REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI CROTONE
Sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 708/2023 pubblicata il 12/10/2023
nella causa civile iscritta al n. 1153/2022 r.g., vertente
tra
XXX,
– attore –
E
YYY,
-convenuto-
NONCHE’
ZZZ Assicurazioni s.p.a.,
– convenuta –
Oggetto: responsabilità professionale avvocato.
CONCLUSIONI
All’udienza del 15.5.2023, sulle conclusioni dei procuratori delle parti, di cui al relativo verbale, la causa è stata trattenuta in decisione, con i termini di cui all’art. 190 c.p.c.
MOTIVI
I.- Per quanto strettamente rileva ai fini della decisione, giusto il disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., le posizioni delle parti e l’iter del processo possono riassumersi come segue.
I.1.- Con atto di citazione, ritualmente notificato, XXX conveniva in giudizio, davanti all’intestato Tribunale, l’avv. YYY, al fine di sentire accogliersi le seguenti conclusioni: 1) accertare e dichiarare la responsabilità professionale dell’Avv. YYY in relazione alla redazione e proposizione del ricorso in appello avverso la Sentenza n. 966/2017 emessa dal tribunale di Crotone il 9.06.2017 e depositata in Cancelleria in pari data, per le ragioni esposte in narrativa; 2) Per l’effetto, accertare il diritto di XXX al risarcimento del danno subito in conseguenza diretta ed immediata della negligente condotta posta in essere dal convenuto e condannare questi al pagamento di una somma di denaro da liquidarsi in via equitativa; 3) Condannare l’Avv. YYY alla rifusione delle spese e competenze di giudizio, da distrarsi in favore del costituito difensore e procuratore.
A sostegno della propria domanda, l’attore esponeva: che l’avv. YYY l’aveva difeso nel proc. penale R.G.N.R. 491/2008 (n. 1338/2008 R.G. Trib. Crotone) nell’ambito del quale egli era imputato per il reato di cui all’art. 9, co. 2 l. 1423/1956 in quanto, nonostante fosse sottoposto alla Sorveglianza Speciale di P.S. con obbligo di soggiorno, aveva frequentato abitualmente persone controindicate e aveva omesso di presentarsi alla Caserma dei Carabinieri, fatti commessi dal 4.5.2007 al 30.4.2008, con recidiva specifica reiterata infraquinquennale; che il giudizio si era concluso con la sua condanna alla pena di anni due, mesi dieci e giorni venti di reclusione (con sentenza n. 966/2017 emessa e depositata il 9.6.2017); che nella sentenza solo marginalmente si era argomentato sulle patologie dell’imputato, che gli avevano impedito di recarsi alla Caserma dei Carabinieri e sulle persone dallo stesso incontrate, che erano suoi parenti; che, incaricato di predisporre l’atto di appello, l’avv. YYY non aveva adeguatamente articolato le predette circostanze che avrebbero potuto portare la Corte d’Appello quantomeno a rimodulare la condanna; che la Corte d’Appello di Catanzaro aveva dichiarato inammissibile il ricorso (con sentenza n. 461/2018, R.G. Corte d’Appello n. 2424/2017) e così anche la Corte di Cassazione; che sussisteva responsabilità professionale dell’avv. YYY in quanto il gravame era stato dichiarato inammissibile per genericità dei motivi di appello; che la Corte d’Appello non aveva neanche potuto rivisitare la pena inflitta in quanto la richiesta non era stata accompagnata da alcun motivo che specificasse le ragioni per le quali la sanzione inflitta dal primo giudice non fosse conforme ai criteri dell’art. 133 c.p.
I.2.- L’avv. YYY, costituitosi con propria comparsa, chiedeva il rigetto della domanda dell’attore, contestando la sussistenza di tutte le condotte addebitate e chiedeva la chiamata in causa della compagnia assicurativa ZZZ Assicurazioni s.p.a. al fine di farsi manlevare, nella denegata ipotesi di condanna.
I.3.- Autorizzata la chiamata della compagnia assicuratrice, quest’ultima si costituiva con propria comparsa, eccependo preliminarmente l’inoperatività della garanzia assicurativa. Nel merito, chiedeva il rigetto della domanda, facendo proprie le difese dell’assicurata.
I.4.- In assenza di attività istruttoria, non richiesta, all’udienza del 15.5.2023 le parti precisavano le conclusioni e la causa era trattenuta in decisione, con i termini di cui all’art. 190 c.p.c.
II.- Preliminarmente deve precisarsi che nel giudizio di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale è onere dell’attore dimostrare unicamente l’esistenza e l’efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento non è dipeso da propria colpa (cfr., ex multis, Cass., sez. un., 30.10.2001 n. 13533).
Ebbene, nel caso di specie si verte su un’ipotesi di presunta colpa del professionista in relazione ad un mandato professionale conferito ma asseritamente non onorato adeguatamente dallo stesso.
Sul punto, è evidente che potrà essere ravvisata la responsabilità del professionista ove sia dimostrata la violazione degli obblighi assunti in forza del contratto di opera intellettuale concluso tra cliente e professionista.
Nella fattispecie in esame non v’è alcun dubbio in ordine alla sussistenza di un rapporto professionale tra attore e convenuto avv. YYY, in quanto esso è ammesso dal convenuto ed è, pertanto, circostanza pacifica tra le parti, tanto da potersi ritenere che sussista la prova dell’avvenuto conferimento di un incarico professionale. Del resto, la sussistenza di un incarico risulta anche dalla documentazione esibita dalle parti.
Quanto ai principi generali in ordine alla responsabilità professionale dell’avvocato, deve premettersi che il cliente è legittimato a richiedere il ristoro dei danni subiti per effetto della negligenza professionale del difensore nell’espletamento dell’incarico professionale, danni che possono consistere nella perdita del risultato processuale al quale il cliente ambiva, o nella perdita di chance di addivenire all’esito vittorioso della lite.
Nel primo caso, il danno consiste nel c.d. lucro cessante, ossia nel mancato guadagno patrimoniale che il cliente avrebbe conseguito ove l’obbligazione professionale fosse stata regolarmente adempiuta; nel secondo caso, ove si giungesse ad una valutazione in termini di occasione persa, allora sussisterebbero differenti criteri di valutazione dell’inadempimento ai fini risarcitori.
La chance di ottenere il risultato sperato viene qualificata dalla giurisprudenza quale bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto, la cui lesione configura essa stesa la “perdita di un’occasione” (Cass., 4.03.2000 n. 4400: “com’è stato ormai da tempo evidenziato, tanto da autorevole dottrina quanto dalla giurisprudenza di questa Corte, la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della consistente possibilità di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale (ex pluribus Cass. 10.11.98 n. 11340, 15.3.96 n. 2167, 19.12.85 n. 6506)”.
Trattasi, pertanto, di un pregiudizio non meramente ipotetico o eventuale, bensì concreto ed attuale, che non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo.
Facendo applicazione dei principi espressi al caso concreto, deve rilevarsi che la domanda appare infondata sia sotto il profilo del pregiudizio eventualmente cagionato alle ragioni dell’istante, ma anche sotto il profilo della configurazione in termini meramente possibilistici del pregiudizio che il XXX avrebbe subito.
Ed in effetti, analizzando la fattispecie in esame e partitamente i rilievi mossi all’avv. YYY dal XXX, deve rilevarsi, sulla base della documentazione esibita da entrambe le parti, quanto segue.
A) Con la sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale penale di Crotone con il n. 966/2017 e depositata il 9.6.2017, era dato atto che l’imputato, nonostante fosse sottoposto alla misura della Sorveglianza Speciale di P.S., dal momento della sottoposizione e fino al 30.4.2008 (ossia fino all’arresto) aveva con evidenza violato la misura in atto, mediante sistematica frequentazione di altre persone gravate da precedenti giudiziari o a loro volta sottoposte alla medesima misura di prevenzione, nonché omettendo di presentarsi presso l’ufficio delle Autorità addette ai controlli. Era inoltre specificato che l’imputato aveva ammesso gli addebiti, sebbene specificando di non essersi recato presso l’Ufficio per la firma per problemi di salute e quanto alle frequentazioni, di aver frequentato solo parenti, di vario grado, ai quali aveva chiesto un passaggio proprio per andare a firmare, in quanto non aveva la patente di guida. Nella sentenza, pur dandosi atto della linea difensiva dell’imputato, si precisa che la stessa non regge in quanto appare contraddittoria (l’imputato sostiene di non poter andare a firmare per motivi di salute ma poi viene controllato in compagnia di persone che ha contattato proprio per andare a firmare) e non del tutto veritiera (si dava conto di altre frequentazioni con soggetti che parenti non sono; la diagnosi della patologia dell’imputato è fatta solo dal medico curante, che aveva comunque precisato che non si trattava di patologia invalidante). Nella sentenza si precisa che deve anche applicarsi la recidiva e si motivano le ragioni della sua applicazione.
Evidentemente, dall’analisi della sentenza non può dedursi alcuna mancanza dell’avv. YYY nell’espletamento del mandato professionale, in quanto in nessuna parte della stessa era evidenziata una carenza di allegazioni o prove da parte dell’imputato e la sentenza è motivata sulla valutazione delle giustificazioni addotte dall’imputato e sul rigetto delle stesse.
B) Con la sentenza di secondo grado, emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro, n. 461/2018, depositata il 1.2.2018, si dà preliminarmente atto che l’appello era stato interposto deducendo l’inconfigurabilità del reato e l’eccessività della pena inflitta e che in data 15.1.2018 la difesa aveva presentato nuovi motivi con l’esplicitazione delle ragioni poste dapprima genericamente a fondamento del gravame. La Corte d’Appello motiva in merito alla genericità dei motivi d’appello nel ricorso introduttivo e precisa inoltre che tali carenze non possono essere colmate con la proposizione dei motivi nuovi. Nel corpo della sentenza viene comunque vagliata la motivazione del primo giudice, che viene ritenuta “completa ed esauriente nella indicazione dei dati concreti posti a fondamento della decisione”. La Corte d’Appello inoltre, pur precisando che non è consentita la rivisitazione della pena in quanto la richiesta non è accompagnata da alcun motivo che indichi le ragioni per le quali la sanzione inflitta non sia conforme ai criteri dell’art. 133 c.p., compie comunque un giudizio di impossibilità di rivisitare la pena inflitta, applicata a suo dire in maniera del tutto congrua.
Ebbene, deve farsi applicazione dei surrichiamati principi, per i quali la seria e concreta occasione di raggiungere l’esito favorevole deve essere provata e valutata in termini di verosimiglianza, alla stregua dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla percentuale di probabilità superiore a quella relativa all’evento sfavorevole.
Ne consegue che non potranno certamente ottenere ristoro quelle richieste che non siano supportate dalla prova di una congrua possibilità di realizzare il risultato sperato.
Ciò che conta è che la chance persa, di cui si chiede il risarcimento, corrisponda ad una possibilità non trascurabile di ottenere il risultato utile.
Nella fattispecie che ci occupa, la domanda avanzata dall’attore appare formulata in termini evidentemente generici, posto che alle censure mosse alla condotta professionale del convenuto non corrisponde una chiara ed esplicita individuazione del danno che ne sarebbe derivato, non specificandosi se l’attore si dolga del mancato conseguimento di un diverso e più favorevole esito del giudizio ovvero della perdita della mera possibilità – la chance appunto – che il giudizio incardinato potesse avere un diverso esito. Essa pone, pertanto, un problema di qualificazione giuridica della pretesa risarcitoria ivi dedotta.
In ogni caso, non vi sono neppure gli elementi per ritenere che l’attore abbia perso la chance di essere assolto oppure di vedere rideterminata la sua pena in quanto la Corte d’Appello è stata chiara nel dichiarare, pur dopo aver ribadito l’inammissibilità della domanda per genericità dei motivi, che in ogni caso per il XXX non sarebbe derivato alcun beneficio in termini di condanna e quantificazione della pena.
La domanda dev’essere pertanto rigettata.
III.- Considerato il rigetto della domanda principale, la domanda di manleva formulata nei confronti della compagnia terza chiamata deve essere ritenuta assorbita. Rimangono assorbite pertanto le eccezioni svolte dalla compagnia assicuratrice.
IV.- Considerata l’oggettiva difficoltà probatoria in capo all’attore, tenuto conto della condotta processuale delle parti e della peculiarità della vicenda in esame, le spese possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale di Crotone, sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, con atto di citazione ritualmente notificato, da XXX, nato a Isola di nei confronti di YYY, , e sulla domanda di manleva proposta da quest’ultima nei confronti di ZZZ Assicurazioni s.p.a., cod. fisc, in persona del legale rappresentante p.t., così provvede:
a) rigetta la domanda principale;
b) dichiara assorbita la domanda di manleva proposta nei confronti della terza chiamata e le eccezioni formulate dalla terza chiamata;
c) compensa integralmente le spese tra le parti.
Così deciso in Crotone, il 12.10.2023.
Il Giudice
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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