REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE IV CIVILE in persona del Giudice Unico dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A N._779_2025_- N._R.G._00015080_2022 DEL_14_02_2025 PUBBLICATA_IL_17_02_2025
nella causa civile n. 15080/2022 R.G. promossa da:
c.f. , elettivamente domiciliata in Torino, INDIRIZZO presso e nello studio dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME che la rappresentano e difendono per delega allegata al ricorso introduttivo – ATTRICE – – contro – c.f. , elettivamente domiciliato in Milano, INDIRIZZO, presso e nello studio dell’avv. COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono per delega allegata alla comparsa di costituzione e risposta – CONVENUTO – OGGETTO: responsabilità professionale
CONCLUSIONI
DELLE PARTI Per parte attrice:
“In via principale – accogliere il ricorso per i motivi di fatto e di diritto sopra descritti;
– accertare e dichiarare l’inadempimento del dott. per le ragioni di cui in narrativa e per gli effetti condannarlo al risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla C.F. C.F. ricorrente e che si quantificano complessivamente nella somma di euro 100.000,00, oltre interessi moratori ex art. art. 1284 c.c. dal deposito della domanda ovvero in quell’altra somma, maggiore o minore, che riterrà di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto a quello dell’effettivo soddisfo.
Con sentenza esecutiva ex lege.
In via subordinata – accertare e dichiarare l’inadempimento del dott. per le ragioni di cui in narrativa e per gli effetti condannarlo al risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla ricorrente e che si quantificano complessivamente nella somma di euro 87.558,81 – pari all’importo indicato dall’Agenzia delle Entrate nella comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria a seguito della cristallizzazione del debito fiscale in capo alla sig.ra a causa del deposito tardivo del ricorso da parte del dott. – oltre interessi moratori ex art. art. 1284 c.c. dal deposito della domanda.
In via istruttoria, si chiede di ammettersi i mezzi istruttori di cui alle memorie istruttorie ex art. 183, VI comma n. 2 e n. 3 c.p.c. e di non ammettersi i capitoli di prova formulati da controparte e, già opposti in prima udienza, in quanto meramente valutativi, infondati ed inconferenti e in ogni caso si chiede, sin d’ora l’ammissione a prova contraria, con ogni più ampia riserva di aggiungere, integrare, modificare, precisare e di formulare istanze anche istruttorie nonché di produrre documenti nei modi e nei termini stabiliti dalla legge anche in relazione al comportamento processuale di controparte. In ogni caso, con vittoria di spese diritti ed onorari tutti di causa, oltre IVA e CPA come per legge.
” Per parte convenuta:
“ Piaccia al Tribunale adito, contrariis rejectis, così giudicare:
In via preliminare: dichiarare l’improcedibilità dell’avverso ricorso e/o inammissibilità dello stesso per le ragioni esposte in atti Nel merito in via principale:
rigettare la domanda promossa dalla ricorrente perché infondata in fatto ed in diritto per le ragioni tutte suesposte;
Nel merito in via subordinata:
nel solo e denegato caso di mancato accoglimento della domanda svolta in via principale, ridurre a giustizia le somme dovute;
In ogni caso:
con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa;
In via istruttoria:
con espressa riserva nel termine già concesso ex art 183 vi comma cpc Salvis juribus..
” MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 4.8.2022, ha allegato:
1. di essere titolare dell’omonima ditta individuale (p.iva: ) esercente l’attività di sartoria in Trofarello (TO);
2. di essersi rivolta nell’anno 2015 allo RAGIONE_SOCIALE, corrente in Torino, INDIRIZZO per una consulenza convinta di procedere con un condono fiscale;
3. che i titolari del predetto studio professionale, sig.ri , rispettivamente padre e figlio, sono stati arrestati nel 2018, nell’ambito di un’indagine per reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi fiscali e fatture false, truffa, esercizio abusivo della professione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina;
4. che anche la sig.ra è stata vittima di tali condotte criminose poste in essere dallo RAGIONE_SOCIALE e in data 27.6.2018 ha sporto denuncia;
5. che l’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale I di Torino, a seguito di verifica sulla posizione fiscale (IRPEF 2014 ed IVA 2014) della sig.ra , ha chiesto il rimborso di crediti di imposta utilizzati in compensazione ma non spettanti, per un recupero totale di euro 81.684,35 (di cui euro 38.519,76 per imposte, euro 38.519,76 per sanzioni nella misura del 100% ed euro 4.644,83 per interessi e diritti di notifica);
6. di aver conferito, in data 02.07.2018, specifico mandato al dott. per promuovere il ricorso per l’impugnazione dell’atto NUMERO_DOCUMENTO notificato alla contribuente in data 16.05.2018;
7. di essere stata rassicurata dal dott. circa la fondatezza dei motivi di ricorso e lo stesso professionista ha espresso il proprio parere positivo sull’accoglimento dell’impugnazione da parte della Commissione Tributaria competente, tanto da ritenere superflua la collaborazione di un difensore legale nella presentazione della stessa;
8. che il dott. ha provveduto a redigere ed a notificare, in data 04.07.2018, il predetto ricorso all’Agenzia delle Entrate per impugnare l’atto sopra indicato, ma lo ha depositato in data 7.12.2018 e dunque oltre il termine normativamente previsto (vale a dire 90 giorni dalla notifica del ricorso/reclamo, scadente il 3.12.2018);
9. che il dott. ha omesso di informare la propria assistita circa l’eccezione preliminare di inammissibilità per deposito tardivo fatta valere dall’Ufficio già in sede di deposito della propria memoria di costituzione in giudizio, di cui alle controdeduzioni depositate in data 13.12.2018;
10. che il dott. si è recato alla prima udienza, tenutasi il 18.09.2019, insieme alla propria assistita ed il marito di quest’ultima e soltanto in tal occasione, ha preso conoscenza della citata eccezione di inammissibilità del ricorso, chiedendo un breve rinvio ed alla successiva udienza, del 30.10.2019, il professionista ha constatato la tardività del proprio deposito e, dunque, ha preso atto dell’inevitabile inammissibilità del ricorso;
11. che con sentenza n. 1607/1/19 pronunciata il 30.10.2019 e depositata in segreteria il 18.12.2019, la Commissione Tributaria Provinciale di Torino, Sezione 1, ha dichiarato “inammissibile perché tardivo” il ricorso con istanza di reclamo/mediazione ai sensi dell’art. 17 bis del D. Lgs. N. 546/92 notificato dal dott. (commercialista) nell’interesse della sig.ra NOME
che il dott. , fin da subito, ha manifestato personalmente alla sig.ra ed al di lei compagno, sig. , la propria responsabilità ammettendo l’errore compiuto nell’espletamento del mandato conferito e invitando gli stessi a procedere per vie legali, e ha dichiarato di aver già provveduto all’apertura, in via cautelativa, del sinistro con la propria compagnia assicurativa,
13. che dal tenore della motivazione della citata sentenza emerge come il ricorso della sig.ra potesse essere con ottima probabilità accolto nel caso in cui fosse stato tempestivamente depositato;
14. che il procedimento di mediazione intrapreso nei confronti del dott. si è concluso al primo incontro con esito negativo.
Ha concluso instando, previo accertamento della responsabilità professionale del convenuto, condannare il dott. al risarcimento dei danni patiti quantificati nella somma complessiva di € 100.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Con comparsa di risposta in data 11.11.2022 si è costituito in giudizio il dott. – eccependo, preliminarmente, l’insussistenza dei presupposti per la proposizione del procedimento sommario di cognizione con conseguente inammissibilità del ricorso;
– non contestando, nel merito, le circostanze sopra dedotte ai punti 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11 e 14;
– contestando, nel merito, le ulteriori circostanze ed osservando: .
di aver informato la sig.ra ed il di lei compagno (con cui vi era una lunga conoscenza) circa l’esito incerto del ricorso e di aver agito al fine di limitare il danno subito dalla ricorrente, auspicando che la Commissione Tributaria accogliesse il ricorso motivando la decisione non tanto in punto di diritto (sul quale non vi sono e non vi erano grandi chances di riuscita), quanto sull’aspetto umano e di equità;
che il professionista non sia incorso in un errore di attività di semplice espletamento e che da un qualsivoglia errore (acclarato o meno) non possa derivare una responsabilità professionale, non essendovi prova che l’esito della procedura presso la Commissione Tributaria sarebbe stato positivo;
che l’aver chiesto cautelativamente l’apertura del sinistro presso la propria compagnia di assicurazioni non determina il riconoscimento di responsabilità;
– contestando il quantum della pretesa creditoria avanzata in quanto ingiustificato, essendo l’importo richiesto differente rispetto all’asserito credito di imposta oggetto del ricorso tributario, posto peraltro che il professionista (commercialista) che in ipotesi possa aver commesso un errore non può essere chiamato a corrispondere le somme dovute per imposte o tasse, comunque dovute, ma eventualmente solo per le sanzioni.
Ha concluso, in via preliminare, per la declaratoria di improcedibilità e/o inammissibilità del ricorso e nel merito, in via principale, per il rigetto della domanda e in subordine, per la riduzione a giustizia delle somme dovute.
Previo mutamento del rito disposto con ordinanza in data 27.1.2023, nonché assegnati successivamente i termini ex art. 183 co 6 c.p.c., veniva licenziata CTU, depositata la quale, con successiva ordinanza in data 28.3.2024, venivano rigettate le prove orali richieste dalle parti e ritenuta la causa matura per la decisione.
Precisate le conclusioni come in epigrafe indicate, con ordinanza in data 29.10.2024, la causa veniva trattenuta a sentenza.
******* 1. Sulle conclusioni di parte convenuta Deve preliminarmente darsi atto che parte convenuta abbia rassegnato le proprie conclusioni con note scritte del 16.10.2024, riportandosi “alle conclusioni di cui al foglio di precisazione delle conclusioni che deve intendersi come qui integralmente trascritto” il quale non risulta tuttavia essere stato allegato alle predette note d’udienza, né altrimenti depositato.
In merito deve tuttavia osservarsi come, per costante orientamento giurisprudenziale, la mancata comparizione del procuratore della parte all’udienza di precisazione delle conclusioni, ovvero la mancata precisazione delle conclusioni o la precisazione delle stesse in modo generico, fa presumere che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (Cass. civ. Sez. III, 09-10-1998, n. 10027, Cass. sez.6-1, ordinanza n.22360 del 30 settembre 2013; Cass. sez.3, sentenza 24 giugno 2003 n.10004, T. Padova, Sez. I, 6.3.2017, conf. Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 09/05/2018, n. 11222, Cass. civ. Sez. II Ord., 09/07/2018, n. 18027, conf. Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 26523 del 20/11/2020), dovendosi ritenere implicitamente richiamate le conclusioni formulate entro il termine preclusivo, vale a dire, nel caso di specie, nella prima memoria ex art. 183 co 6 n. 1 c.p.c., le quali sono state appunto riportate in epigrafe.
2. Sulla qualificazione giuridica – onere della prova La presente fattispecie trae origine dalla domanda dispiegata da volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della declaratoria inammissibilità dell’impugnativa, presentata dal dott. commercialista dalla stessa incaricato, avverso un provvedimento emesso dall’Agenzia delle Entrate (NUMERO_DOCUMENTO), con cui le era stato richiesto il rimborso di crediti d’imposta utilizzati in compensazione ma non spettanti, per un recupero totale di € 81.684,35. ha allegato la condotta negligente del professionista, consistita nell’aver in dott. depositato tardivamente il ricorso, circostanza che aveva determinato la Commissione Tributaria Provinciale a sancirne l’inammissibilità, pronunciata con la sentenza n. 1607/1/19 del 30.10.2019.
Ha quindi dedotto, da un lato, che il professionista aveva espresso rassicurazioni in merito al positivo esito dell’impugnativa e, dall’altro, che dal tenore della motivazione della citata sentenza emergeva come il ricorso presentato nell’interesse della sig.ra , se tempestivamente depositato, avrebbe avuto ottime probabilità di essere accolto, così ritenendo sussistente il nesso causale tra la condotta negligentemente omessa del convenuto e gli ingenti danni economici patiti, avuto riguardo alla somma di cui ella risulta ad oggi debitrice nei confronti dell’Erario. Ha concluso osservando che il dott. avesse riconosciuto il proprio errore, avendo anche aperto un sinistro presso la propria compagnia di assicurazione per la responsabilità professionale.
Il dott. ha confermato di essere stato incaricato dalla sig.ra di difenderla nel ricorso contro l’atto di recupero NUMERO_DOCUMENTO con il quale si formulava il rimborso di due crediti di imposta utilizzati in compensazione ma non spettanti per un totale di € 81.684,35, ma ha negato di aver rassicurato l’attrice circa l’esito favorevole della vertenza, evidenziando, di contro come ella ed il compagno, sig. , fossero stati invece edotti circa l’incertezza della pronuncia anche in ragione del fatto che vi era l’auspicio che la Commissione Tributaria accogliesse il ricorso motivando la decisione non tanto in punto diritto quanto sull’aspetto dell’umanità e dell’equità. Ha dunque negato la propria responsabilità, evidenziando come difetti nel caso di specie la prova che se il ricorso fosse stato depositato tempestivamente, lo stesso sarebbe stato certamente accolto, come invece sostenuto dall’attrice.
Ora, nessun dubbio può sussistere sulla natura contrattuale della responsabilità del professionista, con la precisazione che, per giurisprudenza costante, “le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo, di guisa che, ai fini di un eventuale giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176, comma 2, che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione, da commisurare alla natura dell’attività concretamente esercitata, non potendo il suddetto professionista garantire l’esito favorevole auspicato dal cliente” (Cass. Civ. 20 maggio 2015, n. 10289, Cass. 18612/13). Ne deriva sotto il profilo dell’onere probatorio l’applicazione dei principi enunciati in via generale in materia contrattuale dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 13533/01:
“In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, e eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, e il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento” (così ancora Cass. n. 25872/20).
Con particolare riferimento ai presupposti della responsabilità civile dell’avvocato, che possono estendersi anche alla fattispecie in esame, avuto riguardo allo specifico addebito contestato al commercialista che ha patrocinato l’impugnativa presentata avanti al Commissione Tributaria nell’interesse dell’attrice, la giurisprudenza di legittimità ha svolto un ragionamento che si articola nei seguenti passaggi:
i) l’asserito mancato esatto assolvimento dei doveri del mandato non è sufficiente a provare la responsabilità dell’avvocato per i danni che il cliente assume aver subito in dipendenza di essa;
ii) tali danni, che parimenti il cliente (ex, a questo punto) deve allegare e provare, richiedono necessariamente, per essere ammessi a risarcimento, la dimostrazione del loro nesso causale con la condotta colposa (commissiva e/o omissiva) dell’avvocato;
iii) la prova di tale nesso causale (che grava rigorosamente sul cliente/attore) è una prova positiva, ed attiene alla dimostrazione, secondo il criterio del “più probabile che non”, che l’attività che si assume omessa ovvero inesatta oppure inadeguata, se posta in essere correttamente, il cliente avrebbe ottenuto il vantaggio auspicato ovvero avrebbe evitato il pregiudizio lamentato (Cass. Civ. 28 agosto 2020, n. 17974, conf. Cass. 2638/13 conf. Cass. 2836/02).
In altri termini, dunque, l’avvocato si obbliga nei confronti del cliente unicamente a svolgere con la diligenza propria della sua professionale, l’attività che dal cliente gli viene richiesta, e non certo a ottenere un risultato positivo.
E’ stato anche chiarito che in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa (Cass. 10320/18 conf. Cass. 25112/17). La condotta del professionista deve essere valutata conducendo un giudizio di carattere prognostico sull’ipotetico differente possibile esito che tale attività professionale avrebbe potuto avere, occorrendo, come rilevato da altre decisioni, verificare se, nel caso in cui l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, il cliente avrebbe avuto il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, in mancanza, la prova del nesso causale (Cass. Civ. 28 maggio 2021, n. 15032, conf. Cass. 24007/24, conf. Cass. 2109/24, conf. Cass. 25112/17). In ogni caso, la giurisprudenza di merito appare consolidata nel ritenere come non sia possibile scrutinare la sussistenza o meno di una responsabilità professionale dell’avvocato avendo quale esclusivo riferimento l’esito della controversia, poiché in tal modo si verrebbe de tutto inammissibilmente, a trasformare la sua obbligazione, che è una obbligazione di mezzi, in una – intuibilmente ben diversa – obbligazione di risultato (Trib. Milano, Sez. I, 16 giugno 2022, n. 5384; conf. Trib. Taranto 22/1/2024; Trib. Rimini 27712/2014).
Inoltre, è stato recentemente chiarito che “In tema di responsabilità professionale dell’avvocato, la tardiva proposizione di un appello privo di ragionevoli probabilità di accoglimento non costituisce per il cliente un danno risarcibile, nemmeno sotto il profilo della perdita di chance della mera partecipazione al giudizio di impugnazione” (Cass. 24670/24).
E’ fondamentale, infine, tenere presente l’insegnamento della Suprema Corte, per il quale la sussistenza di una eventuale responsabilità dell’avvocato deve essere esaminata, da parte del giudice di merito, con valutazione “ex ante” e non “ex post,” sulla base dell’esito del giudizio (Cass. Civ. 1° ottobre 2018, n. 23740);
in sostanza, rende necessario, cioè, effettuare una valutazione di quello che avrebbe potuto essere l’esito del giudizio oggetto dell’incarico professionale stesso, in una sorta di “processo nel processo” che obbliga il giudice della causa di responsabilità professionale “a giudizi ipotetici di tipo controfattuale” (quale sarebbe stato l’esito della causa se non ci fosse stata negligenza ovvero omissione difensiva) e da rifare fittiziamente il processo mancato (Cass. Civ. 14 ottobre 2019, n. 25778).
Facendo applicazione dei suesposti principi al caso in esame, occorre anzitutto considerare come siano incontestati tanto l’esistenza del titolo, costituito dall’incarico professionale affidato dalla sig.ra al dott. e consistito nella presentazione del gravame avverso l’atto di recupero NUMERO_DOCUMENTO, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva richiesto alla prima il rimborso di due crediti di imposta utilizzati in compensazione ma non spettanti per un totale di € 81.684,35, quanto il mancato tempestivo deposito del ricorso da parte del commercialista che ha determinato la Commissione Tributaria a sancirne l’inammissibilità con la sentenza n. 1607/1/19 del 30.10.2019, rendendo definitivamente dovute le somme portate dal provvedimento impugnato. Occorre dunque accertare quale avrebbe potuto essere l’esito del giudizio oggetto dell’incarico professionale conferito dalla sig.ra al dott. e, dunque, se la tempestiva proposizione dell’impugnativa, secondo la regola della preponderanza dell’evidenza, ne avrebbe comportato l’accoglimento e consentito alla cliente di evitare il pregiudizio lamentato.
3. Sull’esito della CTU Vengono allora in esame gli esiti della CTU disposta in corso di giudizio al fine di accertare la fondatezza o meno dei motivi di impugnazione esposti nel ricorso ex art. 17 bis D.Lvo n. 546/92 presentato dal dott. nell’interesse dalla sig.ra , ovvero il probabile esito favorevole del ricorso ove tempestivamente depositato.
Come noto, il Giudice “può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche” (cfr. Cass. n. 26854/22 conf. Cass. 13736/20, conf. Cass. 1190/15).
Ebbene la CTU, con argomentazioni lineari e immuni da vizi logici, ha adempiuto all’incarico peritale conferitole: .
descrivendo l’atto di recupero n. T7ECR2100107/2018, emesso nei confronti della sig.ra , da parte dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Torino, la quale “dopo aver controllato la posizione fiscale relativa al periodo d’imposta 2015, procedeva al recupero di crediti d’imposta indebitamente utilizzati dalla contribuente”, essendosi messo in evidenza che “la presentazione della dichiarazione Modello Unico per il periodo d’imposta 2014 dalla quale emergeva un credito Irpef da utilizzare in compensazione pari a euro 15,00, mentre il quadro VL esponeva un debito iva pari ad euro 579,00”; quindi l’Ufficio ha evidenziato che, alla luce dei dati contenuti nella dichiarazione Modello Unico 2015 per l’anno d’imposta 2014, “parte dei crediti utilizzati in compensazione nel corso del 2015 fossero inesistenti e che, pertanto, le compensazioni fossero state indebitamente eseguite”.
Con l’atto in questione l’Agenzia delle Entrate, unitamente al recupero a tassazione di quanto indebitamente utilizzato in compensazione, ha provveduto ad irrogare “la sanzione amministrativa facendo riferimento all’art. 15 del d.lgs. n. 158/20155 che prevede, per il caso di cui trattasi, l’irrogazione della sanzione dal 100% al 200% della misura dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione”, ed ha precisato che fosse possibile applicare la definizione agevolata prevista dagli artt. 16, co. 3, e 17 co. 2 del d.lgs. n. 472/1997, riportando “tutte le avvertenze in ordine alla possibilità di presentare ricorso avverso l’atto medesimo”.
L’ufficio ha quantificato dunque le somme dovute dalla sig.ra complessivi € 81.675,60; .
esaminando il contenuto dell’impugnativa e chiarendo, in particolare, che il ricorso si basava sulla narrazione della vicenda che aveva indotto la a rivolgersi allo RAGIONE_SOCIALE che le aveva prospettato la possibilità e la convenienza di un condono che le avrebbe consentito di pagare in misura ridotta (€ 4.000), le cartelle esattoriali arretrate che nel 2015 ammontavano ad € 30.000,00, nonché la successiva scoperta del contegno infedele serbato dal citato studio professionale e l’ottenimento dall’Agenzia delle Entrate, della rateizzazione delle carelle di pagamento pendenti; . analizzando i motivi posti a fondamento del ricorso così individuati:
“In INDIRIZZO
l’utilizzo in compensazione del credito è stata fatta tramite F24 non presentati dalla ricorrente, ma da terzi (ufficialmente) non identificati”;
In via subordinata:
gli F24 non hanno provocato nessun vantaggio alla contribuente, né nessuna perdita di gettito all’erario” , nonché le ragioni ad essi sottese e dunque:
quanto al primo motivo:
“la ricorrente affermava che, fino al momento della ricezione dell’atto di recupero emesso dall’Agenzia delle entrate, non era mai stata a conoscenza dell’avvenuta presentazione dei modelli F24 in compensazione.
Detti modelli F24 erano stati, infatti, presentati in banche presso le quali la ricorrente non aveva mai intrattenuto rapporti e presentavano un saldo di importo irrisorio (da 24 a 50 centesimi di euro) proprio al fine di permettere il loro pagamento da parte di soggetti terzi con addebito su conti correnti sempre intestati a terzi.
La sig.ra non aveva dunque aderito ad alcun condono ma i consulenti ai quali si era rivolta avevano tentato di cancellare i suoi debiti per imposte e contributi mediante la compensazione con crediti erariali inesistenti, all’insaputa della contribuente che mai aveva incaricato o autorizzato la presentazione dei modelli F24 a suo nome e che, infatti, venuta a conoscenza del meccanismo fraudolento aveva presentato formale querela”, .
quanto al secondo motivo:
“la ricorrente osservava che i crediti inesistenti erano stati utilizzati per pagare o, meglio, tentare di pagare contributi e cartelle di pagamento che in realtà non erano mai stati cancellati … La circostanza che la ricorrente non avesse tratto alcun vantaggio dall’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti e che né né l’Agente della riscossione avessero subito alcun danno comportava che in caso di mancato annullamento dell’atto di recupero si sarebbe realizzato un indebito arricchimento per l’erario che, sanzioni a parte, avrebbe raddoppiato la sua pretesa, perché i debiti iniziali non si erano in realtà mai ridotti”; .
esaminando le controdeduzioni dell’Agenzia delle Entrate che con memoria del 31.12.2018 si era costituita in giudizio eccependo, in via preliminare e pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso, stante la tardiva costituzione ex art. 22 d.lgs. n. 542/1992 da parte della ricorrente, avvenuta in data 7.12.2018, a fronte di un termine ultimo scadente in data 3.12.2018 e nel merito, aveva osservato, quanto al primo motivo, che il comportamento della sig.ra non poteva considerarsi esente da colpa, in quanto la sig.ra NOMEnon aveva dimostrato di aver conferito qualsivoglia mandato al sig. COGNOME (peraltro il sig. COGNOME -a quanto constava all’Ufficio – non risultava iscritto all’albo dei commercialisti) di effettuare operazioni in ordine alla propria posizione debitoria” ,“non aveva controllato l’operato del professionista, beneficiando degli effetti delle compensazioni indebite” e “si sarebbe attivata soltanto dopo essere stata informata da un funzionario del dell’illegittima compensazione dei propri debiti previdenziali con crediti di imposta inesistenti” e, quanto al secondo motivo, che “la compensazione dei debiti erariali con crediti inesistenti, fattispecie prevista e sanzionata dall’ art. 13 d. lgs. n.471/97, è un illecito di condotta, che viene integrato indipendentemente dai benefici di cui il contribuente abbia comunque goduto, in quanto il danno per l’Amministrazione è in re ipsa” e che “il solo modo per eliminare il danno erariale cagionato fosse dato dall’integrale pagamento dell’atto di recupero oggetto del presente contenzioso, comprese le relative sanzioni ed accessori”, evidenziando infine come “non fosse possibile riconoscere alcuna delle cause di non punibilità di cui all’art. 6 d. lgs. n. 472/1997, comma 1 e 5 bis. Infatti, presupposto per l’applicabilità della norma di cui trattasi è che il mancato pagamento del tributo sia stato determinato da un fatto denunciato all’autorità giudiziaria e attribuibile esclusivamente a terzi (con sentenza passata in giudicato). Anche l’eventuale denuncia, comunque, non esclude il concorso di responsabilità del contribuente, anche solo per culpa in eligendo o in vigilando”.
valutando la fondatezza dei motivi del ricorso presentato dalla sig.ra ed osservando come:
quanto al primo motivo che, come “correttamente evidenziato anche dal nella propria memoria del 13.12.2018, per giurisprudenza ormai consolidata, sul contribuente che affida l’incarico a un professionista per gli adempimenti tributari, incombe un onere di vigilanza sul corretto adempimento dell’incarico affidato” e che “In tema di sanzione tributaria l’elemento soggettivo della violazione, che può consistere anche solo nella colpa, comporta che, per escludere la responsabilità dell’autore dell’infrazione, occorre che tale ignoranza sia incolpevole, ossia non superabile dall’interessato con l’uso della diligenza ordinaria”, non potendosi, dunque, nel caso di specie, ritenere il comportamento della sig.ra esente da culpa in eligendo, in quanto ella si è rivolta allo RAGIONE_SOCIALE in base ad informazioni ricevute da “conoscenti” e senza aver eseguito alcuna preventiva verifica né sui professionisti dello studio né sull’effettiva esistenza di una possibilità di aderire ad un condono, nonché da culpa in vigilando, in quanto il suo comportamento deve considerarsi quantomeno incauto per non avere l’attrice preteso maggiori chiarimenti in ordine alla tipologia di condono ed alle modalità con le quali lo stesso sarebbe stato posto in essere (versamento di € 4.000 comprensivo del compenso del consulente, a fronte di debiti per oltre 30.000,00 euro) ed inoltre, ella non si è più preoccupata della vicenda sino a quando non è stata informata dall’ dell’indebita compensazione dei debiti tributari con crediti inesistenti ed anche in quell’occasione si era affidata nuovamente allo RAGIONE_SOCIALE affinché lo stesso “provvedesse ad annullare il condono” ed, infine, ha sporto querela in ordine alla presentazione a sua insaputa di modelli F24 in compensazione solo dopo aver ricevuto l’atto di recupero dal parte dell’Agente di riscossione; .
quanto al secondo motivo che, le sanzioni amministrative in caso di indebito utilizzo di crediti fiscali sono definite dal co. 5 dell’art. 13 del decreto legislativo numero 471/1997 e che “L’esistenza di un regime sanzionatorio, che, peraltro, stante la gravità della fattispecie, esclude l’applicazione di definizioni agevolate, evidenzia come l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti rappresenti sempre e comunque un danno per l’erario.
Danno che può essere riparato mediante il versamento del credito indebitamente utilizzato, nonché con il pagamento delle relative sanzioni” e che “Inoltre, come correttamente evidenziato dall’Ufficio, la sig.ra , con il pagamento rateale del debito verso aveva solo in parte ripagato quanto a suo tempo indebitamente compensato.
Le eventuali maggiori somme pagate all’Erario potevano essere, come sopra evidenziato, eventualmente richieste a rimborso in presenza dei presupposti di legge”.
La CTU, all’esito della disamina, ha quindi concluso osservando come entrambi i motivi posti a fondamento del ricorso per l’impugnativa dell’atto di recupero fossero entrambi infondati e, dunque, “il ricorso presentato dalla sig.ra non sarebbe stato accolto anche se tempestivamente depositato, con la conseguenza che nessun danno risulta cagionato dal dott. per la tardiva costituzione nel giudizio”.
La relazione è stata sottoposta ai CTP delle parti:
mentre il CTP del convenuto ha concordato in merito alle conclusioni rassegnate nella bozza, il CTP di parte attrice ha, anzitutto, ritenuto la ricostruzione della vicenda come operata dalla CTU incompleta posto che non si era tenuto conto della documentazione versata in atti, rilevante per dimostrare la fondatezza dei motivi del ricorso presentato dal dott. nell’interesse della sig.ra La CTU ha tuttavia condivisibilmente osservato come il giudizio in ordine alle possibilità di un esito favorevole della vertenza sia stato condotto con valutazione ex ante facendo, quindi, esclusivamente riferimento alla documentazione riversata nel fascicolo depositato nel giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria e non su quella prodotta nella presente causa civile, perché quest’ultima documentazione non era a disposizione del soggetto giudicante. Inoltre, a fronte delle ulteriori osservazioni del CTP attoreo, volte ad evidenziare l’esistenza della buona fede in capo alla sig.ra , data dall’essersi incolpevolmente affidata ad uno studio professionale (RAGIONE_SOCIALE, dal non aver conoscenze specifiche in materia tributaria, dal non essersi tempestivamente avveduta della frode, la CTU ha ribadito le considerazioni svolte nella bozza (e sopra ampiamente riportate) quanto all’esistenza di seri ed univoci indici che consentivano all’epoca di ritenere sussistente, in capo all’odierna attrice, l’esistenza dell’elemento soggettivo della colpa – in eligendo e vigilando – si dà escludere la fondatezza del primo motivo dell’impugnazione. Dette conclusioni risultano del tutto condivisibili, in quanto esenti da vizi logici e giuridici e non contraddittorie, ampiamente motivate, assunte nel contraddittorio con i CTP, oltre che adottando una corretta metodologia d’indagine (come reso evidente dalle parti della relazione sopra riportate).
Ora, per giurisprudenza costante, “Il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive” (cfr. Cass. n. 33742/22, nonché Cass. 11081/20 e Cass. n. 1815/15). A tal proposito si confermano complessivamente superflue le prove orali richieste dall’attrice alla luce delle produzioni documentali effettuate e dell’accertamento peritale disposto a mezzo di CTU.
Va infine evidenziato come l’attrice solo in sede di note scritte sostitutive dell’udienza di disamina della CTU e nelle successive memorie conclusive, abbia addebitato al convenuto un ulteriore profilo di responsabilità nell’adempimento del proprio incarico, rilevando come il dott. avrebbe consigliato all’attrice di “riportare a debito le somme dovute e oggetto di compensazione e di provvedere al pagamento per mezzo di rateizzazione” e dunque, “non informava la sig.ra sulla corretta modalità di regolarizzazione dell’errata (e non voluta) compensazione” , la quale, come indicato dalla CTU, prevedeva che “nel caso di compensazione di un debito con un credito inesistente, per regolarizzare la violazione occorre ripristinare a posteriori la capienza iniziale del credito, attraverso il versamento di un importo corrispondente alla somma indebitamente utilizzata in compensazione, maggiorato degli interessi, e con il contestuale versamento della sanzione, non rilevando l’eventuale versamento del debito oggetto di compensazione, per potrà eventualmente, ove ne sussistano le condizioni di legge, essere richiesto a rimborso” (CTU pag. 29). Orbene, trattasi di allegazione nuova e dunque tardiva;
peraltro, nel merito, deve osservarsi che la parte non abbia provato né offerto di provare che sia stato effettivamente il dott. a consigliare alla sig.ra l’operazione correttiva asseritamente errata (mediante il ripristino del debito e il pagamento del medesimo attraverso la rateizzazione) ed in ogni caso, parte attrice non ha chiarito – ne tanto meno dimostrato – quale nocumento patrimoniale od aggravamento sarebbe derivato dalla predetta scorretta operazione.
Da ultimo deve rilevarsi come gli ulteriori profili di negligenza ascritti all’odierno convenuto – quali, l’omessa informativa alla cliente dell’eccezione di inammissibilità del ricorso avanza dall’ dopo la sua costituzione in giudizio avanti alla Commissione Tributaria e la mancata richiesta di rilascio di copia della motivazione della sentenza da quest’ultima emessa –, oltre ad essere rimasti indimostrati in giudizio, non risultano in relazione di causalità diretta con il danno lamentato dall’attrice e consistito nel pagamento di somme portate da un atto di riscossione non più impugnabile, il quale, a ben vedere, si sarebbe in ogni caso prodotto anche se il professionista avesse informato la sig.ra dell’eccezione preliminare di tardività del deposito del ricorso non appena venutone a conoscenza ed indipendentemente dall’aver egli disaminato le motivazioni del provvedimento emesso dal giudice tributario. A ciò si aggiunga che è sconfessato per tabulas anche l’ulteriore contegno asseritamente imprudente ascritto al professionista e consistito nell’aver egli reso un’informativa errata alla cliente, rassicurandola in particolare sul positivo esito della vertenza intrapresa con l’Agenzia delle Entrate;
si legge infatti nel testo delle comunicazioni avvenute tra il dott. ed il compagno della sig.ra , sig. (che nel ricorso presentato avanti alla Commissione Tributaria viene individuato quale persona cui l’odierna attrice aveva delegato tutte le incombenze amministrative della sua ditta individuale e che si era altresì occupato dei rapporti con i commercialisti), che il professionista, lungi dal garantire un risultato di sicuro successo in merito all’impugnazione presentata, affermava “non è detto che il giudice nonostante tutto ciò si convinca al di là di ogni ragionevole dubbio che siete stati vittime di una truffa, anche perché immagino che il giudice purtroppo sicuramente conoscerà i precedenti di Greco ed il fatto che chi andava a chiedergli aiuto per “condonare” le cartelle era – in genere, escludendo il tuo caso – ben conscio che stava facendo una “furbata”. E questo ovviamente non ci fa partire in vantaggio nel dimostrare che voi, al contrario, non eravate d’accordo con Greco” (cfr. e-mail 14.9.2019 do. 1 fasc. convento).
4. Conclusioni In definitiva, per poter accogliere la richiesta di risarcimento dell’attrice, questa avrebbe dovuto dimostrare che l’impugnativa – di cui al ricorso tardivamente depositato dal dott. – fosse sufficientemente fondata ed avrebbe avuto significative chance di trovare accoglimento, sicché l’errore commesso dal professionista avrebbe avuto incidenza causale diretta rispetto alla produzione del danno lamentato dalla sig.ra e consistito nel pagamento di somme richieste dall’Agente di Riscossione in forza di un atto divenuto non più revocabile. Tale prova, per le ragioni tutte sopra esposte, è risultata mancante nel caso di specie.
Deve invero ribadirsi che “La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita” (cfr. Cass. n. 10966/04 conf. Cass. 2638/13). Ed ancora, “La responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente;
in particolare, ove venga in rilievo l’attività del commercialista incaricato dell’impugnazione di un avviso di accertamento tributario, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso alla commissione tributaria, che avrebbe dovuto essere proposto e diligentemente seguito” (cfr. Cass. 13873/20 conf. Cass. 9917/10).
Per le considerazioni tutte che precedono la domanda attorea di risarcimento del danno deve pertanto essere respinta, in quanto infondata.
5. Sulle spese di lite Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e sono poste a carico della parte attrice.
Alla relativa liquidazione si provvede in applicazione dei parametri di cui al DM 55/14, come modificato dal DM n. 147/22 (per essersi l’attività defensionale esaurita dopo la sua entrata in vigore) tenuto conto del valore della causa come determinato ai sensi dell’art. 5 TF, delle questioni trattate e dell’attività svolta:
così applicandosi i valori minimi, in ragione del criterio del disputatum e della limitata complessità dell’istruttoria, precisando che non vi sono esborsi documentati (neanche per spese di CTP).
Le spese di CTU sono infine poste in via definitiva a carico di parte attrice.
il Tribunale di Torino in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa:
Rigetta la domanda di in quanto infondata;
condanna a rimborsare a le spese di lite, che liquida in complessivi € 7.500,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge;
pone in via definitiva le spese di CTU già liquidate con separato decreto a carico Così deciso in Torino, il 14/02/2025 Il Giudice (dott.ssa NOME COGNOME Visto l’art. 52 comma 2 del D. LGS. 196/2003;
il Giudice dispone che sia apposto a cura della cancelleria il divieto di indicazione delle generalità degli interessati e degli altri loro dati identificativi, in caso di riproduzione della presente sentenza nelle ipotesi di cui al citato articolo di legge, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati.
Il Giudice dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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