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Riconoscimento indennizzo per talidomide

La sentenza ribadisce che la prova del nesso causale tra l’assunzione di talidomide da parte della madre durante la gravidanza e le malformazioni del figlio deve essere rigorosa. Si precisa inoltre che la conoscenza ai fini della prescrizione non si presume ma deve essere effettiva e riconducibile ad una diagnosi medica.

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Pubblicato il 30 novembre 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE LAVORO composta da:

NOME COGNOME PRESIDENTE NOME COGNOME CONSIGLIERA NOME COGNOME CONSIGLIERA REL.

all’udienza in data 7 novembre 2024 ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._274_2024_- N._R.G._00000028_2023 DEL_09_11_2024 PUBBLICATA_IL_11_11_2024

nella causa di lavoro iscritta al n. R.G. 28 /2023 promossa da:

(C.F. , assistito e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME ) e NOME COGNOME appellante (C.F. ), assistito e difeso dall’AVVOCATURA DELLO STATO di GENOVA (NUMERO_DOCUMENTO) appellato OGGETTO:

Prestazione: indennita – rendita vitalizia o equivalente – altre ipotesi

CONCLUSIONI

per l’appellante:

come da verbale di udienza di discussione.

per l’appellato:

come da verbale di udienza di discussione.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE C.F. C.F. C.F. sentenza n. 199/2022 pubblicata in data 25 luglio 2022 il Tribunale di Genova ha respinto il ricorso promosso da avverso al fine di ottenere l’accertamento del diritto a percepire l’indennizzo previsto dall’art. 2 co. 363 della legge n. 244/2007 e successive modifiche, sul presupposto di aver patito sin dalla nascita di malformazioni connesse all’assunzione da parte della propria madre, durante la gravidanza, del farmaco talidomide.

Il Tribunale ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dal in quanto il ricorrente, nato il 7 maggio 1959 e portatore di focomelia all’arto superiore sinistro, doveva presumersi essere stato edotto già prima dell’1.1.2008 (data di entrata in vigore della legge n. 244/2007) dell’eziologia causale – trattandosi di patologia patita dalla nascita, considerata la notorietà del caso talidomide, (con i ritiro del farmaco dal commercio all’inizio degli anni ’60) e la tipicità della correlazione tra focomelia ed assunzione del farmaco – e quindi ben avrebbe potuto attivarsi per tempo. Né poteva attribuirsi rilievo a scelte soggettive quale quella di richiedere una consulenza legale, essendo per contro necessaria una conoscibilità basata su criteri oggettivi, parametrati anche alla diligenza esigibile dall’uomo medio.

Con ricorso depositato in data 19/01/2023 propone appello sulla base dei seguenti motivi:

1) Erroneità della valutazione del Tribunale in punto a decorrenza della prescrizione:

per il ricorrente era impossibile stabilire se la lesione fosse causalmente ricollegabile all’assunzione di talidomide in assenza di una puntuale analisi da parte di medico specializzato, considerata anche la natura monolaterale della patologia che lo , che secondo il non poteva presumersi connessa all’assunzione di talidomide.

Avendo acquisito tale conoscenza solamente il 6 dicembre 2018, data della perizia redatta da medico specialista, la domanda amministrativa presentata nel giugno 2019 doveva ritenersi tempestiva.

2) Erroneità dell’applicazione del termine di decadenza decennale previsto dall’art. 2 del DM 2 ottobre 2009 n. 163, decreto che andava disapplicato in quanto contrastante con l’art. 3 della Costituzione nonché con gli artt. 1934 e 1966 c.c., laddove stabiliva la decorrenza del termine dall’entrata in vigore della legge n. 244/2007 e non dalla conoscenza del danno e del nesso causale con l’assunzione del farmaco, disciplinando peraltro aspetti non demandati alla normazione secondaria.

Parte appellante chiede pertanto che venga dato corso a CTU medico – legale al fine di accertare la compatibilità tra le lesioni patite e l’assunzione del farmaco a base di talidomide da parte della propria madre durante la gravidanza.

resiste.

Con ordinanza del 24.10.2023 è stata disposta CTU medico legale.

A seguito di istanza depositata in data 7.2.2024 è stata concessa la proroga dei termini per il deposito dell’elaborato peritale.

All’esito, la causa è stata discussa all’udienza del 7 novembre 2024 e decisa come da separato dispositivo.

Ω Ω Ω L’appello è infondato e la sentenza va confermata, sia pure sulla base di diversa motivazione.

su fattispecie di danni da somministrazione in gravidanza di farmaco contenente talidomide, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che “come per il danno da emotrasfusioni, anche per il danno da somministrazione di un farmaco senza adeguati controlli sulle potenzialità di produrre effetti collaterali dannosi per la salute (farmaco sedimide, contenente talidomide) vale il principio per cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio (sia esso da emotrasfusioni o da somministrazione di un farmaco rivelatosi nocivo) una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si è rivolto il paziente, dovendosi accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze (cfr, Cass. n. 10515/2020, con principio ribadito, da ultimo, da Cass. n. 2375/2024). Tanto chiarito, non può condividersi la valutazione del Tribunale che fonda la prova della conoscenza rilevante ai fini del decorso della prescrizione sulla seguente presunzione:

il consapevole dell’assunzione del farmaco da parte della propria madre, avendo dovuto “richiedere diverse volte cure mediche” durante la propria vita, deve essere stato reso edotto “da almeno uno dei medici che lo hanno curato della tipica correlazione tra la focomelia e assunzione di talidomide in gravidanza”.

Siffatta considerazione eleva ad indizio un fatto solo supposto in quanto ritenuto verosimile ma che non vi è prova si sia realmente verificato.

La Suprema Corte ha di recente censurato analoga supposizione, osservando che “la sentenza impugnata – formulando mere ipotesi congetturali, sfornite di qualsivoglia base fattuale – ha disatteso il principio secondo cui una simile prova presuntiva, proprio perché destinata a contraddire un fatto storico obiettivo (la presentazione della domanda di indennizzo), “si deve fondare su fatti certi”, ovvero, “si deve dedurre da questi sulla base di massime d’esperienza o dell’«id quod plerumque accidit»”, non potendo tale presunzione consistere in una congettura, o meglio in “una mera supposizione”, ciò che si verifica, appunto, quando la presunzione si fondi “su fatti incerti” e venga “dedotta da questi in via di semplice ipotesi”; in altri termini occorre che “il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle «praesumptiones de praesumpto»” (cfr. Cass. n. 2375/2024) Inoltre non è corretta neppure la riconducibilità al fatto notorio di nozioni che richiedano una competenza scientifica, e dunque la valutazione secondo cui “gli effetti teratogeni del farmaco talidomide hanno avuto ampia notorietà in Italia e in tutto il mondo, non solo nelle pubblicazioni scientifiche ma anche nella stampa (…)”. Come puntualizzato dalla Suprema Corte “Nelle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza di cui all’art. 115, comma 2, c.p.c. sono escluse quelle valutazioni che, per essere formulate, necessitino di un apprezzamento tecnico, da acquisirsi mediante c.t.u. o mezzi cognitivi peritali analoghi per le quali, quindi, non possa parlarsi di fatti o regole di esperienza pacificamente acquisite al patrimonio conoscitivo dell’uomo medio o della collettività con un grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile” (cfr. Cass. n. 15159 del 2019). Nel caso di specie non vi è prova che il ricorrente fosse a conoscenza del collegamento tra la menomazione patita dalla nascita e la sua pretesa riconducibilità all’assunzione di talidomide da parte della di lui madre prima dell’acquisizione del parere di medico specialista in data 6 dicembre 2018 (cfr. doc. n. 1 di parte ricorrente).

Tanto più considerato che nella fattispecie si discute la stessa riconducibilità delle malformazioni congenite patite dall’appellante al fenotipo malformativo della focomelia, vertendosi in ipotesi di malformazione monolaterale, terminale e trasversa, con deficit in minus di avambraccio e mano che, secondo il , figura nell’elenco delle malformazioni non attribuibili alla talidomide di cui al parere 0029140 del 1° luglio 2010 dell’Istituto Superiore di Sanità.

L’eccezione di prescrizione svolta dal è pertanto infondata, e la sentenza impugnava viene emendata sul punto.

Occorre a questo punto sgombrare il campo da ulteriore argomentazione difensiva del resistente.

Il diritto all’indennizzo per i soggetti affetti da sindrome da talidomide è stato riconosciuto dall’art. 2, comma 363, della l. 244/2007, che richiama l’indennizzo di cui alle leggi nn. 229/2005 e 210/1992 (previsto in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, emotrasfusioni somministrazioni ).

Il successivo D.L. n. 207/2008, convertito con legge n. 14/2009, ha poi precisato, all’art. 31, comma 1bis, che l’indennizzo di cui all’art. 2, comma 363, della legge n. 244/2007 si intende riconosciuto ai soggetti affetti da sindrome da talidomide nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia, nati negli anni dal 1959 al 1965.

L’art. 21-ter, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2016, n.113 convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2016, n. 160, ha esteso il suddetto beneficio anche ai nati nel 1958 e nel 1966.

Chiarito il quadro normativo di riferimento, deve ritenersi priva di pregio la tesi del secondo cui, essendo il ricorrente nato il 7 maggio 1959, e dunque un mese prima della commercializzazione del farmaco in Italia, è inverosimile che la di lui madre ne abbia fatto uso in gravidanza.

Come osservato dalla Corte Costituzionale nello scrutinare la costituzionalità dell’intervento normativo che ha esteso la provvidenza assistenziale anche ai nati nel 1958 e nel 1966, deve considerarsi che “al pari che per i nati dal 1959 al 1965, anche per i nati nel 1966 l’assunzione del farmaco può essere direttamente correlata alla sua commercializzazione, consentita in Italia negli anni immediatamente precedenti, assunzione tale, considerato il periodo di validità del farmaco stesso, da protrarre i suoi effetti fino a quell’anno; mentre, per i nati nell’anno 1958, l’assunzione può dipendere dall’eventuale ingresso del farmaco in territorio italiano dai mercati stranieri, in virtù della sua registrazione operata in data 2 aprile 1958, ai sensi dell’art. 162 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie)” (cfr. Corte Cost., sent. n. 55/2019).

’ stato pertanto dato ingresso alla CTU medico legale in forma collegiale al fine di verificare la compatibilità delle menomazioni patite dall’appellante con l’assunzione di talidomide.

Il collegio peritale, visitato il ricorrente ed esaminata la documentazione medica e la letteratura scientifica nel contradittorio delle parti, ha ascritto tali malformazioni nell’ambito dei difetti di riduzione degli arti (Limb reduction defects, LRD) ossia dei difetti congeniti caratterizzati dall’assenza o dall’ipoplasia di un arto.

Tenuto conto della più recente letteratura scientifica, puntualmente richiamata nell’elaborato peritale, ha contestato la valutazione del CTP dell’appellante, che classifica la malformazione presentata dal come focomelia dell’arto superiore sinistro, ritenendo di doverla classificare quale “difetto terminale trasversale”.

Anche considerando l’assunzione di talidomide come presunta (e quindi privando di rilievo qualsivoglia considerazione sulla verosimiglianza dell’assunzione di talidomide da parte della madre dell’appellante), il Collegio peritale ha quindi concluso nel senso che “il quadro della malformazione presentata dal signor (difetto trasversale terminale), monolaterale, senza documentate alterazioni del cingolo scapolare, negli esposti gravidanza alla talidomide appare improbabile”.

In particolare, secondo i CCTTUU, le caratteristiche della malformazione appaiono “come non coerenti con la definizione classica di focomelia, caratterizzata dall’assenza o riduzione dello sviluppo della porzione distale prossimale (ndr: così nel testo) dell’arto con la parte distale pressoché conservata.

. caso del signor è presente una riduzione dello sviluppo dell’avambraccio sx, con assenza del polso e della mano sx e la presenza di abbozzi delle dita.

È pertanto la porzione distale dell’arto sinistro a essere maggiormente interessata, mentre quella prossimale (omero) è pressoché conservata.

A parere di chi scrive, sulla base dei criteri riportati da COGNOME et al, il tipo di malformazione del Sig appare inquadrabile come difetto trasversale terminale.

Si tratta, quindi, di un tipo di malformazione con un’associazione all’embriopatia da talidomide ritenuta improbabile.

[COGNOME e 1988; COGNOME et al, 2019].

Inoltre, nel caso del signor a ridurre le probabilità che le malformazioni possano essere attribuibili alla talidomide c’è il fatto che il danno è monolaterale e che nella documentazione presente agli atti non c’è evidenza di compromissione del cingolo scapolare, né è emersa in sede di visita, considerati entrambi criteri di esclusione.

e COGNOME, 1988] In tempi recenti, che la monolateralità della malformazione possa rappresentare di per sé un criterio di esclusione assoluto per l’associazione con la talidomide è oggetto di dibattito.

Circa la monolateralità, il collegio peritale dà conto dei casi registrati nel mondo ed ascrivibili all’assunzione di talidomide, precisando che “si tratta di casi con una frequenza bassa che sulla base dei dati sopra riportati potrebbe essere complessivamente stimata tra l’1% e il 5% dei casi”.

Precisa tuttavia che oltre alla monolateralità, “anche l’assenza di lesioni a carico del cingolo scapolare non depone per un’attribuzione della malformazione alla talidomide.

Le alterazioni del cingolo scapolare e pelvico sono considerate come caratteristiche della sindrome talidomidica diversi autori [COGNOME 1985;

COGNOME&COGNOME 1988;

Vargesson 2013;

Vargesson 2019]”.

Il Collegio peritale, tenuto conto dei rilievi delle parti, conclude nei seguenti termini:

“Preso atto delle argomentazioni portate dalle parti e visitato il ricorrente si può ritenere che il Sig. sia affetto da malformazione dell’arto sup sn, inquadrabile come difetto trasversale terminale.

Si tratta, quindi, di un tipo di malformazione con un’associazione all’embriopatia da talidomide ritenuta poco probabile.

1988;

et al, 2019], è pertanto assai improbabile che la condizione clinica descritta sia riconducibile all’assunzione del farmaco in oggetto.

I consulenti nominati hanno adottato un metodo di indagine serio e razionale, garantendo il puntuale rispetto del contraddittorio, fornendo risposta alle plurime osservazioni critiche svolte dalla parte appellante tramite il richiamo a letteratura scientifica validata e non contestata dall’appellante, prospettando puntuali deduzioni epidemiologiche- statistiche e quindi offrendo conclusioni basate su un ragionamento ossequioso della metodologia medico-legale.

Le relative conclusioni possono pertanto essere poste a base della decisione.

Al fine di fornire una risposta esaustiva, tenuto conto che secondo il CTP dell’appellante le malformazioni in oggetto sono ascrivibili ad assunzione di talidomine con una probabilità del 20%, i CCTTUU hanno affermato quanto segue:

“Considerando la sola caratteristica della monolateralità, la stima della probabilità di osservare questo evento nei nati da madri che assunto talidomide è inferiore al 5%.

Probabilità che si riduce in modo rilevante considerando le altre caratteristiche già menzionate” Poiché il presupposto normativo del beneficio invocato dall’appellante è la sussistenza della sindrome talidomide determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco e manifestatasi nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della micromelia – difettando nella fattispecie un quadro menomativo compatibile con una sindrome da talidomide, e non essendovi comunque prova del necessario nesso causale con l’assunzione di talidomide secondo la regola probatoria del “più probabile che non”, l’appello viene respinto. La natura della controversia, implicante complesse valutazioni medico- legali oggetto di costante dibattito scientifico, impone la compensazione tra le parti delle spese di lite, e la definitiva messa a carico del resistente delle spese di CTU.

Al rigetto dell’appello consegue, ex lege (art. 1, commi 17-18, L. 228/2012), la dichiarazione che sussistono le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.

Visto l’art. 437 c.p.c. Respinge l’appello.

Spese compensate.

Spese di CTU a carico di parte appellata Dichiara la sussistenza delle condizioni processuali per l’ulteriore pagamento, a carico dell’appellante, di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l’impugnazione.

deciso il 7 novembre 2024 La Consigliera est. La Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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