CORTE D’ APPELLO DI MESSINA
SEZIONE LAVORO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’ Appello di Messina, composta dai Signori Magistrati :
1 all’ udienza collegiale a trattazione scritta del 14 giugno 2022 ha pronunziato la seguente:
SENTENZA n. 502/2022 pubblicata il 21/06/2022
nella causa n. 260/2020 vertente tra:
XXX,
APPELLANTE
CONTRO
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante,
rappresentato e difeso dall’avv.
APPELLATO
OGGETTO: pensione di reversibilità per inabile – appello avverso la sentenza del Giudice del lavoro di Patti n. 101/2020 emessa in data 23/1/2020
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 4/3/2011 al Giudice del Lavoro del Tribunale di Patti, XXX chiedeva il riconoscimento del proprio diritto alla pensione di reversibilità della pensione di invalidità di cui godeva la madre ***, stante la propria condizione di soggetto inabile al lavoro e ciò a far data dal decesso della congiunta, avvenuto il 19/10/2010.
Disposta CTU che accertava l’insussistenza della inabilità a carico del XXX, il Giudice del Lavoro con la sentenza richiamata in epigrafe rigettava la domanda.
Con ricorso depositato il 31/8/2020, il predetto XXX proponeva appello, insistendo nell’accoglimento delle proprie pretese.
Nella costituzione dell’Inps che chiedeva la conferma della sentenza impugnata, all’odierna udienza, la Corte ha deciso la causa, depositando il dispositivo di sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deduce il XXX che il giudice non avrebbe dovuto fare proprie le risultanze di una consulenza che non avrebbe colto le reali condizioni patologiche di esso ricorrente. Il ctu si sarebbe limitato a rilevare l’insussistenza di documenti sanitari attestanti le proprie condizioni di salute all’epoca del decesso della madre, senza procedere comunque ad una ricostruzione dello stato di salute desumibile da tutta la documentazione medica antecedente e posteriore pure prodotta. Ribadisce la rilevanza della patologia quale quella di un ritardo mentale patita fin dalla nascita a evoluzione ingravescente e non emendabile le cui quotidiane manifestazioni sarebbero state puntualmente annotate nella cartella clinica del Dipartimento di salute Mentale e che il ctu avrebbe trascurato.
Contesta altresì la pronuncia di tardività della documentazione depositata in data 21/1/2020 e costituita dalla ctu espletata in altro giudizio per l’ottenimento della pensione di reversibilità del padre ***, deceduto il 3/1/1997. Deduce al riguardo che detto deposito sarebbe avvenuto tempestivamente, essendo stata detta ctu a sua volta depositata in quel giudizio (n. 559/2016) solo in data 20\1\2020. Richiama sul punto l’orientamento della Corte di Cassazione che consente, nel rito del lavoro, la produzione tardiva nel caso in cui si tratti di documenti formati successivamente al deposito del ricorso. Ribadisce la rilevanza di detta ctu, redatta dalla dott.ssa ***, specialista in Neuropsichiatria, che avrebbe concluso ritenendo “XXX inabile all’epoca della morte dei genitori” con diritto alla pensione di reversibilità del padre. Evidenzia che in aderenza a dette conclusioni, il giudice del Tribunale di Patti con la sentenza n. 168\2020 del 12/2/2020 che oggi produce avrebbe riconosciuto la spettanza di detta pensione.
Nel corso del presente giudizio l’appellante ha pure depositato la sentenza di questa Corte di appello n. 261\2021 che ha dichiarato improcedibile l’appello avverso detta sentenza proposto dall’Inps con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado .
Orbene ritiene innanzitutto la Corte del tutto ammissibile la produzione dei documenti effettuata in primo grado e nel presente, alla stregua dei consolidati principi elaborati dalla Corte di Cassazione pure richiamati dall’appellante.
Se è vero infatti che l’omessa indicazione di un documento, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, e l’omesso deposito del medesimo contestualmente a tale atto, determina la decadenza del diritto alla produzione e che “l’ irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende, poi, il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello “ (così testualmente la sentenza a Sez Un del 2005), la produzione tardiva può essere, tuttavia, ammessa ove si tratti di documenti formati o giunti nella disponibilità della parte solo dopo lo spirare dei termini preclusivi (Cass. 19 febbraio 2009, n. 4080; Cass. 26 gennaio 2004, n. 1369; Cass. 10 maggio 1995, n. 5068), oppure se la loro rilevanza emerga in ragione dell’esigenza di replicare a difese altrui che, in adeguamento agli sviluppi indotti dal contraddittorio, giustifichino l’ampiamento probatorio (Cass. 23 marzo 2009, n. 6969; Cass. 13 luglio 2009, n. 16337).
Tale rigoroso sistema di preclusioni trova invero un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è funzionale il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova ai sensi di quanto disposto dagli artt 421 e 437 cpc. Precisa tuttavia la Corte di Cassazione che i poteri istruttori d’ufficio di cui all’art. 421 c.p.c., non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale (Cass. n. 11847/2009; conformi: Cass. n. 12002/2002; Cass. n. 17102/2009; Cass. n. 15899/2011) L’acquisizione documentale, dunque, può essere disposta d’ufficio, anche su sollecitazione di parte, se i documenti risultino indispensabili per la decisione, cioè necessari per integrare, in definizione di una pista probatoria concretamente emersa, la dimostrazione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui sussistenza o insussistenza, altrimenti, sarebbe destinata ad essere definita secondo la regola sull’onere della prova ( così Cass 17/12/2019 n. 33393). La Corte di Cassazione puntualizza in altri pronunciamenti che “ i mezzi istruttori, preclusi alle parti, possono essere ammessi d’ufficio, ma suppongono, tuttavia, la preesistenza di altri mezzi istruttori, ritualmente acquisiti, che siano meritevoli dell’integrazione affidata alle prove ufficiose “ (così Cass 26/9/2019 n. 8381).
Gli stessi limiti operano anche per il recupero ex art 437 comma 2 cpc in appello di documenti tardivamente depositati o non prodotti in primo grado che il giudice può ammettere, anche d’ufficio, “ove li ritenga indispensabili ai fini della decisione, in quanto idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purchè allegati nell’atto introduttivo, seppure implicitamente, e sempre che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dai mezzi istruttori, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado “ ( così Cass. 15/5/2018 n. 11845 ).
Alla stregua dei principi di diritto fin qui evidenziati e che questa Corte condivide pienamente, può essere ammessa la prova documentale sollecitata dal XXX, trattandosi di documenti formatisi durante il giudizio di primo grado (ctu depositata il 20/1/2020 nel proc n. 559/2016) e, quanto alle sentenze (quella del Tribunale n. 168/2020 in data 12/2/2020 e quella della Corte d’appello n. appello n. 261\2021 il 7/7/2021), nella pendenza del presente grado ed indispensabili ai fini del decidere.
Nel merito tuttavia l’appello non merita accoglimento.
Costituisce dato pacifico, riconosciuto dal ctu di primo grado, che il XXX è affetto da “Sindrome ansioso-depressiva e disturbi comportamentali in soggetto con ritardo mentale medio”. Il ctu ha constatato l’esistenza di dette patologie alla data del suo accertamento ( 6\2\2017), ritenendole già presenti nel 2014, epoca della relazione specialistica del 3/3/2014 del dott. *** dell’Asp di Patti, e le ha valutate “ di non particolare gravità”. Ha poi evidenziato l’insussistenza di documenti sanitari che comprovassero alla data del decesso della madre – 19 ottobre 2010 – condizioni patologiche tali da impedire al periziando qualunque proficuo lavoro. Si tratta di un giudizio che, pur nella sua sinteticità e parziale incompletezza per il mancato esplicito riferimento alla intera documentazione medica in atti, appare alla Corte corretto. Invero. esaminando detta documentazione ed essenzialmente la cartella medica, risulta che il XXX fin dall’1\8\1984, e dunque da quando aveva 9 anni, è stato in carico prima presso il Servizio di Neuropsichiatria infantile e poi presso il Dipartimento di salute mentale. Inizialmente aveva un ritardo mentale ritenuto lieve associato ai disturbi comportamentali ed anzi negli anni 90\92 si dà atto in cartella che lo stesso appariva più tranquillo e comunicativo e nel 1995 si riferisce pure che aveva ultimato un corso professionale per l’artigianato ,che la sua intelligenza era inficiata in lieve grado, e che i disturbi comportamentali erano contenuti in una discreta vita relazionale con buona capacità di adattamento e senza disturbi dell’umore. Dal 10\7\1995 il XXX torna in ambulatorio il 22\2\2014, dunque a distanza di quasi vent’anni, e si dà atto in cartella che il fratello gemello è morto ( nel 2014) così come i genitori ( il padre nel 1997 e la madre nel 2010) e che il paziente “ appare smarrito, dipendente e non in grado di far fronte alla situazione che si è creata”. Segue la relazione del 26/6/2014 ( quella richiamata dal ctu ) in cui il dott. *** rileva che il XXX ha un ritardo mentale medio, disturbo da deficit di attenzione con un peggioramento dell’isolamento e dell’incapacità di badare a se stesso cui si sono aggiunti uno stato tensivo ansioso e un certo grado di deflessione umorale. Così ricostruiti i dati relativi all’evoluzione della malattia, di contro a quanto sostenuto dall’appellante, non si traggono elementi indicativi di una condizione patologica del XXX tale da renderlo inabile al lavoro alla data del decesso della madre e che il ctu avrebbe trascurato.
Detto giudizio va tuttavia rivisto alla stregua dei documenti oggi acquisiti e costituiti essenzialmente dagli esiti favorevoli del giudizio promosso dal XXX per ottenere la pensione di reversibilità della della prestazione IO già in godimento del padre.
Va innanzitutto affrontata la questione della rilevanza del giudicato formatosi su detta domanda. Ora, è indubbio che l’accertamento contenuto nella sentenza di accoglimento di detta pretesa si estenda a tutti gli elementi che concorrono ad integrare per legge la fattispecie costitutiva del diritto alla suddetta pensione e, quindi, al requisito sanitario e a quello della vivenza a carico del padre. Poiché tuttavia il giudicato su detti requisiti vale sempre e solo in relazione alla data del decesso del padre avvenuto nel 1997, esso non è vincolante nel presente giudizio ove invece si discute del diritto in relazione alla pensione della madre, deceduta nel 2010.
Rimane comunque la valenza in termini di prova atipica che va attribuita alla consulenza tecnica resa in quel giudizio. Anche se il ctu, dott.ssa ***, nel rilevare la stessa patologia mentale di grado medio a carico del XXX, ha erroneamente posto l’accento sull’ invalidità civile al 100% con diritto di accompagnatore, già riconosciuta al XXX facendo applicazione delle Tabelle per l’invalidità civile del DM 1992, ha comunque reso un giudizio che dà contezza della precaria condizione di salute mentale del XXX, che “ riduce in maniera importante la capacità di astrazione e di valutazione dei pericoli per sé e di quelli che può arrecare agli altri con le sue azioni ….. necessita sempre di una supervisione ed è incapace di gestire da solo la variabilità ed imprevisti della vita quotidiana”. A ciò si aggiungono le turbe del comportamento di tipo psicotico evidenziate dalla falsa credenza di essere “ il Sindaco” del paese e di doversi recare in Comune per lavorare. Una situazione patologica che il ctu, peraltro, ha ritenuto sussistente non solo alla data del decesso del padre ma che ha esteso fino alla data del suo accertamento intervenuto nel 2019 e che come tale, anche a parere di questa Corte, comporta una assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
Tuttavia, pur ritenendo sulla scorta di detta ctu l’esistenza del requisito sanitario dell’inabilità al lavoro, osta all’accoglimento della domanda la totale carenza di prova e ancor prima di allegazione della cd vivenza a carico della madre pensionata, al momento della sua morte. Come è noto infatti anche detto requisito integra un fatto costitutivo del diritto alla pensione di reversibilità previsto in favore del figlio superstite maggiorenne di cui sia riconosciuto l’inabilità al lavoro.
Proprio di recente la Corte di Cassazione con la sentenza del 27/12/2021 n. 41548 ha affermato che la “vivenza a carico”, se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria dei soggetto inabile, va considerata con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile (nella specie, il requisito della vivenza a carico non era stato oggetto di alcuna allegazione essendo stato depositato esclusivamente il certificato di morte della madre ed uno stato di famiglia ).
Nel ricorso il XXX ha incentrato le proprie richieste e allegazioni solo sulla situazione di totale inabilità, senza fare alcun riferimento alla necessaria situazione di dipendenza economica dalla madre all’epoca del decesso, in una situazione peraltro in cui lo stesso dichiarava di essere titolare di pensione di invalidità e che dello stato di famiglia alla data del decesso della madre faceva pure parte l’altro fratello inabile XXX Nunzio, deceduto nel 2014, anch’esso percettore di pensione.
L’appello va dunque rigettato.
Nulla per le spese di lite, stante la dichiarazione ex art. 152 disp.att. effettuata in primo grado.
Nonostante la dichiarazione reddituale ex art 76 DPR 15/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari a quella prevista per il contributo unificato. Al riguardo la Corte di Cassazione a sez un con la sentenza del 20/2/2020 n. 4315, ha chiarito che in tema di raddoppio del contributo unificato a carico della parte impugnante ex art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, il giudice dell’impugnazione deve rendere l’attestazione della sussistenza del presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, quando la pronuncia adottata è inquadrabile nei tipi previsti dalla norma (integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione), eventualmente condizionandola all’effettiva debenza del contributo unificato iniziale, che spetta all’amministrazione giudiziaria accertare, tenendo conto di cause di esenzione o di prenotazione a debito, originarie o sopravvenute, e del loro eventuale venir meno.
P. Q. M.
definitivamente pronunziando sull’appello proposto da XXX avverso la sentenza del Tribunale di Patti n. 101/2020 emessa in data 23/1/2020, così provvede:
– rigetta l’appello;
– nulla per le spese;
– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo pari a quello già previsto a titolo di contributo unificato ex art 13 L. n. 115\2002, ove dovuto.
Messina, 14/6/2022.
Il Consigliere est
Il Presidente
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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