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Revoca concessione di vendita e risarcimento danni

La sentenza definisce la legittimità della revoca di una concessione di vendita in presenza di giusta causa, analizzando la condotta delle parti e la validità del recesso. Approfondisce inoltre i temi della concorrenza sleale e del risarcimento danni da lucro cessante.

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Pubblicato il 16 febbraio 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI ROMA V

SEZIONE CIVILE così composta da:

dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott.ssa NOME COGNOME Relatrice dott.ssa NOME COGNOME Consigliera ha emesso la seguente

SENTENZA N._632_2025_- N._R.G._00005096_2018 DEL_30_01_2025 PUBBLICATA_IL_30_01_2025

Nella causa civile di secondo grado iscritta al numero 5096/2018, posta in deliberazione all’udienza del 9 maggio 2024 e vertente TRA in concordato preventivo (già (Avv. NOME COGNOME) PARTE APPELLANTE (Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME) PARTE APPELLATA

OGGETTO: Appello avverso la sentenza n. 554/18 emessa dal Tribunale di Roma

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

Con sentenza n. 554/18 il Tribunale di Roma ha respinto le domande proposte nel procedimento n. 44186/2014 r.g. dalla (già , che aveva agito nei confronti della per sentir accertare l’invalidità, l’illiceità, l’abusività e l’inefficacia del recesso intimato dalla convenuta con nota del 3 aprile 2013 in relazione ai tre contratti di concessione stipulati in data 4 marzo 2008 e per ottenere la dichiarazione di vigenza dei rapporti oltre il preannunciato termine di preavviso di 24 mesi, nonché la condanna al risarcimento dei danni patiti per i.000.000, con interessi e rivalutazione; ha ritenuto assorbita la domanda proposta dalla nel procedimento n. 5226/14 r.g. (riunito a quello n. 44186/2014 r.g.) per ottenere la dichiarazione di invalidità, illiceità, abusività e inefficacia della clausola contrattuale di cui all’art. 20.1 dei citati contratti e, comunque, della risoluzione intimata dalla convenuta che con la comunicazione del 25 giugno 2014 si era avvalsa della clausola risolutiva espressa;

ha respinto la domanda di condanna al risarcimento dei danni subiti nella misura di almeno € 959.890,31 euro, oltre interessi e rivalutazione, e quella di accertamento dell’insussistenza della pretesa restitutoria avanzata dalla con la missiva del 2 luglio 2014;

ha respinto la domanda riconvenzionale svolta dalla convenuta nel procedimento riunito al fine di ottenere la condanna dell’attrice al pagamento della somma di € 43.529,00 a titolo di incentivazioni indebitamente percepite;

ha disposto la compensazione delle spese di lite nella misura di ¼ e ha condannato l’attrice alla rifusione dei restanti ¾. Avverso la citata pronuncia, la in concordato preventivo (già ha proposto appello e ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

“In via preliminare:

sospendersi, ai sensi dell’art. 283 c.p.c., l’efficacia esecutiva della sentenza n. 554/2018 emessa dal Tribunale di Roma, pubblicata in data 10 gennaio 2018, mai notificata, ovvero comunque l’esecuzione forzata che in forza di quest’ultima dovesse nel frattempo essere intrapresa da – in via principale:

accogliersi il presente appello e, per l’effetto, in riforma e/o annullamento della sentenza n. 554/2018 emessa dal Tribunale di Roma, pubblicata data 10 gennaio 2018, mai notificata, accertata e dichiarata la qualità di litisconsorte necessario pretermesso del Liquidatore Giudiziario nominato in relazione al concordato preventivo omologato di n. 49/2015 del Tribunale di Vicenza, nonché la conseguente violazione dell’art. 102 c.p.c., disporsi la regressione dell’intero contenzioso al primo grado dinanzi al Tribunale di Roma, ai sensi del combinato disposto degli artt. 353 e 354 c.p.c., affinché questo si pronunci e R.G. 44186/2014 e R.G. 52226/2014 così come ritrascritte nei punti successivi; – in via subordinata, nel merito:

accogliersi il presente appello e, per l’effetto, in riforma e/o annullamento della sentenza n. 554/2018 emessa dal Tribunale di Roma, pubblicata in data 10 gennaio 2018, mai notificata, così pronunciarsi:

1) relativamente alla causa rubricata in primo grado con R.G. 44186/2014:

– nel merito:

accertarsi e dichiararsi l’invalidità, l’illiceità, l’abusività e l’inefficacia del recesso intimato con nota di data 3 aprile 2013 da (già in relazione ai tre contratti di data 4 marzo 2008 conclusi inter partes e, per l’effetto, accertarsi e dichiararsi altresì vincolanti i contratti medesimi anche oltre il termine di preavviso di 24 mesi preannunciato dalla stessa – ancora nel merito:

accertarsi e dichiararsi la responsabilità, contrattuale e/o extracontrattuale, di nei confronti di (già in relazione ai fatti e ai comportamenti meglio descritti negli atti di causa, da considerarsi illeciti, sleali, abusivi, vessatori e comunque ingiusti;

conseguentemente, condannarsi la stessa a risarcire a (già i danni tutti subiti e subendi per le causali dedotte, nonché a restituire le somme tutte indebitamente sottratte con le modalità descritte in causa, per un ammontare complessivo quantificato in almeno 50.000.000 euro, salva la diversa misura, maggiore o minore, che risulterà provata in giudizio, da aumentare in ogni caso di interessi ai sensi del d.lgs. 231/2002, anche in via anatocistica, e di rivalutazione monetaria;

2) relativamente alla causa rubricata in primo grado con R.G. 52226/2014:- nel merito:

accertarsi e dichiararsi l’invalidità, l’illiceità, l’abusività e l’inefficacia della clausola contrattuale di cui all’art. 20.1 dei tre contratti di data 4 marzo 2008 conclusi inter partes, nonché comunque della risoluzione disposta con nota di data 25 giugno 2014 inviata da (già in relazione ai predetti contratti e, per l’effetto, accertarsi e dichiararsi restitutoria avanzata dalla stessa con missiva del 2 luglio 2014, per tutte le ragioni esposte;

– ancora nel merito:

accertarsi e dichiararsi la responsabilità, contrattuale e/o extracontrattuale, di nei confronti (già in relazione ai fatti e ai comportamenti meglio descritti in corso di causa, ulteriori rispetto a quelli di cui al procedimento R.G. 44186/2014 già pendente tra le stesse parti avanti il Tribunale di Roma e ormai riunito, da considerarsi comunque illeciti, sleali, abusivi, vessatori e ingiusti;

conseguentemente, condannarsi a risarcire a (già i danni tutti subiti e subendi per le causali dedotte, per un ammontare complessivo quantificato in almeno 959.890,31 euro, salva la diversa misura, maggiore o minore, che risulterà provata in corso di causa, oltre a interessi ai sensi del d.lgs. 231/2002, anche in via anatocistica, e a rivalutazione monetaria, dal dì del dovuto al saldo;

– ancora nel merito, in via subordinata:

nella denegata ipotesi in cui dovesse essere accertata, in tutto o in parte, la validità e l’efficacia della clausola contrattuale di cui all’art. 20.1 dei tre contratti di data 4 marzo 2008 conclusi inter partes o, comunque, della risoluzione disposta con nota di data 25 giugno 2014 inviata da (già in relazione ai predetti contratti, accertarsi, anche ai sensi dell’art. 1460 c.c., che (già nulla doveva e deve a con riferimento alla pretesa restitutoria avanzata dalla stessa con missiva del 2 luglio 2014, per tutte le ragioni esposte; Instaurato il contraddittorio, si è costituita la che ha rassegnato le conclusioni di seguito riportate:

“Voglia l’Ill.ma Corte di Appello di Roma, per i motivi tutti in fatto e in diritto esposti nel corso del giudizio, rigettare integralmente l’appello proposto da ed in particolare:

1. con riguardo alla causa n. 44186/2014 R.G.:

– dichiarare prescritte in via preliminare e nei limiti esposti nel Con in ogni caso, respingere tutte le domande svolte da nel presente giudizio, accertando e dichiarando la legittimità del recesso comunicato dalla per cui è causa, e per l’effetto, rigettare l’appello proposto da con riguardo alla causa n. 52226/2014 R.G.:

– rigettare tutte le domande svolte da COGNOME nei confronti della siccome infondate in fatto e in diritto e, comunque, non provate e per l’effetto rigettare l’appello di COGNOME;

in via riconvenzionale, anche in accoglimento dell’appello incidentale qui spiegato condannare a versare a l’importo di Euro 43.529,00 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto sino al soddisfo;

sempre in via riconvenzionale, anche ex articolo 346 c.p.c., accertare e dichiarare la legittimità della risoluzione di diritto dei tre contratti di concessione di causa giusta la comunicazione di risoluzione della in data 25 giugno 2014, ovvero, in via subordinata, accertare e dichiarare, con Sentenza costitutiva, che i contratti stessi si sono risolti per grave inadempimento di Per il resto confermare la Sentenza impugnata e, in ogni caso, rigettare l’appello proposto da Con vittoria di spese e compensi di lite del doppio grado del giudizio”.

Con provvedimento emesso in data 26 febbraio 2019 la Corte ha respinto l’istanza sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza proposta dalla parte appellante.

La causa è stata riservata in decisione, ex art. 127 ter c.p.c., alla scadenza del termine stabilito per le note sostitutive dell’udienza di trattazione scritta fissata per il 9 maggio 2024, con concessione dei termini alle parti di cui all’art. 190 c.p.c. Per quanto attiene alla ricostruzione della vicenda si rinvia per relationem all’impugnata sentenza e agli scritti difensivi delle parti.

Il presente giudizio ha ad oggetto le pretese avanzate dalla (già , attualmente in concordato preventivo, per sentir accertare la vigenza dei tre contratti di concessione di vendita di autovetture stipulati in data 4 marzo 2008 – facendo a tal fine valere (nel procedimento n. 44186/2014)  (nel procedimento n. 5226/14) l’invalidità della lettera di risoluzione inviata il 25 giugno 2014 – nonché per ottenere il risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale causato dalle condotte asseritamente illecite e sleali tenute dalla e per conseguire la restituzione delle somme trattenute abusivamente dalla concedente;

nel secondo procedimento la chiesto, in via riconvenzionale, la restituzione degli incentivi indebitamente ricevuti dalla concessionaria sulla base di richieste supportate da dati non veritieri.

Il Tribunale ha inquadrato le pretese risarcitorie avanzate dall’attrice nell’ambito della responsabilità extracontrattuale e ne ha dichiarato la parziale prescrizione;

per il periodo residuo ha respinto le domande, attesa la legittimità del recesso e l’insussistenza delle asserite condotte abusive imputate alla per l’effetto, ha ritenuto assorbita la domanda di accertamento dell’illegittimità della risoluzione azionata dalla concedente in virtù della clausola risolutiva espressa prevista dai contratti di concessione;

all’esito della consulenza tecnica grafologica d’ufficio, che ha accertato la falsità delle sottoscrizioni – apparentemente riconducibili al legale rappresentante della – apposte in calce alla richieste di incentivi, ha respinto la domanda riconvenzionale svolta dalla convenuta per ottenere la restituzione dei premi incassati.

L’appello proposto dalla in concordato preventivo (di seguito, in breve, B8) è fondato e può trovare accoglimento nei soli limiti che saranno di seguito esposti.

Il primo motivo, con il quale l’appellante lamenta la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore giudiziale, designato nell’ambito della procedura di ammissione al concordato preventivo, e chiede la rimessione del giudizio al primo grado ai sensi dell’art. 354 c.p.c., va disatteso alla luce del principio dettato dalla Corte di Cassazione, secondo cui “in caso di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, la legittimazione a disporne viene attribuita al mantiene, oltre che la proprietà dei beni, anche la legittimazione processuale; ne consegue che la legittimazione processuale del liquidatore è ancorata e circoscritta al perimetro delle prerogative liquidatorie e distributive che fanno capo allo stesso e, quindi, ai rapporti che nel corso ed in funzione della liquidazione vengono in essere.

Ove, pertanto, l’omologazione del concordato e la nomina del liquidatore siano intervenute dopo che l’imprenditore è stato convenuto in giudizio da un creditore con domanda di condanna, non è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore (Cass. 33422/19).

Del pari infondata si profila la seconda censura, relativa alla mancata ammissione delle istanze istruttorie formulate in primo grado e reiterate in sede di gravame.

Va innanzitutto premesso che si tratta di 152 capitoli di prova per testi (e in parte per interrogatorio formale) che vertono sullo sviluppo del rapporto contrattuale e che – come sarà di seguito esposto nel corso dell’esame delle singole censure avanzate dalla – risultano ininfluenti ai fini della decisione nella misura in cui:

a) si sostanziano nella ricostruzione minuziosa di una serie di episodi accaduti nel corso degli anni e che, nell’economia generale delle tematiche oggetto di causa, non assumono alcuna rilevanza;

b) hanno ad oggetto dichiarazioni rese da soggetti privi del potere di rendere dichiarazioni in nome e per conto della c) hanno carattere discorsivo, generico o del tutto valutativo;

d) tendono a provare circostanze che devono trovare riscontro in sede documentale.

Del pari, non possono trovare ingresso gli invocati ordini di esibizione che investono, in sostanza, l’intera attività svolta dall’appellata nel corso di un lungo arco temporale e che risultano, quindi, privi del necessario requisito della specificità prescritto dall’art. 210 c.p.c. Con il terzo e il quarto motivo la assume che la concedente ha tenuto Con Conrispetto a quella ufficiale – tale da arrecare nocumento all’attività svolta dalle concessionarie autorizzate a causa dei prezzi più vantaggiosi offerti ai terzi -, e sostiene che la ha intrapreso una politica di espansione commerciale, consentendo l’importazione di veicoli e pezzi di ricambio da altri Paesi dell’Unione Europea, senza esercitare i doverosi controlli; per l’effetto, ha censurato il rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno da lucro cessante nella misura di € 38.000.000,00, corrispondente ai minori introiti derivanti dalle mancate vendite, ai diminuiti utili conseguiti dalle vendite effettuate in regime di concorrenza sleale, all’aumento delle esposizioni passive e, infine, al nocumento all’immagine e al prestigio professionale.

I motivi non sono fondati.

Invero, con riferimento al primo addebito afferente alla rete parallela di vendita, la relativa dimostrazione risulta affidata alla prova per testi, peraltro genericamente articolata (“vero che, dal… in poi, ha venduto a….

veicoli a marchio RAGIONE_SOCIALE con sconti del…”), senza ulteriori specificazioni in merito al numero delle auto, nonché alle dichiarazioni giurate di due dipendenti della aventi ad oggetto il tenore delle conversazioni dagli stessi tenute con il legale rappresentante della in quanto tali del tutto insufficienti a suffragare l’assunto sostenuto dall’appellante.

Con riguardo alla seconda contestazione, relativa all’importazione delle auto da altri Paesi appartenenti allo Spazio Economico Europeo, l’appellata – oltre ad aver contestato la dedotta rilevanza della situazione e l’asserito impatto sul mercato italiano – ha condivisibilmente spiegato che qualsiasi misura diretta a contrastare il fenomeno lederebbe il principio della libertà degli scambi nel mercato interno, cosicché non sussiste alcuna violazione dell’obbligo di sorveglianza.

In ogni caso, le doglianze vanno disattese alla luce del rilievo che, ai fini della dimostrazione del danno subito, la parte appellante si è limitata a sottolineare di essere stata costretta ad effettuare consistenti ribassi dei prezzi e a subire un degli utili, con conseguenti maggiori esposizioni passive (finanziarie e bancarie), nonché di avere patito una lesione all’immagine e alla propria onorabilità.

Tuttavia, a fronte delle contestazioni mosse dalla parte appellata, la non ha fornito puntuali riscontri in merito alle perdite subite e soprattutto alla riconducibilità delle stesse alle condotte imputate alla al contrario, la circostanza addotta dalla stessa appellante – secondo cui nel Triveneto nel periodo in contestazione si sono verificati numerosi casi di fallimenti, concordati preventivi e cessioni di azienda di case automobilistiche – attesta e conferma il dato notorio che il settore in questione attraversa da tempo un periodo di crisi generalizzata, che prescinde dalle circostanze segnalate dalla parte appellante. Del resto, il profilo relativo al lucro cessante – causato dall’asserita concorrenza sleale esercita dall’appellata – forma oggetto della richiesta di ammissione della Consulenza tecnica d’ufficio, che appare sorretta dalla finalità meramente esplorativa di ricostruire le voci di danno enunciate alla stregua degli ipotetici guadagni che la avrebbe potuto conseguire, e che, in quanto tale, non può essere ammessa.

Il quinto e il sesto motivo, afferenti all’accertamento dell’illegittimità e dell’abusività del recesso esercitato dalla concedente con la missiva del 3 aprile 2003, vanno respinti.

Al riguardo, riveste carattere dirimente la circostanza che l’art. 19. 1 dei contratti oggetto di causa attribuisce ad entrambe le parti la “facoltà di recedere … in ogni momento, senza dover pagare…alcun corrispettivo e/o indennizzo o altra somma a qualsivoglia titolo, dandone comunicazione scritta all’altra Parte mediante lettera raccomandata A,R. da inviare con un preavviso di almeno 24 mesi”;

resta per l’effetto irrilevante l’accertamento della fondatezza delle ragioni poste dalla a fondamento della decisione di porre fine ai rapporti.

In ogni caso, l’odierna appellante non ha smentito di avere tenuto le condotte Con Con alcuni comportamenti virtuosi dei membri della rete;

in particolare, a fronte della contestazione di avere violato la previsione che escludeva il riconoscimento dell’incentivo in caso di vendita a soggetti che avessero rivenduto i veicoli entro sei mesi dalla data di immatricolazione o il cui oggetto sociale includesse l’attività di rivendita di autoveicoli, la B8 ha, piuttosto, rilevato di non avere compiuto “alcuna illecita trasgressione rispetto ai requisiti stabiliti per fruire di detti programmi di incentivazione:

ogni operazione condotta da è stata, infatti, pianificata, autorizzata e addirittura incoraggiata dai responsabili di , che ne erano perfettamente al corrente ed esprimevano di volta in volta il pieno consenso della società a tale riguardo” e di essersi “sempre limitata a seguire pedissequamente le istruzioni provenienti da ispettori e funzionari di , ancorché talvolta ….

derogatori dei programmi di incentivazione fissati per la rete di distribuzione”.

Le pretese risarcitorie conseguenti alla cessazione del rapporto sono state, quindi, correttamente respinte, in quanto la possibilità accordata ad entrambi i contraenti di recedere in qualsiasi momento – con il rispetto del termine di 24 mesi dalla data della comunicazione – consente di escludere che la decisione assunta dalla di porre fine ai contratti sia stata l’espressione di un “abuso di una posizione economica e contrattuale di predominio”.

Non può trovare accoglimento il settimo motivo con il quale la lamenta l’illiceità dei prelievi operati dalla nell’ambito del programma di “auto fatturazione” (c.d. “self billing”) in virtù del quale all’appellata era stata attribuita la possibilità di emettere fatture per conto della concessionaria, con la facoltà di riconoscere i rimborsi e di prelevare le somme da stornare.

L’appellante sostiene che fin dal 2010 la concedente aveva tentato di imporre l’adozione del sistema suindicato al fine di ottenere la gestione discrezionale dei conti e di porre le concessionarie in posizione di vulnerabilità;

assume anche di avere resistito per un certo periodo di tempo, ma di essere stata, poi, costretta ad aderire al Con rilievo rappresenta, tuttavia, una mera asserzione della non risultando dimostrato che l’appellante sia stata vittima di condotte ritorsive poste in essere dalla per imporre la partecipazione al sistema.

Correttamente il Tribunale non ha ammesso la prova per testi articolata sul punto dalla parte attrice;

l’eventuale espletamento non avrebbe condotto, infatti, alla dimostrazione dell’intervenuta imposizione del programma, atteso che i testi avrebbero potuto, al più, confermare la circostanza che ossia un funzionario del tutto privo di poteri di rappresentanza, aveva dichiarato che la Nissan aveva deciso di “ricattare” la concludendo il colloquio con la frase ”dai, fai questo self-billing così poi ti paghiamo”.

Di contro, è depositata in atti la “Delega e Autorizzazione a fatturare in nome e per conto” sottoscritta in data 16 aprile 2012 dal legale rappresentante della che ha aderito all’iniziativa avendo evidentemente ritenuto, nell’esercizio delle proprie valutazioni aziendali, che l’operazione presentasse profili di convenienza.

L’ottava censura, afferente al mancato accertamento delle ulteriori condotte abusive contestate alla ossia l’imposizione di obiettivi e di condizioni per ottenere riconoscimenti economici, va respinta.

La circostanza che la concedente abbia fissato i requisiti da raggiungere al fine di ottenere determinate remunerazioni non comporta affatto che la B8 fosse tenuta a conseguire le asserite “performances vertiginose”.

Si tratta, piuttosto, di meccanismi premiali, ai quali le singole aziende possono decidere di accedere alla stregua delle proprie scelte imprenditoriali e che, peraltro, la stessa B8 ha affermato di avere conseguito nella quasi totalità dei casi.

Quanto al dedotto pagamento di oneri indebitamente inseriti nelle fatture a titolo di “spese assistenza 24 ore”, “logistica trasporto” e “oneri logistici” per la somma complessiva di € 780.000,00, va rilevato che l’importo è privo di qualsiasi riscontro e che, comunque, i contratti prevedono all’art. 12.2.2 che “il Con Con il nono motivo (per evidente errore indicato nell’atto di appello come decimo) la B8 si duole della decisione assunta dal Tribunale, che non si è pronunciato sulla domanda di risoluzione dei contratti sul presupposto che la stessa fosse stata assorbita dall’accertamento della legittimità del recesso. La pronuncia del giudice di primo grado trova, in effetti, giustificazione in ragione della circostanza che la ha invocato l’illegittimità della clausola risolutiva espressa, della quale la si era avvalsa con la missiva del 25 giugno 2014, e ha chiesto l’accertamento della vigenza dei contratti al momento della decisione, laddove è evidente che alla data della pronuncia della sentenza i rapporti erano, comunque, venuti meno per effetto del decorso dei 24 mesi prescritti dalla clausola di recesso.

Cionondimeno, occorre considerare che l’odierna appellata ha fatto valere la clausola risolutiva espressa in data antecedente alla scadenza del periodo di preavviso (ossia, allorché i contratti erano ancora in corso) e che ha avanzato pretese risarcitorie in relazione al lasso di tempo che intercorre tra la risoluzione e il termine di 24 mesi previsto per il recesso, lamentando di avere subito una riduzione della durata dei rapporti, cosicché in relazione a detto profilo sussiste l’interesse della ad ottenere una pronuncia sul punto. Entrando nel merito della vicenda, come richiesto dall’appellante, la Corte ritiene che la si sia legittimamente avvalsa della clausola risolutiva espressa prevista dai contratti e che la domanda svolta dalla per sentir accertare l’illegittimità della lettera del 25 giugno 2014 debba essere rigettata.

Invero, con la citata missiva la concedente ha lamentato la violazione dell’art. 20.1 (lettera x) a norma del quale è vietata “la presentazione alla Società, da parte del Concessionario o di un suo rappresentante, di una richiesta o rappresentazione falsa o fraudolenta relativa ad un pagamento o ad un credito”.

L’addebito mosso consiste, in particolare, nella trasmissione di richieste di RAGIONE_SOCIALE) supportate da documentazione contenente informazioni in contrasto con le risultanze acquisite presso il Pubblico Registro Automobilistico, con riguardo a vari profili, quali il passaggio di proprietà, il nominativo del proprietario, il periodo del trasferimento o l’effettiva permuta.

L’assunto sostenuto dall’appellante, secondo cui tratterebbe comportamenti non connotati da particolare gravità e, comunque, già noti alla la quale in sostanza aveva fatto ricorso alle medesime argomentazioni per recedere anticipatamente dal contratto, non può essere condiviso, in quanto la previsione della clausola risolutiva espressa impone la sola verifica della coincidenza della condotta tenuta con quella tipizzata, senza che il giudice possa effettuare alcun vaglio in merito alla gravità.

Nel corso del giudizio di primo grado l’attrice ha sostenuto che l’invio della “documentazione che attestava – in modo non veritiero – l’avvenuta permuta di 57 veicoli”

era stato effettuato, in realtà, da tale , poi “allontanato dall’odierna deducente”, che intratteneva con la un rapporto di agenzia senza rappresentanza.

La circostanza che le sottoscrizioni apposte in calce alle richieste in questione non siano effettivamente riconducibili al legale rappresentante dell’originaria attrice (come pacificamente accertato all’esito della c.t.u. grafologica espletata in primo grado) non spiega rilievo ai fini della decisione.

Anche aderendo all’impostazione della parte appellante secondo cui le firme sarebbero riconducibili all’agente , soccorre il principio generale dettato dalla Corte di Cassazione secondo cui “la responsabilità indiretta della compagnia assicuratrice per il fatto illecito del sub-agente, fondata, ai sensi dell’art. 2049 c.c., sul nesso di occasionalità necessaria tra le incombenze di quest’ultimo e il danno subìto dal terzo, postula che le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il preposto abbia superato i limiti delle mansioni affidategli o abbia agito con costituito il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni. (Cass. 31675/23);

e ancora “ai fini della configurabilità della responsabilità del committente per il danno arrecato dal fatto illecito del commesso (ex art. 2049 c.c.), pur essendo sufficiente un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito e il rapporto tra detti soggetti, è necessario accertare che il commesso abbia perseguito finalità coerenti con quelle per le quali erano state affidate le mansioni e non finalità proprie, alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe” (Cass. 21385/24). Nel caso in esame, proprio alla luce delle modalità operative evidenziate dalla stessa appellante, la quale ha riconosciuto di avere dato corso a campagne derogatorie dei programmi di incentivazione, addirittura su sollecitazione della e in adesione alle istruzioni ricevute dai suoi stessi funzionari, la condotta attribuita all’agente non appare affatto estranea alle politiche attuate dalla pur essendo sconfinata sul piano dell’illecito, si è inserita con continuità nell’ambito delle finalità perseguite dalla concessionaria di appartenenza, la quale risponde indirettamente dell’operato dell’agente. Del tutto irrilevante

si profila la prova per testi tesa a dimostrare che il agiva in totale autonomia e provvedeva in via esclusiva a compilare e a collazionare i documenti relativi ai programmi di incentivazione istituzionale;

ancor meno assumono rilievo decisivo i capitoli finalizzati a provare che l’avvio della collaborazione commerciale con l’agente era stata caldeggiata proprio dalla tramite l’intermediazione di due funzionari.

L’ulteriore considerazione, secondo cui l’art. 20.1 prevede la risoluzione di diritto dei contratti per l’ipotesi in cui la documentazione falsa sia stata presentata “da parte del Concessionario o di un suo rappresentante”, mentre il non sarebbe inquadrabile in alcuna delle figure menzionate, non merita condivisione, atteso che le operazioni dallo stesso poste in essere rappresentano, comunque, l’espressione dell’attività imprenditoriale della e sono alla stessa riferibili in virtù Con Il decimo motivo di gravame (per errore indicato nell’atto di appello come nono), relativo al rigetto della pretesa risarcitoria conseguente all’asserita illegittimità della risoluzione azionata dalla risulta superato alla luce delle considerazioni sopra svolte in merito alla correttezza della missiva del 25 giugno 2004, con la quale la concedente si è avvalsa della clausola risolutiva espressa. L’undicesimo e il dodicesimo motivo, afferenti – rispettivamente – all’erronea qualificazione delle domande svolte dall’attrice e alla conseguente applicazione del termine di prescrizione, appaiono analogamente assorbiti in ragione del rigetto delle pretese risarcitorie, senza peraltro contare che la ha invocato la responsabilità della sia in termini contrattuali che extracontrattuali e che – come osservato dal Tribunale – il tenore delle domande non sempre ha consentito di individuarne il relativo ambito.

La tredicesima e ultima censura – relativo all’eccessiva entità delle spese che il Tribunale ha liquidato nella misura di € 112.500,00, anche in ragione della “infondatezza delle pretese dell’attrice e per la mancanza di chiarezza degli scritti difensivi della parte… caratterizzati da una eccessiva prolissità che rende particolarmente indaginosa l’individuazione della materia del contendere” – merita condivisione.

Invero, il rigetto della pretesa azionata giustifica sicuramente l’addebito, in tutto o in parte, delle spese di lite, ma non anche l’applicazione di aumenti tali da condurre alla liquidazione di importi sproporzionati in relazione all’effettiva portata della controversia;

nel caso in esame, può trovare, peraltro, applicazione il principio dettato di recente dalla Corte di Cassazione secondo cui (n. 28885/2023), “il giudice, ove ravvisi una manifesta sproporzione tra il formale “petitum” e l’effettivo valore della controversia, quale è desumibile dai sostanziali interessi in contrasto, gode di Con della prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia” (Cass. 28885/23).

In accoglimento dell’ultima censura e in parziale riforma della sentenza gravata, le spese del giudizio di primo grado devono, quindi, formare oggetto di una diversa liquidazione.

Passando all’esame dell’appello incidentale, la si duole del rigetto della domanda riconvenzionale tesa ad ottenere la restituzione della somma di € 43.529,00 a titolo di incentivi indebitamente conseguiti dalla B8 per effetto delle domande basate su documentazione alterata.

Il gravame incidentale merita accoglimento alla luce delle considerazioni sopra espresse secondo cui, a fronte dell’invio delle richieste a nome della e a prescindere dalla non autenticità delle sottoscrizioni apparentemente riferite al legale rappresentante della concedente, l’appellante ha conseguito il vantaggio economico derivante dalle incentivazioni e risponde della condotta, ancorché (come sostenuto dall’appellata) la stessa sia stata posta in essere dall’agente che si è reso autore dell’illecito.

Al riguardo, va precisato che la qualifica di agente senza rappresentanza, rivestita dal , non esclude la responsabilità della concessionaria posto che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2049 c.c., non è necessario che l’effettivo responsabile dell’illecito sia inserito nella compagine dell’imprenditore, ma è sufficiente che lo stesso abbia agito nell’ambito del rapporto instaurato con la preponente, come confermato nel caso in esame dall’utilizzo della carta intestata alla dall’adozione delle medesime modalità operative tese a conseguire le incentivazioni. In accoglimento dell’appello incidentale e in parziale riforma della sentenza gravata, in concordato preventivo va condannata alla restituzione della somma di € 43.529,00, non contestata quanto a correttezza dei conteggi;

sulla stessa si applicano gli interessi a far data dalla ricezione della somma al saldo, dovendosi effetto della riforma della pronuncia gravata, che consegue sia all’accoglimento della censura mossa dall’appellante in merito all’ammontare delle spese liquidate che all’accoglimento dell’appello incidentale, ricorrono i presupposti per disporre la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio nella misura di 1/5, con condanna della parte appellante alla rifusione dei restanti 4/5.

Segue la liquidazione come da dispositivo, nella misura tariffaria media, avuto riguardo alla corrispondente complessità della controversia e al numero di questioni affrontate.

La Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra contraria istanza disattesa, in parziale accoglimento dell’appello principale e in accoglimento dell’appello incidentale, in parziale riforma della sentenza n. 554/18 emessa dal Tribunale di Roma, così provvede:

1) Condanna la in concordato preventivo al pagamento in favore della della somma di € 43.529,00, oltre interessi legali dal momento della ricezione fino al saldo;

2) Liquida le spese di lite del primo grado di giudizio in € 13.600,00 e del secondo grado in € 9.991,00 e, compensandole nella misura di 1/5, condanna la parte appellante alla rifusione dei restanti 4/5, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 16 gennaio 2024 La Consigliera est.

La Presidente Dr.ssa NOME COGNOME Dr.ssa NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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