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Revoca decreto ingiuntivo e abuso strumento monitorio

Il giudice accoglie l’opposizione a decreto ingiuntivo rilevando l’abuso dello strumento monitorio da parte del creditore, in possesso di un titolo esecutivo, che agisce per un credito già definito con sentenza passata in giudicato. Condanna ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria.

Pubblicato il 25 October 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

TRIBUNALE DI ROMA XI sezione civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dr.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._14834_2024_- N._R.G._00056458_2022 DEL_02_10_2024 PUBBLICATA_IL_02_10_2024

nella causa civile iscritta al n. 56458/22 del Ruolo Generale posta in deliberazione all’udienza del 2.10.24 e vertente TRA (cod. fis.) difesa dall’Avv. NOME COGNOME OPPONENTE Avv. COGNOME COGNOME NOME (cod. fis. )

difeso in proprio ex art. 86 cpc OPPOSTO

Oggetto: opposizione decreto ingiuntivo n. 12466/22 –

Tribunale di Roma All’udienza del 2.10.24 la difesa delle parti ha concluso come in atti.

Visto l’art. 281 sexies c.p.c. e considerato che la natura delle questioni sollevate lo consente, il giudice ha fatto precisare le conclusioni e disposto la discussione orale della causa e pronuncia la presente sentenza, da intendersi allegata al verbale di causa, di cui viene data lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, a seguito di camera di consiglio disposta a fine udienza.

Considerazione in fatto e in diritto.

Sinteticamente, la parte opposta ha ottenuto la emissione del decreto ingiuntivo n. 12466/2022, in data 4.7.22 dal Tribunale Ordinario di Roma, per la somma complessiva di euro 7.593,52, oltre spese ed interessi, a titolo di accessori su alcuni compensi già riconosciuti;

in particolare, la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 2825/2022, emessa nell’ambito della causa n. 1758/16 di opposizione a precetto, aveva statuito la debenza degli accessori sulle somme dovute all’avv. COGNOME a titolo di compenso.

L’atto di precetto oggetto di tale giudizio di opposizione era fondato su due titoli esecutivi costituiti dal decreto ingiuntivo n. 4549/2008 e dalla sentenza n. 21148/2013 del Tribunale ordinario di Roma.

specifico, con decreto ingiuntivo n. 4549/08, emesso dal Tribunale Ordinario di Roma, veniva ingiunto a in solido con gli altri intimati, di pagare all’Avv. COGNOME la somma di € 22.367,24 oltre interessi, nonché le spese della procedura maggiorate degli oneri accessori come per legge.

A seguito di opposizione al provvedimento monitorio, con sentenza n. 21148/2013, il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo e condannando alla refusione delle spese di lite, pari ad euro 2.100,00, oltre spese generali e accessori.

Entrambi i suddetti titoli esecutivi sono stati caducati dalla sentenza n. 8018/2019 della Corte d’Appello di Roma (doc. n. 3 opposto), che ha statuito “…in parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma dell’appellata sentenza, revoca il decreto ingiuntivo opposto e condanna al pagamento, in favore dell’appellato, della minor somma di € 13.400,00, oltre accessori di legge e rimborso forfettario”;

tale sentenza è passata in giudicato in quanto confermata dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 27844/21, di inammissibilità del ricorso proposto dall’avv. COGNOME (doc. n. 3).

Nelle more dei suddetti giudizi, l’avv. COGNOME ha notificato atto di precetto per un totale di € 38.524,75 fondato sul decreto ingiuntivo n. 4549/2008 e sulla sentenza n. 21148/2013, atto di precetto che veniva opposto da opposizione che si concludeva con la sentenza del Tribunale di Roma n. 18339/2015, con la quale veniva parzialmente accolta l’opposizione, limitatamente alla somma di € 9.840,55, con compensazione delle spese.

Con atto di citazione ritualmente notificato, l’Avv. COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza che aveva definito l’opposizione a precetto, eccependo la illegittimità della statuizione con la quale il Tribunale aveva stabilito la non debenza delle somme richieste a titolo di “spese forfetarie”, di IVA e di CPA sulla sorte capitale.

Predetta causa veniva decisa con la sentenza n. 2825/2022 con la quale la Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame, stabiliva che fossero dovuti da all’Avv. COGNOME gli importi a titolo di IVA e di CPA “sui rispettivi imponibili”.

Nelle more del giudizio tale sentenza emessa dalla Corte di Appello è stata impugnata presso la Suprema Corte, la quale ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, tenendo conto del principio espresso dalle SU Cass. 25478/21:

“in caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale non definitivo, la sopravvenuta caducazione del titolo per effetto di una pronuncia del giudice della cognizione (nella specie:

ordinanza di convalida di sfratto successivamente annullata in grado di appello) determina che il giudizio di opposizione all’esecuzione si debba concludere non con l’accoglimento dell’opposizione, bensì con una pronuncia di cessazione della materia del contendere”.

premesso, deve evidenziarsi che al momento della instaurazione del presente giudizio, l’avv. COGNOME era già consapevole che la sentenza n. 8018/19 della Corte di Appello aveva stabilito in modo definitivo e a ribasso il suo credito in euro 13.400,00, con il diritto al pagamento degli accessori su tale cifra, revocando i titoli posti alla base del precetto di cui alla opposizione.

Ne consegue che l’avv. COGNOME non avrebbe dovuto fondare la propria richiesta monitoria sulla statuizione della sentenza n. 2825/22, come effettuato nella presente causa, perché relativa a titoli caducati e perché, comunque, consistente in un credito più elevato rispetto a quello spettante, come accertato con sentenza già passata in giudicato.

Inoltre, questo giudice ha rilevato la questione della possibile carenza di interesse dell’avv. COGNOME alla presente causa per la presenza di altri titoli esecutivi per ottenere il proprio credito, seppur citando erroneamente altre sentenze rispetto a quella n. 8018/19.

Come statuito dalla Suprema Corte recentemente:

“- di per sé – «il creditore, ancorché munito di un titolo esecutivo, può procurarsene un altro, non esistendo nell’ordinamento alcun divieto assoluto di duplicazione di titoli».

Questa possibilità incontra, tuttavia, una serie di limiti e condizioni, dovendosi coordinare con le altre regole informanti l’ordinamento processuale.

Tra le altre cose occorre, in particolare, che sussista in concreto un interesse ad agire in relazione al conseguimento dell’ulteriore titolo esecutivo.

Tale principio – si è osservato – «non consente l’introduzione di giudizi dai quali il creditore non possa trarre alcun vantaggio giuridico concreto», perché l’ulteriore titolo non viene a portare «nessuna maggiore garanzia, tutela o vantaggio rispetto al primo» (Cass., 28 agosto 2019, n. 21768). ” (Cass. 24646/21).

L’avv. COGNOME nelle note ex art. 101 cpc ha indicato il proprio interesse alla causa nella impossibilità di utilizzare direttamente la sentenza 2825/22 per la quantificazione del credito e in relazione alla sentenza del 2019, citata da questo giudice alla udienza di discussione, ha rilevato a verbale che, pendendo la causa in Cassazione sulla opposizione a precetto, ha ritenuto potesse agire ancora in sede monitroia;

in realtà, come sopra osservato, il credito del difensore deriva esclusivamente dalla sentenza 8018/19, seppur ridimensionato nel “quantum”, e comprensivo degli accessori e spese forfettarie.

Pertanto, il decreto ingiuntivo andrà revocato, con soccombenza per le spese che vengono liquidate secondo i parametri minimi del DM 55/14 per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, stante la assenza di questioni complesse e la semplificazione definitoria.

Ricorrono gli estremi per una condanna ex art. 96 cpc in quanto il difensore ha creato una inutile duplicazione processuale abusando dello strumento monitorio, pur in presenza di un titolo già validamente emesso per il proprio credito e Per tali motivi si condanna la parte opposta al pagamento di una somma che si stima equo quantificare in un terzo delle spese legali liquidate.

P.Q.M

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, così provvede:

1) accoglie l’opposizione e revoca il decreto ingiuntivo opposto;

2) condanna l’opposto alla rifusione delle spese di lite di parte opponente, che liquida ex DM 55/14 in € 1.700,00 per compenso, oltre il 15% per spese forfettarie e accessori di legge, nonché euro 118.50 per spese, da distrarsi a favore del difensore dichiaratosi antistatario;

3) condanna la parte opposta al pagamento in favore della controparte di una somma pari ad euro 567,00 ex art. 96 ult. co cpc.

Roma, 2.10.24 Il Giudice dott.ssa NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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