N. R.G. 4024/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SENTENZA_CORTE_DI_APPELLO_DI_ROMA N._691_2025_- N._R.G._00004024_2020 DEL_01_02_2025 PUBBLICATA_IL_01_02_2025
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE PRIMA CIVILE riunita in camera di consiglio e composta dai seguenti Magistrati:
dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere relatore ha emesso la seguente S E N T E N Z A nella causa civile in grado d’appello, iscritta al n. 4024 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2020, trattenuta in decisione con ordinanza ex art. 127ter c.p.c. del 06.05.2024 e vertente T R A già C.F. ), con sede legale in Milano, INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. in persona del p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato APPELLATO incorporante (C.F. ), in persona del procuratore speciale dott.ssa rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
CONCLUSIONI
Per l’appellante:
“Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o difesa, ritenere fondati i motivi esposti con il presente gravame e, per l’effetto, così provvedere:
IN INDIRIZZO
per le considerazioni sopra esposte al n.11) del presente atto, disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione impugnata ricorrendo, nella fattispecie, i gravi motivi di cui all’art.283 c.p.c. IN INDIRIZZO
per i motivi di fatto e di diritto sopra esposti, in totale riforma della sentenza appellata n.22253/2019 del Tribunale di Roma Sezione II – Civile, pubblicata il 19.11.2019, non notificata, e in accoglimento del proposto appello:
1.Accertare e dichiarare in ogni caso non dovuta la somma di € 1.026.623,35 da parte di in favore del in quanto già da questi introitata (anche in misura maggiore e precisamente € 1.089.144,72) in data 29 maggio 2015 per pagamento, quietanzato, effettuato da per effetto di Accordo Transattivo dell’11.02.2015 (All. 1);
Accogliere le conclusioni ravvisate in I grado e precisamente: 2.
accertare e dichiarare l’illegittimità della revoca del finanziamento, disposta dall’allora Con decreto del prot. n. 102566, prog n. 20741/98 del 5 settembre 2001 e, quindi, accertare e dichiarare il diritto della (già alla percezione dell’intero finanziamento concesso con D.M. n. 69619 del 3.0.3.1999;
3. per l’effetto, accertare e dichiarare il diritto della (già conservare la somma già percepita in via provvisoria pari ad € 1.026.623,35 (ex £ 1.987.820.000,00) e a ricevere l’erogazione della restante somma di € 1.026.623,35, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal momento in cui doveva essere corrisposta a quello dell’effettiva corresponsione;
4. per l’effetto, condannare il al pagamento in dal momento in cui doveva essere corrisposta a quello dell’effettiva corresponsione;
5. accertare e dichiarare l’inadempimento dell’allora (ora , nonché della banca concessionaria (C.F. ) cui è subentrata rispetto agli obblighi derivanti dal D.M. n. 69619 del 3.03.1999 e, per l’effetto, condannare gli stessi in solido tra loro o, in subordine, secondo le rispettive quote di responsabilità che saranno accertate in corso di causa, eventualmente anche con valutazione equitativa, al risarcimento dei danni cagionati a (già ai sensi dell’art. 1223 c.c. per perdita subita e per mancato guadagno, nei sensi di cui innanzi, e, in subordine, con determinazione equitativa; 6. il tutto, se del caso, previa incidentale disapplicazione del Decreto Ministeriale n. 102566 del 5 settembre 2001, in uno con ogni atto preordinato, conseguenziale o comunque connesso ivi compresa l’attività istruttoria, nonché la mancata concessione del passaggio della corresponsione del contributo da 2 a 3 quote come previsto dalla legge, nonché del decreto ministeriale n. 69619 del 3 marzo 1999, nella parte in cui all’art. 3, lett d) indica in modo erroneo il termine dal quale far decorrere i ventiquattro mesi entro cui portare a termine l’iniziativa oggetto di finanziamento; 7. con condanna di controparti a spese, diritti ed onorari del doppio grado giudizio, con anticipazione in favore dei procuratori antistatari ai sensi dell’art. 93 c.p.c., nonché condanna di controparti ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per aver abusato del processo, ovvero per aver agito in riconvenzionale per la stessa somma già erogata al dalla compagnia Assicurativa nella misura di € 1.089.144,72.
8.
In via subordinata voglia Codesta Corte di Appello procedere alla statuizione di compensazione delle spese del giudizio di I grado, nonché del presente grado di giudizio, data da un lato la condotta reticente delle controparti in ordine all’avvenuto pagamento in favore del dall’altro la complessità della questione”.
Per l’appellato “Voglia la Corte di Appello di Roma rigettare l’appello perché inammissibile ed infondato e per l’effetto confermare la sentenza impugnata condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite”.
l’appellata “Voglia l’Ill.ma Corte, rigettate tutte le deduzioni, eccezioni e domande avverse, anche istruttorie, così giudicare:
– Per tutti i motivi indicati in narrativa, rigettare l’appello proposto da perché inammissibile e infondato in fatto e in diritto;
e per l’effetto confermare l’impugnata sentenza del Tribunale di Roma, Dott.ssa NOME COGNOME n. 22253/2019;
– Rigettare l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, in difetto di fumus boni iuris delle ragioni dell’appellante e di periculum in mora.
Nella denegata ipotesi venisse disposta
la sospensione si chiede che la stessa venga condizionata al rilascio di una cauzione a favore di anca pari al valore delle spese legali liquidate in suo favore.
– Condannare l’appellante alla rifusione delle spese e dei compensi del doppio grado di giudizio”.
MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO La Corte, visti gli atti e sentito il relatore, osserva quanto segue.
La controversia ha ad oggetto la revoca, disposta con D.M. n. 102566 del 05.09.2001, della concessione provvisoria del contributo di Lire 3.975.640.000 (suddiviso in due quote annuali di Lire 1.987.820.000 ciascuna) erogato alla (divenuta poi dall’allora , ai sensi del D.L. n. 415/92 conv. in legge n. 488/1992, per la realizzazione di un opificio industriale destinato alla produzione del prodotto capace di ridurre l’immissione dei gas derivanti dalla combustione del gasolio e idoneo ad essere utilizzato anche come additivo refrigerante per i motori diesel, di cui la deteneva il brevetto per la produzione e lavorazione. adiva il Tribunale di Roma, in riassunzione dopo la declinatoria di difetto di giurisdizione del TAR Lazio inizialmente compulsato, deducendo l’illegittimità della revoca, in quanto:
(i) il termine per l’ultimazione dell’intervento non doveva considerarsi essenziale e comunque andava Parte di cause di forza maggiore, quali il ritardato rilascio della concessione edilizia per la costruzione dell’opificio e l’imprevista defezione del principale fornitore (RAGIONE_SOCIALE);
(iii)
il e la banca concessionaria (allora avevano violato la Circolare ministeriale n. 1052318/1999 mettendo a disposizione la seconda quota di contributo anticipatamente sì da pregiudicare l’iniziativa dell’impresa;
(iv) la banca concessionaria aveva trascurato circostanze attestanti la solidità economica dell’impresa, quale l’aumento del capitale sociale da 2 a 7 miliardi di Lire.
Chiedeva, pertanto, dichiararsi l’illegittimità della revoca del finanziamento e il proprio diritto a conservare la somma già percepita ed a ricevere la restante somma e conseguentemente di condannare il a corrispondere detta somma e, unitamente alla banca concessionaria, a risarcirle i danni conseguenti all’inadempimento.
Si costituivano il , che chiedeva il rigetto della domanda e in via riconvenzionale la condanna di a restituire l’anticipazione ricevuta (pari a Euro 1.026.624,00), e la subentrata in tutti i rapporti facenti capo a nel corso del giudizio fusasi per incorporazione in che chiedeva il rigetto della domanda ed eccepiva la prescrizione del credito risarcitorio.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 22253/2019, respingeva le domande avanzate da e, in accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dal , condannava restituire a detto la somma di Euro 1.026.623,35 oltre rivalutazione monetaria e interessi, statuendo che:
il contributo pubblico era stato erogato subordinatamente all’effettiva realizzazione della corrispondente parte degli investimenti;
spettava alla società attrice dimostrare di avere effettivamente sostenuto gli esborsi programmati, pari a Lire 8.015.000.000 nell’arco di due anni, in misura proporzionale alle quote (due) in cui era stata suddivisa l’erogazione e, per conseguire la quota di saldo, di avere completato l’intero programma di investimenti;
il termine (essenziale) di ultimazione del programma di investimento era stato fissato in due anni, decorrenti dalla data , non potendo trovare applicazione riguardo al termine di decorrenza il DM 133/2000;
gli effettivi esborsi documentati, peraltro su iniziativa di erano pari ad appena il 4,9% dell’investimento programmato e ammesso al contributo pubblico a tre anni di distanza dalla presentazione della domanda;
nemmeno i lavori di realizzazione dell’opificio erano stati ultimati entro il 31.03.2001, data ultima di consumazione del termine indicato dalla banca concessionaria supponendo accoglibile domanda variazione dell’erogazione da due a tre quote di pagamento;
in ogni caso, la non aveva dimostrato di avere investito né la somma indicata nel programma di investimento iniziale (Lire 8.015.000.000) né la minor somma indicata nelle missive via via rimesse alla banca concessionaria (da ultimo, Lire 5.157.000.000), sicché è impossibile affermare che il programma di investimenti fosse stato completato;
risulta corretta la revoca integrale del contributo pubblico, non avendo la società attrice dato prova di avere maturato alla data di disponibilità dell’ultima quota di contributo le condizioni per l’erogazione a stato di avanzamento della prima quota né le spese sostenute per l’investimento e il raggiungimento dell’obiettivo prefissato.
Avverso l’indicata sentenza, pubblicata il 19.11.2019 e non notificata, ha interposto appello con atto di citazione notificato il 21.07.2020 la formulando le conclusioni riportate in epigrafe e articolando i seguenti motivi di gravame:
1) carenza d’interesse del e della banca appellata in ordine alla domanda riconvenzionale di restituzione dell’anticipazione erogata, per essere documentato l’avvenuto pagamento di detta somma in favore del in data 29.05.2015 da parte di (già , che aveva rilasciato polizza fideiussoria;
2) omessa ed errata valutazione delle risultanze istruttorie in ordine all’accertamento negativo della pretesa recuperatoria vantata dal e al diritto della di ottenere l’adempimento, per non avere il Tribunale preso in considerazione le allegazioni e le prove fornite (tra le quali la perizia giurata di parte) in ordine al completamento ) erronea ed illogica interpretazione della Circolare esplicativa n. 234363 del 20.11.1997, laddove essa prevede che per le opere murarie l’accertamento sulla realizzazione del programma di investimento deve essere compiuto sull’avanzamento fisico dei lavori, nel caso di specie documentato dalla perizia giurata del Direttore dei Lavori e dalla perizia giurata di stima dell’Ing. e potendosi la prova dell’ultimazione del programma di investimento o del raggiungimento dei 2/3 dello stesso alla data di disponibilità della seconda quota essere raggiunta dalla documentazione prodotta nel primo grado, dalle prove testimoniali non ammesse, di cui si reitera la richiesta di assunzione, e dalla CTU non disposta; 4) violazione e omessa applicazione del D.M. 133/2000, non avendo il Tribunale considerato da un lato l’applicabilità dell’art. 11 di detto D.M., secondo cui per i programmi di investimento soggetti a notifica alla Commissione Europea il termine di ultimazione di 24 mesi decorre dalla data di concessione del contributo, e dall’altro lato il legittimo affidamento della circa l’applicabilità di detto D.M. anche all’iniziativa in esame, non essendo alla data della sua entrata in vigore ancora spirati il termine di ultimazione e quello di trasmissione della documentazione finale di spesa; 5) violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere il Tribunale ritenuto il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della società attrice in ragione dell’omessa allegazione delle fatture comprovanti le spese sostenute, per non avere rilevato la nullità dell’accertamento tecnico sullo stato di avanzamento degli investimenti a programma compiuto su incarico della banca concessionaria dal prof. e per non avere considerato che lo stato di avanzamento del programma di investimento poteva essere accertato per il tramite di CTU; 6) erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha escluso la configurabilità di cause di forza maggiore impeditive della tempestiva realizzazione del programma, rappresentate dal venir meno del principale fornitore (RAGIONE_SOCIALE) e dall’impossibilità di riferirsi ad altro fornitore e dal ritardo nel rilascio della concessione edilizia;
) erroneità della sentenza appellata laddove ha ritenuto sussistenti le condizioni legittimanti la revoca totale e non parziale del contributo, nonostante la perizia giurata dell’Ing. attestasse che la aveva sostenuto le spese per le opere murarie, gli impianti e le attrezzature per una percentuale superiore al 50% delle opere e degli impianti finanziati, e laddove non ha fatto applicazione dell’art. 9 lett. d) della Circolare esplicativa n. 234363 del 20.11.1997, secondo cui nel caso in cui l’iniziativa non venga ultimata nei termini prescritti la revoca del contributo è parziale; 8) error in judicando nella parte in cui era stata respinta la domanda risarcitoria, che invece deve essere accolta dovendo il rispondere dei danni cagionati a sia a titolo di responsabilità contrattuale per mancata o inesatta esecuzione della prestazione pattuita sia a titolo di responsabilità extracontrattuale in relazione alle chance commerciali perse dalla società a causa della revoca del contributo e nella parte relativa alle statuizioni sulle spese legali, che non ha tenuto conto dell’intervenuto pagamento effettuato in favore del appellato da parte di (cfr. motivo n. 1). In data 16.11.2020 si è costituito il , che ha eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità dell’appello perché proposto dopo l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza appellata e nel merito ne ha chiesto il rigetto per la sua infondatezza.
In data 27.11.2020 si è costituita in forma abbreviata nel corso del giudizio poi incorporata da che ha reiterato l’eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria già sollevata nel precedente grado.
Nel corso del giudizio, il appellato ha depositato la nota dell’08.06.2020, con la quale, preso atto del pagamento in proprio favore da parte di della somma di Euro 1.089.144,72, corrispondente alla sorte capitale, esclusi rivalutazione e interessi, in esecuzione della polizza fideiussoria n. NUMERO_DOCUMENTO stipulata a garanzia dell’anticipazione di pagamento in proprio favore contenuta nella sentenza qui appellata ed ha ribadito la propria legittimazione per quanto concerne il recupero della somma corrispondente agli interessi e alla rivalutazione monetaria sulla quota capitale dal 01.12.1999 al saldo. Essendo stato documentato il pagamento da parte di in favore del della somma di Euro 1.089.144,72, pari al 100 % in linea capitale del massimale della polizza fideiussoria accordata a garanzia della restituzione dell’anticipazione ricevuta in parziale accoglimento del primo motivo di appello, deve dichiararsi la cessazione della materia del contendere relativamente alla domanda avanzata in via riconvenzionale dal appellato di restituzione dell’anticipazione della prima quota del contributo limitatamente alla sorte capitale di detta anticipazione, mantenendo il il diritto a conseguire la restituzione da parte di delle somme corrispondenti a interessi e rivalutazione monetaria calcolati sulla quota capitale dal 01.02.1999 al saldo, per i motivi che di seguito verranno esposti. In via pregiudiziale, deve ribadirsi la tempestività del proposto appello, atteso che l’appellante ha notificato alle parti appellate l’atto di citazione il 21.07.2020, il giorno prima che decorresse il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. (in data 22.07.2020, tenuto conto che la sentenza appellata, non notificata, è stata pubblicata il 19.11.2019), vigendo tra il 09.03.2020 e l’11.05.2020 la sospensione straordinaria dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili (e penali) pendenti presso tutti gli uffici giudiziari disposta dal DL 18/2020 conv. dalla legge 27/2020 e dal DL 23/2020 conv. dalla legge 40/2020 in considerazione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Venendo ora all’esame dei restanti motivi di appello, la Corte deve ribadire la correttezza delle argomentazioni spese dal Giudice di prime cure in tema di qualificazione delle domande e di ripartizione dell’onere della prova, laddove in particolare si è statuito che alla “incombeva di dimostrare l’insussistenza del fatto d’inadempimento contestato, dall’Amministrazione, in sede di revoca del decreto di concessione provvisoria del contributo pubblico” e, dunque, “di dimostrare di avere esattamente adempiuto agli impegni assunti con la presentazione della ad esso applicabile” (pag. 15 sentenza appellata), che si compendia: (i) del Decreto Ministeriale n. 527 del 20.10.1995 (d’ora in poi, Regolamento);
(ii) del Decreto Ministeriale n. 234363 del 20.11.1997 (d’ora in poi, Circolare Esplicativa del Regolamento);
(iii) del D.L.vo n. 96/1993 e del D.L.vo n. 123/1998, che disciplinavano la fase istruttoria;
ed infine (iv) della Legge n. 448/1998, con la relativa Circolare applicativa n. 900033/1999, che disciplinavano le modalità di erogazione delle agevolazioni.
Gli obblighi assunti si estrinsecavano nella realizzazione di un nuovo impianto di lavorazione e commercializzazione del prodotto RAGIONE_SOCIALE, intendendosi per tale, a norma dell’art. 2.6 della Circolare esplicativa del Regolamento, “la struttura, anche articolata su più entità fisicamente separate ma prossime, finalizzate alla produzione di soli beni o di soli servizi per il mercato, dotata di autonomia produttiva, tecnica, organizzativa e funzionale”, come correttamente evidenziato nella sentenza appellata. Per la realizzazione di questo “nuovo impianto”, il Decreto concessorio prevedeva l’impegno di affrontare spese per complessive Lire 8.015.000.000 nell’arco di due anni, di cui Lire 279.000.000 per spese di progettazione e studio, Lire 3.388.000.000 per opere murarie e assimilate e Lire 4.348.000.000 per macchinari, impianti e attrezzature.
L’art. 7.3 della Circolare esplicativa del Regolamento stabiliva che ciascuna erogazione in favore dell’impresa avvenisse “per stato d’avanzamento”, ad eccezione della prima, che poteva, “a richiesta, essere svincolata dall’avanzamento ed essere disposta a titolo di anticipazione, previa presentazione di fideiussione bancaria o polizza assicurativa irrevocabile, incondizionata ed escutibile a prima richiesta a favore del ”.
Facoltà questa, finalizzata ad agevolare la start up dell’investimento, di cui la come detto, si era avvalsa, tant’è che a fronte della revoca della concessione e della mancata restituzione dell’anticipazione, il Ministero erogante ha escusso la polizza fideiussoria accordata da Lo stesso art. 7.3 della Circolare chiariva cosa dovesse intendersi per “stato d’avanzamento del programma”:
“L’impresa o l’istituto collaboratore deve avere sostenuto, nel caso di due erogazioni, almeno la metà della spesa approvata di rispettiva competenza per la prima erogazione ed il totale della stessa per la seconda;
nel caso di tre , almeno i due terzi per la seconda ed il totale della stessa per la terza”.
Per ciò che concerne l’erogazione del saldo del contributo, l’art. 7 comma 4 del Regolamento prevedeva che essa fosse “subordinata alla presentazione della documentazione finale di spesa (n.d.r. che comprendeva fatture fiscalmente regolari in originale quietanzate o in copia autenticata, elenchi di fatture o estratti dei registri contabili, con asseverazione della conformità degli elenchi e degli estratti ai documenti originali, della regolarità fiscale di questi ultimi e dell’avvenuto pagamento a saldo delle forniture) e delle dichiarazioni di cui all’articolo 9” commi 5 e 6. Come ben chiarito dalla sentenza appellata, che ha correttamente assimilato il rapporto derivante dalla domanda di erogazione e dal decreto di concessione provvisoria ad un rimborso pro quota delle spese giudicate ex ante ammissibili, nei limiti in cui effettivamente sostenute e rendicontate, piuttosto che ad un mutuo di scopo, lo stato di avanzamento del programma di investimento doveva essere inteso come stato di avanzamento contabile. L’art. 7 comma 2 D.L.vo 123/1998 prescriveva al riguardo che:
“Nel caso di erogazione del beneficio sotto forma di contributo in conto capitale esso è posto a disposizione dell’impresa beneficiaria, presso una banca appositamente convenzionata, in più quote annuali, stabilite per ogni regime di aiuto, da ciascun soggetto competente, tenuto conto della durata del programma.
Le erogazioni a favore dell’impresa beneficiaria sono effettuate dal soggetto responsabile per un importo pari allo stato di avanzamento contabile dell’iniziativa”.
E ancora.
L’art. 7.4 della Circolare esplicativa del Regolamento stabiliva che:
“Ai fini di ciascuna erogazione, l’impresa, per i beni acquistati o realizzati direttamente (…) trasmettono alla banca concessionaria la relativa richiesta / dichiarazione secondo gli schemi di cui rispettivamente agli Allegati nn. 17/a o 17/b, con allegata la documentazione di cui all’Allegato n. 18 e, limitatamente all’ultima erogazione (la seconda o la terza), qualora non già presentata, la documentazione finale di spesa e le dichiarazioni di cui al successivo punto 8.4.
(n.d.r., secondo il quale il legale rappresentante della società doveva dichiarare che la documentazione finale di spesa allegata era conforme agli originali, fisicamente regolari, che le fatture si riferivano a spese sostenute unicamente per la realizzazione dell’iniziativa in oggetto, che tutti i materiali, acquistati e installati nello stabilimento allo stato “nuovi di fabbrica” e che le forniture erano state pagate a saldo) (…).
Con dette richieste l’impresa e/o l’istituto collaboratore dichiarano l’importo delle spese sostenute per le opere realizzate e/o i macchinari, impianti e attrezzature acquistati o realizzati, distinto per capitolo di spesa, espresso in lire ed in percentuale del programma di investimenti approvato per la parte di rispettiva competenza, alla data cui si riferisce lo stato di avanzamento anche finale;
a tal fine si fa riferimento alla data dell’effettivo pagamento delle fatture e degli altri titoli di spesa.
I beni relativi alla richiesta di stato d’avanzamento devono essere fisicamente individuabili e presenti presso l’unità produttiva interessata dal programma di investimenti alla data della richiesta, ad eccezione di quelli acquistati con contratti “chiavi in mano””.
L’Allegato 17/a richiamato dalla disposizione appena riportata prevedeva che l’impresa dovesse dichiarare sotto la sua responsabilità anche penale di avere “acquistato e/o realizzato direttamente beni e sostenuto corrispondentemente spese per un importo complessivo, al netto dell’Iva, di Lire (x), pari al (x) % della suddetta spesa ritenuta ammissibile per i beni da acquistare o realizzare direttamente, come comprovabile attraverso i relativi documenti di spesa fisicamente regolari e quietanzati o comunque pagati”. Lo stesso Allegato 17/a stabiliva poi che le spese dovevano essere “state sostenute unicamente per la realizzazione del programma oggetto della citata domanda di agevolazioni” e che “le opere realizzate ed i macchinari, gli impianti e le attrezzature acquistati o realizzati, relativi alle suddette spese sostenute” dovevano essere “presenti presso la citata unità produttiva e (…) sostanzialmente conformi al programma approvato”.
A tal riguardo, il punto 3.10 della Circolare esplicativa prevedeva che “per consentire, in sede di accertamento sull’avvenuta realizzazione del programma di investimenti o di controlli ed ispezioni, un’agevole ed univoca individuazione fisica di ciascun macchinario, impianto di produzione ed attrezzatura rilevante oggetto di agevolazioni, l’impresa deve attestare (n.d.r. con dichiarazione sostituiva di atto notorio resa dal legale rappresentante) la corrispondenza delle fatture e degli altri titoli di spesa, ovvero, per i beni acquisiti in locazione finanziaria, dei relativi verbali di consegna, con il macchinario, l’impianto o l’attrezzatura stessi, compresi quelli realizzati con commesse interne di lavorazione” e che “i beni fisici elencati devono essere riscontrabili attraverso l’apposizione, sui beni stessi, di una specifica targhetta riportante in modo chiaro ed indelebile il numero con il quale il bene medesimo è stato trascritto nell’elenco ed il numero di progetto recato dalla domanda nella quale è inserito il bene”. La normativa, primaria e secondaria, appena riportata mette in rilievo l’infondatezza del terzo motivo di appello, laddove la ha assunto che l’accertamento sulla realizzazione del programma di investimento avrebbe dovuto essere compiuto sullo stato di avanzamento fisico dei lavori di realizzazione dell’opificio industriale nel Comune di Pettoranello (Isernia), risultando invece decisivo ai fini dell’accertamento sulla fondatezza delle domande spiegate dall’impresa destinataria della concessione provvisoria verificare se quest’ultima avesse o meno sostenuto le spese programmate in misura proporzionale alle quote nelle quali era suddivisa l’erogazione, come ha ben evidenziato la sentenza appellata. Relativamente alle quote, l’art. 2 del Decreto di concessione provvisoria prevedeva che le agevolazioni concesse fossero messe a disposizione presso la banca concessionaria in n. 2 quote annuali di Lire 1.987.820.000 ciascuna, la prima entro il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del DM di formazione delle graduatorie sull’ammissibilità dei finanziamenti e la seconda alla stessa data dell’anno successivo.
Poiché nel caso di specie la graduatoria delle iniziative ammissibili era stata pubblicata il 06.03.1999, la prima quota era stata resa disponibile il 06.04.1999 e la seconda il 06.04.2000.
La disciplina del Decreto concessorio era del tutto conforme al Regolamento, a norma del quale le quote successive dell’erogazione dovevano essere messe a disposizione “alla stessa data di ogni anno” (v. art. 7 comma 1 DM 527/1995).
si è avvalsa della facoltà concessale dalla Circolare n. 1052318 del 25.11.1999, sopravvenuta dopo la concessione dell’anticipazione, che consentiva all’impresa beneficiaria di richiedere al verificarsi di determinate condizioni la modifica dell’erogazione da due a tre quote.
E’ appena il caso di rilevare, non avendone fatto motivo autonomo di appello e risultando la questione irrilevante ai fini della decisione, che l’istanza formale di variazione venne presentata dalla solo il 12.12.2000, quando ormai era prossimo a spirare il termine per la presentazione della rendicontazione finale di spesa, , mentre non risulta validamente avanzata quella che alla fine del mese di aprile del 2020 la stessa ha dedotto di avere presentato alla , come si evince da quanto la stessa società istante avrebbe dedotto in una nota indirizzata alla banca concessionaria l’08.02.2021 (“In perfetta buona fede avevamo interpretato la legge nel suo verso letterale, che non impone alcuna forma se non quella di esplicarla alla banca concessionaria”; “Non abbiamo messo in dubbio la correttezza di codesta banca concessionaria abbiamo solo precisato di aver fatto esplicita richiesta nello stesso modo e forma con cui sono stati accollati i ripetuti solleciti.
Non vediamo quindi per quali ragioni codesta banca concessionaria nel mentre richiede le forme scritte non abbia mai scritto i suoi solleciti ”).
L’istanza asseritamente avanzata il 28.04.2000 non era, infatti, corredata, come avrebbe dovuto essere, dall’allegazione di documenti atti a comprovare la ricorrenza dei seguenti presupposti:
sussistenza di cause di forza maggiore che avrebbero impedito il raggiungimento dello stato di avanzamento del programma di investimento nei tempi programmati, fattibilità tecnica del programma rimodulato sulle tre quote di erogazione e aggiornamento delle risultanze istruttorie.
In ordine ai tempi di ultimazione del programma di investimento, questa Corte, nel rimandare alle esaustive argomentazioni del Giudice di prime cure (v. pagg. 23 – 28 sentenza appellata), non può che ribadire in sintesi quanto segue.
Il Decreto di concessione provvisoria prevedeva per l’ultimazione del programma di investimento il termine di due anni (art. 3 comma 1 lettera d), decorrente dalla data di presentazione della domanda di agevolazione (16.03.1998), in conformità a quanto stabilito sia dal Regolamento (art. 8 comma 1 lettera d) sia dalla Circolare esplicativa (art. 3.9).
Al contrario di quanto dedotto dall’appellante, non può farsi applicazione nel caso di specie delle disposizioni contenute nel Regolamento approvato con D.M. n. 133/2000 (“Regolamento recante modificazioni e integrazioni al decreto ministeriale 20 ottobre 1995, n. 527, già modificato ed integrato con decreto ministeriale 31 luglio 1997, n. 319, concernente il regolamento sulle modalità e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore delle 1 lettera f) di detto Regolamento, che stabiliva un diverso termine di decorrenza per l’ultimazione del programma di investimento (la “data di concessione provvisoria delle agevolazioni”). Ciò in forza dell’esplicita previsione contenuta nell’art. 15 del “nuovo” Regolamento, secondo cui “le modifiche e le integrazioni di cui al presente regolamento hanno efficacia per le domande di agevolazione presentate dopo l’entrata in vigore”.
E, nel caso di specie, come detto, la domanda era stata presentata il 16.03.1998.
Deve al riguardo postularsi, per l’evidente diversità dell’oggetto, l’estraneità della domanda di agevolazione di al perimetro applicativo dell’art. 11 lettera g) Regolamento n. 133/2000, impropriamente richiamato da parte appellante, che prevedeva per i progetti oggetto di notificazione alla Commissione Europea la decorrenza del termine di realizzazione del programma dalla data del provvedimento del relativo agli esiti di detta notificazione ma solo per “i programmi soggetti alla notifica alla Commissione Europea ai sensi della disciplina di cui alla Decisione 2496/96/CECA della Commissione del 18.12.1996 concernente norme comunitarie per gli aiuti a favore della siderurgia (…), all’inquadramento di alcuni settori siderurgici fuori CECA (…), al Regolamento CE 1904/96 del Consiglio del 27.09.1996 che modifica il Regolamento CE 3094/95 relativo agli aiuti alla costruzione navale (…), alla disciplina degli siuti di Stato all’industria delle fibre sintetiche (…), alla disciplina degli aiuti di Stato all’industria automobilistica (…), alla disciplina multisettoriale degli aiuti regionali destinati ai grandi progetti d’investimento (…)”. Mentre, come già efficacemente ribadito dal Tribunale, la previsione della decorrenza del termine di ultimazione del programma di investimento non rientra tra le disposizioni del Regolamento n. 133/2000 espressamente dichiarate retroattive dallo stesso.
Il quarto motivo di appello deve essere, pertanto, respinto.
Il termine di ultimazione del programma di investimento, che veniva a scadere il 16.03.2000, poteva essere “eccezionalmente” prorogato “per non oltre sei mesi”, dietro presentazione di apposita istanza, ma per “una sola volta” e solo “per cause di forza maggiore” (art. 8 comma 1 lettera d) Regolamento) ed in apposita richiesta avanzata da per il ritardato rilascio della concessione edilizia per la costruzione dell’opificio da parte del Comune di Pettoranello.
Sicché, “non sussistendo un diritto quesito, tutelabile dal giudice ordinario, ad ottenere ulteriori proroghe”, come ha efficacemente osservato il Giudice di prime cure (v. pag. 32 sentenza), risulta un mero esercizio retorico discettare di cause di forza maggiore non debitamente valutate da parte dell’amministrazione concedente, nello specifico la cessazione della fornitura di dimetilcarbonato da parte di RAGIONE_SOCIALE.
Deve, infatti, senz’altro postularsi la natura perentoria dei termini (intermedi e finale) di realizzazione del programma di investimento, posto che il mancato rispetto di detti termini era assistito dalla previsione di cause di decadenza e revoca e, come appena detto, l’ipotesi di una proroga era contemplata una tantum, solo in via eccezionale e per cause di forza maggiore ed era riferita esclusivamente al termine finale.
L’art. 8 comma 1 del Regolamento stabiliva che le agevolazioni fossero “revocate in tutto o in parte dal Ministero concedente, anche su segnalazione della banca concessionaria”, tra l’altro “qualora l’impresa non abbia maturato, alla data della disponibilità dell’ultima quota di cui all’articolo 7, comma 1, le condizioni previste per l’erogazione a stato d’avanzamento della prima quota” (lettera c1, ipotesi di revoca oggetto della proposta avanzata dalla banca concessionaria) e “per le iniziative di cui all’articolo 7, comma 1, per i quali l’importo dell’agevolazione concessa è reso disponibile in due quote (n.d.r. quando il programma non venga ultimato), entro ventiquattro mesi dalla data medesima” (lettera d). Del resto, opzioni ermeneutiche difformi non possono essere ammesse in un sistema improntato sulla provvisorietà della concessione del contributo e sulla necessità di verifica dell’effettivo impiego delle risorse (provvisoriamente) concesse per le finalità indicate dalla legge.
Il sesto motivo di appello deve essere pertanto respinto.
Sempre in tema di termini di ultimazione del programma di investimento, occorre rilevare che:
(i) la legge n. 488/1992 era lo strumento nazionale di cofinanziamento sui fondi europei;
(ii) per i progetti cofinanziati, come quello in esame, l’art. 2.4 della Circolare esplicativa del Regolamento indicava il termine ultimo per l’impegno di spesa e quello per l’erogazione a saldo di consentire il rispetto del termine ultimo per l’erogazione a saldo dell’agevolazione, il termine di presentazione della documentazione finale di spesa, normalmente fissato in non oltre sei mesi dopo l’ultimazione del programma, era stato fissato a non oltre il 31.03.2001 e non era ulteriormente prorogabile.
Venendo ora direttamente al tema della prova, raggiungibile secondo l’appellante per il tramite dell’assunzione dei mezzi istruttori da essa articolati ed eventualmente per il tramite di una CTU, oggetto del secondo, terzo e quinto motivo di appello, la Corte osserva come prima ancora che sul terreno probatorio le domande di siano carenti sul piano allegativo.
Ciò in ragione della mancata indicazione (e, naturalmente, della mancata produzione) della documentazione espressamente richiesta dalle fonti normative primarie e secondarie, e tra queste ultime dal Regolamento (art. 7 comma 4) e dalla Circolare esplicativa del Regolamento (artt. 7.4, 3.10 e 9, All. 17/a e 18/a), per documentare lo stato di avanzamento del programma di investimento, della mancata indicazione (e produzione) di documentazione alternativa (ad es., rendiconti, contabili di bonifici, assegni quietanzati, estratti del c/c bancario con annotazioni a debito) atta a comprovare l’effettivo sostenimento delle spese nella misura richiesta dalle norme a pena di revoca del contributo concesso e dell’omessa puntuale quantificazione delle somme impiegate per la realizzazione del nuovo impianto. Come è agevole evincere dalla lettura del paragrafo 3.3 della sentenza (cfr. in particolare, pagg. 28 e 29), il Tribunale non ha affatto inteso riconoscere dignità di prova legale alle fatture quietanzate o alle dichiarazioni predisposte secondo gli schemi dell’Allegato 17/a della Circolare esplicativa del Regolamento tant’è che ha espressamente censurato l’allegazione e produzione di documenti ulteriori e diversi finalizzati a comprovare i medesimi dati oltre che l’omessa quantificazione degli esborsi sostenuti. Le uniche fatture quietanzate afferenti gli esborsi sostenuti da quelle prodotte dall’appellata banca concessionaria, raggiungono l’importo complessivo di Lire 395.558.750, pari ad appena il 4,9% dell’investimento ammesso a contributo pubblico (Lire 8.015.000.000) e al 7,67% del minore quantificato dall’impresa in corso d’opera dopo l’invio della richiesta di erogazione del contributo in tre quote (Lire 5.157.000.000).
I bilanci di degli esercizi 2000 – 2005, allegati sempre dalla banca concessionaria, non documentano poi affatto incremento delle immobilizzazioni materiali, che invece avrebbe dovuto rilevarsi in conseguenza dell’acquisto dei beni strumentali alla produzione del Dello stesso tenore sono gli esiti dell’accertamento eseguito su incarico della banca concessionaria dall’Ing. in seguito alla presentazione, nel dicembre 2000, ad opera di della domanda di variazione delle quote dell’erogazione.
Prima di esaminare brevemente le conclusioni delle indagini condotte dall’Ing. vanno spese brevi considerazioni in ordine alle formali contestazioni rivolte da a tale accertamento tecnico.
Contestazioni che, come correttamente rilevato nella sentenza appellata, avrebbero dovuto essere formulate in modo pertinente dinanzi al Giudice Amministrativo, cui competeva apprezzare le modalità di svolgimento dell’istruttoria che condusse alla revoca della concessione.
Ritiene ad ogni buon conto la Corte che non ricorra alcuna ipotesi di nullità della perizia in esame per violazione dell’art. 1 comma 4 lett. d) del Regolamento, che sanciva “il divieto delle banche concessionarie, al fine di evitare duplicazioni dell’attività istruttoria, di affidare ad altri enti o istituti, sulla base di subconvenzioni, la realizzazione in tutto o in parte delle istruttorie medesime”, ma non vietava affatto alla banca concessionaria nello svolgere direttamente la propria attività di verifica di avvalersi, per le valutazioni che richiedevano una cognizione tecnica, di un ingegnere competente nello sviluppo di progetti industriali. L’esperto incaricato dalla banca concessionaria aveva verificato nell’occasione che l’opificio industriale di Pettoranello non era stato ancora ultimato e che risultava totalmente privo di apparecchiature e di impianti.
Ciò lo induceva a quantificare lo stato di avanzamento contabile nell’ordine dell’1% del valore del programma di investimento ammesso a contribuzione.
All’assenza degli impianti e dei macchinari, che, come detto, a norma dell’art. 3.10 e dell’All. 17/a della Circolare esplicativa, avrebbero dovuto essere presenti sulla stragrande maggioranza delle fatture.
Erra peraltro parte appellante laddove afferma che il perito della banca concessionaria avrebbe commesso un errore di calcolo nella somma del valore delle fatture esibitegli, giacché non considera i valori riportati nella tabella a pagina 5 della relazione (pagina mancante nell’elaborato dell’Ing. prodotto da ed effettua impropriamente una doppia sommatoria dei costi per gli impianti conteggiando gli stessi sia nel calcolo delle opere murarie sia nel calcolo dei macchinari.
Che il programma di investimento non fosse stato portato a termine nei tempi prescritti è del resto chiaramente desumibile anche dagli accertamenti compiuti dall’Arch. per conto della stessa avendo il tecnico rilevato che l’11.12.2001, dieci mesi dopo la formulazione della proposta di revoca e otto mesi dopo la scadenza del termine per la presentazione della rendicontazione finale, nel capannone di Pettoranello erano ancora in corso i lavori di rifinitura che interessavano pavimenti, porte e finestre e l’impianto elettrico non era stato ancora concluso, sicché anche gli impianti e i macchinari non potevano essere stati installati. Addirittura ancora nel 2011, dieci anni dopo la scadenza del termine ultimativo per il completamento del programma di investimento, secondo quanto riscontrato da altro esperto incaricato da (l’Ing. ), gli impianti produttivi risultavano in corso di posa nello stabilimento molisano.
Appare dunque evidente come non abbiano alcun fondamento le doglianze mosse dall’appellante in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori articolati e il mancato espletamento di una CTU, dal momento che, al di là delle carenze allegative probatorie già evidenziate, risultanze della documentazione in atti, compresa quella prodotta da erano concordi nell’evidenziare come l’impresa beneficiaria del contributo pubblico non solo non avesse mai ultimato il programma di investimento nei termini prescritti, ma non avesse nemmeno realizzato alla data in cui era stata resa disponibile la seconda quota del contributo (06.04.2000) il programma di investimento nella percentuale richiesta (50%) a pena di revoca totale del contributo dall’art. 3 comma 1 lett. e) e comma 2 del Decreto di concessione. invero, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. e) e comma 2 del Decreto di concessione, l’agevolazione andava revocata laddove l’impresa beneficiaria alla data di disponibilità dell’ultima quota (06.04.2000) non era nelle condizioni utili a presentare la domanda di erogazione della prima quota, ovvero non era in grado di documentare il raggiungimento del 50% della realizzazione del programma, nei termini sopra precisati.
Le richiamate previsioni del Decreto di concessione provvisoria attuavano quanto disposto dal Regolamento, secondo cui le agevolazioni andavano revocate dal qualora l’impresa non avesse “maturato alla data di disponibilità dell’ultima quota di cui all’art. 7, comma 1, le condizioni previste per l’erogazione a stato d’avanzamento della prima quota” (art. 8 comma 1 lett. c1), e dalla Circolare esplicativa, a norma della quale davano luogo a revoca totale (e non parziale) “le infrazioni o le inadempienze di cui alle lettere c), c1), e), f) e g)” dell’art. 8 del Regolamento. Non hanno dunque fondamento alcuno, perché contraddette dall’inequivoco dettato normativo e contrastanti con il contenuto del Decreto di revoca e della proposta di revoca avanzata dalla banca concessionaria al Ministero erogante (che facevano menzione dell’ipotesi di revoca di cui all’art. 8 comma 1 lett. c1) del Regolamento), le doglianze mosse dall’appellante in merito all’estensione del provvedimento di revoca.
Fuorvianti risultano dunque i richiami alla diversa ipotesi di revoca (parziale) di cui all’art. 8 comma 1 lett. d) del Regolamento (mancata ultimazione dell’iniziativa nei tempi prescritti, comprensivi di eventuale proroga), tenuto conto peraltro che la revoca in tal caso avrebbe interessato “le agevolazioni afferenti i titoli di spesa datati successivamente a detti termini, fatta salva ogni ulteriore determinazione conseguente alle verifiche sull’effettivo completamento dell’investimento e sul raggiungimento degli obiettivi prefissati” (art. 9.1 Circolare esplicativa del Regolamento).
Formulazione quest’ultima indicativa del fatto che la revoca, pure disposta per l’ipotesi di cui all’art. 9 comma 1 lettera d) del Regolamento, è totale laddove, come accaduto nel caso di specie, alla scadenza del termine di ultimazione il programma di investimento non risulti concluso in modo da garantire la funzionalità del progetto.
invero, alla luce di quanto precedentemente esposto e delle indicazioni univocamente ricavabili dagli accertamenti compiuti dagli stessi tecnici incaricati da è pacifico che sia alla data corrispondente al termine di ultimazione del programma di investimento (15.09.2000) sia alla data corrispondente al termine per la presentazione della documentazione finale di spesa (31.03.2001) il programma di investimento non era affatto concluso in modo da garantire la funzionalità del progetto.
Sicché a rigore ricorrerebbe un’ulteriore ipotesi di revoca totale della concessione provvisoria.
Anche l’ottavo e ultimo motivo di appello è infondato.
Al di là della fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca concessionaria, non avendo mai agito per il ristoro dei danni asseritamente subiti in conseguenza della revoca della concessione del contributo, risalente al settembre 2001, né in sede giudiziale né in sede stragiudiziale prima di incardinare (nell’anno 2016) il presente giudizio, non è all’evidenza ravvisabile in capo al né tanto meno in capo alla banca concessionaria alcun inadempimento degli obblighi assunti con il Decreto di concessione del contributo né alcuna condotta suscettibile di ricadere nell’alveo applicativo dell’art. 2043 c.c., del resto nemmeno indicata dall’impresa beneficiaria. L’appello deve essere, dunque, respinto, ad eccezione, in parte, del primo motivo, allorché, preso atto dell’avvenuto pagamento in favore del erogante della somma corrispondente alla sorte capitale (rivalutata) dell’anticipazione concessa in via provvisoria a e della rinuncia dello stesso a coltivare la domanda riconvenzionale di condanna al pagamento di detta somma, deve dichiararsi cessata sul punto la materia del contendere.
La prevalente soccombenza dell’appellante legittima la compensazione delle spese di lite nei limiti di un terzo per entrambi i gradi di giudizio con conseguente condanna di a rifondere alle appellate i restanti due terzi, che liquida per il presente giudizio, facendo applicazione del DM 55/2014 come modificato dal DM 147/2022, in Euro 16.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge, in favore del appellato e in Euro 20.000,00 giudizio di primo grado, in applicazione del DM 55/2014, in Euro 20.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, in favore del odierno appellato, e in Euro 30.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, in favore di Tenuto conto del solo parziale accoglimento del primo motivo di appello e considerata la rinuncia del appellato a coltivare la domanda di condanna alla restituzione della sorte capitale dell’anticipazione, difettano in radice i presupposti della condanna ex art. 96 commi primo e terzo c.p.c. invocata dall’appellante, in primis la totale soccombenza del
La Corte, definitivamente pronunciando, in parziale riforma della sentenza appellata, così provvede:
1) Annulla la sentenza appellata limitatamente alla statuizione di condanna al pagamento in favore del della somma di Euro 1.089.144,72 e dichiara sul punto cessata la materia del contendere;
2) Rigetta nel resto l’appello;
3) Dichiara compensate tra le parti nei limiti di un terzo per entrambi i gradi di giudizio le spese di lite e condanna a rifondere:
al le spese di lite da questo anticipate, che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge, per il primo grado di giudizio e in Euro 16.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge, per il presente grado di giudizio;
a le spese di lite da questa anticipate, che liquida in Euro 30.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge, per il giudizio di primo grado e in Euro 20.000,00 per compensi, oltre accessori come per legge, per il presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte d’Appello di Roma del 31.01.2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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