N. R.G. 796/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI FIRENZE
QUARTA SEZIONE CIVILE La Corte di Appello di Firenze, Sezione Quarta Civile, in composizione collegiale, in persona dei magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Relatore Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A N._574_2025_- N._R.G._00000796_2022 DEL_25_03_2025 PUBBLICATA_IL_26_03_2025
nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 796/2022 promossa da:
(C.F.: ), con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato come da procura in atti PARTE APPELLANTE contro (C.F.: ), con il patrocinio degli Avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato come da procura in atti PARTE APPELLATA nonché contro (C.F.: ) e (C.F.:
in qualità di eredi di con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati come da procura in atti PARTE APPELLATA avverso la sentenza n. 233/2022 emessa il 08.03.2022 dal Tribunale di Pistoia e pubblicata in data C.F. C.F. C.F. C.F. in decisione all’esito dell’udienza cartolare del 09.01.2025, con ordinanza collegiale ex art. 127 ter c.p.c. del 13.01.2025, sulle seguenti
CONCLUSIONI
Per l’appellante:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello di FIRENZE, in riforma dell’impugnata sentenza del Tribunale Ordinario di PISTOIA – I Sezione Civile n. 233/2022 R.G., pubblicata il 09.03.2022, IN INDIRIZZO
A) ACCERTARE l’inadempimento del mandato professionale conferito dal Sig. agli Avv. ai sensi degli artt. 9-10-26, III co. Codice Deontologico Forense, inadempimento consistito nella mancata chiamata in causa, ai sensi degli artt. 167-269 C.p.C., della datore di lavoro di nelle cause riunite (n. 1738/2010 R.G. + n. 3499/2010 R.G.) di risarcimento del danno non patrimoniale promosse dai parenti dello stesso deceduto nell’infortunio sul lavoro il 14.05.2001, decise con sentenza del Tribunale di Pistoia n. 942/14 R.G. e conseguentemente B) CONDANNARE i Sigg.rri Avv. al risarcimento dei danni patiti dal Sig. in conseguenza del colpevole inadempimento del mandato a loro conferito, per la mancata chiamata in causa della quantificato nella somma di € 303.000,00=, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto sino al saldo, pari alla somma che il Sig. ha rimborsato alla Compagnia seguito dell’azione di regresso esercitata ai sensi degli artt. 1916 e 1299 C.c. , ovvero quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia dal Giudice;
Con vittoria di compensi e spese professionali di entrambi i gradi del giudizio da distrarsi a favore del sottoscritto procuratore antistatario, ex art. 93 C.p.C RAGIONE_SOCIALE.
Ai sensi dell’art. 9, co. 5 L. 488/99 e successive modifiche si dichiara che il valore della presente causa è di valore indeterminabile.
IN INDIRIZZO si chiede che siano ammesse ed assunte le prove testimoniali non assunte nel corso del giudizio di I°, sui seguenti capitoli:
1.-D.C.V. In occasione di un incontro avvenuto a fine Giugno – Inizi Luglio 2014 tra i soci facenti parte del c.d.a. della alla presenza dell’Avv. NOME COGNOME dell’Avv. e del Dott. NOME COGNOME l’Avv. COGNOME contestò all’Avv. la mancata chiamata in causa della società nella causa risarcitoria promossa dagli eredi del dipendente e l’esistenza di un conflitto di interessi fra il e la 1 Bis D.C.V.
In occasione dell’incontro avvenuto a fine Giugno – inizio Luglio 2014 fu fatto presente e confermato che il contratto d’appalto tra la COGNOME, recante la data del 05.07.1999, fu fatto sottoscrivere al Sig. qualche giorno dopo l’infortunio mortale del Sig. 2.-D.C.V. l’Avv. NOME fece presente all’Avv. che, in quanto legale della.-D.C.V. L’ Avv. di fronte alle contestazioni di cui sopra, non negò i suoi rapporti professionali con la società e si giustificò soltanto dicendo più volte che non aveva voluto (“non se lo era sentito”) coinvolgere (“dare in pasto”) la società; 4.- D.C.V. L’Avv. Avv. ha assistito e rappresentato la per molti anni prima del 2010, in particolare in alcune controversie con la e con l’Azienda RAGIONE_SOCIALE;
Con testi:
sui capp.
1-3) l’Avv. NOME COGNOME residente in Firenze, il Dott. NOME COGNOME con studio in Massa e Cozzile (PT);
sul cap. 1 bis)
con testi l’Avv. NOME COGNOME e il Dott. NOME COGNOME
sul cap. 4) il Sig. , res.
In Montecatini Terme, il Sig. , residente in Massa e Cozzile (PT);
Il Sig. legale rappresentante della con sede in Pizzo (VV) e il Sig. , titolare dell’Az.
RAGIONE_SOCIALE con sede in Albenga, con riserva di chiedere la testimonianza ex art. 257 bis C.p.
C sul cap. 4;
Per l’appellato :
““Piaccia alla Corte Ecc.ma, contrariis reiectis, previe le pronunce meglio viste e ritenute:
in via pregiudiziale di rito:
– dichiarare inammissibile l’avverso appello interposto dal Sig. ai sensi dell’art. 342 c.p.c., con ogni consequenziale pronuncia;
nel merito:
– accogliere l’eccezione di inammissibilità per tardività e violazione dell’art. 345 c.p.c. ed in subordine per irrilevanza e difetto di efficacia probatoria, delle produzioni contraddistinte dai doc.ti 1 e doc. 2 di cui a pag. 16 del ricorso per riassunzione del Sig. per le ragioni già illustrate, con ogni consequenziale pronuncia anche di espunzione delle stesse dal fascicolo telematico di parte – respingere l’avverso appello interposto dal signor in quanto infondato in fatto ed in diritto e quindi respingersi tutte le domande, le istanze anche istruttorie ed i motivi con lo stesso formulati e altresì riportati nel ricorso per riassunzione ex art. 303 c.p.c. dallo stesso depositato e nelle note scritte in sostituzione d’udienza del 23/09/2024; – confermare integralmente la sentenza di I grado resa dal Tribunale di Pistoia – I sezione Civile n. 23/2022 pubblicata il 9/03/2022.
Con vittoria di onorari e spese anche di questo grado di giudizio.
” Per gli appellati in qualità di eredi di “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Firenze, rigettata e disattesa ogni domanda avversaria, così giudicare In via preliminare:
dichiarare l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c. dell’appello promosso da per i motivi esposti nel presente atto e, per l’effetto, confermare la sentenza n. via principale:
rigettare l’appello promosso dal , in quanto infondato in fatto e in diritto per i motivi esposti al presente atto e, per l’effetto, confermare integralmente la sentenza n. 233/2022, emessa dal Tribunale di Pistoia in data 8.03.2022 pubblicata in data 9.03.2022, nella causa R.G. n. 1236/2019.
In ogni caso: rigettare le domande di , nessuna esclusa, poiché infondate in fatto e in diritto e, per l’effetto, dichiarare che nulla è dovuto al signor , a nessun titolo, dall’Avv. e, per esso, dagli Eredi Avv.ti per le ragioni sopra esposte.
Con vittoria di spese e compensi del presente giudizio, oltre rimborso forfetario, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ci si oppone, ancora, alle istanze istruttorie avversarie, come analiticamente chiarito nella memoria ex art. 183 6° comma n. 3 c.p.c. depositata in primo grado, a cui si rimanda.
Si richiamano i documenti prodotti e si contesta la ammissibilità e la rilevanza probatoria della documentazione avversaria”.
Oggetto: appello avverso la sentenza n. 233/2022 del Tribunale di Pistoia in materia di responsabilità professionale di avvocati
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I fatti di causa e le domande proposte Con atto di citazione ritualmente notificato, ha proposto gravame avverso la sentenza n. 233/2022 emessa il 08.03.2022, pubblicata il 09.03.2022 e notificata in data 24.03.2022, con la quale il Tribunale di Pistoia aveva rigettato la domanda risarcitoria da lui proposta nei confronti degli avvocati avente ad oggetto i danni patiti in conseguenza dell’asserito inadempimento di questi ultimi al mandato conferito loro nell’ambito del giudizio civile definito con sentenza del Tribunale di Pistoia n. 942/2014. Nello specifico, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, a sostegno della propria domanda risarcitoria, parte attrice aveva esposto che:
In data 14.05.2001 si verificava un guasto all’impianto di condizionamento collocato sul tetto del capannone della con sede in Capannori (LU), ed era inviato a riparare il guasto tale , dipendente della società appaltatrice della installazione e manutenzione del sistema di condizionamento;
Dopo essere salito sul tetto del capannone per raggiungere l’impianto condizionamento il sig. cadeva al suolo, a causa dello sfondamento di una lastra di eternit, e moriva sul colpo;
A fronte del predetto infortunio sul lavoro venivano condannati per il reato di cui all’art. sicurezza di , in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di Con atto di citazione notificato il 07.06.2010 , rispettivamente moglie e figlia del lavoratore deceduto, convenivano in giudizio chiedendogli il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’infortunio mortale occorso al loro congiunto;
si costituiva in giudizio chiedendo di essere autorizzato a chiamare in garanzia nonché a chiamare in causa , per sentirne accertare la responsabilità solidale in qualità di legale rappresentate della datore di lavoro della vittima dell’infortunio;
si costituiva in giudizio, contestando la sua corresponsabilità per l’infortunio mortale occorso al lavoratore e deducendo la sussistenza di un concorso di colpa di quest’ultimo;
chiamava a sua volta in causa il proprio assicuratore RAGIONE_SOCIALE
, che metteva a disposizione dell’assicurato la somma di euro 90.000,00 quale residuo massimale della polizza, deducendo di aver già corrisposto su autorizzazione di l’importo di euro 310.000,00 in favore di in esecuzione della sentenza n. 369/2007 del Tribunale di Pistoia, con la quale e la erano stati condannati al pagamento in favore di della somma di euro 330.243,38 a titolo di regresso;
Alla predetta causa veniva riunita quella promossa nei confronti di , in qualità di eredi di , madre del lavoratore deceduto, nell’ambito della quale risultavano costituiti i medesimi terzi chiamati in causa
( e RAGIONE_SOCIALE);
Tali cause riunite erano decise con sentenza n. 924/14 del Tribunale di Pistoia (divenuta definitiva) che condannava in solido a risarcire i danni patiti dagli attori in conseguenza dell’infortunio mortale occorso al loro congiunto e, in accoglimento delle domande di manleva proposte dai responsabili, condannava Insurance p.l.c. tenere indenne, rispettivamente, ;
in esecuzione di tale sentenza, RAGIONE_SOCIALE pagava l’importo di euro 90.000,00 quale residuo massimale e corrispondeva la somma residua agli attori;
Con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 1470/2017, non opposto, il Tribunale di Pistoia ingiungeva a il pagamento in favore di della somma di euro 331.649,70 a titolo di regresso ex artt. 1916 e 1299 c.c., a saldo del 50% del dovuto per la responsabilità a lui attribuita in ordine all’infortunio Tale decreto, previa iscrizione di ipoteca giudiziale sugli immobili di veniva notificato insieme all’atto di precetto con il quale era intimato al medesimo il pagamento della complessiva somma di euro 339.230,01. Sulla scorta di tali allegazioni, l’attore sosteneva che nel giudizio risarcitorio promosso dai congiunti del lavoratore deceduto i suoi legali, gli avvocati avrebbero potuto e dovuto chiamare in causa la per fare sì che la condanna al risarcimento gravasse anche su quest’ultima, in qualità di società datrice di lavoro dell’infortunato, anziché in via esclusiva su di lui (e sul ).
Deduceva che tale omissione difensiva integrava una violazione degli artt. 9, 10 e 26 del codice deontologico forense.
Aggiungeva che i suoi procuratori avevano agito in una situazione di conflitto di interessi, atteso che gli avvocati erano già da tempo i legali di fiducia della e anche durante lo svolgimento del mandato difensivo in favore dell’attore avevano continuato ad assistere la predetta società.
Sosteneva, quindi, che i convenuti avevano consapevolmente omesso di effettuare la chiamata in causa della società per non arrecare pregiudizi alla stessa, persuadendo altresì a non proporre impugnazione avverso la sentenza n. 942/2014 del Tribunale di Pistoia.
L’attore chiedeva, pertanto, previo accertamento dell’inadempimento del mandato professionale conferito agli avvocati la condanna dei medesimi al risarcimento di tutti i danni patiti a causa dell’omessa chiamata in causa della con particolare riferimento ai pregiudizi conseguenti all’emissione del decreto ingiuntivo n. 1470/2017 e alle procedure esecutive promosse nei suoi confronti.
Radicatosi il contraddittorio, si costituivano in giudizio, con due distinte comparse, chiedendo entrambi il rigetto della domanda attorea in quanto infondata.
In particolare, i convenuti deducevano che alcuna negligenza risultava ad essi addebitabile e contestavano la sussistenza del necessario nesso causale tra l’asserito inadempimento e i danni lamentati, anche perché l’attore non s’era opposto al suddetto decreto ingiuntivo, mentre avrebbe potuto opporsi e anche nel giudizio d’opposizione (così come in via autonoma) avrebbe potuto agire nei confronti della società Il Tribunale di Pistoia, istruita documentalmente la causa, pur rilevando che i legali avevano omesso di informare il loro assistito della possibilità di chiamare in causa la società escludeva la sussistenza della responsabilità professionale dei convenuti in ragione del difetto di prova del necessario nesso causale tra il dedotto inadempimento e i danni lamentati. In particolare, il Giudice di prime cure affermava che l’attore non aveva provato che, ove correttamente informato, avrebbe effettivamente chiamato in causa la società né aveva dimostrato che la chiamata in causa avrebbe prodotto l’effetto favorevole da lui prospettato, non avendo neppure indicato quale domanda avrebbe formulato nei confronti della terza che il giudice avrebbe potuto non autorizzare la chiamata e che comunque rispetto alla chiamata in garanzia non operava la regola dell’automatica estensione della domanda al terzo chiamato. Aggiungeva che anche laddove avesse proposto nei confronti della terza chiamata azione di regresso in via anticipata, comunque non risultava configurabile alcun concreto pregiudizio in conseguenza della mancata chiamata in causa, atteso che tale azione poteva essere promossa da in un successivo autonomo giudizio e che in ogni caso avrebbe potuto produrre i suoi effetti favorevoli per il chiamante soltanto dopo l’avvenuto pagamento dell’intero risarcimento da parte del medesimo.
Eccepiva altresì la mancata prova del danno lamentato, considerato che l’attore non aveva documentato l’avvenuto pagamento della somma ingiunta in forza del decreto ingiuntivo n. 1470/2017 né aveva dimostrato di aver sostenuto esborsi superiori rispetto a quelli ipotizzabili in caso di chiamata in causa della società anche in considerazione della situazione di incapienza patrimoniale della predetta società.
Infine, sulla scorta delle richiamate considerazioni, il primo Giudice riteneva assorbita la questione dell’esistenza di un conflitto di interessi per essere gli avvocati legali anche della società ed escludeva la configurabilità di un inadempimento imputabile ai convenuti con riferimento alla omessa impugnazione della sentenza n. 924/2014.
Il Tribunale rigettava, quindi, la domanda risarcitoria formulata dall’attore e poneva a suo carico le spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto appello , formulando i seguenti motivi di gravame:
1. errore del primo giudice nel ritenere applicabile al caso di specie l’art. 2236 c.c., non potendosi considerare la chiamata in causa della società una prestazione di particolare difficoltà tale da giustificare la limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave;
2. errore del tribunale nel ritenere non assolto l’onere probatorio incombente sull’attore in ordine alla sussistenza dei presupposti della responsabilità professionale, avendo l’attore provato che gli avvocati omettendo di chiamare in causa la società avevano violato gli artt. 9, 10 e 26 co. 3 del codice deontologico forense ed avevano agito in conflitto di interessi, essendo i legali di fiducia della predetta società;
errore anche nel non ritenere raggiunta la prova del danno patito in conseguenza dell’omissione difensiva, a fronte del maggiore esborso sostenuto dall’appellante, che si era trovato costretto a vendere tutti gli immobili di sua proprietà;
3. errore del primo giudice nell’individuare il fondamento normativo della domanda risarcitoria promossa iure proprio dai congiunti del lavoratore deceduto nell’art. 2043 c.c. anziché nell’art. 2087 c.c., atteso che la società era sicuramente responsabile in qualità di datore di lavoro della vittima dell’inosservanza delle norme.
errore del tribunale nel ritenere che in caso di chiamata in garanzia non operasse la regola dell’automatica estensione della domanda al terzo chiamato;
errore anche nel ritenere rilevante la mancata indicazione da parte dell’attore della domanda che avrebbe proposto nei confronti della società ove chiamata in causa.
L’appellante ha chiesto quindi che la Corte, in riforma della sentenza impugnata, accogliesse le conclusioni come in epigrafe trascritte, reiterando le istanze istruttorie (in particolare, prova per testi) non ammesse nel corso del giudizio di primo grado e chiedendo la sospensione dell’esecutività della sentenza appellata.
Radicatosi il contraddittorio, si è costituito in giudizio eccependo in via preliminare l’inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. e, nel merito, chiedendo il rigetto del gravame in quanto infondato.
In particolare, l’appellato ha contestato la configurabilità di una qualsivoglia responsabilità professionale imputabile agli avvocati convenuti per non aver effettuato la chiamata in causa della società deducendo che l’attore non aveva fornito la prova del necessario nesso causale tra l’asserita negligenza e i danni lamentati, stante la mancata prova che la chiamata in causa avrebbe determinato un esito della lite più favorevole all’appellante.
Acquisito il fascicolo di ufficio del procedimento di primo grado, con ordinanza del 20.10.2022 è stata rigettata l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
Alla prima udienza di merito, con ordinanza del 22.12.2023, in ragione del documentato decesso dell’appellato (non costituito) è stata poi dichiarata l’interruzione del processo.
Riassunta la causa con ricorso ex art. 303 c.p.c. dell’appellante, si sono costituiti in qualità di eredi di – ed anche in proprio – eccependo in via preliminare l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e, nel merito, chiedendo il rigetto del gravame in quanto infondato.
Nello specifico, gli appellati hanno affermato che la mancata chiamata in causa della società non aveva arrecato alcun concreto pregiudizio all’appellante, non avendo quest’ultimo dimostrato che tale iniziativa processuale avrebbe evitato che il peso della condanna risarcitoria gravasse interamente su , anche in considerazione dell’incapienza del patrimonio della società che al momento dell’emissione della sentenza di condanna si trovava in liquidazione.
All’udienza collegiale del 09.01.2025, svoltasi in modalità cartolare, la causa è stata trattenuta in decisione con ordinanza ex art. 127 ter c.p.c. del 13.01.2025, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe trascritte, e decisa in camera di consiglio all’esito del decorso degli assegnati termini ex art. 190 c.p.c. 2.
L’eccezione di inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. che l’appellante intendeva impugnare e delle ragioni per le quali la sentenza appellata era ritenuta erronea, sostenendo che si sarebbe limitato a riproporre le deduzioni difensive svolte in primo grado.
In proposito giova premettere che per la formulazione del gravame, anche alla luce della nuova normativa, non si può ritenere che sussistano formule sacramentali, essendo necessario e al contempo sufficiente, per poter ritenere la specificità dei motivi di appello, che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime (cfr. Cass. n. 18932/2016).
In tal senso si è orientata l’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, specificando come il rispetto dell’art. 342 c.p.c. non esiga lo svolgimento di un “progetto alternativo di sentenza”, né una determinata forma, né la trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata, ma imponga all’appellante di individuare, in modo chiaro ed inequivoco, il quantum appellatum, formulando, rispetto alle argomentazioni adottate dal primo giudice, pertinenti ragioni di dissenso che consistono, in caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell’indicazione delle prove che si assumono trascurate o malamente valutate, ovvero, per le doglianze afferenti questioni di diritto, nella specificazione della norma applicabile o dell’interpretazione preferibile, nonché, in relazione a denunciati errores in procedendo, nella precisazione del fatto processuale e della diversa scelta che si sarebbe dovuta compiere (cfr. ex multis Cass. n. 10916/2017; Cass n. 2143/2015).
Tanto premesso, nel caso di specie è vero che l’appellante ha riproposto le tesi difensive già avanzate in primo grado, ma le ha raffrontate con le diverse valutazioni espresse dal primo Giudice, al fine di confutare le argomentazioni articolate nella sentenza impugnata, indicando altresì le parti della sentenza impugnata di cui ha chiesto la riforma e le ragioni a sostegno delle modifiche richieste.
Ne consegue che l’eccezione di inammissibilità ex art. 342 c.p.c. non può essere accolta e, pertanto, le censure formulate dall’appellante dovranno essere esaminate nel merito.
3.
Le reiterate istanze istruttorie e l’ammissibilità della documentazione prodotta dall’appellante in sede di riassunzione Ancora in via preliminare, si deve dichiarare l’inammissibilità delle istanze di prova per testi reiterate dall’appellante nel presente giudizio, formulate nella seconda e nella terza memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. in primo grado e non ammesse dal primo Giudice.
Secondo il costante insegnamento della Suprema Corte (cfr., ex plurimus, Cass. n. 3274/2019;
1532/2018; Cass. n. 25652/2017), allorché il giudice di primo grado abbia rigettato l’ammissione di una richieste istruttoria, l’appellante ha l’onere di censurare la statuizione di rigetto con uno specifico motivo di gravame, non essendo sufficiente che egli impugni la sentenza, lamentando l’omessa pronuncia su domande e l’errata valutazione del materiale un nuovo apprezzamento discrezionale della complessiva ammissibilità delle richieste istruttorie disattese in primo grado.
Nel caso di specie, con riferimento alle istanze istruttorie reiterate in questa sede, il Tribunale ha ritenuto di non ammettere i capitoli di prova articolati nella memoria n. 2 in quanto relativi a circostanze non contestate e ha parimenti dichiarato inammissibile l’istanza di prova orale formulata nella memoria n. 3 in quanto tardivamente proposta (cfr. ordinanza del 10.11.2020).
L’appellante si è limitato a riproporre tali istanze nell’atto di appello, senza formulare un apposito motivo di gravame avverso la statuizione di rigetto del primo Giudice ed omettendo di indicare le ragioni in base alle quali il Tribunale avrebbe dovuto ritenere ammissibili le richieste istruttorie in esame.
In particolare, in seno al secondo motivo di gravame l’appellante si è limitato a dedurre:
“Tale circostanza [ndr. il fatto che l’avv. durante un incontro con i soci della avvenuto tra fine giugno e inizio luglio 2014 abbia dichiarato di non aver chiamato in causa la predetta società per non danneggiarla], assieme ad altre, rilevanti ai fini del giudizio, è stata oggetto di prova per testi capitolata nelle memorie istruttorie, ma poiché non è stata ammessa dal Giudice di I°, in via istruttoria se ne chiede in questa sede la sua ammissione”.
Ad abubdantiam, si rileva comunque che i capitoli di prova richiesti dall’appellante riguardano circostanze non rilevanti ai fini della decisione, posto che, per come si andrà ad esporre sub 7, ai fini del decidere risulta dirimente non tanto l’inadempimento dei professionisti (incontrovertibile), ma il nesso di causa tra esso ed il danno lamentato.
Ne consegue che le istanze istruttorie reiterate in questa sede dall’appellante non possono essere ammesse.
In ordine, poi, all’eccezione di inammissibilità ex art. 345 co. 3 c.p.c. sollevata dagli appellati con riferimento alla documentazione prodotta per la prima volta dall’appellante in sede di riassunzione, concernente la dichiarazione dei redditi 2023 e il riepilogo delle risultanze catastali al 13/12/2023 (docc. 1 e 2 allegati al ricorso ex art. 303 c.p.c.), si tratta di profilo irrilevante in questa fase processuale:
tale produzione era infatti correlata alla sola istanza di sospensiva ex art. 283 c.p.c., mentre non ha alcun rilievo ai fini della decisione di merito.
4. La ricostruzione dei fatti e il perimetro della presente decisione Prima di esaminare nel merito i motivi di appello, si ritiene opportuno evidenziare che risulta pacifico che ha conferito agli avvocati e NOME COGNOME il mandato di rappresentarlo e difenderlo nell’ambito del giudizio risarcitorio (cause riunite RG 1736/2010 e RG 3499/2010) promosso davanti al Tribunale di Pistoia dai congiunti di , vittima di un infortunio mortale sul lavoro, verificatosi il 14.05.2001 durante un intervento di riparazione dell’impianto di condizionamento collocato sul tetto del capannone della specifico, si evince dagli atti che i parenti della vittima hanno agito nei confronti di , amministratore delegato e preposto alla sicurezza della il quale ha chiamato in causa in qualità di coobbligato, essendo il legale rappresentante della società datrice di lavoro di Del pari pacifico è che in sede di costituzione nel predetto giudizio si è difeso sostenendo l’esclusiva o comunque prevalente responsabilità del convenuto e la sussistenza di un concorso colposo del danneggiato, chiamando in causa soltanto la sua compagnia assicurativa in garanzia e non anche la in qualità di società datrice di lavoro della vittima dell’infortunio. Risulta parimenti non contestato che con sentenza n. 942/2014 del 12/08/2014 (divenuta definitiva in quanto non impugnata) il Tribunale di Pistoia ha condannato in solido tra loro a risarcire i danni patiti dai congiunti di , nonché le rispettive compagnie assicurative chiamate in causa ( e Insurance p.l.c.) a tenerli indenni da tutti gli effetti della condanna.
Risulta altresì incontroverso che ha ottenuto nei confronti di decreto ingiuntivo n. 1470/2017 (non opposto), con il quale è stato ingiunto all’odierno appellante il pagamento di euro 331.649,70, a titolo di regresso ex artt. 1916 e 1299 c.c., avendo ceduto alla predetta compagnia assicurativa il proprio diritto a ripetere quanto dovuto da in forza della citata sentenza n. 942/2014.
Ciò posto, risulta ormai coperta dal giudicato, in mancanza di impugnazione incidentale sul punto, la statuizione con la quale il Tribunale ha accertato la sussistenza nella specie di una condotta negligente imputabile ai legali convenuti, consistente nel non aver informato della possibilità di effettuare la chiamata in causa della società È divenuta parimenti incontrovertibile, in difetto di appello sul punto, la statuizione con la quale il primo Giudice ha invece escluso la configurabilità di un inadempimento professionale imputabile ai convenuti in ordine alla mancata impugnazione della sentenza n. 942/2017 con la quale il Tribunale di Pistoia ha accolto la domanda risarcitoria avanzata dai congiunti del lavoratore deceduto nei confronti (anche) di , “non avendo il dedotto alcuna specifica doglianza nei confronti di una simile decisione che, qualora tradotto in motivo di appello, avrebbe verosimilmente portato ad una sua riforma in senso favorevole per le ragioni dell’odierno attore” (p. 17 della sentenza impugnata). Pertanto, la controversia si incentra sulla sussistenza dei presupposti della responsabilità professionale degli avvocati convenuti con riferimento alla mancata chiamata in causa della società nel suindicato giudizio risarcitorio e, in particolare, sull’esistenza del necessario nesso di causalità tra il dedotto inadempimento e i danni lamentati dall’attore.
5. Il primo motivo di appello sull’operatività della limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c. il primo motivo di gravame l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 2236
c.c., sebbene la prestazione dovuta dagli avvocati convenuti (ovvero la chiamata in causa della società non potesse ritenersi di particolare difficoltà, risultando con evidenza la corresponsabilità della per il decesso di , atteso che il datore di lavoro è sempre responsabile degli infortuni dei suoi dipendenti e che nel caso di specie la responsabilità della era stata accertata dalla sentenza n. 369/2007 del Tribunale di Pistoia.
La censura, basata sull’erronea premessa che il tribunale abbia ritenuto applicabile ai fatti di causa l’art. 2236 c.c., è infondata.
Al riguardo il primo Giudice ha così argomentato:
“Tanto premesso in fatto, osserva il Tribunale che la responsabilità professionale dell’avvocato è di natura contrattuale e la disciplina di riferimento è contenuta negli articoli 1176 co. 2, 1218 e 2236 c.c. In particolare, ai sensi dell’art. 1176 co.
2 c.c., il grado di diligenza richiesto all’avvocato nello svolgimento della prestazione d’opera intellettuale è quello imposto dalla natura dell’attività esercitata.
Tuttavia, qualora la prestazione professionale da eseguire in concreto comporti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, ex art. 2236
c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave.
A tal riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che l’avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 c. 2 c.c., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio, mentre nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave (cfr. Cass. 16846/2005)” (p. 9 della sentenza impugnata). Poi, con statuizione ormai coperta da giudicato in quanto non oggetto di impugnazione incidentale da parte degli appellati, il Tribunale ha accertato la sussistenza di un inadempimento imputabile ai legali convenuti, così argomentando:
“Le esposte considerazioni non valgono tuttavia ad escludere che la condotta degli odierni convenuti, consistita nell’aver omesso di informare il sig. circa la possibilità di chiamare in causa la società nell’ambito di tale giudizio risarcitorio, pacifica in quanto non specificamente contestata ex adverso, si sia posta in contrasto con l’obbligo di diligenza ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 1176 co.
2 e 2236 c.c., che impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto, anche il dovere di informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi” (p. 14 della sentenza impugnata).
Cionondimeno il primo Giudice ha escluso la sussistenza della responsabilità professionale dei convenuti ritenendo non provata l’esistenza del necessario nesso causale tra la condotta ’esclusione della responsabilità dei convenuti non è stata, quindi, affermata in forza di quanto previsto dall’art. 2236
c.c., in ragione della particolare difficoltà della prestazione dovuta dai professionisti e della correlata limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave sancita dalla predetta disposizione.
Invero, il Tribunale non ha concretamente applicato al caso di specie l’art. 2236
c.c., essendosi limitato a fare riferimento a tale disposizione al solo fine di individuare la disciplina normativa in astratto applicabile alla fattispecie della responsabilità professionale dell’avvocato.
La censura in esame si basa, dunque, su un assunto errato, ovvero che il primo Giudice abbia escluso la responsabilità dei convenuti in virtù di quanto previsto dall’art. 2236 c.c. e, pertanto, il presente motivo di appello deve essere respinto.
6.
Il terzo motivo di appello sulla configurabilità della responsabilità solidale della Anche terzo motivo di gravame si basa su di un’errata comprensione di quanto affermato dal primo giudice.
Con esso l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che la domanda risarcitoria promossa iure proprio dai congiunti della vittima dell’infortunio trova la sua fonte esclusiva nell’art. 2043 c.c. e non è soggetta al regime probatorio previsto dall’art. 2087 c.c.
L’appellante sostiene che la società in quanto datore di lavoro in senso formale di , non può essere esonerata da responsabilità per l’inosservanza delle norme antinfortunistiche che hanno determinato l’infortunio mortale, atteso che in base all’art. 2087 c.c. la responsabilità di natura contrattuale per gli eventuali infortuni sul lavoro dei dipendenti grava sul datore di lavoro in quanto tale e non già, ove si tratti di persona giuridica, sull’amministratore della stessa.
Tuttavia, il Tribunale non ha affatto escluso la responsabilità della società per l’infortunio mortale occorso a In proposito il primo Giudice ha così motivato:
“Occorre a questo punto evidenziare che le domande risarcitorie originariamente avanzate dai congiunti del sig. nei confronti del solo avevano ad oggetto la rivendicazione di danni non patrimoniali patiti iure proprio in conseguenza dell’infortunio sul lavoro con esito mortale anzidetto.
In proposito si rammenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità, “la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla perdita del rapporto parentale, proposta iure proprio dai congiunti del lavoratore, quali soggetti estranei al rapporto di lavoro, anche se la morte del dipendente sia derivata da inadempimento contrattuale del datore di lavoro verso il dipendente, trova la sua fonte esclusiva nella responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c., sicché non è soggetta al regime probatorio proprio della responsabilità ex art. 2087 c.c., né la circostanza in una “porzione” di un’azione contrattuale, soggetta a regole probatorie differenti, sposta il relativo onere ex art. 2697 c.c. (cfr. Cass. 2/2020)
” (p. 10 della sentenza impugnata).
Il Tribunale si è quindi limitato ad affermare che a fronte della domanda risarcitoria proposta iure proprio dai congiunti del lavoratore vittima dell’infortunio la responsabilità del datore di lavoro ha natura extracontrattuale e trova il suo fondamento normativo nell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione del relativo riparto degli oneri probatori.
Anzi, il Tribunale ha espressamente riconosciuto la responsabilità della società in solido con , così statuendo:
“Alla luce di quanto osservato deve dunque ritenersi configurabile la responsabilità solidale
ex art. 2055 c.c. tra società quale formale datore di lavoro del lavoratore deceduto, ed il sig. , quale Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della società, titolare dello specifico obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, e dunque datore di lavoro “in senso prevenzionale”, in relazione al danno subito iure proprio dai congiunti del lavoratore deceduto” (p. 11 della sentenza impugnata).
La sentenza impugnata risulta, dunque, immune dal vizio denunciato, non avendo il Tribunale escluso la responsabilità della società in qualità di datore di lavoro della vittima dell’infortunio e, pertanto, il presente motivo di appello va respinto.
7. Il secondo e il quarto motivo di appello sulla ricorrenza dei presupposti della responsabilità professionale degli avvocati convenuti Il secondo e il quarto motivo di gravame possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi vertono sulle conseguenze del dedotto inadempimento professionale.
In particolare, con il secondo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non assolto l’onere probatorio gravante sull’attore in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità professionale dei legali convenuti, e sostiene di aver fornito la prova della condotta omissiva negligente imputabile agli avvocati COGNOME responsabili per non aver consapevolmente effettuato la chiamata in causa della società allo scopo di non arrecare danno alla predetta società, da tempo loro cliente. L’appellante deduce altresì di aver dimostrato di aver subito un danno in conseguenza del lamentato inadempimento, essendosi trovato costretto a vendere tutti gli immobili di sua proprietà per far fronte al pagamento dell’ingente somma pari ad euro 331.649,70 in esecuzione del decreto ingiuntivo n. 1470/2017 emesso nei suoi confronti dal Tribunale di Pistoia su ricorso di Con il quarto motivo di gravame l’appellante censura la sentenza impugnata altresì nella parte in cui ha attribuito rilevanza ai fini della prova del nesso causale tra l’inadempimento e il danno alla mancata indicazione da parte dell’attore della domanda che avrebbe formulato nei confronti della società nonché nella parte in cui ha escluso l’operatività della regola ogni probabilità se la predetta società fosse stata chiamata in causa sarebbe stata condannata in solido con al risarcimento dei danni in favore dei congiunti del lavoratore deceduto. Tuttavia, si deve confermare che in effetti manca la prova che in caso di chiamata della società l’appellante avrebbe potuto in concreto contenere le conseguenze della propria condanna.
Giova premettere che, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, “la responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente” (cfr. Cass. ordinanza n. 13873 del 06/07/2020; in senso conforme, Cass. ord. n. 7064/2021).
In particolare, è stato affermato che in ipotesi di responsabilità dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, occorre verificare alla stregua di criteri probabilistici quale sarebbe stato l’esito della causa se il professionista avesse tenuto il comportamento doveroso omesso.
Invero, posto che l’avvocato non può garantire l’esito in ogni caso favorevole sperato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni è configurabile soltanto ove si accerti, secondo la regola del “più probabile che non”, che senza quell’omissione il risultato auspicato dal suo assistito sarebbe stato conseguito (cfr. Cass. n. 25778 del 14/10/2019).
Pertanto, la responsabilità professionale dell’avvocato intanto può ritenersi sussistente in quanto risulti la prova non soltanto dell’inadempimento del professionista, bensì anche del probabile esito favorevole dell’azione giudiziale omessa a causa della sua condotta negligente (cfr. Cass. ordinanza n. 33442/2022).
Il tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo sì sussistente la negligenza dei professionisti per non aver chiamato in causa la società nell’ambito di tale giudizio risarcitorio, ma ha anche escludendo che ciò abbia causato al cliente un concreo nocumento.
In particolare, ha affermato:
“Peraltro, appurato che non vi era contestazione da parte del circa la propria legittimazione passiva rispetto alla pretesa risarcitoria dei congiunti e che la chiamata nei confronti della società sarebbe avvenuta nella sua qualità di mera coobbligata e non di responsabile in via esclusiva del sinistro, deve anzitutto rilevarsi come non possa affatto reputarsi certo che il compimento di simile attività difensiva poteva legittimamente comportare –di per sé ed indipendentemente dalla domanda rivolta dal chiamante –l’estensione automatica della originaria domanda risarcitoria anche nei confronti della terza chiamata e, conseguentemente, determinarne la condanna al ristoro dei danni subiti iure proprio dagli attori in solido con il convenuto ed il chiamante, come affermato dall’odierno attore. Al riguardo si rammenta che, secondo un orientamento della Suprema Corte, qualora il convenuto in un giudizio di risarcimento dei danni, chiami in causa un terzo indicandolo come soggetto corresponsabile della pretesa fatta valere dall’attore e chieda di chiamato, atteso che la posizione assunta dal terzo nel giudizio non contrasta, ma anzi coesiste, con quella del convenuto rispetto all’azione risarcitoria, salvo che l’attore danneggiato proponga nei confronti del chiamato (quale coobbligato solidale) una nuova autonoma domanda di condanna (cfr. Cass. 18289/2020). Pertanto non può ritenersi provato che la proposizione, e successiva autorizzazione da parte del giudice della azione risarcitoria, della chiamata in causa della società di per sé ed indipendentemente dalla domanda formulata dal chiamante (non allegata dall’odierno attore), avrebbe potuto ragionevolmente determinare il risultato favorevole prospettato dalla difesa attorea in questo giudizio, e cioè la condanna della terza chiamata–in solido con il risarcimento dei danni lamentati dai congiunti del lavoratore deceduto. Ciò osservato, volendo ipotizzare che l’odierno attore, con la chiamata in causa della società avesse inteso esercitare nei suoi confronti azione di regresso c.d. anticipato ex artt. 1299 e 2055 co. 2 c.c., si impongono le seguenti ulteriori considerazioni.
In ogni caso, anche in caso di autorizzazione alla chiamata del terzo in regresso, il sig. avrebbe potuto recuperare dalla società quanto riconosciutogli in sede di regresso anticipato, solo dopo aver effettivamente pagato l’intero ai danneggiati. .
Infine, non essendo la chiamata in regresso ex artt. 1299 e 2055 co. 2 c.c. nei confronti della nel giudizio risarcitorio ricollegata a particolari decadenze processuali, la sua omissione non ha in alcun modo determinato la perdita del diritto all’azione di cui si trattasi, la quale ben avrebbe potuto essere esperita in un autonomo e successivo procedimento rispetto alla causa promossa dai danneggiati.
Le esposte considerazioni non valgono tuttavia ad escludere che la condotta degli odierni convenuti ,consistita nell’aver omesso di informare il sig. circa la possibilità di chiamare in causa la società nell’ambito di tale giudizio risarcitorio, pacifica in quanto non specificamente contestata ex adverso, si sia posta in contrasto con l’obbligo di diligenza ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 1176 co.
2 e 2236 c.c., che impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto, anche il dovere di informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi.
Va tuttavia rammentato che la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo inadempimento (danno- evento), occorrendo allegare e provare che, se questi avesse assunto la condotta doverosa, il proprio assistito avrebbe conseguito, secondo criteri probabilistici, il riconoscimento delle proprie ragioni;
difettando la prova del nesso eziologico tra condotta omissiva dell’avvocato e il risultato da questa derivatane, il danno, pur sussistente nell’ an , è carente sul diverso piano del danno -conseguenza e dunque irrisarcibile (cfr. Cass. 8494/2020).
Nel caso di specie, non è stata data la prova da parte dell’odierno attore della sussistenza del nesso causale tra il dedotto inadempimento dei professionisti convenuti ed il danno lamentato ad esso conseguente.
Deve intanto evidenziarsi come non possa ritenersi provato che, qualora correttamente informato sulla possibilità di chiamare riguardo si rileva che, all’epoca della costituzione nella causa risarcitoria e quindi nel momento in cui una simile chiamata in causa poteva essere tempestivamente proposta in tale giudizio, ovvero nel mese di febbraio 2011, il giudizio di regresso promosso dall’ si era già concluso con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna della società datrice di lavoro e del a rimborsare in solido le somme indennizzate dalle ente per l’infortunio sul lavoro. Sicché risulta scarsamente verosimile che l’odierno attore ignorasse che vi fosse responsabilità solidale tra lo stesso e la società datrice di lavoro per i danni lamentati dai congiunti del lavoratore deceduto nella causa civile risarcitoria.
È poi da rilevare come sia pacifico, per ammissione della stesso attore (cfr. memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 pag. 3), che la fosse un’impresa medio-piccola a carattere familiare, i cui soci erano tre coppie di coniugi, il Consiglio di Amministrazione era composto dai tre mariti, i quali si erano succeduti nella funzione di Presidente del C.d.
A.In particolare, è documentale la circostanza che, nel febbraio 2011, il fosse socio e consigliere del C.d.
A. della mentre lo stesso risultava cessato dal 18.2.2003 dalla carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante della società ricoperta dal 1998(carica che avrebbe tuttavia nuovamente ricoperto dal 3.1.2014 al 9.7.2014, poco prima della liquidazione della società, disposta con atto del 31.7.2014)(cfr.
visura camerale storica.
3 fascicolo Non può dunque ritenersi inverosimile che, al momento della sua costituzione nella causa risarcitoria, qualora debitamente informato dai legali convenuti circa la possibilità di evocare in giudizio la il medesimo si sarebbe comunque rifiutato di agire in tal senso, sia perché -in considerazione del proprio ruolo di socio e di amministratore nonché tenuto conto del fatto che la società risultava all’epoca attiva e capiente (circostanza questa ammessa dalla stessa parte a pag. 6 della propria memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c.) -non aveva motivo di temere di non recuperare dalla stessa quanto eventualmente tenuto a versare all’esito della causa risarcitoria, sia perché l’azione di regresso verso la datrice di lavoro formale risultava comunque sempre utilmente esperibile in un successivo autonomo giudizio. In un simile contesto, la dichiarazione che l’avv. ebbe ad effettuare a fine giugno –inizio luglio 2014,per cui la chiamata in causa della non sarebbe stata proposta “al fine di non danneggiare la società” (cfr. memoria ex art. 183 co. 6 n.1 c.p.c. di parte attricepag.
9) e che lo stesso “era d’accordo” (cfr. memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. di parte attrice pag. 8), ex adverso non contestata e dunque incontroversa, lungi dal costituire una confessione stragiudiziale di una condotta difensiva contraria agli interessi del proprio assistito, proprio in quanto antecedente il deposito della sentenza di condanna dell’odierno attore (12.8.2014 –doc. 12 fascicolo e comunque resa in un momento nel quale non vi era ragione per fare affermazione non corrispondente al vero, risulta una attendibile conferma della volontà all’epoca esistente dell’odierno attore di non coinvolgere nel giudizio risarcitorio la impresa a carattere familiare di cui era fondatore, socio e amministratore. Nondimeno, vale ad escludere la responsabilità professionale dei convenuti la mancanza di nesso eziologico tra la in forza della sentenza n. 942/2014,in forza del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 1470/2017 emesso dal Tribunale di Pistoia in data 16 -29 dicembre 2017.
Al riguardo va peraltro osservato che il danno che potrebbe astrattamente riconoscersi al sig. in conseguenza dell’omessa chiamata in causa sia piuttosto da individuare in quella minor somma, rispetto al maggiore ammontare dovuto in forza del decreto ingiuntivo menzionato, che l’eventuale chiamata in causa della Monti RAGIONE_SOCIALE nel giudizio risarcitorio avrebbe consentito di accertare come di pertinenza della medesima società in relazione al suo grado di responsabilità e ai fini dei rapporti interni fra diversi coobbligati, e di cui l’odierno attore è stato invece gravato. Occorre tuttavia evidenziare come l’attore non abbia documentato l’avvenuto pagamento non solo della integrale somma ingiunta dalla cessionaria di tale credito in forza del decreto ingiuntivo notificatogli in data 31.1.2018, ma neppure di quell’ipotetico minor importo corrispondente alla quota di pertinenza della società datrice di lavoro quale coobbligata.
È peraltro pacifica, per ammissione della stessa parte attrice (cfr. memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. pag. 6), oltre che documentale(cfr.
docc. 12, 13, 14 e 15 fascicolo ),la circostanza per cui la sia stata posta in liquidazione dal mese di luglio 2014 e che già dal 2013 risultasse non più capiente, in quanto tutti i bilanci si erano chiusi in perdita o con utili risibili e, soprattutto, con un giro di affari insussistente.
Ebbene, tanto rilevato, non può ritenersi provato che il , in forza del suindicato decreto ingiuntivo, abbia sostenuto esborsi superiori a quelli che avrebbe potuto concretamente effettuare in ipotesi di chiamata in causa dellasocietà datrice di lavoro nell’ambito del giudizio risarcitorio promosso dai congiunti del lavoratore deceduto e di condanna della stessa in solido con l’odierno attore medesimo, anche alla luce della situazione di incapienza della successiva al 2013- 2014cheavrebbe comunque comportato una ripartizione della relativa quota di pertinenza tra gli altri condebitori ex art. 1299 c. 2 c.c. Sulla scorta di quanto fin qui osservato è allora da ritenere insussistente il nesso causale tra la produzione del danno lamentato dall’attoree l’omessa chiamata in causa della società nell’ambito del giudizio risarcitorio nel quale il sig. era stato a sua volta chiamato in causa”. Ebbene, dei plurimi argomenti spesi dal primo giudice per escludere, con ragionamento controfattuale, che il contegno omesso avrebbe concretamente giovato al cliente, appare dirimente la considerazione che quand’anche avesse ottenuto la condanna in solido con se medesimo e con della società (ciò di cui v’è in effetti da dubitare, posto che il ragionamento del primo giudice in punto di mancata estensione automatica della domanda dei danneggiati alla terza chiamata appare conforme alla giurisprudenza di legittimità sul punto) o, comunque, fosse riuscito ad ottenere un accertamento della sussistenza di un ulteriore obbligato da opporre all’assicuratore di , non per questo avrebbe potuto evitare il regresso di questi nella misura del 50%. Invero, è pacifico (ed espressamente ammesso dello stesso ) che in data 31.07.2014, al 30.04.2014, da cui risulta una perdita di € 24.406,20, e dal bilancio al 31.12.2014, da cui risulta una perdita di addirittura € 232.723,00, per la scomparsa della posta attiva di € 333.254,00 per rimanenze (cfr. doc. 9-bis allegato al fascicolo di parte attrice).
È vero, dunque, che in astratto l’individuazione di un ulteriore condebitore – la società – avrebbe ridotto il regresso da parte di (rectius:
subentrata ad esso) alla quota di 1/3;
tuttavia, a causa della sopravvenuta incapienza della l’obbligazione risarcitoria si sarebbe ripartita nei rapporti interni tra coobbligati secondo quanto previsto dall’art. 1299, co. 2 c.c. per l’ipotesi di insolvenza di uno dei condebitori, riportando la quota dell’appellante al 50%.
In particolare, tale norma, dopo aver affermato che il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitore soltanto la parte di ciascuno essi, prosegue affermando che “Se uno di questi è insolvente, la perdita si ripartisce per contributo tra gli altri condebitori, compreso quello che ha fatto il pagamento”.
Dunque, la quota di 1/3 della società si sarebbe ripartita tra metà per uno, di talché alla fine in concreto comunque avrebbe avuto diritto di regresso per il 50% nei confronti di In definitiva, deve essere escluso che a causa della mancata chiamata in causa della società per fare fronte alla condanna risarcitoria disposta dalla sentenza n. 942/2014, abbia sostenuto esborsi maggiori di quelli che avrebbe sostenuto se i suoi difensori avessero evocato in giudizio la predetta società, in quanto se anche la fosse stata condannata in via solidale, comunque alla fine il debito risarcitorio si sarebbe ripartito soltanto tra , in ragione dell’insolvenza della società; pertanto, i danni dedotti dall’appellante – ovvero l’aver dovuto vendere o, meglio, svendere i propri beni – si sarebbero verificati identici anche qualora professionisti avessero tenuto la condotta omessa.
In conclusione, il gravame proposto deve essere respinto.
8. Le spese di lite Le spese dell’appello devono seguire la soccombenza e pertanto essere rifuse all’appellato dall’appellante.
Dunque, sulla base del D.M. 55/14 come modificato dal D.M. 147/22, applicato lo scaglione da 260.001,00 a 520.000,00, in considerazione del quantum appellatum, secondo i valori medi, stante la complessità media della controversia, ed esclusa la fase istruttoria, non espletata (e rilevato che la trattazione è consistita nel riportarsi all’atto introduttivo e concludere, attività, queste, già monetizzate dal compenso per la fase precedente e per quella successiva), dev’essere riconosciuta in favore di ciascuno dei due appellati ( la somma di euro 14.239,00 ciascuno; inoltre, dev’essere liquidata ai medesimi la somma di euro 3.899,00 per la sospensiva (procedimenti cautelari ai minimi).
La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da , avverso la sentenza n. 233/2022 del Tribunale di Pistoia, ogni altra domanda, istanza, eccezione, deduzione disattesa od assorbita, così provvede:
1) respinge l’appello;
2) condanna l’appellante a rifondere a e agli eredi di le spese di lite del presente grado, che liquida nella somma di euro 18.138,00 ciascuno, oltre rimborso spese generali, iva e cap come per legge.
Dà atto che, per effetto della odierna decisione, sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002 per il versamento, ove dovuto, da parte dell’appellante dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’articolo stesso.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 19.3.2025.
Il Presidente estensore dott.ssa NOME COGNOME La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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