessi, la fattispecie cesserebbe di essere regolata dall’art. 2043 c.c. e finirebbe per essere del tutto disancorata dalla colpa, rendendo la responsabilità dell’ente una responsabilità sottoposta a principi analoghi se non addirittura più rigorosi di quelli previsti per le ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2051, 2052 e 2053 c.c. (Cass. n. 11591/2018; Cass. n. 17060/2018; Cass. n. 31957/2018).
Ebbene, in applicazione di tali coordinate ermeneutiche e alla luce delle emergenze processuali, la domanda risulta infondata e va rigettata.
Gli esiti dell’istruzione probatoria, e in particolare la testimonianza dei sig.ri *** e *** (escussi rispettivamente alle udienze del 24 maggio 2016 e del 24 gennaio 2017) non hanno permesso di accertare con sufficiente chiarezza se il cane si trovasse o meno nella condizione di randagismo.
Sul punto, la prima teste si è limitata a dire soltanto che i cani erano privi di collare: tale dichiarazione della teste *** non appare di sicura attendibilità, posto che -come dalla stessa affermato- ha assistito all’evento per cui è causa dal balcone di casa, dunque a una distanza tale da non consentire una percezione visiva precisa e certa.
Il secondo teste ha dichiarato di non avere avuto modo di verificare se i cani avessero o meno il collare.
Peraltro, nessuno dei due testi ha riferito di essere a conoscenza di eventuali segnalazioni all’ente preposto della presenza dell’animale sui luoghi del sinistro. Di contro, il teste ***, Comandante dei Vigili Urbani di YYY, ha riferito che “non è stata depositata nessuna denuncia a segnalazione della presenza o di aggressioni di cani randagi. Ciò posso affermare in quante tale circostanza l’ho verifica personalmente nell’archivio della Polizia Municipale” (cfr. verbale di udienza del 24 maggio 2016).
Né tantomeno possono assumere rilevanza i documenti prodotti da parte attrice per la prima volta in uno alle note di replica, chiaramente inutilizzabili in quanto depositati tardivamente.
In conclusione, la domanda attorea deve ritenersi infondata e va pertanto rigettata. Le spese di lite seguono la soccombenza e devono essere poste interamente a carico di parte attrice.
Si procede alla liquidazione, d’ufficio in assenza di nota spese, come in dispositivo, facendo applicazione del DM 55/2014 (successivamente modificato dal DM 37/2018) scaglione di valore da € 5.200,01 a € 26.000,00 in base al disputatum, con riconoscimento dei parametri minimi per tutte e quattro le fasi, tenuto conto della non particolare complessità della controversia e dell’attività difensiva concretamente espletata.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa,
1. dichiara il difetto di legittimazione passiva del Comune di YYY;
2. rigetta la domanda;
3. condanna parte attrice a rifondere in favore degli enti convenuti le spese di lite che si liquidano in € 2.417,50 per compensi, oltre spese generali al 15%, IVA e CAP come legge.
Così deciso in Foggia, 11 marzo 2021.
La Giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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