TRIBUNALE DI NAPOLI XIII sezione civile
Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea N.R.G. 2586724
ORDINANZA_TRIBUNALE_DI_NAPOLI_- N._R.G._00025867_2024 DEL_07_01_2025 PUBBLICATA_IL_07_01_2025
Il giudice, letti gli atti, sciogliendo la riserva del 2.1.2025, scaduto il termine fissato ai sensi dell’art. 127ter c.p.c., OSSERVA quanto segue.
Con ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato il 4.12.2024, il ricorrente indicato in atti chiedeva al Tribunale adito di ordinare alla Questura di Napoli, in via principale, la formalizzazione della domanda di protezione internazionale reiterata nei termini di cui all’art. 26, co.
2 bis, D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, rilasciando l’attestato nominativo comprovante l’avvenuta proposizione della domanda di protezione e cedolino per il rilascio del permesso di soggiorno “richiesta asilo”.
L’istante premetteva che nel maggio del 2023 era entrato in Italia con regolare visto per lavoro subordinato per i flussi cstag cioè quelli agricoli ma che il datore di lavoro era diventato irreperibile per cui rimaneva praticamente senza alcuna copertura finanziaria in Italia, non potendo rientrare in Marocco anche perché essendo omosessuale era discriminato in Marocco e rischiava di essere sanzionato penalmente ai sensi dell’art. 489 CP marocchino che criminalizza gli atti osceni contro natura con individui dello stesso sesso con pene da 6 mesi a 3 anni di reclusione; l’istante fortunatamente in Italia entrava in contatto con una azienda con sede in Napoli alla INDIRIZZO che si dichiarava disponibile all’assunzione regolare;
in data 13 novembre 2024 questo studio inviava nuova pec con promessa di assunzione da parte della medesima ditta sollecitando appuntamento ma nemmeno questa volta la questura rispondeva disponendo un appuntamento né indicando una data futura.
non si costituiva in giudizio.
Tanto alla disamina del merito della domanda cautelare, il ricorso deve essere rigettato per difetto del pericolo nel ritardo.
La parte ricorrente ha dimostrato che il ricorrente ha manifestato la sua volontà di presentare la domanda di protezione internazionale.
È pacifico, inoltre, che al momento della decisione la parte resistente non vi ha provveduto.
Orbene, quanto al fumus boni iuris, esso consta nel diritto alla presentazione della domanda di protezione internazionale nei tempi congrui previsti dall’art. 6 della direttiva 2013/32 UE ed assicurati dal d.lgs 25/08, agli artt. 3, comma 2, 6 e 26.
Il quadro normativo sinteticamente riassunto impone allo Stato di provvedere affinchè chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale abbia l’effettiva e concreta possibilità di inoltrarla quanto prima, trattandosi di diritto fondamentale tutelato dagli artt. 2 e 10 Cost, art. 18 CDFUE ed art. 3 CEDU.
Infatti, ai sensi delle citate disposizioni del d.lgs 25/08, l’ufficio di polizia di frontiera o la questura del luogo di dimora del richiedente sono competenti a essere trasmesso nel breve termine indicato dall’art. 26 alla Commissione Territoriale competente all’esame nel merito.
Dalla regolamentazione legislativa della presentazione della domanda di protezione internazionale, reiterata o meno, si ricava che l’unico compito spettante alla Questura è di riceverla e di raccogliere le dichiarazioni del richiedente, negli appositi modelli e nel rispetto dei tempi fissati dalle menzionate norme, che essa non può derogare, nei fatti, sine die, opponendo difficoltà organizzative che spetta, invece, allo Stato ospitante ed alle sue articolazioni strutturali risolvere nel modo celere che il quadro normativo su sintetizzato impone loro. Il sistema di cui agli artt. 35 e 35 bis d.lgs 25/08 esclude, inoltre, la possibilità di rivolgersi direttamente al giudice per chiedere il riconoscimento della protezione internazionale, essendo necessario il previo esame da parte delle Commissioni Territoriali.
Quanto al periculum in mora ed alla sua necessaria sussistenza, richiesta dall’art. 700 c.p.c. per l’accoglimento della domanda cautelare, in primo luogo, non si concorda con la teoria giuridica suggerita dal ricorrente, a seguire la quale basterebbe a ridimensionare la consistenza del pericolo nel ritardo la sola evidenza, sia pure consistente, della parvenza del diritto e dunque del fumus boni iuris, la cui tutela si invoca per assicurare i proficui effetti della decisione sul merito durante il tempo occorrente per esercitarlo in via ordinaria.
L’art. 700 c.p.c., al quale ricondurre l’azione esercitata, intanto consente di ricorrere al giudice per conseguire i provvedimenti più opportuni, in quanto incomba sul diritto preteso la minaccia di un pregiudizio sia imminente, sia irreparabile, non essendo assolutamente sufficiente neppure che esso si sia verificato e sia ingiusto, altrimenti soccorrendo l’obbligazione risarcitoria che dalla sua produzione deriva.
Nel caso di specie, il fascio di diritti derivanti dalla presentazione della domanda di protezione internazionale, di cui l’istante ha lamentato la compressione ed il sacrificio imminente ed irreparabile – quello a rimanere sul territorio nazionale, in attesa della decisione sulla sua richiesta di protezione, senza essere privato della libertà persona, quello di lavorare e di accedere alle cure mediche – non appare esposto a siffatta minaccia.
Per quanto concerne il rischio di essere espulso, giova sottolineare che il ricorrente ha manifestato alla p.a., tramite il medesimo difensore che lo rappresenta nel presente giudizio, la sua volontà di formulare la domanda di protezione internazionale.
Nel concreto egli si trova, dunque, nella possibilità effettiva non solo di godere di assistenza tecnica ma anche di provare, all’occorrenza, di avere proceduto a manifestare l’intento di chiedere la protezione internazionale.
Questa situazione di fatto esclude che egli possa in concreto essere espulso, stante il relativo divieto espresso, discendente dalla direttiva 322013 UE e dall’art. 7 d.lgs. 252008 (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 26/07/2018, n. 19819:
“In tema di immigrazione, in applicazione dell’ art. 7 del d.lgs. n. 25 del 2008 e in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (in particolare, sentenza 30 maggio 2013, causa C-534/11), il cittadino straniero richiedente asilo ha diritto di rimanere nel territorio dello che, in presenza delle altre condizioni di legge, può comunque essere disposto il suo trattenimento, nel caso in cui la richiesta appaia del tutto strumentale – sicché, operando il divieto di espulsione, il rigetto dell’opposizione avverso il decreto di espulsione, da lui proposta innanzi al giudice di pace, deve ritenersi illegittimo. ”;
Cassazione civile, sez. I, 09/10/2020, n. 21910:
“In tema di protezione internazionale, sussiste il diritto del cittadino extracomunitario, giunto in condizioni di clandestinità sul territorio nazionale e come tale suscettibile di espulsione, ai sensi dell’ art. 13, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 286 del 1998 , di presentare istanza di protezione internazionale e di rimanere nello Stato fino alla definizione della relativa procedura.
Quantunque l’istanza sia inoltrata a mezzo di pec, cui non segua la presentazione di una formale domanda, l’Amministrazione ha dovere di riceverla (inoltrandola al Questore per l’assunzione delle determinazioni di sua competenza), astenendosi da alcuna forma di respingimento e da alcuna misura di espulsione che impedisca il corso e la definizione della richiesta dell’interessato innanzi alle Commissioni designate.”).
Dal divieto di espulsione consegue anche quello di trattenimento, che presuppone o prelude ad un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale, non configurabile per le ragioni esposte.
Peraltro, il trattenimento amministrativo del richiedente protezione internazionale si può disporre solo nelle ipotesi tassative elencate dall’art. 6 d.lgs. 1422015, attuativo delle direttive 332013 sull’accoglienza dei richiedenti protezione e 322013 sul riconoscimento e revoca dello status della protezione internazionale, e, per regola generale dettata al primo comma, mai al solo fine di esaminare la domanda di protezione internazionale.
Inoltre, il rischio che esso si attui, sempre che si versi in una delle ipotesi anzidette elencate dall’art. 6, incombe anche su colui che ha presentato la domanda di protezione internazionale, secondo quanto agevolmente si ricava dall’art. 2 del cit. d.lgs. che, nel dettare le definizioni rilevanti ai suoi fini, prevede che richiedente protezione internazionale o richiedente è non solo lo straniero che ha presentato domanda di protezione internazionale, su cui non e’ stata ancora adottata una decisione definitiva, ma anche colui che ha manifestato la volonta’ di chiedere tale protezione. Per quanto concerne la frustrazione del diritto al lavoro, alcun pregiudizio imminente e, soprattutto, irreparabile per equivalente il richiedente ha dimostrato di temere ragionevolmente.
Quanto al diritto a fruire dell’assistenza sanitaria, in mancanza di allegazione, prim’ancora che di dimostrazione, dell’esistenza di patologie bisognevoli di cure mediche, escludono il pericolo nel ritardo le previsioni dell’art. 35 t.u.i.
, disciplinante l’assistenza erogabile agli stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale, e l’interpretazione relativa fornita dalla giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale a proposito dell’estensione massima, imposta dall’art. 32 C, della tutela del diritto alla salute, riconosciuto ad ogni persona (cfr. Corte Costituzionale n. 252 del 2001, secondo la quale “Lo straniero presente anche se irregolarmente ha comunque diritto ad un nucleo irriducibile di tutela della propria salute quale diritto fondamentale della persona, e può in base a valutazioni mediche da effettuare caso per caso sull’effettiva urgenza delle cure da somministrare; pertanto, l’art. 19, comma 2, t.u. n. 286 cit., nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero extracomunitario che, essendo entrato irregolarmente nel territorio dello Stato, vi permanga al solo scopo di terminare un trattamento terapeutico che risulti essenziale in relazione alle sue pregresse condizioni di salute, non contrasta con gli art. 2 e 32 cost.”;
Cassazione civile , sez. un. , 10/06/2013 , n. 14500, secondo la quale “La garanzia del diritto fondamentale alla salute del cittadino straniero che comunque si trovi nel territorio nazionale impedisce l’espulsione nei confronti di colui che dall’immediata esecuzione del provvedimento potrebbe subire un irreparabile pregiudizio, dovendo tale garanzia comprendere non solo le prestazioni di pronto soccorso e di medicina d’urgenza ma anche tutte le altre prestazioni essenziali per la vita (cassata con rinvio la ordinanza di espulsione di uno straniero affetto da HIV; al giudice del merito il compito di valutare se le cure alle quali era sottoposto il ricorrente in Italia fossero essenziali alla luce del principio secondo cui debbono intendersi tali anche le semplici somministrazioni di farmaci quando si tratti di terapie necessarie a eliminare rischi per la vita o il verificarsi di maggiori danni alla salute, in relazione all’indisponibilità dei farmaci nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe essere espulso”).
In merito alle spese processuali, stante l’esistenza di diversi precedenti giurisprudenziali in materia, sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare le spese del giudizio.
PQM
• rigetta il ricorso;
• compensa le spese processuali Si comunichi alle parti.
Napoli, 2.1.2025 Il giudice Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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