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Codice Penale

Responsabilità Solidale del Cessionario

La sentenza affronta il tema della responsabilità solidale del cessionario per i debiti del cedente in caso di cessione di azienda. La Corte, pur riconoscendo il principio generale secondo cui il cessionario risponde solo per i debiti risultanti dalle scritture contabili, fa prevalere il principio della responsabilità solidale in presenza di elementi che evidenziano una identità sostanziale tra cedente e cessionario, al fine di evitare comportamenti elusivi volti a sottrarre garanzie ai creditori.

Pubblicato il 20 July 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA, prima sezione civile, composta dai seguenti Magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME Giudice Ausiliario rel.
ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._906_2024_- N._R.G._00000103_2022 DEL_09_06_2024 PUBBLICATA_IL_10_06_2024

Nel procedimento civile in grado di appello iscritto al n. 103/2022 R.G.A.C., posto in decisione con ordinanza del 5.03.2024 e riservato a sentenza con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., a seguito di deposito telematico di note scritte dei procuratori delle parti contenenti le sole istanze e conclusioni, in esecuzione del provvedimento Presidenziale emesso ex art. 127 ter c.p.c., nella formulazione introdotta dall’art. 35 d.lgs. n. 149/2022, tra (c.f. ), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede in Senigallia (AN) alla , elettivamente domiciliata in Fabriano (AN) alla , presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, giusta procura a margine dell’atto di appello appellante società a responsabilità limitata con socio unico (c.f. )
, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede in Conegliano (TV) alla e, per essa, la (c.f. ), con sede a Milano, , rappresentata da (c.f. , in persona del suo procuratore speciale, NOME COGNOME che la rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in primo grado appellata

Oggetto: cessione di ramo d’azienda, responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2560, co. 2, c.c., opposizione a decreto ingiuntivo, appello avverso la sentenza n. 1547/2021 emessa in data 25/26.11.2021 dal Tribunale di Ancona

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso riportandosi ai rispettivi scritti difensivi, chiedendo l’accoglimento delle conclusioni ivi rassegnate e reiterate nelle note telematiche per la trattazione scritta

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1547/2021 emessa in data 25/26.11.2021 il Tribunale di Ancona, definitivamente pronunciando nel giudizio di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo sulla domanda proposta da nei confronti di al fine di sentir revocare il pagamento della somma di €.650.147,32 oltre interessi e spese, ingiunto a suo carico quale responsabile solidale, in virtù di cessione di rami d’azienda stipulato in data 28.04.2016 con del debito residuo di mutuo fondiario stipulato il 18.10.2007 dalla suddetta cedente e garantito dai terzi datori d’ipoteca ritenuta l’ammissibilità dell’opposizione tardiva per la nullità della notifica del decreto ingiuntivo oggetto di opposizione, riscontrato il relativo debito dai libri contabili della cedente (bilancio di esercizio chiuso al 31.12.2014), rigettata l’eccezione secondo cui il mutuo sarebbe inerente alla gestione del ramo d’azienda rimasto in capo alla stessa cedente, ha rigettato l’opposizione e, per l’effetto, confermato il decreto ingiuntivo opposto dichiarandone l’esecutività, con condanna dell’opponente al pagamento delle spese di lite.

Avverso la citata sentenza ha proposto appello (in breve, ), chiedendone la riforma per omessa disamina di elementi decisivi della controversia, non avendo il primo giudice valorizzato la corretta ed accertata circostanza che nessuna prova diretta, risultante dai contratti di mutuo e di cessione di rami di azienda, abbia consentito di ricollegare il debito alla società cessionaria, né avendo dedotto in capo a quest’ultima l’inesistenza del debito relativo al contratto di mutuo, per carenza probatoria della riferibilità, compiendo un’erronea ricostruzione dei fatti nell’omettere di considerare la prova per tabulas che dopo la cessione di rami di azienda, sia rimasta titolare di Parte , evidenziato che il decreto ingiuntivo opposto è un “duplicato” e l’appellata ha già recuperato buona parte del proprio credito dai cedenti/debitori originari. Si è regolarmente costituita in giudizio società a responsabilità limitata con socio unico -cessionaria ex art. 58 TUB di (già e, per essa, che, a sua volta, ha conferito procura a contestando in modo specifico l’avverso gravame eccependone preliminarmente l’inammissibilità, ai sensi degli artt. 342 e 348 bis c.p.c., essendo l’appello, privo di specificità, stato affidato a due determinati motivi e invece successivamente sviluppato in una serie di ragionamenti che esulano dal perimetro delle preannunciate motivazioni, con riproposizione di fatto delle difese svolte in primo grado, senza la sanzione degli specifici capi della sentenza impugnata; l’appellata, previa puntualizzazione di aver ricavato, dalla espropriazione immobiliare attivata nei confronti degli altri coobbligati, la parziale somma di €.354.000 a fronte di un credito complessivo di €.650.147,32, ha chiesto, nel merito, il rigetto del gravame in quanto infondato, poiché il debito originato dal mutuo risulta dal bilancio al 31.12.2014 della società venditrice, come richiesto dal comma 2 dell’art. 2560 c.c., né risponde al vero l’asserzione dell’appellante, rimasta indimostrata, circa la titolarità in capo alla società cedente di altro ramo d’azienda costituito dalla gestione dell’immobile gravato dal mutuo ipotecario con la banca odierna appellata, sussistendo invero altri elementi di segno opposto da cui desumere l’infondatezza della tesi appellante, quali: la messa in liquidazione di in data 25.10.2016 appena sei mesi dopo la prima cessione;

l’alienazione di tutti gli immobili, del cui diritto di proprietà superficiaria era titolare, alla società appellante mediante atti di cessione di ramo d’azienda avvenuti consecutivamente in data 28.04.2016 e in data 1.07.2016, con cessione di fatto dell’intera azienda alla società appellante;

il coinvolgimento dei garanti del mutuo, in entrambe le società , di cui l’una è la prosecuzione dell’altra, oltre che in un’altra società estranea alla presente controversia, la RAGIONE_SOCIALE
sfornita di prova è rimasta, infine, la circostanza che il debito derivante dalle rate impagate di mutuo non è stato concesso alla società cedente per la “riorganizzazione funzionale interna necessaria alla locazione dell’immobile” sito in Senigallia alla , ma per la realizzazione degli “interventi a favore delle attività turistico-alberghiere della riviera romagnola e marchigiana” di cui alla Circolare n.

Parte relative a n. due stabilimenti balneari attigui tra loro e facenti parte del ramo d’azienda acquistato dalla società appellante con il primo atto di cessione. A seguito di ordinanza del 5.03.2024, precisate le conclusioni con note di trattazione scritta come in epigrafe, la Corte ha trattenuto la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello proposto è infondato e non merita accoglimento.

Devono preliminarmente esaminarsi le eccezioni di inammissibilità in rito del gravame proposto.

Entrambe sono infondate.

L’eccezione di indeterminatezza dell’appello ex art. 342 c.p.c. non implica un giudizio avente ad oggetto la fondatezza del gravame proposto, attenendo unicamente alla redazione delle argomentazioni a sostegno della domanda di riforma della sentenza di primo grado ed imponendo che il gravame non sia meramente devolutivo, ma si esplichi in una richiesta di revisione della decisione in chiave critica delle argomentazioni del giudice a quo.

La sollevata eccezione dev’essere disattesa anche alla luce dei principi affermati da Cass. SS.UU. n. 27199/2017 tenuto conto del fatto che l’appellante ha sufficientemente indicato e chiarito i capi della sentenza che intende impugnare e i relativi motivi, idoneamente e comprensibilmente sviluppando la parte volitiva e quella argomentativa.

La nuova formulazione dell’art. 342 c.p.c. non pare, infatti, comportare una significativa novità dei principi già in precedenza stabiliti in materia di specificità dei motivi d’appello, né la osservanza di particolari tecniche redazionali, dovendosi sempre tenere presente l’obiettivo della previsione che è quello di porre sia il giudice, sia la parte appellata in grado di compiutamente conoscere le critiche svolte rispetto alla sentenza, per quest’ultima al fine di poter esplicare il suo esercizio di difesa in merito. Che tali requisiti siano nella specie soddisfatti si evince dalla piena estrinsecazione del contraddittorio, essendo risultato che i motivi di appello sono stati inequivocabilmente e pienamente intesi dall’appellata.

L’eccezione ex art. 348 bis c.p.c. proposta da parte appellata è stata implicitamente rigettata dalla Corte nel corso del giudizio e la stessa, oltre che risultare assorbita dalla pronuncia della presente sentenza è, allo stato, irrilevante per essere la causa stata trattenuta in decisione.

Parte appellante segnala, inoltre, come la banca sia nella titolarità di due decreti ingiuntivi ottenuti, per il medesimo titolo e per il medesimo importo, nei confronti della società di essi, ha ricavato dalla vendita coattiva del compendio immobiliare pignorato la somma di €354.000, con la conseguenza che la riduzione del debito imporrebbe la revoca del d.i.
oggetto della presente opposizione.

Reputa la Corte che, trattandosi di due distinte ingiunzioni di pagamento emesse a carico di soggetti giuridici altrettanto distinti i quali, dal punto di vista processuale, non possono ritenersi obbligati in solido nei confronti della banca, in mancanza di riunione dei procedimenti di opposizione, il parziale pagamento dell’uno non può avere effetti sulla revoca dell’altro decreto, quale in particolare quello oggetto del presente giudizio, ferma restando la possibilità di richiedere alla banca creditrice la compensazione delle somme già da essa incamerate con la procedura coattiva. Può, quindi, passarsi all’esame delle doglianze oggetto di gravame e, considerata la manifesta omogeneità tematica dei motivi d’appello, il loro scrutinio può essere effettuato in modo congiunto.

La difesa appellante censura la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto il debito riferibile all’azienda ceduta, poiché esso sarebbe rimasto interamente in capo alla società cedente per essere stato contratto nell’interesse del ramo d’azienda rimasto in gestione alla suddetta società, criticando in particolare il ragionamento del giudicante che ha reputato l’unica attività della cedente proprio quella relativa ai due rami di azienda ceduti alla società appellante, in mancanza di prova contraria non ricavabile né dal contratto di mutuo, né da entrambi i negozi di cessione e ritenendo -in modo contraddittorio- irrilevante la sussistenza dell’ulteriore requisito della riferibilità del debito al ramo d’azienda ceduto. Ed infatti, dalla enunciata circostanza che “nessuna prova diretta risultante dai contratti di mutuo e di cessione di rami d’azienda consente di ricollegare – secondo il principio dell’inerenza – il debito risultante dai bilanci – interamente o pro-quota – alla società cessionaria” (cfr. pag. 12 sent.
), il giudicante avrebbe dovuto dedurre l’inesistenza del debito a carico dell’appellante dichiarando che il debito relativo al contratto di mutuo non poteva essere attribuito alla cessionaria, in mancanza della prova della riferibilità.

La censura è infondata.

Dirimente ai fini della risoluzione della controversia deve ritenersi il disposto del secondo comma dell’art. 2560 c.c., peraltro già tenuto in debita considerazione dal giudice di prime cure ai fini dell’accertamento dell’inerenza del debito in questione, sia pure con diversa e non condivisibile motivazione, come si vedrà infra.
responsabilità del cessionario, nel rispetto del tenore letterale e della chiara finalità della disposizione in esame rivolta a realizzare un difficile equilibrio tra due interessi contrapposti:
da un lato, la tutela del creditore, il quale potrà soddisfarsi anche sul patrimonio del cessionario, dall’altro, il legittimo affidamento del cessionario ad avere l’esatta cognizione dei debiti assunti, peraltro quale corollario dell’interesse generale a garantire la facile circolazione delle aziende;
a nulla rilevando che il debito sia diversamente ed effettivamente a lui noto (cfr. Cass. civ., 21 dicembre 2012, n. 23828; Cass. civ., Sez. III, 10 novembre 2010, n. 22831; Cass. civ., Sez. II, 26 settembre 2019, n. 24101) o che risulti da scritture diverse dalle scritture contabili obbligatorie.

A tale rigida interpretazione hanno, tuttavia, fatto seguito una diversa impostazione fatta propria dalla giurisprudenza di merito e le recenti oscillazioni della stessa giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla considerazione che se la responsabilità del cessionario si può fondare su una presunzione di conoscenza rappresentata dall’iscrizione contabile, ancor più dovrebbe rilevare la prova della conoscenza effettiva del debito da parte del cessionario;
è stato, inoltre, osservato che l’interpretazione tradizionale si presta anche ad un ricorso abusivo della tutela ex art. 2560, co.
2, c.c., nel caso specifico in cui l’alienante trasferisca l’azienda ad un soggetto a lui collegato, omettendo ad esempio intenzionalmente l’iscrizione del debito nelle scritture contabili obbligatorie, al fine di sottrarre il proprio patrimonio alla garanzia patrimoniale del creditore (cfr. Tribunale Reggio Emilia, Sez. II, Sent. , 7 luglio 2015, n.964), oppure qualora il cessionario si sia rifiutato di esibire le scritture contabili, il giudice ha tratto la prova dell’iscrizione del debito (cfr. Trib. Parma, 23 agosto 2016).

Il rigore del richiamato disposto normativo, ben noto al Collegio e a tenore del quale l’acquirente dell’azienda non risponde dei debiti contratti dall’alienante, se non risultano dalle scritture contabili obbligatorie, non avrebbe tuttavia ragione di essere applicato “nel caso limite dell’identità soggettiva – sostanziale, se non formale – tra alienante e acquirente, la quale è significativa di una conoscenza diretta dei rapporti giuridici in fieri, estranea alla ratio protettiva del successore a titolo particolare nell’azienda, sottesa all’art. 2560 c.c., come nel caso di un conferimento dell’azienda di un’impresa individuale in una società unipersonale” (Tribunale di Torino, sentenza 21 Giugno 2022), non essendo appunto più necessario tutelare il legittimo affidamento del cessionario ad avere l’esatta cognizione dei debiti assunti, per esserne egli perfettamente al corrente.
Successivamente anche le Sezioni Unite hanno ammesso che non sia possibile accordare la puntuale conferma in una successiva pronuncia, in cui la Suprema Corte ha espresso il seguente principio:

“in tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà fra cedente e cessionario, fissato dall’art. 2560 c.c., comma 2, con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, principio condizionato al fatto che essi risultino dai libri contabili obbligatori, deve essere applicato tenendo conto della “finalità di protezione” della disposizione, finalità che consente all’interprete di far prevalere il principio generale della responsabilità solidale del cessionario ove venga riscontrato, da una parte, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi da quelli per i quali essa è stata introdotta, e, dall’altra, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di fornire una tutela effettiva al creditore che deve essere salvaguardato” Cass., Sez. III, Ordin. 10 dicembre 2019, n. 32134).

Ebbene, il richiamato ed autorevole principio si adatta proprio alla fattispecie specifica sottoposta al vaglio di questa Corte territoriale, in cui dall’esame della documentazione versata in atti, in particolare dalle varie visure camerali, emerge una evidente identità di compagine societaria in cui tutti i soggetti giuridici coinvolti nell’operazione di cessione e non e tutte le altre facenti parte del gruppo) risultano tra loro intimamente collegati, essendo le richiamate società composte e gestite sempre dalle stesse persone di , come già rilevato dal giudice di prima istanza con logica e convincente motivazione: “gli atti di trasferimento dei beni possono ritenersi finalizzati esclusivamente alla circolazione degli stessi tra soggetti giuridici apparentemente distinti, ma in realtà sempre con la medesima compagine societaria, al solo fin di sottrarli all’aggressione dei creditori” (cfr. sent. pag. 12).

Risulta, pertanto, evidente la sussistenza di una cessione d’azienda le cui modalità agevolano una condotta elusiva diretta ad abusare della tutela ex art. 2560, co. 2 c.c. a discapito dei creditori:

“è singolare la contiguità temporale tra la comunicazione della banca alla società debitrice dell’andamento anomalo del rapporto con conseguente risoluzione del finanziamento (7 aprile 2016, pervenuta ai due coobbligati il 5 ed il 6 maggio 2016), la frettolosa costituzione della società odierna opponente (il 19 aprile 2016) e la stipula del contratto di cessione di rami di azienda tra (28 aprile 2016) … è evidente che i due coobbligati, di cui uno socio unico ed amministratore di ed entrambi soci di la responsabilità del cessionario in modo disancorato dall’iscrizione dei debiti nelle scritture contabili (risultanti, comunque, dal bilancio d’esercizio di chiuso al 31.12.2014), sia pure con motivazione diversa da quella adottata nella sentenza impugnata, che ha inteso ricollegare il debito relativo al contratto di mutuo interamente alla riferibilità all’azienda intesa nel suo complesso, muovendo dall’assunto poco convincente che qualche mese dopo la conclusione dei due atti di cessione la società cedente era stata posta in liquidazione.

In ragione di quanto ora osservato, diviene del tutto irrilevante la circostanza che non risulterebbe supportata da alcun elemento probatorio la destinazione del finanziamento alla “riorganizzazione funzionale interna necessaria alla locazione”, come affermato dalla cessionaria nell’atto di citazione in primo grado, del solo immobile di , la cui gestione rientrerebbe nell’altro ramo d’azienda rimasto in capo a oiché non ceduto, così come il richiamo alla pronuncia della Suprema Corte, secondo cui “Il finanziamento erogato in favore di un mutuatario per consentirgli l’acquisto di un’azienda, contestualmente alla stipulazione del contratto di mutuo, non ricade nell’ambito applicativo degli artt. 2558 e 2560 c.c., i quali, riferendosi rispettivamente ai contratti e ai debiti dell’azienda, parimenti ineriscono l’esercizio dinamico dell’impresa, non l’attività finalizzata alla sua organizzazione statica” (così Cass., Sez. 1, 24 ottobre 2022, n. 31313), riguardante la diversa vicenda in cui il contratto di mutuo, essendo strumentale all’acquisizione dell’azienda, non potrebbe essere inerente al suo esercizio.

Nel caso che ci occupa, di converso, il contratto di mutuo, che peraltro non contiene alcuna specifica destinazione della eroganda somma, neppure per l’acquisto dei due contigui stabilimenti balneari, risale al 18.10.2007 e le cessioni di azienda sono state stipulate parecchi anni dopo, in data 28.04.2016, con la conseguenza che il finanziamento è stato concesso anteriormente alla cessione e qualsiasi suo utilizzo (che, comunque, non emerge dal contenuto del rogito) non potrebbe assolutamente ritenersi un atto di esercizio dell’azienda.

Alla luce delle suesposte considerazioni, sussistono tutti i presupposti per il rigetto dell’appello e della integrale conferma della sentenza impugnata.

In virtù dell’evoluzione delle oscillazioni giurisprudenziali rispetto alle questioni dirimenti della materia controversa, anche in pendenza del giudizio di primo grado, sussistono i presupposti ex art. 92, co. 2, c.p.c. per compensare integralmente tra le parti le spese di lite del grado. 2012, n. 228 (applicabile ratione temporis, essendo stato l’appello proposto dopo il 30 gennaio 2013) per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico della parte appellante (cfr. Cass. civile, sez. II, 5.02.2018, n. 2753).

La Corte, ogni diversa domanda, istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 1547/2021 emessa in data 25/26.11.2021 dal Tribunale di Ancona, così provvede:
Rigetta l’appello proposto;
Conferma per l’effetto l’impugnato provvedimento;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, D.P.R. 115/02, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13;
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado.
Così deciso in Ancona, nella camera di consiglio tenutasi da remoto in data 5.06.2024.
Il Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Il Giudice Ausiliario Est.
dott.ssa NOME COGNOME

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