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Codice Civile
Codice Penale

Responsabilità professionale dell’avvocato per errata vocatio in ius

La sentenza affronta il tema della responsabilità professionale dell’avvocato, in particolare in relazione al dovere di diligenza qualificata e all’obbligo di agire nell’interesse del cliente. Il Tribunale ha precisato che l’avvocato, pur dovendo seguire le indicazioni del cliente, ha il dovere di valutare autonomamente la proficua esperibilità di uno strumento processuale e di sconsigliare il cliente dall’intraprendere azioni dall’esito probabilmente sfavorevole. Inoltre, il giudice ha ribadito che la responsabilità del professionista non deriva automaticamente dalla perdita della causa, ma è necessario dimostrare il nesso di causalità tra la condotta negligente e il pregiudizio subito dal cliente.

Pubblicato il 07 August 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 7379/2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE Terza sezione civile

Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._2538_2024_- N._R.G._00007379_2020 DEL_01_08_2024 PUBBLICATA_IL_01_08_2024

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 7379/2020 promossa da: nata a Sesto Fiorentino (FI), il 03.09.1952 e residente in Sesto Fiorentino (FI), in INDIRIZZO C.F. , in qualità di erede di rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Firenze, ed elettivamente domiciliata presso e nel suo studio in Sesto Fiorentino (FI), INDIRIZZO
PARTE ATTRICE contro l’Avv. NOME COGNOME, C.F. , con studio in Firenze, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del foro di Firenze, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Firenze, INDIRIZZO PARTE CONVENUTA nonché contro C.F. in persona del Procuratore Speciale Dott. , con sede in Milano (MI), INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del foro di Milano con studio in Milano, INDIRIZZO ed elettivamente domiciliata tramite e secondo p.e.c. all’indirizzo:
TERZO CHIAMATO C.F.

CONCLUSIONI

Per parte attrice (come da atto di citazione):
“Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito, respinta ogni e diversa domanda eccezioni e conclusione, accertare per tutti i motivi di cui in premessa l’inadempimento contrattuale ex.
art. 1218 – 2236 c.c. dell’Avv. NOME COGNOME e per l’effetto condannare la convenuta alla restituzione dell’importo pari ad €.
9.925,00 quale risarcimento oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto sino all’effettivo soddisfo.
Con vittoria di spese di giudizio ed accessori di legge.
” Per parte convenuta (foglio del 24/07/2023):
“Perché il Tribunale di Firenze, disattesa ogni avversaria istanza, eccezione e deduzione, previa solo occorrendo richiesta di esibizione della perizia redatta per conto del Condominio di INDIRIZZO Sesto Fiorentino (FI) dall’ing. come da delibera condominiale 27 febbraio 2019, Voglia respingere le domande attrici in quanto inammissibili e/o improcedibili e comunque infondate nel merito.
In denegata ipotesi di accoglimento in tutto o in parte delle domande attrici, Voglia dichiarare tenuta la società in persona del legale rappresentante pro-tempore, a tenere indenne l’assicurata avv. NOME COGNOME e, per l’effetto, condannare il terzo chiamato, società in persona del legale rappresentante pro-tempore, a manlevare l’assicurata avv. NOME COGNOME e/o a rimborsarle ogni somma che questa fosse tenuta a versare in favore di parte attrice.
Con vittoria di spese e competenze”.

Per parte chiamata (foglio del 08/04/2024): “Nel merito in via principale:
*Accertare e dichiarare l’assenza di responsabilità dell’Avv. NOME COGNOME nella vicenda per cui è causa, di un suo inadempimento e/o dei lamentati danni e/o del nesso di causalità tra questi e l’asserito errore professionale, rigettando ogni domanda avanzata da parte attrice nei suoi confronti;
*Accertare e dichiarare, per tutti i motivi meglio specificati in atti, l’inoperatività della polizza n. NUMERO_DOCUMENTO e/o la decadenza dell’Avv. NOME COGNOME dal diritto all’indennizzo;
*conseguentemente, rigettare le domande svolte nei confronti di Nel merito in via subordinata:
Nella non creduta ipotesi in cui si accertasse e si provasse una responsabilità professionale dell’avv. NOME COGNOME, si ritenessero sussistenti un suo inadempimento, i danni lamentati da parte attrice ed il nesso di causalità e si ritenesse, altresì, incredibilmente operativa la polizza n. NUMERO_DOCUMENTO, dichiarare l’Avv. NOME COGNOME tenuta a risarcire soltanto i danni dalla stessa direttamente cagionati, precisamente provati e accertati, e, in ogni caso, dichiarare tenuta a manlevare l’Avv. NOME COGNOME per l’importo dovuto a sua esclusiva condotta colposa, per gli importi eccedenti la franchigia contrattuale di € 2.000,00 per sinistro, nel limite del massimale di polizza, esclusi e/o ridotti ex art. 1227 c.c., esclusi gli importi richiesti a titolo di restituzione ed esclusi tutti i maggiori importi determinati dal ritardo nella denuncia di sinistro, quali, in via esemplificativa ma non esaustiva, le spese legali e processuali e, comunque, con applicazione di tutte le condizioni generali, particolari e speciali di assicurazione, da intendersi integralmente richiamate. In ogni caso, con vittoria di spese e compensi del presente giudizio, oltre accessori di legge.
”.
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, la sig.ra faceva presente di essere proprietaria di una porzione di immobile, adibito a civile abitazione, sito in Sesto Fiorentino (FI) alla INDIRIZZO posta al secondo piano di uno stabile, che nell’anno 2005 era stato oggetto al piano primo di intervento edile di frazionamento ad opera dell’Impresa RAGIONE_SOCIALE, all’epoca proprietaria e committente delle opere, che portarono alla realizzazione di due appartamenti. Tale intervento, però, aveva provocato danni strutturali all’appartamento di proprietà dell’attrice, laddove si verificavano fenomeni di fessurazioni diffuse sui muri interni e perimetrali, nonché, fenomeni di dissesto e cedimento alle pavimentazioni dei solai e ai gradini della scala condominiale.

Nel 2007, l’impresa proprietaria e la ditta esecutrice dei lavori venivano, pertanto, convenute in giudizio dalla sig.ra con un ricorso per ATP, nel quale il CTU nominato accertava a sua volta che le lesioni erano da imputare in “buona parte”, ai lavori commissionati dalla RAGIONE_SOCIALE

Tali accertamenti vedevano poi l’avallo dell’Ing. tecnico nominato dall’attrice nel 2015, che nella sua relazione del 2017, confermava che le fessurazioni erano da imputare ai lavori effettuati al primo piano, precisando che il dissesto era dovuto ad un’errata distribuzione dei pesi delle parti di massetto aggiuntive, necessarie per l’inserimento delle tubazioni di scarico, che avevano sovracaricato la struttura.

Dopo un decennio di inerzia, la situazione statica dell’immobile era peggiorata, con evidenti aggravamenti dei fenomeni di fessurazione, tali da indurre il Condominio, nell’assemblea del 05/08/2018, a ritenere necessari interventi di consolidamento dell’edificio.

Ma tali intenti non si concretizzarono, e la sig.ra si rivolse all’Avv. COGNOME per introdurre un nuovo giudizio di ATP, convenendo in giudizio il , ritenuto responsabile dell’inerzia, che costituitosi eccepiva la carenza di legittimazione passiva, evidenziando che il ricorso era stato proposto contro un soggetto estraneo ai lavori intervenuti al piano primo, che erano stati disposti dall’impresa proprietaria RAGIONE_SOCIALE, che invece non era stata evocata in giudizio, a differenza del precedente giudizio di Atp del 2007.

Il Tribunale, con ordinanza del 23/01/2019, dava ragione al Condominio, respingendo il ricorso e condannando la ricorrente al rimborso delle spese di lite liquidandole in € 1.725,00.

Nella parte motiva, si precisava che il rigetto era dovuto, non solo alla carenza di legittimazione passiva del Condominio, in quanto il soggetto indicato nel ricorso e nell’allegata relazione dell’Ing. quale autore del dissesto, non era parte del procedimento ma anche perché era stata chiesta una consulenza tecnica per accertare i danni occorsi alle parti comuni dell’edificio, in luogo dell’accertamento dell’ammontare del credito verso parte resistente per un suo eventuale atto illecito, essendo evidente che il Condominio non poteva essere dichiarato responsabile verso se stesso, per i danni cagionati ai beni condominiali.

Rilevava, inoltre, quale ulteriore motivo di responsabilità che l’esito del giudizio non fu mai comunicato alla sig.ra che apprese del rigetto dal CTP Ing. mentre il legale addirittura riferiva alla cliente di non essere a conoscenza della decisione del Giudice, facendo anche inesorabilmente spirare i termini per un’eventuale impugnazione.

Osservava, in diritto che il professionista nell’esecuzione della prestazione intellettuale, doveva tenere la diligenza qualificata ex art. 1176 e 1218 c.c., la cui violazione costituiva inadempimento e fonte di responsabilità professionale, e che in ordine all’onere della prova, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il creditore doveva limitarsi ad allegare l’inadempimento, il danno e il nesso di causalità mentre era onere del convenuto dimostrare di avere adempiuto o che l’inadempimento non era dipeso da sua colpa.

Osservava, ancora, che la difficile prova del danno e del nesso di causalità, nei termini di un giudizio prognostico circa il positivo esito del giudizio, se fosse stata realizzata la corretta attività professionale, nel caso di specie sarebbe stata alquanto agevole, data la presenza di una serie di elementi sintomatici di sicura responsabilità professionale di parte convenuta.

Infatti, la corretta individuazione del convenuto – esatto legittimato passivo era di facile determinazione, atteso che tutto il ricorso era basato sulle considerazioni dell’Ing. che individuavano nei lavori di ristrutturazione eseguiti al primo piano dello stabile e nei suoi autori, la causa del dissesto strutturale dell’immobile della sig.ra Al contempo, era palese l’esito vittorioso del ricorso, in quanto il precedente giudizio di ATP del 2007 che presentava i medesimi petitum e causa petendi, si era concluso con la vittoria della sig.ra contro l’impresa proprietaria RAGIONE_SOCIALE, in quanto la CTU espletata aveva individuato nelle opere di ristrutturazione, la causa principale delle fessurazioni murarie all’immobile di proprietà della ricorrente. Concludeva, affermando che l’odierna convenuta aveva commesso un errore inescusabile nell’esecuzione della prestazione professionale, obbligandola, quindi, al risarcimento dei danni quantificati in € 8.000,00 a titolo di rimborso di quanto pagato per l’opera professionale, di € 1.725,00 a titolo di spese legali ed € 200,00 per il costo di registrazione della sentenza, oltre alle spese della CTP.

Si costituiva l’Avv. NOME COGNOME la quale chiedeva il rigetto della domanda ex adverso proposta, in quanto infondata in fatto e diritto.

Aggiungeva in ordine ai fatti di causa che all’indomani dell’esito sfavorevole del procedimento di ATP del 2018, contrariamente a quanto affermato da parte attrice, la professionista aveva non solo comunicato l’esito del giudizio ma anche che aveva consigliato – contro i propri interessi – di non proporre impugnazione avverso il decisum, atteso che il Condominio nelle more del deposito dell’ordinanza, interrompendo il proprio stato d’inerzia, aveva dato incarico ad un consulente tecnico Ing.
di individuare le responsabilità del dissesto, le opere necessarie al ripristino sia alle parti comuni che a quelle private, al fine di chiedere adeguato risarcimento.

In tale situazione le spese per proporre impugnazione sarebbero state un inutile spreco di risorse economiche, visto che i convenuti stavano ottemperando a quanto richiesto.

In ordine, alla presunta erronea evocazione in giudizio del Condominio, la convenuta eccepiva che l’impresa promotrice dei lavori, essendo estinta e cancellata dal registro delle imprese, non avrebbe potuto essere convenuta in giudizio, data l’assenza di legittimazione processuale a subire una condanna.

Aggiungeva che in ogni caso il Condominio era da considerare responsabile per fatto illecito, per essere rimasto inerte per più di dieci anni dall’esecuzione dei lavori, a fronte dell’urgenza ad agire in presenza di dissesto strutturale ancora in evoluzione e, se del caso, per promuovere le dovute azioni contro i responsabili.

In ogni caso, evidenziava che il ricorso non era stato proposto per far accertare la responsabilità del Condominio verso sé stesso ma ai fini di condanna al risarcimento dello stesso per i danni cagionati alla sig.ra dovuti alla sua colpevole inerzia.

E tale responsabilità non era attenuata dalla redazione di una nota tecnica nel 2012, che constatava l’assenza di segni pericolosità per il fabbricato, poiché ciò che necessitava era un intervento urgente nel 2018, a cui lo stesso Condominio si impegnava nell’assemblea straordinaria del 2018.

Del resto, aggiungeva, il Condominio quale custode dei beni e servizi comuni, era titolare dell’obbligo di impedire che gli stessi beni non arrecassero pregiudizio ai condomini e rispondeva nel caso ex art. 2051 c.c., anche se il medesimo danno era imputabile al concorso di fatto del terzo per effetto di un diverso titolo di responsabilità, come nel caso di specie.

Pertanto, la chiamata in causa del Condominio, anche se non aveva causato direttamente i danni allo stabile, appariva tutt’altro che errata dovendo rispondere solo a titolo diverso per omessa custodia e per inerzia nell’esercizio delle azioni sia penali che civili contro i responsabili.

Osservava, poi, in ordine all’asserito errore sull’oggetto della richiesta alla CTU, volta ad accertare gli interventi necessari per la rimessione in pristino, e non le condotte illecite del Condominio, che la richiesta era motivata dal fatto che la responsabilità del Condominio era in concorso, e con l’indagine sullo stato dei luoghi e le cause del dissesto, si voleva individuare la porzione di responsabilità in capo al Condominio, chiedendo la quantificazione del danno e l’importo necessario al ripristino da addebitare specificamente al Condominio. Precisava in punto di diritto, che secondo la giurisprudenza di legittimità era onere dell’attore dare prova non solo del danno, ma anche del nesso di causalità tra questo e la non diligente opera del professionista, dimostrando con certezza che una diversa attività professionale avrebbe avuto effetti più favorevoli per il cliente, tenendo sempre presente che trattandosi di prestazione di mezzi, l’inadempimento non può essere desunto dal mancato risultato di un esito positivo, ma solo dalla prova della negligenza nell’esecuzione dell’attività professionale. Nel caso di specie, non è corretto ritenere che l’evocazione in giudizio dell’impresa esecutrice in luogo del Condominio, avrebbe portato all’esito positivo del ricorso, in quanto con il progressivo deterioramento dello stabile protrattosi per lungo tempo, si era determinato uno spostamento di responsabilità verso il condominio, contribuendo con la propria condotta omissiva a cagionare un danno originariamente prodotto da altri.

Ne derivava che la scelta di evocare in giudizio il Condominio era assolutamente corretta, ricordando che l’impresa RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, era ormai estinta.

Concludeva, chiedendo di disporre la chiamata in causa la società di assicurazioni al fine di manlevarla da quanto la convenuta fosse obbligata a corrispondere in caso di condanna al risarcimento del danno.

*** Dopo la dichiarazione di interruzione del giudizio del 27/01/2021, in seguito alla morte della sig.ra la sig.ra figlia dell’originaria attrice, depositava istanza di riassunzione della causa, cui seguiva la fissazione dell’udienza per la riassunzione al 23/12/2021, nella quale il G.I. autorizzava la chiamata in causa di Si costituiva, quindi, in giudizio la società di assicurazioni, eccependo preliminarmente l’inoperatività della polizza, rilevando che la compagnia era tenuta a tenere indenne l’assicurato solo contro i danni, originati da ogni richiesta fatta da terzi e notificate all’assicuratore durante il periodo di vigenza della polizza, derivanti dalla commissione di un atto illecito dell’assicurato.

Infatti, la polizza in oggetto conteneva la c.d. clausola “claims made” – a richiesta fatta -, che obbligava la società assicurativa a coprire soltanto le richieste di manleva ritualmente notificate, con esclusione di quelle non comunicate da ritenere come non inoltrate.

L’inoperatività della polizza era, quindi, palese in quanto per contratto erano esclusi dalla copertura tutti gli importi percepiti dal cliente a titolo di emolumenti e compensi, non rientranti nella fattispecie di R.C. professionale colposa e di conseguente risarcimento del danno.

La garanzia, in sostanza, non contemplava la condanna alla restituzione dei compensi percepiti, ma solo il risarcimento dei danni involontariamente cagionati a terzi, dei quali l’assicurato è tenuto a rispondere come civilmente responsabile, evidenziando la differenza tra il concetto di restituzione e quello di risarcimento.

Diversamente si arriverebbe al paradosso che il professionista sarebbe in ogni caso remunerato, anche in caso di negligenza, obbligando la compagnia assicurativa a sostituirsi al cliente nel corrispondere il compenso.

Pertanto, la terza chiamata non potrà in nessun caso essere condannata a manlevare la convenuta della restituzione dell’importo di € 8.000,00 percepito a titolo di compenso.

Per quanto attiene alle residue somme di € 1.725,00, per spese legali e € 200,00 per la tassa di registro, la compagnia ricordava che la polizza prevedeva una franchigia di € 2.000,00 per sinistro, a carico dell’assicurato, per cui anche questi importi non era configurabile alcuna condanna, rimanendo nella quasi totalità assorbiti dalla franchigia stessa.

A ciò si aggiungeva che, se accertato l’assunto di parte attrice circa lo spirare del termine per impugnare l’ordinanza di rigetto, per colpa dell’avvocato, la polizza ex art. 1900 c.c. non operava in presenza di condotte dolose o per i sinistri cagionati con colpa grave, ricordando, altresì, che ex art. 1914 c.c. l’assicurato è tenuto a fare il possibile per diminuire in danno.

Osservava, ancora, che la polizza onerava l’assicurato, ai fini della manleva, di dare tempestiva comunicazione alla compagnia delle richieste di risarcimento a lui presentate o di qualsiasi circostanza che possa far presumere una richiesta di risarcimento.

Per contro l’Avv. COGNOME nonostante le richieste di risarcimento della sig.ra non ha mai denunciato il sinistro, e la pratica era stata aperta solo in seguito alla segnalazione del legale della stessa.

La professionista, pertanto, risultava essere decaduta dal diritto all’indennizzo, in quanto, secondo orientamento consolidato della Suprema Corte, ai fini dell’integrazione del dolo di cui all’art. 1915 c.c., non era necessario con l’omessa comunicazione, dimostrare la volontà di cagionare un danno all’assicurazione, ma solo la consapevolezza dell’obbligo e la volontà di non volerlo osservare.

Fermo quanto sopra dedotto, contestava in subordine la fondatezza delle domande attoree, eccependo preliminarmente l’assenza di prova in ordine alla qualità di erede della sig.ra essendo suo preciso obbligo, oltre a riassumere il processo quello di fornire idonea documentazione che attesti tale qualità, laddove in difetto si deve negare la sua legittima successione del diritto dedotto in giudizio, come statuito da numerose decisioni della Corte di Cassazione.

Sosteneva, nel merito, che diversamente da quanto affermato da parte attrice, era quest’ultima a dover dimostrare l’inadempimento, nei termini del danno e del nesso di causalità con la condotta negligente dell’avvocato.

Nelle obbligazioni di mezzi, infatti, il debitore non ha l’obbligo di dimostrare che il risultato o l’utilità sono mancate per cause allo stesso non imputabili, in quanto la regola di cui all’art. 1218 c.c. si applica solo alle obbligazioni di risultato.

Aggiungeva che la CTU del giudizio di ATP del 2007, aveva accertato che le lesioni presenti nell’appartamento della sig.ra erano solo “in buona parte” collegate ai lavori occorsi al piano primo, aprendo in tal modo ad altre cause concorrenti, rilevando anche erroneamente, la stessa CTU, che le fessure non erano un fenomeno in evoluzione.

Quando, poi, l’assemblea condominiale prendeva atto della gravità della situazione e del suo progressivo aggravamento, rimanendo del tutto inerte invece di attivarsi, alla sig.ra non rimaneva altro da fare che proporre un giudizio ATP nei confronti del custode ex art. 2051 c.c.

Riteneva, ancora, che non vi era alcun errore nella formulazione del quesito da sottoporre al CTU, che innanzi all’inerzia del Condominio, era finalizzato alla individuazione alla causa del dissesto e delle responsabilità del resistente. Evidenziava, tra l’altro, che avverso i provvedimenti di rigetto dei ricorsi proposti ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c., non era ammesso il reclamo, poiché essendo diretto alla composizione della lite, era privo di profili di urgenza, che giustificavano la proposizione dell’impugnazione.

In tal modo veniva meno la doglianza circa l’omessa impugnazione, la mancata comunicazione alla cliente e lo spirare dei termini per il reclamo.

Per il resto proponeva le medesime argomentazioni di parte convenuta.

Precisava, infine, che le spese di lite sostenute dall’Avv. COGNOME nel presente procedimento, sebbene rientranti nella garanzia, tuttavia non potevano essere manlevate dall’assicuratore, in quanto la scelta dei legali, come da polizza, doveva essere preventivamente concordata con la compagnia, pena la perdita del diritto al rimborso di dette spese.

*** Successivamente alla costituzione della terza chiamata, all’udienza del 08/04/2022 venivano concessi i termini di cui all’art 183, comma 6, c.p.c., e scambiate le memorie e repliche, con successivo provvedimento il giudice ammetteva parzialmente le prove per testi richieste dalle parti.

Assunte le prove testimoniali nell’udienza del 09/03/2023, all’esito la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza cartolare del 04/10/2023, e successivamente, con ordinanza del 11/10/2023 veniva trattenuta in decisione, concessi i termini per conclusionali e repliche.

Nelle more, in attesa del deposito delle memorie, tuttavia, a causa della necessaria riorganizzazione del ruolo, la causa veniva rimessa sul ruolo, fissando nuova udienza di precisazione delle conclusioni al 09/04/2024, in modalità cartolare, e con successiva ordinanza del 23/04/2024, la causa veniva nuovamente trattenuta in decisione, concessi nuovi termini per conclusionali e repliche.

*** La domanda di parte attrice, per i motivi che saranno di seguito illustrati, merita accoglimento.

Preliminarmente, si deve affrontare l’eccezione, rinnovata in sede di conclusionali, relativa alla mancata allegazione di prova dell’attrice in riassunzione sig.ra in ordine alla sua qualità di erede della sig.ra Occorre ribadire che sul punto si era già espressa la precedente GOT assegnataria pro tempore del fascicolo, la quale con ordinanza del 22/09/2022 rilevava che “…la riassunzione del giudizio da parte di costituisce accettazione dell’eredità e quindi ne discende la sua qualità di erede.

Sotto il profilo processuale ciò comporta una inversione dell’onere della prova, per cui è la parte che mette in discussione la qualità di erede che deve provare la sua asserzione…”, ne derivava che non avendo prodotto la terza chiamata nessuna prova che confutava tale qualità, la sig.ra doveva ritenersi quale unica erede legittimata al giudizio.

Il Tribunale ritiene tale argomentazione, unitamente ad altri elementi, corretta considerando che il compimento di un atto di gestione del patrimonio del de cuius appare incompatibile con la volontà di non accettare l’eredità.

La riassunzione del giudizio con l’espressa enunciazione della qualità di erede, risulta certamente un atto idoneo a valere come accettazione dell’eredità, in quanto un atto del genere senza aver assunto tale qualità non poteva essere compiuto, neanche dal semplice chiamato all’eredità.

Al riguardo la doglianza relativa al fatto che in tal modo non si aveva possibilità di conoscere se vi erano altri eredi, non appare dirimente atteso che tale prova “…deve essere data non da chi si presenta come unico erede ma da chi sostiene la presenza di altri eredi (al fine di estendere ad essi il contraddittorio) …” (Cass. n.14081/2005; Cass. n. 6649/2003).

A tali aspetti si aggiungono dei dati di fatto rilevanti.

La questione in ordine alla qualità di erede è stata sollevata per la prima volta dalla terza chiamata nella comparsa di costituzione ma prima di allora il rapporto di filiazione tra la sig.ra e la sig.ra non era mai stato messo in discussione dandolo per fatto acquisito, come risulta dall’atto di costituzione del legale di parte attrice Avv. COGNOME che lo dà per scontato.

A ciò si aggiunga che in sede di escussione testimoniale, il teste ing. nel rispondere al capitolo n. 4, ha indirettamente ammesso tale rapporto di filiazione, senza che le controparti sollevassero alcuna eccezione.

Inoltre, le stesse non hanno mai fornito il pur minimo indizio circa la mancanza di tale qualità o sulla presenza di altri eredi, a differenza della sig.ra che almeno ha prodotto il certificato di morte.

Pertanto, alla luce degli ulteriori elementi come evidenziati, deve ritenersi acquisita la qualità di erede, con la contestuale legittimazione della sig.ra a stare in giudizio.

L’eccezione preliminare, pertanto, va disattesa.

Venendo al merito della controversia, ai fini di una declaratoria di responsabilità e conseguente condanna di un professionista, occorre accertare dapprima se effettivamente una negligenza sussista, se si è verificato un danno per il cliente e se la condotta e il danno siano legati dal nesso di causalità, inteso – quale giudizio di prognosi postuma a carattere ipotetico, ossia ponendosi mentalmente quale osservatore ex ante del fatto per come poi verificatosi in concreto – nel senso che se il professionista sub specie Avvocato avesse tenuto la condotta diligente, il cliente avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni in giudizio. Per quanto riguarda il primo elemento, la condotta del professionista deve essere valutata con riferimento alla diligenza professionale qualificata ex art. 1176 comma 2, c.p.c., da commisurare a quella svolta da un professionista di preparazione e attenzione medie.
In particolare, per l’Avvocato tale dovere è disciplinato anche dal codice deontologico, che all’art. 12 stabilisce che “L’avvocato deve svolgere la propria attività con coscienza e diligenza, assicurando la qualità della prestazione professionale”.

Sul punto è intervenuta più volte anche la Suprema Corte che ha precisato il concetto di prestazione di media diligenza, avvertendo “…che, per questa Corte, il professionista “medio” di cui all’articolo 1176 c.c., comma 2, (vale a dire la figura ideale che costituisce il parametro di valutazione della condotta che si assume colposa) non corrisponde ad un professionista “mediocre”, ma ad un professionista “bravo”, ovvero sufficientemente preparato, zelante e solerte” (Cass. 13777/2018; ma vedi anche Cass. n. 24213/2015;
Cass. 10289/2015; Cass. n. 10431/2000)

Nel caso di specie all’Avv. COGNOME viene contestato di aver promosso un procedimento ex art. 696 bis c.p.c., citando in giudizio un soggetto privo di legittimazione passiva, che inevitabilmente ha portato alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

In particolare, veniva evocato in giudizio il in cui anni prima erano stati effettuati lavori di ristrutturazione, in luogo dell’impresa che all’epoca dei fatti, era proprietaria e committente della ristrutturazione al piano primo dello stabile, che ha cagionato i danni all’appartamento della sig.ra La doglianza è fondata.

Invero, con il ricorso per ATP n. 13589/2018, nelle premesse si affermava con precisione che i lavori del 2005/06 dell’unità abitativa posta al primo piano, avevano “…destabilizzato l’intera struttura muraria dell’edificio causando danni e crepe profonde non solo sulle parti condominiali ma anche negli appartamenti dei singoli condomini.

”, e che i dissesti “…si sono presentati come conseguenza diretta dell’intervento di ristrutturazione eseguito al piano primo di proprietà con DIA del 2005.
”, procedendo con l’elencazione dei danni subiti dall’appartamento dell’attrice e alle parti comuni e alla staticità in generale del fabbricato, che risultava compromessa e in evoluzione.

Si riteneva, poi, che era essenziale “…conoscere le cause del dissesto, le responsabilità connesse al medesimo, le opere da svolgere per ripristinare…lo stato dell’immobile…per garantire la sicurezza dei residenti…dei costi in dipendenza delle responsabilità di coloro che hanno determinato lo stato di dissesto dell’immobile ed il suo aggravamento.
”, chiedendo, quindi, nomina di un CTU per accertare, previa valutazione delle condizioni strutturali dello stabile, le cause del dissesto e i costi di ripristino.

Con l’ordinanza del 23/01/2019 il giudice dichiarava inammissibile il ricorso per sviamento dalle sue funzioni, dirette essenzialmente ad accertare crediti per inadempimento o per atti illeciti mentre il ricorso sembrava richiesto per accertare danni alle cose comuni al fine della messa in sicurezza della struttura e non per accertare eventuali illeciti del Condominio oggetti di futuro giudizio di cognizione, anche considerando che il preteso autore dei danni, non era stato citato in giudizio.

A ciò si deve aggiungere, che già con la CTU del primo giudizio di ATP del 2007, a firma dell’ing. si era accertato che “le lesioni manifestatesi sulle murature dell’appartamento della ricorrente, siano in buona parte da ricondursi ai lavori di ristrutturazione effettuati al primo piano dalla Ditta RAGIONE_SOCIALE”.

Le doglianze di parte attrice sulla errata vocatio in ius da parte dell’Avv. COGNOME sono, pertanto, condivisibili, considerando il contenuto del ricorso e che lo stesso era stato scritto sulla base delle considerazioni contenute nella CTP dell’ing. che in modo inequivoco, richiamando anche la precedente CTU, attribuiva la responsabilità di tutti i danni all’intervento di ristrutturazione iniziato a dicembre del 2005.

Era, quindi, naturale e conseguenziale citare in giudizio l’Impresa RAGIONE_SOCIALE che all’epoca dei fatti era la proprietaria e committente dei lavori all’unità abitativa del primo piano, al fine di ottenere una ulteriore prova da utilizzare in un successivo giudizio di merito.

Sebbene nel corso di causa la convenuta ha avuto modo di spiegare, che lo scopo della ATP era proprio quello di portare in giudizio il Condominio, per vedere accertare nei suoi confronti la responsabilità per l’aggravamento dei danni strutturali dovuti alla sua inerzia, però allegando la perizia dell’ing. non citando l’impresa edile, la ricorrente si esponeva inevitabilmente ad un più che probabile provvedimento di inammissibilità, come del resto poi è avvenuto.

Si poteva anche citare in giudizio il condominio, per accertare la violazione del suo obbligo di custodia delle parti comuni ex art. 2051 c.c., ma solo unitamente alla società che dalle perizie risultava la responsabile originaria dei dissesti, rendendo il giudizio di ATP conforme alla sua funzione di precostituire una prova per agevolare un accordo o da spendere nel giudizio di merito, per valutare preventivamente la sussistenza di un concorso di colpa e finanche la ripartizione per quote della responsabilità tra proprietario ed ente di gestione. Pertanto, il risarcimento dei danni, anche se l’unità immobiliare sia stata ceduta, andava richiesto primariamente nei confronti di colui che all’epoca in cui il danno è stato cagionato, risultava essere il proprietario (ex pluribus, Cass. Civ. n. 15744/2009).

Il fatto che la società risultava estinta non può costituire una giustificazione, considerato che, come rilevato da parte attrice, si trattava di società in accomandita semplice in cui il socio accomandatario risponde ex art. 2313 c.c. illimitatamente e personalmente delle obbligazioni sociali (Cass. civ. n. 5428/2019; Cass. civ. n. 29915/2018; Cass. civ. n. 13805/2016), per cui si poteva citare in giudizio la sig.ra COGNOME che dalla visura della società (doc. 5 convenuta) risultava essere il socio accomandatario.

Non sussistevano neanche limitazioni dovute alla prescrizione quinquennale per responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., in quanto come precisato recentemente dalla Suprema Corte, in caso di danni da lavori in condominio la prescrizione, se viene richiesto il risarcimento in forma specifica con il ripristino dei luoghi e la rimozione dell’opera dannosa, come nel caso di specie, inizia a decorrere non già dal completamento dell’opera, ma dalla cessazione del danno.

Pertanto, la prescrizione non inizia mai a decorrere finché l’opera sussiste, poiché “…la condotta illecita si identifica nel fatto del mantenimento dello stato di fatto che si protrae ininterrottamente nel tempo” (Cass. n. 25835/2023).

In sostanza, ci troviamo innanzi ad un illecito con effetti permanenti che si rinnovano giornalmente, fintanto che l’opera permane, e il termine di prescrizione si rinnova anch’esso continuamente e non decorre.

Questo consente di agire contro il responsabile anche a distanza di anni, fino a quando il danno sussiste.

La difesa circa il fatto che la citazione del Condominio sia stata richiesta espressamente dalla sig.ra come sostiene a propria discolpa la convenuta, non può essere ritenuta esauriente, poiché è preciso obbligo del professionista avere un necessario distacco e una autonomia di giudizio, nel valutare la proficua esperibilità di uno strumento processuale.

Nel caso de quo, da una normale valutazione delle perizie e della vicenda complessiva, era evidente che la sola citazione del Condominio avrebbe esposto l’attrice ad un elevata possibilità di declaratoria di inammissibilità, e tale evenienza era già desumibile prima della proposizione del ricorso, per cui era obbligo della professionista ottemperare al dovere di informazione verso il cliente, che si esplica in relazione “…anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione dello stesso ed essendo tenuto, tra l’altro, a sconsigliare il cliente dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole. ” (Cass. 10289/2015; Cass. 30 luglio 14597/2004).

Ne deriva che la sollecitazione da parte del cliente, in relazione alle modalità a lui pregiudizievoli di proposizione di mezzi difensivi, non esonera il difensore dalla responsabilità per negligenza professionale “…essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale (Cass. n. 20869/2004).

Ne consegue che, in ossequio al dovere di media diligenza, era obbligo della convenuta sconsigliare la vocatio in ius del Condominio, o solo di quest’ultimo, al fine di tutelare le ragioni del cliente.

Si osservi, infine, che il vaglio circa la sussistenza delle condizioni dell’azione, tra le quali rientra la legittimazione attiva e passiva alla causa, rappresenta il primo elemento di analisi e valutazione imposto al professionista.

Tuttavia, affinché le contestate condotte dell’Avv. COGNOME siano considerate fonte di responsabilità professionale, non è sufficiente rilevare la negligenza ma è necessario indagare se tali condotte abbiano o meno generato un pregiudizio nei confronti di parte attrice.

La risposta è positiva.

Se consideriamo la CTU depositata dall’ing. nel giudizio di ATP del 2007, e la CTP dell’ing. del 2017, entrambe hanno individuato nella ristrutturazione del 2005/2006, la causa dei danni alla proprietà della sig.ra ne derivava che l’evocazione in giudizio dell’Impresa RAGIONE_SOCIALE o del socio accomandatario, difficilmente avrebbero portato ad un provvedimento di inammissibilità, e al contempo avrebbe consentito di accertare la responsabilità in capo alla convenuta, assumendo poi una posizione agevolata in un futuro accordo o in un giudizio, ottenendo con molta probabilità, la rimozione dei danni al suo appartamento ed una più rapida risoluzione del dissesto strutturale. L’erronea citazione, invece, ha portato ad una declaratoria di inammissibilità, vanificando le ragioni della cliente, che il professionista deve tutelare anche a parere contrario dell’assistito, come sopra precisato.

Ciò ha portato ad un inutile esborso di compensi al proprio legale e al pagamento delle spese di lite di controparte, da considerare a tutti gli effetti come danni economici conseguenti ad una ingiusta soccombenza, di cui si chiede il ristoro in questa sede.

Tali danni non sono da considerare rinunciati, in quanto non menzionati nella prima memoria 183, comma 6, c.p.c. che ha modificato le conclusioni non indicandoli espressamente, come asserito dalla convenuta, atteso che parte attrice nelle note di udienza depositate prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ha ribadito che “la comparente si riporta a tutto quanto dedotto, eccepito, contestato, richiesto e concluso nei precedenti scritti difensivi e precisa le conclusioni, nel merito, come da atto di citazione nonché come ulteriormente precisato nella prima memoria ex art. 183 VI° comma c.p.c. e anche in via istruttoria; ”.

Ma accertare la condotta negligente del professionista e l’esistenza di un danno – come anticipato – non è ancora sufficiente ai fini della condanna, essendo necessario verificare, in base a criteri probabilistici, che senza quella omissione, il pregiudizio non si sarebbe prodotto.

Per orientamento giurisprudenziale consolidato, la responsabilità del professionista non deriva in modo automatico dalla perdita della causa, ma “…occorre dimostrare, tramite un giudizio probabilistico, che la sostituzione della condotta colposa con quella esigibile avrebbe portato all’esito auspicato dal cliente…” (Cass. 10526/2015).

La corte di Cassazione ha avuto anche modo di precisare la misura di tale giudizio che “…implica una valutazione prognostica positiva – non necessariamente la certezza – circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata correttamente e diligentemente svolta. ” (Cass. n. 17414/2019).

Ebbene, è proprio in forza dei richiamati principi di diritto, che l’odierno giudicante ritiene che, senza la negligenza del professionista, la sig.ra secondo il sopra citato criterio probabilistico, avrebbe ottenuto un accertamento ad essa favorevole se si fosse evocato in giudizio il soggetto corretto, favorendo una condanna del danneggiante al risarcimento dei danni subiti dall’attrice.

In un giudizio instaurato correttamente, l’elevata probabilità di un riscontro favorevole alle ragioni della ricorrente, è data proprio dalla produzione dell’ordinanza del giudice COGNOME che rileva “…è evidente che il Condominio come soggetto giuridico non può essere responsabile verso se stesso riguardo alla tenuta dei beni condominiali;
d’altronde nel ricorso e nella relazione tecnica allegata dalla ricorrente la causa del lamentato dissesto viene individuata in interventi di ristrutturazione di unità immobiliari situate nel fabbricato ed eseguite da soggetto che non è parte del presente procedimento…”.

Pertanto, alla stregua di tali argomentazioni, il ricorso della sig.ra sarebbe stato sicuramente non dichiarato inammissibile, senza che la ricorrente andasse ad incorrere nei successivi oneri economici derivanti dalla soccombenza e che costituiscono il petitum della presente causa, sì che è di assoluta evidenza la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta negligente dall’Avv. COGNOME ed il pregiudizio derivato a parte attrice dalla declaratoria di inammissibilità della sua domanda cautelare di istruzione preventiva. In ordine alla condanna al pagamento dei danni non patrimoniali sofferti da parte attrice, la relativa domanda non può essere accolta, difettando al riguardo le prove in ordine alle affermate sofferenze patite dalla ricorrente.

Infine, in relazione alla domanda sollevata dalla terza chiamata RAGIONE_SOCIALE, volta ad escludere dalla garanzia assicurativa quanto pagato dalla sig.ra all’Avv. COGNOME si ritiene che sia degna di accoglimento.

Sostiene la compagnia assicurativa che la polizza di cui è titolare la convenuta – da contratto – può coprire solo i danni cagionati dalla professionista a soggetti terzi mentre la condanna al rimborso di quanto percepito a titolo di compenso, non sarebbe un ristoro a terzi ma all’assicurato medesimo e come tale non oggetto di garanzia.

In effetti, l’obbligo assicurativo attiene al risarcimento del danno ossia ad una prestazione la cui fonte deriva da un atto illecito commesso dall’assicurato.

L’obbligo alla restituzione dei compensi ha natura diversa, trova la sua origine non in un atto illecito ma in un contratto d’incarico professionale che non è stato adempiuto dal professionista, e ciò lo obbliga alla ripetizione d’indebito ossia di quanto percepito senza causa, in assenza di idonea controprestazione professionale rispetto al compenso ricevuto.

Data la diversa natura delle prestazioni ed essendo coperte dalla polizza solo quelle attinenti a fatti illeciti, per quanto concerne la restituzione degli onorari l’odierna convenuta non potrà essere manlevata dalla compagnia assicurativa, per cui la somma di € 8.000,00, comprensivi di accessori, dovrà essere restituita dall’Avv. COGNOME

Per le restanti somme di € 1.725,00 a titolo di spese di lite in favore del Condominio, e per € 200,00 per spese di registrazione sentenza, pagata sempre dalla sig. anche per queste somme la convenuta non potrà essere manlevata dalla quanto la somma complessiva di € 1.925,00, sebbene a rigore indennizzabile, risulta compresa nella franchigia di € 2.000,00 di quanto la compagnia sia tenuta a pagare a titolo di risarcimento del danno.

Pertanto, per i motivi sopra esposti, la domanda di parte attrice merita accoglimento.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, a sensi del DM n. 147/2022, assunto quale scaglione di riferimento nei suoi valori minimi quello compreso tra € 5.201,00 ed € 26.000,00 (valore domanda € 9.925,00).

Le spese di lite sostenute dalla vista la soccombenza della convenuta chiamante in causa, devono essere poste a carico dell’Avv. COGNOME

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda o eccezione disattesa e/o assorbita, in accoglimento della domanda proposta dalla sig.ra nei confronti di NOME COGNOME:
CONDANNA NOME COGNOME al pagamento nei confronti di della somma di € 8.000,00 comprensivi di accessori, a titolo di ripetizione d’indebito, di € 1.925,00 a titolo di risarcimento del danno per spese legali sostenute per il giudizio cautelare, per un totale di € 9.925,00, oltre interessi legali e rivalutazioni dal giorno del dovuto fino al dì dell’avvenuto soddisfo;
CONDANNA NOME COGNOME alla rifusione, in favore di delle spese processuali che liquida in € 237,00 per esborsi, ed € 2.540,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, Iva e Cap come per legge;
CONDANNA NOME COGNOME alla rifusione, in favore di delle spese processuali che liquida in € 2.540,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, Iva e Cap come per legge;
Firenze, 1 agosto 2024
Il Giudice dott. NOME COGNOME Il Giudice dispone che in caso di riproduzione del presente provvedimento vengano omesse le generalità e i dati identificativi dei soggetti interessati.

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