REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA, prima sezione civile, composta dai seguenti Magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME Giudice Ausiliario rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._886_2024_- N._R.G._00000036_2021 DEL_06_06_2024 PUBBLICATA_IL_06_06_2024
Nel procedimento civile in grado di appello iscritto al n. 36/2021 R.G.A.C., posto in decisione con ordinanza del 5.03.2024 e riservato a sentenza con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., a seguito di deposito telematico di note scritte dei procuratori delle parti contenenti le sole istanze e conclusioni, in esecuzione del provvedimento Presidenziale emesso ex art. 127 ter c.p.c., nella formulazione introdotta dall’art. 35 d.lgs. n. 149/2022, tra c.f. ), in persona dei suoi legali rappresentanti pro-tempore, con sede in Fano (PU) alla , elettivamente domiciliata in Ancona alla , presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura a margine dell’atto di appello appellante (c.f. , in persona dei suoi Curatori RAGIONE_SOCIALE, con sede in Fano (PU) alla , elettivamente domiciliata in Ancona, , presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura in calce all’atto di citazione di primo grado [… :
azione revocatoria ordinaria ex artt. 66 L.F. e 2901 c.c., appello avverso la sentenza n. 742/2020 emessa in data 29.10.2020 dal Tribunale di Pesaro
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso riportandosi ai rispettivi scritti difensivi, chiedendo l’accoglimento delle conclusioni ivi rassegnate e reiterate nelle note telematiche per la trattazione scritta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n. 742/2020 emessa in data 29.10.2020 il Tribunale di Pesaro, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla nei confronti di quale terza pignorata, al fine di sentir revocare il pagamento della somma di €.48.440,74, eseguito in data 29.06.2015 tre mesi prima della dichiarazione di fallimento, mediante bonifico del terzo pignorato in favore del creditore procedente in esecuzione del provvedimento di assegnazione disposto dal G.E. nel giudizio di esecuzione presso terzi, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione della predetta somma, oltre interessi legali dal dovuto al saldo, rigettate le eccezioni di incompetenza funzionale ex artt. 93 e quelle di cui all’art. 67 L.F., né ritenendo l’operatività del comma 3 dell’art. 2901 c.c., ha accolto l’eccezione di difetto di legittimazione della terza pignorata, ha revocato il pagamento per cui è causa, previo accertamento della sussistenza dei presupposti della scientia damni e dell’eventus damni, condannando la società convenuta al pagamento della somma di €.48.440,74 oltre accessori e delle spese di lite in favore della convenuta e della terza pignorata.
Avverso la citata sentenza ha proposto appello chiedendone la riforma per avere il giudice di prime cure rigettato l’eccezione di incompetenza funzionale ex art. 93 e ss L.F., in violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo in realtà l’appellante eccepito la violazione dell’art. 66, co. 2, L.F., nonché per aver escluso l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 2901, co. 3, c.c., nell’erroneo assunto che il pagamento da essa ricevuto sarebbe l’effetto finale di un negozio diverso da quello che ha originato il pagamento dovuto, non avendo l’appellante eccepito l’irrevocabilità di un atto dispositivo sul presupposto che non vi sarebbero state alternative per soddisfare il debito scaduto, considerata altresì l’inesistenza di qualsivoglia atto di disposizione da parte della fallita che ha pagato forzosamente il debito scaduto solo a seguito del pignoramento presso dovuto”;
manca, altresì, la prova sia dell’eventus, sia della scientia damni, erroneamente ravvisata dal giudicante.
Si è regolarmente costituita in giudizio contestando in modo specifico l’avverso gravame chiedendone il rigetto in quanto infondato, avendo parte attrice adito correttamente il Tribunale ordinario competente mediante azione revocatoria avente ad oggetto atti dispositivi compiuti non dal debitore poi dichiarato fallito, ma da un soggetto terzo che ha aggredito un credito preesistente alla dichiarazione di fallimento, dovendo quindi escludersi la vis attractiva dell’art. 24 L.F., inoltre, l’eccezione è tardiva in quanto proposta in sede di comparsa conclusionale in primo grado; la pretesa irrevocabilità dell’adempimento, in quanto pagamento di un debito scaduto, è applicabile al solo adempimento in senso tecnico e non si ritengono revocabili i pagamenti conseguenti a procedimenti di esecuzione anche presso terzi, avendo il pagamento del terzo pignorato inciso sul patrimonio del fallito perché eseguito con denaro a questi dovuto;
correttamente la sentenza impugnata ha reputato la sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria, in cui l’eventus damni è in re ipsa e consiste nella lesione della par condicio creditorum, che non viene meno neppure in caso di pagamento di un creditore privilegiato (la figura dell’artigiano si colloca tra i privilegi mobiliari generali), così come l’elemento soggettivo della consapevolezza in capo al debitore e al terzo del pregiudizio arrecato è integrato dalla semplice conoscenza, o agevole conoscibilità di tale pregiudizio, come emerge dai verbali d’udienza e dall’impulso dato alla procedura esecutiva, infine, sussiste anche il pregiudizio arrecato alla massa creditoria a causa del pagamento integrale ricevuto dalla convenuta, stante l’impossibilità di soddisfazione integrale dei creditori in presenza di un attivo di circa €.2.000.000 a fronte di un passivo di oltre €.7.000.000.
A seguito di ordinanza del 5.03.2024, precisate le conclusioni con note di trattazione scritta come in epigrafe, la Corte ha trattenuto la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello proposto è infondato e non merita accoglimento.
Occorre preliminarmente scrutinare l’eccezione di incompetenza funzionale che, essendo stata sollevata per la prima volta in sede di comparsa conclusionale in primo grado, è innanzitutto da ritenersi inammissibile poiché tardiva e, comunque, infondata anche nel merito in ragione del radicato principio giurisprudenziale secondo cui “la sezione fallimentare non rappresenta sezione specializzata, bensì semplice ripartizione interna un ufficio autonomo, munito di propria competenza” (cfr. Cass. n. 21217/1990), come successivamente ribadito da Cassazione civile, prima Sezione, sentenza 1.04.2011, n.7579. Pertanto, se la causa è instaurata davanti al tribunale che ha dichiarato il fallimento, la circostanza che il giudice adito nel tribunale stesso non sia indicato nella sua sezione fallimentare non costituisce causa di invalidità né dell’atto di citazione, né dello stesso giudizio.
Il motivo deve, quindi, essere rigettato.
Ulteriore doglianza dell’appellante concerne la decisione impugnata nella parte in cui il giudicante, operando un travisamento del fatto controverso posto a sostegno della pretesa, ha negato l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 2901, co.
3, c.c. non considerando che si tratti di pagamenti per debiti ormai scaduti nell’assunto, ritenuto erroneo, che l’accipiens abbia conseguito il pagamento non in forza di un adempimento in senso tecnico, ma quale effetto finale di un accordo novativo, peraltro non individuato né dalla Curatela, né dal giudice, soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello in forza del quale il pagamento era dovuto e idoneo a consentire il soddisfacimento del credito in esame;
né sarebbe stata considerata l’inesistenza di qualsivoglia atto di disposizione da parte della fallita, costretta a pagare il proprio debito scaduto solo in adempimento dell’ordinanza di assegnazione resa dal G.E. nel giudizio di pignoramento presso terzi.
La censura non coglie nel segno.
Osserva il Collegio come la questione di diritto posta dalla censura vada risolta al lume del consolidato orientamento della costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui nelle operazioni eseguite nel periodo sospetto rientra anche l’effettivo soddisfacimento del credito mediante esecuzione forzata individuale.
Afferma, infatti, la Cassazione che “Il pagamento del terzo pignorato nell’esecuzione forzata individuale è revocabile nel successivo fallimento del debitore quando abbia inciso sul patrimonio del fallito perché eseguito con denaro a questi dovuto essendo il solvens obbligato verso il debitore assoggettato ad esecuzione forzata e successivamente dichiarato fallito” (cfr. Cass. 23652/2012;
si veda anche Cass. Civ. Sez. VI n. 7750 del 28.03.2018) e che debba predicarsi la revocabilità del pagamento, ottenuto dal creditore mediante esperimento di procedura esecutiva individuale, nella specie espropriazione presso terzi, essendo indubbio che siffatto pagamento, poiché risalente al c.d. “periodo sospetto”, realizza il soddisfacimento del creditore procedente, seppur in forma coattiva, in senso assolutamente analogo a quello attuato liberamente dallo stesso debitore l’atteggiamento psicologico che lo sorregge, se cioè sia frutto di libera scelta del debitore ovvero prescinda dalla sua volontà, ma l’effetto che esso procura sulla integrità della garanzia patrimoniale, cui procura lesione, atteso il suo valore comunque preferenziale, compromettendo conseguentemente la par condicio creditorum.
Per completezza del discorso deve, inoltre, essere precisato, anche in relazione alla individuazione del periodo sospetto, che “nell’ipotesi di soddisfacimento delle ragioni dei creditori mediante procedure esecutive individuali (come l’espropriazione presso terzi), gli atti soggetti a revocatoria ex art. 67 L.F., in quanto compiuti entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, non sono i provvedimenti del giudice dell’esecuzione (nella specie, assegnazione di un credito vantato dal fallito presso terzi) bensì i soli, successivi (e distinti) atti di pagamento coattivo in tal modo ottenuti, con la conseguenza che, ai fini del computo del cd. “periodo sospetto”, occorre fare riferimento alla data in cui il soddisfacimento sia stato concretamente conseguito” (Cass., sez. 1, 19 luglio 2012, n. 12545; 19 novembre 2008, n. 27518; 3 marzo 2006, n. 4749; 12 gennaio 2006, n. 463; 30 marzo 2005, n. 6737; 25 giugno 1998, n. 6291; 26 febbraio 1994, n. 1968; 4 dicembre 1990, n. 11608; 30 gennaio 1985, n. 586).
In applicazione del suesposto autorevole principio, il motivo va rigettato pur se con motivazione diversa da quella adottata dal Tribunale di Pesaro, che ha ricollegato la revocabilità del pagamento ad una non meglio specificata novazione intercorsa tra le parti.
Con il terzo motivo di gravame la difesa appellante critica la sentenza nella parte in cui ha dichiarato accertata la sussistenza sia dell’eventus damni, sia della scientia damni e, per l’effetto, ha dichiarato la fondatezza della domanda attorea, nel ritenuto erroneo convincimento che la Curatela abbia dimostrato la sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria esperita.
L’assunto non è condivisibile.
E’ noto come il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria, il c.d. “eventus damni”, si verifichi non solo quando l’atto compromette totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando determina una variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio che rende più difficile il soddisfacimento del credito, incombendo sul creditore l’onere della prova di tali modificazioni, mentre sul debitore quello di dimostrare che il suo patrimonio residuo sia sufficiente a soddisfare ampiamente le ragioni del creditore, tuttavia, nel caso di revocatoria ordinaria esercitata dal fallimento, il curatore ordinaria esercitata dal fallimento non può trovare applicazione la regola secondo cui, a fronte dell’allegazione, da parte del creditore, delle circostanze che integrano l’eventus damni, incombe sul debitore l’onere di provare che il patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare le ragioni della controparte, in quanto, da un lato, il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore fallito e, dall’altro, in ossequio al principio della vicinanza della prova, tale onere non può essere posto a carico del convenuto, beneficiario dell’atto impugnato, che non è tenuto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale del suo dante causa, sicché il fallimento è onerato di fornire la prova che il patrimonio residuo del debitore fallito era di dimensioni tali, in rapporto all’entità della propria complessiva esposizione debitoria, da esporre a rischio il soddisfacimento dei creditori” (Cassazione Civile, sez. I, sent. 8.02.2019, n. 3871; Cass. 18.04.2018, n. 9565, Cass. 12.04.2013, n. 8931).
Ebbene, secondo le regole generali della revocatoria ordinaria, va evidenziato come sotto il profilo oggettivo non sia necessario dimostrare la totale compromissione della consistenza dei beni del debitore, essendo sufficiente il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, nel senso che l’eventus damni può consistere non solo in una variazione quantitativa del suo patrimonio, ma anche in una modificazione qualitativa del medesimo (cfr., ex plurimis, Cass. 29 marzo 2007, n. 7767; Cass. 9 febbraio 2012, n. 1896; Cass. 3 febbraio 2015, n. 1902) e, nel caso di specie, va considerato che il pregiudizio arrecato ai creditori è insito nel pagamento integrale ricevuto dalla società appellante che risulta essere ampiamente superiore a quello che le sarebbe spettato in moneta fallimentare: ed infatti, il raffronto dell’attivo realizzato di circa €.2.000.000 con lo stato passivo di oltre €.7.000.000 denota l’ oggettiva impossibilità di integrale soddisfazione dei creditori, con conseguente assolvimento della prova del mutamento quantitativo e qualitativo subito dal patrimonio del debitore per effetto del compimento del negozio giuridico che si assume pregiudizievole, il quale consiste nel pagamento integrale del creditore/attuale appellante da parte del terzo pignorato nel periodo sospetto di legge.
Passando all’esame della sussistenza del requisito soggettivo, il pagamento coattivo ottenuto dal creditore mediante esperimento di procedura esecutiva individuale è revocabile in quanto l’accipiens ha la percezione diretta dello stato di difficoltà dell’imprenditore, per cui vi è la concreta violazione della par condicio creditorum, sancito a tutela di tutti i creditori nell’esecuzione concorsuale, essendo stato costretto ad agire esecutivamente in suo danno.
ipotesi previste al comma precedente, pone l’onere della prova della scientia decotionis in capo alla Curatela;
la prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente deve essere effettiva, ma può essere provata anche mediante prova indiziaria e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività (cfr. Cass. n. 3336/2015).
Si è, quindi, affermato che “in tema di elemento soggettivo dell’azione revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 2, l. fall.
, la scientia decoctionis in capo al terzo, come effettiva conoscenza dello stato di insolvenza, è oggetto di apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato, potendosi formare il relativo convincimento anche attraverso il ricorso alle presunzioni, alla luce del parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza, con rilevanza peculiare della condizione professionale dell’accipiens e del contesto nel quale gli atti solutori si sono realizzati” (Cass., Sez. 1, Ord. n. 3081 dell’8.02.2018; da ultimo anche Cass., Sez. 1, Ord. n. 3854 dell’8.02.2019).
In altre parole, è richiesto un collegamento concreto tra il soggetto che riceve il pagamento e le condizioni in cui opera, il cui giudizio di sussistenza può essere effettuato, oltre che per mezzo di prove dirette, anche mediante presunzioni, purché rispettino i requisiti posti dall’art. 2729 c.c.
Il criterio di giudizio di conoscenza effettiva è quello della diligenza media richiesta al creditore della fallita sulla base delle condizioni economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali nelle quali si sia concretamente trovato ad operare, avuto anche riguardo all’eventuale esistenza di rapporti professionali consolidati.
Ebbene nel caso di specie dalla documentazione in atti emergono indizi gravi, convergenti verso la prova che il creditore procedente, convenuto nel giudizio di revocatoria, fosse ben a conoscenza dello stato di difficoltà economica del debitore esecutato, poi dichiarato fallito;
ed infatti, la prova della scientia decotionis è emersa alla luce dello stesso esperimento della procedura esecutiva, attivata dalla creditrice per conseguire il pagamento del suo credito, sintomatico dell’assunzione di informazioni sulla situazione economica della debitrice, dunque dell’esistenza di istanze di fallimento (successive al rigetto della domanda di concordato), già proposte prima dell’atto dispositivo e di cui la creditrice/appellante era a conoscenza, avendolo anche riferito in udienza.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte rigetta l’appello e conferma integralmente la sentenza impugnata.
In considerazione dell’integrale rigetto dell’appello, ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater DPR n. 115/2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (applicabile ratione temporis, essendo stato l’appello proposto dopo il 30 gennaio 2013) per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico della parte appellante (cfr. Cass. civile, sez. II, 5.02.2018, n. 2753).
La Corte, ogni diversa domanda, istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 742/2020 emessa in data 29.10.2020 dal Tribunale di Pesaro, così provvede:
Rigetta l’appello proposto;
Conferma per l’effetto l’impugnato provvedimento;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, D.P.R. 115/02, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13;
Condanna parte appellante alla refusione, in favore di parte appellata, delle spese processuali del grado di appello, che liquida in complessivi €.6.946 (di cui €.2.058 per studio controversia, €.1.418 per fase introduttiva ed €.3.470 per fase decisionale), oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettario al 15% sulle voci imponibili di legge ed oltre al rimborso delle spese vive documentate.
Così deciso in Ancona, nella camera di consiglio tenutasi da remoto in data 5.06.2024.
Il Presidente Dott.ssa NOME COGNOME Il Giudice Ausiliario Est.
dott.ssa NOME COGNOME
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