REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA, prima sezione civile, composta dai seguenti Magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME Giudice Ausiliario rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZAN. 864_2024_- N._R.G._00000005_2021 DEL_03_06_2024 PUBBLICATA_IL_03_06_2024
Nel procedimento civile in grado di appello iscritto al n. 5/2021 R.G.A.C., posto in decisione con ordinanza del 5.03.2024 e riservato a sentenza con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., a seguito di deposito telematico di note scritte dei procuratori delle parti contenenti le sole istanze e conclusioni, in esecuzione del provvedimento Presidenziale emesso ex art. 127 ter c.p.c., nella formulazione introdotta dall’art. 35 d.lgs. n. 149/2022, tra (c.f.), nato a residente in Civitanova Marche alla , elettivamente domiciliato in Ancona, , presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura a margine dell’atto di appello appellante (c.f. ), nata a residente in Civitanova Marche (MC), elettivamente domiciliata in Fermo, , presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta di secondo grado appellata C.F. C.F. Le parti hanno concluso riportandosi ai rispettivi scritti difensivi, chiedendo l’accoglimento delle conclusioni ivi rassegnate e reiterate nelle note telematiche per la trattazione scritta
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 964/2020 emessa in data 2.11.2020 il Tribunale di Macerata, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da nei confronti di per la restituzione della somma di €.37.267,89 oltre interessi legali dal dovuto al saldo, previo accertamento della sussistenza del contratto di mutuo intervenuto tra le parti per il complessivo importo di €.41.874,36
e previa compensazione con il credito di €.4.606,42 -vantato dalla convenuta in forza del provvedimento della Corte di Appello di Ancona reso in data 21.07.2016 a definizione del procedimento ex art. 316 c.c.- nel presupposto di aver provveduto durante la convivenza more uxorio dal 2007 al 2014 al pagamento per suo conto di alcuni importi a vario titolo e quindi soggetti a restituzione, ritenuto dal giudicante che la dazione sarebbe avvenuta a titolo di adempimento di un’obbligazione naturale ed irripetibile e non per l’esistenza di un rapporto obbligatorio di debito-credito non provato in istruttoria, ad eccezione delle somme rispettivamente di €.1.260 versate a e di €.768,60 versate all’agenzia per le quali vi è formale dichiarazione della convenuta in data 28.11.2013 di obbligazione alla restituzione, ha accertato che la complessiva somma data in mutuo da pari ad €.2.028,60 e l’ha compensata con quella di €.4.606,42, compensando integralmente tra le parti le spese di lite. Avverso la citata sentenza ha proposto appello chiedendone la riforma per avere il giudice di prime cure ritenuto non provato il contratto di mutuo, avvenuto in forma orale per il rapporto confidenziale tra le parti, nonostante l’ordinamento non preveda alcuna forma scritta né ad substantiam e né ad probationem, inoltre l’appellata non ha neppure contestato che le somme siano state pagate dall’appellante per far fronte, in gran parte, a sue personali esposizioni debitorie (trattasi delle spese di un arbitrato e spese legali varie) legate alla sua attività professionale e, quindi, assolutamente estranee alle esigenze della famiglia, neppure potendo la somma di oltre €.40.000 ritenersi donazione “di modico valore”, anche in considerazione delle condizioni economiche e reddituali di entrambe le parti;
la sentenza ha erroneamente collocato le dazioni di denaro chieste in restituzione nell’alveo delle obbligazioni naturali, senza addurre alcuna motivazione e senza considerare che, nell’ambito restituzione solo i versamenti che l’uno eroga all’altro per far fronte alle esigenze di vita quotidiane, che però non ricorrono nel caso di specie.
Si è regolarmente costituita in giudizio , contestando in modo specifico l’avverso gravame chiedendone il rigetto in quanto infondato, avendo la sentenza interpretato in modo esatto la fattispecie controversa, da cui emerge come la dazione della somma, ad eccezione dell’importo di €.2.028,60, non sia avvenuta a titolo di prestito, in mancanza di prova dell’obbligo di restituzione di cui è onerato parte mutuante (che, peraltro, ha rinunciato al teste ed è stato dichiarato decaduto dall’escussione del teste ), ma debba ricomprendersi tra le obbligazioni naturali non ripetibili, da parametrare sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto e senza travalicare i limiti di proporzionalità e adeguatezza, risultando provato come le dazioni effettuate dall’appellante fossero coerenti e parametrate alle sue possibilità, considerata la sua situazione patrimoniale di assoluto benessere; i motivi d’impugnazione integrano gli estremi della temerarietà della pretesa dell’appellante, essendo all’evidenza connotati da mala fede e colpa grave.
A seguito di ordinanza del 5.03.2024, precisate le conclusioni con note di trattazione scritta come in epigrafe, la Corte ha trattenuto la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello proposto è infondato e non merita accoglimento.
Con il primo motivo di gravame, che per stretta connessione è opportuno trattare con il secondo che riguarda l’interpretazione della natura dell’obbligazione controversa, la difesa di parte appellante si duole dell’erroneità della decisione di primo grado per avere il giudicante rigettato la domanda attorea di restituzione della somma di €.37.267,89, ad eccezione della non contestata somma di €.2.028,60 disposta in compensazione con quella già accertata di €.4.606,42, ritenendo la carenza probatoria che la “dazione fosse stata fatta a titolo di mutuo nel periodo in cui le parti convivevano e quindi può legittimamente ritenersi che le stesse siano obbligazioni naturali e come tali non ripetibili” (cfr. pag. 6 sent.), non tenendo in considerazione che l’appellante ha elargito delle ingenti somme per pagare i debiti della convivente assolutamente estranei alle esigenze della vita familiare e che sono esenti dall’obbligo di restituzione solo i versamenti che l’uno eroga all’altro per far fronte alle necessità quotidiane, quali obbligazioni naturali, indipendentemente dalle modalità di versamento, come dall’insegnamento della Suprema Corte.
questa Corte territoriale di aderire, in materia di mutuo, al consolidato orientamento giurisprudenziale -adottato con motivazione convincente e condivisibile anche dal giudice di prime cure- a tenore del quale la pretesa restitutoria del mutuante non possa fondarsi sulla mera allegazione e prova dell’avvenuta consegna di assegni bancari o somme di denaro, costituendo onere dell’attore provare il fatto costitutivo della richiesta azionata in giudizio, senza che l’eventuale contestazione del convenuto possa tramutarsi in eccezione in senso sostanziale, in modo da invertire l’onere della prova “giacché negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia o la modificazione o l’estinzione, ma significa negare il titolo posto a base della domanda, ancorché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata” (v. Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 29 novembre 2018, n. 30944). In diverse occasioni la Suprema Corte ha avuto modo di ribadire come la dazione di una somma di denaro non può, di per sé, fondare la richiesta di restituzione ove l’accipiens contesti il titolo posto a fondamento della pretesa, disconoscendone la legittimità (in senso conforme, Cass. Civ., Sez. III, 22 aprile 2010, n. 9541):
tale contestazione impone a parte attrice/mutuante di provare in modo pieno il fatto costitutivo della propria pretesa, ovvero il titolo giuridico che giustifica il diritto alla restituzione della somma in precedenza consegnata, non essendo sufficiente la mera allegazione dell’avvenuta consegna della somma di denaro di cui si richiede la restituzione, né la mera tracciabilità dell’operazione – quando, ad esempio, avviene tramite assegno o bonifico – seppur è prova dell’entità della somma versata, non dimostra che la consegna della somma sia avvenuta in forza di un prestito e non di una donazione. Su tali presupposti la Cassazione, nel ribadire il menzionato ed espresso principio, ha altresì debitamente aggiunto “…ferma restando la necessità che il rigetto della domanda di restituzione sia argomentato con cautela, tenendo conto della natura del rapporto e delle circostanze del caso, idonee a giustificare che una parte trattenga senza causa il denaro indiscutibilmente ricevuto dall’altra” (Cass. civ. Sez. III, 28 luglio 2014, n. 17050) Le attribuzioni patrimoniali tra ex conviventi effettuate nel corso del rapporto -il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto- configurano, quindi, l’adempimento di un’obbligazione naturale, a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza, altrimenti costituiscono ingiustificato arricchimento e sono ripetibili (v. Cassazione civile, sentenza n. dei conviventi a vantaggio dell’altro esulino dal mero adempimento delle obbligazioni normalmente connesse ed originate dal rapporto di convivenza, in quanto eccedenti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. Pertanto, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’attore deve provare non solo la consegna del denaro, ma anche il titolo da cui deriva l’obbligazione restitutoria, vale a dire la sussistenza del contratto di mutuo, al fine di ottenere la restituzione di quanto versato;
parimenti, il convenuto che affermi l’esistenza di un diverso titolo è tenuto ad allegarlo, vigendo nel nostro ordinamento il principio secondo cui uno spostamento di ricchezza non può avvenire senza una causa giustificativa, pertanto la mancata prova da parte dell’attore della sussistenza di un contratto di mutuo, a giustificazione del diritto alla restituzione di somme che concretamente dimostri di avere versato, non elimina il problema di accertare se sia consentito all’accipiens di trattenere le somme ricevute, senza essere tenuto quanto meno ad allegare la causa che ne giustifichi l’acquisizione, quindi se il giudice decide di rigettare la richiesta di ripetizione delle somme, deve utilizzare “un criterio di particolare cautela” (cfr. Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza 19 maggio – 8 ottobre 2021, n. 27372, nonché la recentissima Cass. civ., ordinanza n. 11664 depositata il 4 maggio 2023). Il richiamato arresto della pronuncia n. 17050 del 2014 è stato ribadito da altre successive e condivise, secondo cui “se è pur vero che chi agisce per l’adempimento di un obbligo di restituzione di somme che assume di avere pagato è tenuto a fornire la prova del titolo su cui fonda la sua pretesa, è anche innegabile che chi riceve il denaro altrui non è in linea di principio autorizzato a trattenerlo senza causa, e che la mancata prova da parte dell’attore della sussistenza di un contratto di mutuo, a giustificazione del diritto alla restituzione di somme che concretamente dimostri di avere versato, non elimina il problema di accertare se sia consentito all’accipiens di trattenere le somme ricevute, senza essere tenuto quanto meno ad allegare la causa che ne giustifichi l’acquisizione” (Cass. n. 27372 del 2021). Proprio sulla base di tali principi, il Supremo Consesso ha ritenuto che può essere condannato per indebito arricchimento a restituire i soldi chi riceve dal convivente denaro e regali superiori alle obbligazioni nascenti dal rapporto e travalicanti i limiti di proporzionalità e adeguatezza, contrariamente, tuttavia, al caso in scrutinio:
“un’attribuzione patrimoniale in favore del convivente more uxorio configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali di chi paga.
È, pertanto, adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (così Cass. civ., sent. n. 4659/2019, nell’ipotesi del riconoscimento del diritto alla corresponsione di un indennizzo per chi ha contribuito economicamente alla costruzione di un immobile intestato alla ex convivente; conforme Cass. civ., sentenza n. 17050 del 2014;
Cass. n. 11330 del 15.05.2009, Rv. 608287 – 01; Cass. n. 3713 del 13.03.2003 Rv. 561116 – 01);
solo quando l’entità della cifra supera la normale solidarietà, come ad esempio nel caso dell’importo per comprare un’auto o ristrutturare una casa, allora il denaro andrà restituito, presumendo che questo sia stato dato in prestito, obbligando l’ex coniuge a dimostrare che si è trattato invece di una donazione (Cass. ord. n. 11664/2023 del 4.05.2023).
Tornando all’esame del caso di specie, risulta in modo inequivoco dall’analisi del materiale probatorio, già correttamente valutato dal primo giudice, l’assenza dei presupposti del preteso mutuo, qualora si consideri l’entità dei conferimenti oggettivamente adeguati e del tutto proporzionati alla situazione reddituale dell’appellante, con conseguente e logica deduzione che egli non li ha eseguiti a titolo di prestito, ma per spirito di liberalità, al fine di venire incontro alla temporanea mancanza di liquidità della compagna di far fronte alle obbligazioni assunte da quest’ultima nei confronti dei terzi. Ed infatti, il suo tenore di vita risultante dagli accertamenti finanziari condotti nel corso del giudizio ex art. 316 c.c. – svoltosi tra i suddetti conviventi per disciplinare le modalità di affidamento e di mantenimento dei loro figli minori- va rapportato alle molte “cariche” ricoperte dal in varie società e alla rilevante movimentazione finanziaria ad esse relativa:
egli era amministratore e socio unico della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e svolgeva la propria attività attraverso più palestre, denominate RAGIONE_SOCIALE, era Presidente della RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE, emergendo dagli estratti conto postali lo stretto legame tra le due società ed un notevole giro di affari, consistente nei trasferimenti di denaro tra esse consistenti nei canoni di locazione immobiliare ed affitto delle attrezzature sportive e che, per il solo periodo dal gennaio 2011 al mese di ottobre 2013, essi ammontano a circa €.340.000 , oltre agli ulteriori introiti che Sofia 2009 ha percepito sia da a titolo di canoni di (sub)locazione della palestra sita a Civitanova Marche, sia da titolo di canoni di locazione dal 18.10.2013 al 16.1.2014 della palestra sita in Roma, , per un totale generale di €.380.000 riscosso da tutte le Associazioni sportive /economica l’importo di €.130.000
ricevuto dal padre a titolo di donazione, oltre che dalla sorella e dalla madre , tanto da risultare in data 1.07.2011 la sottoscrizione di un investimento in titoli presso la Banca Etruria per €.60.278,91.
E’, altresì, risultato dalle evidenze documentali -e non contestato- che parte appellata ha contribuito, durante la convivenza more uxorio, in modo vicendevole e proporzionalmente alle proprie risorse, ai vari bisogni familiari (tra cui il pagamento delle spese alimentari, del vestiario dei figli, delle utenze delle abitazioni e dei canoni di locazione degli immobili in cui la famiglia ha convissuto dal 2007 al 2009 in Fermo, in forza di contratto di locazione;
dal 2009 al 2013 a Roma, Frascati e ) e anche a quelli dell’appellante, che nel 2010 ha acquistato un immobile a Roma per lo svolgimento, con alcune delle società a lui facenti capo, attività di palestra, facendo da garante di due mutui concessi dall’Istituto per il Credito Sportivo alla società sportiva RAGIONE_SOCIALE di cui egli era socio e amministratore unico per rilevanti importi (mutuo di €.764.000,00 stipulato il 14.5.2010 e mutuo di €.120.000,00 stipulato il 18.10.2010) e consentendo anche l’iscrizione di ipoteca volontaria per €.240.000, a garanzia delle obbligazioni contratte dalla società predetta, su un immobile sito in Fermo ed in comproprietà con la sorella e la madre : ipoteca cancellata nel maggio 2016 a seguito di accordo transattivo dell’importo di €.50.000
tra le comproprietarie e la banca mutuataria, stante l’inadempimento della Sofia 2009 nel pagamento delle rate di mutuo.
Dalle argomentazioni che precedono, fondate sul principio di proporzionalità del dovere di contribuzione alle condizioni sociali e patrimoniali dei conviventi, secondo cui le somme che essi si scambiano entro una certa soglia di “ragionevolezza” rientrano nell’ambito della cosiddetta solidarietà familiare, reputa il Collegio che si verta in materia di obbligazione naturale e che i pagamenti controversi, proprio in quanto eseguiti in ottemperanza ai doveri morali nascenti dal rapporto di convivenza, non possono essere pretesi in restituzione.
Rebus sic stantibus, non avendo parte appellante dimostrato che la prestazione economica controversa sia stata sproporzionata ed inadeguata alle proprie capacità economiche patrimoniali e reddituali, al contrario essendo risultato che proprio in ragione della sua proporzionalità essa possa rientrare nell’ambito delle obbligazioni naturali della convivenza more uxorio, la Corte rigetta l’appello e conferma integralmente la sentenza impugnata.
particolarità della controversia, originata da relazioni familiari ed affettive in cui i rapporti economici tra le parti non sempre sono adeguatamente dimostrabili, giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite del grado.
In considerazione dell’integrale rigetto dell’appello, ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater DPR n. 115/2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (applicabile ratione temporis, essendo stato l’appello proposto dopo il 30 gennaio 2013) per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico della parte appellante (cfr. Cass. civile, sez. II, 5.02.2018, n. 2753).
La Corte, ogni diversa domanda, istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 964/2020 emessa in data 2.11.2020 dal Tribunale di Macerata, così provvede:
Rigetta l’appello proposto;
Conferma per l’effetto l’impugnato provvedimento;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, D.P.R. 115/02, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13;
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado.
Così deciso in Ancona, nella camera di consiglio tenutasi da remoto in data 28.05.2024.
Il Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Il Giudice Ausiliario Est.
dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.