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Codice Civile
Codice Penale

Rigetto appello e appello incidentale in materia di contratti bancari

La sentenza riguarda una controversia bancaria incentrata su interessi ultralegali, anatocismo e segnalazioni alla Centrale Rischi. La Corte d’Appello ha ribadito la necessità della prova documentale per la ripetizione dell’indebito in caso di carenza di estratti conto. Inoltre, ha ribadito la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi in assenza di specifica pattuizione successiva alla delibera CICR del 2000, evidenziando che la sostituzione del regime di capitalizzazione costituisce un peggioramento delle condizioni contrattuali. Infine, la Corte ha chiarito che la segnalazione come “rischi a revoca” non costituisce di per sé un pregiudizio e necessita di specifica prova del danno subito.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Corte D’Appello di Ancona PRIMA SEZIONE CIVILE R.G. 1064/2020 Riunita in camera di consiglio con l’intervento dei sigg.
magistrati Dott.ssa NOME COGNOME Presidente rel.
Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott. NOME COGNOME consigliere Ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._900_2024_- N._R.G._00001064_2020 DEL_07_06_2024 PUBBLICATA_IL_10_06_2024

Nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1064/2020 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2020 e promossa con sede in Potenza Picena (MC) (C.F./P.IVA: (C.F.: , rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME COGNOME del Foro di Macerata elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in Macerata alla RAGIONE_SOCIALE , con sede in , C.F. e n. iscrizione al Registro delle Imprese di Arezzo-Siena , Gruppo IVA  – partita IVA , rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Ancona APPELLATA – appellante incidentale Con l’intervento di C.F. e per essa, C.F. P. delle Imprese presso la Camera di Commercio Metropolitana di Milano-Monza- Brianza- Lodi , rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Ancona INTERVENUTA- appellante incidentale Oggetto: appello avverso sentenza n. 121/2020 emessa dal Tribunale Civile di Macerata in data 09.02.2020 in materia di contratti bancari/ripetizione dell’indebito

Conclusioni:
come da note telematiche in atti.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

e i soci hanno convenuto in giudizio , subentrata nei rapporti che gli stessi avevano intrattenuto fino dal 1993 con l’allora ossia il conto corrente n. (già ) e il conto anticipi n. ), per la ripetizione ex art. 2033 c.c. delle somme illegittimamente addebitata dalla banca a titolo di interessi ultralegali, anatocistici, usurari di commissioni di massimo scoperto non dovute, di oneri passivi e di spese non dovuti;
lamentavano inoltre l’escussione nel 2008 di una fideiussione bancaria di 75.000,00 a fronte del mancato pagamento di fattura verso la RAGIONE_SOCIALE e addebito del relativo importo in conto corrente, la segnalazione, nel corso di un’operazione di ristrutturazione dei debiti che non fosse ricompresa nei conteggi la somma di euro 84.253,13 per ri. insolute e la pretesa di ottenerne il pagamento tramite mutuo chirografario, la indebita segnalazione alla Banca d’Italia di uno sconfinamento di oltre 80.000,00 (categoria rischi a revoca), senza previa informazione in contrasto con l’art. 125 comma 3, la responsabilità per condotte del dipendente. Il giudizio era stato preceduto da procedimento cautelare conclusosi con emissione di provvedimento ex art. 700 c.p.c., confermato in sede di reclamo, di cancellazione della segnalazione di sconfinamento per oltre 84.000,00.

La Banca convenuta, tempestivamente costituitasi, ha contrastato l’azione proposta eccependo in particolare la prescrizione delle rimesse solutorie anteriori al decennio la sentenza in epigrafe il Tribunale di Macerata ha accolto parzialmente la domanda attrice, dichiarando, con riguardo al conto corrente n. (già ) e nel correlato conto anticipi (già ), la nullità della clausola relativa alla commissione di massimo scoperto, la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi;

il giudice di prime cure ha altresì dichiarato l’ illegittimità della segnalazione di sconfinamento effettuata dalla nel febbraio 2010, rigettando la domanda risarcitoria per difetto di prova.

e i soci proponevano impugnazione avverso la predetta sentenza.

Si costituiva e la cessionaria del credito chiedendo il rigetto dell’appello;
svolgeva appello incidentale.

Raccolte le conclusioni tramite trattazione scritta, la causa veniva trattenuta in decisione e venivano concessi alle parti i termini ex art. 190, comma 1, c.p.c..

APPELLO PRINCIPALE

Con il primo motivo di gravame gli appellanti tornano a contestare il superamento del tasso soglia con riguardo al mutuo n. 92070 del 29/12/2009:

illustrano che il contratto prevede un tasso debitore pari ad Euribor 6 mesi arrotondato ai dieci centesimi superiori, maggiorato di 2,50 punti percentuali, che al momento della sottoscrizione dell’atto, il tasso da applicare era del 3,99 %, che l’art. 6 del contratto di mutuo prevedeva l’applicazione di interessi di mora sulle rate eventualmente pagate in ritardo, tasso composto dal tasso ordinario maggiorato di due punti percentuali, al momento della sottoscrizione pari al 5,99%, che il tasso soglia rilevato da Bankitalia per il quarto trimestre 2009 era pari al 4,875%; e che quindi il tasso di mora applicato dalla banca era usurario;
affermano l’erroneità della sentenza gravata, fondata sulla presenza di una clausola di salvaguardia, sulla omessa produzione dei decreti ministeriali, sulla carenza di avere applicato la clausola di salvaguardia, richiamando Cass. n. 26286 del 17/10/2019;
richiama il principio iura novit curia con riguardo alla omessa produzione dei decreti ministeriali;
ricorda che nel giudizio di primo grado l’ausiliare dott.ssa ha rilevato il superamento del tasso soglia, con riguardo agli interessi moratori, omettendo però di quantificare le somme versate per omessa produzione degli estratti conto;
sostiene che in considerazione del superamento del tasso soglia con riguardo agli interessi moratori, tutte le somme pagate da essa appellante per il mutuo de quo vanno imputate a capitale e nessun tipo di interessi è dovuto.

Il motivo è infondato.

Gli appellanti insistono nell’affermare il superamento del tasso soglia con riguardo al tasso di mora, ed argomentano che da detta nullità dovrebbe discendere la gratuità del mutuo, in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020, circa la sostituzione degli interessi di mora illegittimi con gli interessi convenzionali validamente pattuiti Il Giudice di prime cure ha ritenuto infondata l’eccezione di usurarietà dei tassi di interesse e segnatamente dell’interesse moratorio in quanto ha rilevato che secondo l’art. 6 del contratto di mutuo gli interessi di mora si produrranno nella misura di 2 (due) punti in più del tasso nominale annuo che ha regolato ciascuna rata scaduta (si tratta di mutuo a tasso variabile), per il periodo intercorrente tra la data della scadenza e la data del pagamento, “con il limite massimo del tasso usura tempo per tempo vigente. Su detti interessi di mora non è ammessa la capitalizzazione periodica.

” Premesso che ai fini della verifica del superamento del tasso soglia l’indagine deve riguardare la pattuizione contrattuale, che il pagamento di interessi moratori deve essere dimostrato dalla società mutuataria che ha promosso l’azione di ripetizione dell’indebito, che per quanto riguarda i decreti ministeriali vale in principio iura novit curia, va comunque ritenuta la piena validità della clausola di salvaguardia ai fini di evitare la nullità del tasso di interesse moratorio, ferma restando la astratta ripetibilità eventuali somme oltre soglia perché non conformi alla pattuizione contrattuale, il cui addebito va però provato dalla società mutuataria. Sul punto appare dirimente richiamare la pronuncia della Cassazione n. 26286 del 17/10/2019, in cui viene chiarito che “la clausola c.d. di salvaguardia giova a garantire che, pur in presenza di un saggio di interesse variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione non oltrepassi mai il limite stabilito dalla L. 108/96, art.2, co.4.

Dal punto di vista pratico tale clausola opera in favore della banca, piuttosto che del cliente.

La clausola, dunque, assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell’usura c.d. oggettiva, previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca.

Nondimeno, la clausola non presenta profili di contrarietà a norme imperative.

Anzi, al contrario, essa è volta ad assicurare l’effettiva applicazione del precetto d’ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari”.

Deve, pertanto, affermarsi la piena validità della clausola di salvaguardia con cui l’istituto di credito si impegna in concreto ad osservare i limiti della legge sul contrasto all’usura, trasformando il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge.

Con il secondo motivo di gravame gli appellanti tornano ad affermare la responsabilità ex art. 2049 c.c. della con riguardo alla condotta del dipendente ;

ricordano che sono emerse operazioni irregolari poste in essere dal direttore di filiale dell’allora segnalate in una relazione ispettiva del 26.10.2004, vicenda da cui è scaturita una condanna penale del dipendente;
affermano di avere richiesto ex art. 210 c.p.c. l’acquisizione della relazione ispettiva e della sentenza di condanna, ribadita anche in sede di precisazione delle conclusioni;
allegano che a seguito di avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, hanno dovuto intraprendere un contenzioso tributario, in quanto la l’erogazione delle somme presenti sul conto della contenzioso tributario conclusosi positivamente nel 2011 a seguito della produzione della nota con cui l’Istituto di credito attestava la riconducibilità delle somme rinvenienti sul conto della ai finanziamenti erogati dalla banca;
affermano che il danno è derivato dalla iscrizione di ipoteca legale sui beni del socio ;
tornano a chiedere il risarcimento del danno patrimoniale, nella specie il costo dell’assistenza legale nel contenzioso tributario (AIl.
32 atto di citazione), essendo errata la statuizione del giudice di prime cure circa l’assenza di prova dell’avvenuto pagamento, avendo essa società appellante prodotto prenotule non pagate per la situazione di difficoltà economica ingenerata dalla condotta della l’appellante lamenta il grave pregiudizio economico derivato sempre dalla medesima vicenda, in seguito alla ingiusta iscrizione di ipoteca legale sui propri beni per la durata di nove mesi, con conseguente impossibilità di accesso al credito e discredito nei confronti di banche e fornitori; gli appellanti argomentano, ai fini della determinazione del danno non patrimoniale, l’applicabilità dell’art. 2056 c.c., che per la valutazione dei danni richiama gli artt. 1223, 1226 e 1227 del codice civile.
Osserva la Corte che in definitiva la società appellante lamenta che la abbia erroneamente indicato su conto della il movimento contabile di €. 125.000,00 come finanziamento soci invece che come finanziamento chirografario, circostanza che avrebbe comportato una rettifica del reddito di impresa su cui calcolare le imposte, ed non abbia consegnato alla correntista copia dei contratti di finanziamento;
a causa di ciò la società appellante non si sarebbe difesa in sede interlocutoria con l’Agenzia delle Entrate, essendo pertanto costretta ad intraprendere, con esito finale vittorioso, un contenzioso tributario;
chiede pertanto a titolo di risarcimento del danno emergente la restituzione delle spese legali sostenute e la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale.

Ritiene la Corte che la natura del movimento contabile non derivi dalla qualificazione data sull’estratto conto ma dalla provenienza della provvista (dai soci o dalla banca erogante) circostanza facilmente verificabile attraverso le contabili di accredito;
in i casi il finanziamento della società (a prescindere dalla provenienza, dai soci o da un istituto di credito) costituisce un debito societario;

le rettifiche quale reddito di impresa non dichiarato vengono operate in sede di restituzione del finanziamento soci, quando questo è stato simulato sicchè la restituzione del finanziamento in realtà cela una distribuzione degli utili della società che avrebbero dovuto concorrere alla formazione del reddito imponibile;

l’avviso di accertamento tributario è sempre preceduto da un contraddittorio col contribuente, fase in cui si viene a conoscenza dei dati e delle informazioni raccolte dall’Agenzia delle Entrate;

la censura pertanto è contraddittoria, e in definitiva non chiarisce quale sarebbe stato l’apporto causale del direttore di filiale con riguardo l’accertamento della Agenzia delle Entrate.

Il motivo è pertanto infondato.

Con il terzo motivo di gravame gli appellanti tornano ad affermare l’illegittimità della revoca degli affidamenti dei fidi:
allegano che la revoca è avvenuta per la segnalazione di uno sconfinamento inesistente da parte di e che detta condotta ha comportato un danno, da liquidarsi in via equitativa ex art 1226 c.c., in quanto la carenza di liquidità avrebbe comportato un blocco della normale attività aziendale.

Osserva la Corte che nel caso di specie la revoca degli affidamenti da parte di è successiva alla escussione di una fideiussione di €.
75.000,00 in data 8 maggio 2008;
il conto corrente prevedeva una apertura di credito fino a revoca per €.
70.000,00 concessa con contratto del 23.11.2006 per anticipo crediti e una apertura di credito in conto corrente fino a revoca di €.
10.000 concessa con contratto del 6.04.2006.

Dal provvedimento collegiale emesso in data dal Tribunale di Macerata, emerge che la comunicò nella missiva 8.05.2008 una esposizione complessiva di €. 476.913,92, cui seguì una operazione di ristrutturazione del debito della mediante concessione di un mutuo nel dicembre 2009 e proroga di un precedente mutuo acceso nel 2006.

Ciò posto, va ricordato che l’istituto di credito può, in applicazione della disciplina dei Parprevio idoneo preavviso;
il preavviso non è necessario in presenza di una giusta causa di recesso.

Nel caso di specie, emerge la giusta causa del recesso, costituita dal superamento dei limiti dei fidi concessi, derivante dalla rilevante esposizione debitoria della esposizione cui è seguita una ristrutturazione del debito mediante la stipulazione di mutui.
Soprattutto, non è stata data alcuna prova dell’asserito blocco di attività della anzi, esistono elementi presuntivi di segno contrario, in primo lugo la circostanza che il rapporto di conto corrente con la banca è rimasto aperto tanto che il giudice di prime cure ha dichiarato l’inammissibilità dell’azione di ripetizione dell’indebito.

Con il quarto motivo di gravame gli appellanti censurano la sentenza gravata per avere omesso l’accertamento del diritto al risarcimento del danno derivante dalla segnalazione illegittima in Centrale Rischi per ricevute bancarie rimaste insolute per oltre 84.000,00 euro;
allegano che il Giudice di prime cure, pur confermando integralmente quanto già statuito dal Tribunale di Macerata sia nella fase cautelare del 700 c.p.c. sia nella fase del reclamo circa l’illegittimità della segnalazione di € 84.000,00 effettuata dalla non ha riconosciuto il danno, sminuendo l’apporto pregiudizievole per non essere segnalazione a sofferenza, per la presenza di segnalazioni provenienti da altri istituti di credito e per l’omessa prova del danno patito;
quanto all’esistenza delle altre segnalazioni allegano che all’epoca della segnalazione illegittima di risultava si segnalata da Banca delle Marche, ma l’esposizione era intra fido, in quanto la società godeva di una apertura di credito di € 10.000,00;
invocano l’orientamento giurisprudenziale che, in ipotesi di illegittima segnalazione del debitore alla centrale rischi, riconosce il danno non patrimoniale alla persona, anche giuridica, con riguardo ai valori della reputazione e dell’onore, sia il danno patrimoniale, che può essere oggetto della prova presuntiva, quale conseguenza per l’imprenditore di un peggioramento della sua affidabilità commerciale.

Il motivo è carente di specificità.

Par Contr Contr sentenza gravata si legge che “La parte attrice ha infatti rilevato che la segnalazione illegittima si è avuta da febbraio 2010 a marzo 2014 ed effettivamente la stessa si rinviene sotto la come rischi a revoca per 79.914, senza garanzie reali (codice 125), che divengono euro 82.312 nel marzo 2010, e via via crescendo fino a dicembre 2013 in cui si arriva a 84.105 euro (dal gennaio 2014 e cioè con informazione resa disponibile il 3.3.2014 la segnalazione scompare).

” Aggiunge il giudice di prime cure che “una simile segnalazione (nella specie illegittima) non può considerarsi ex se pregiudizievole e comunque non può essere assimilata alla segnalazione a sofferenza, la quale invece suppone come noto una valutazione sulla “stato di insolvenza e situazioni sostanzialmente equiparabili”, ricomprendendo le posizioni che si concretizzano in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “deficitaria”, ovvero come di “grave difficoltà economica” senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità (cfr. Cass. civ. Sez. I, 15/02/2016, n. 2913; Cass. n. 21428/07;
cfr. inoltre Cass. nn. 7958/09, 23083/13).
”.

Il giudice di prime cure ha poi osservato che “comunque, la era esposta con plurimi istituti di credito (si rinvengono molte segnalazioni per rischi a scadenza, per importi ingenti e molte per rischi autoliquidanti) e soprattutto non spiega perché la segnalazione rischi a revoca della sia fonte di danno in re ipsa e, invece, non lo sia la segnalazione coeva della Banca delle Marche che nel medesimo periodo segnalava rischi a revoca, non assistiti da garanzia, seppur per un importo inferiore (accordato 10.000,00 euro). ” Osserva pertanto la Corte distrettuale che la parte appellante non ha sottoposto a critica la statuizione con la quale il giudice di prime cure ha negato effetto pregiudizievole alla segnalazione “rischi a revoca”, in quanto delle sopra riportate, plurime rationes decidendi la parte appellante ha censurato specificamente solo la seconda, relativa alla presenza di plurime segnalazione ed alla negazione del danno in re ipsa, sicchè sulla ratione decidendi si è formato il giudicato, in assenza di specifico motivo di impugnazione. La Corte di Cassazione ha stabilmente affermato il principio per il quale ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario che l’impugnazione sia articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione/riforma della pronuncia contestata. (v. ad es. Cass. Sentenza 16 marzo 2020, n. 7298).

Con il quarto motivo di gravame gli appellanti censurano la sentenza gravata per non avere provveduto, nonostante il riconoscimento della illegittimità della CMS e della applicazione di capitalizzazione illegittima, al ricalcolo del saldo a seguito della dichiarata nullità della clausola riferita alla c.m.s. e alla capitalizzazione degli interessi;
aggiungono di avere richiesto alla banca la produzione degli estratti conto relativi alla periodo fino al 1997 ai sensi dell’art. 119 tub e, in corso di giudizio, ai sensi dell’art. 210 c.p.c.;
ritengono che la documentazione di 11 anni di rapporto consenta comunque un ricalcolo del saldo e che il saldo possa essere determinato in € 115.038,18 a credito del correntista.

Il motivo è inconferente rispetto alla decisione aggredita.

Il giudice di prime cure, ritenuta l’inammissibilità dell’azione di ripetizione dell’indebito su un rapporto bancario ancora aperto, ha esaminato le condizioni contrattuali emergenti dai contratti prodotti dalle parti, ha statuito in merito alla illegittima capitalizzazione degli interessi ed in merito alla nullità della commissione di massimo scoperto perché indeterminata, ma non ha rideterminato il saldo del conto Si legge infatti nella sentenza gravata:
“ è incontroverso in atti che il conto sia stato aperto nel 1993 e sia stato operativo fino al 2017/2018, quindi circa 25 anni complessivi di rapporto e comunque 21 alla data di proposizione dell’azione mentre la documentazione disponibile copre 11 anni che non vanno dall’apertura del rapporto ma si collocano a metà.

” L’indagine ha riguardato il conto corrente ordinario n. , che è risultato essere un conto nel quale sono transitate sia partite ordinarie, sia partite di anticipo documenti SBF, ed il conto anticipi n. Dall’elaborato peritale emerge che con riguardo ala conto corrente ordinario n. sono stati prodotti gli estratti conto dal 01.01.1998 al 30.09.2012;
mancano gli estratti conto relativi al periodo compreso tra la data di accensione del conto corrente, al 15.01.1993, e il 31.12.1997;
il saldo iniziale risultante dal primo estratto conto disponibile, al 01.01.1998, è pari a Lire 16.600.206 a credito per il cliente.

Mancano gli estratti conto successivi al 30.09.2012.

Il CTU ha inoltre riscontrato lacune nei movimenti relativi all’anno 2006.

Con riguardo al conto anticipi n. , sono stati prodotti gli estratti conto dal 01.01.1998 al 31.12.2009;
il CTU ha riscontrato lacune al 31.12.2004 anche per quanto riguarda la documentazione contabile del conto anticipi.

A fronte del corredo documentale depositato in atti, va condivisa la decisione del giudice di prime cure:
il fatto che sia documentato solo il periodo centrale dei rapporti bancari esaminati impedisce una ricostruzione attendibile dei saldi alla data della domanda.

E’ vero che in tema di onere probatorio nei rapporti tra correntista e banca, si è affermato che il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca con il saldo finale del rapporto “non è tenuto a in giudizio di tutti gli estratti conto mensili, ben potendo la prova dei movimenti del conto desumersi anche “aliunde”, vale a dire attraverso le risultanze dei mezzi di cognizione assunti d’ufficio e idonei a integrare la prova offerta (nella specie mediante consulenza tecnica contabile disposta dal giudice sulle prove documentali prodotte)” (da ultimo Cass. civ., Sez. VI, 21/12/2020, n.29190; Sez. I, 04/04/2019, n.9526).

Più in dettaglio, la Suprema Corte di Cassazione, riconoscendo l’ammissibilità della CTU in un giudizio finalizzato all’accertamento e alla rettifica del saldo, ha affermato che non è vietato al giudice espletare una consulenza tecnica contabile per la rideterminazione del saldo del conto corrente in base ai documenti contabili prodotti dalle parti quando la produzione degli estratti di conto corrente sia incompleta, purché si ricorra a procedimenti matematici di rielaborazione dei dati presenti nelle scritture contabili depositate ( Cass. n. 14074/2018; cfr. Cass. n. 9140/2020).

Va aggiunto che Nel caso in cui non vengano prodotti tutti gli estratti conto e conseguentemente non sia possibile procedere ad una ricostruzione integrale del rapporto, tale situazione non causa il respingimento della domanda di restituzione dell’indebito da parte del correntista, ma è possibile procedere alla ricostruzione anche attraverso altre prove documentali o argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta dal correntista o dalla banca (Cass. n. 9526/2019).

Ha affermato la Suprema Corte, che “a fronte della documentazione di un rapporto di conto corrente bancario incompleta, in mancanza dei contratti di conto corrente e degli estratti conto completi, non prodotti dalla correntista e dalla banca, convenuta in un’azione di ripetizione di indebito promossa dalla correntista, malgrado ordine di esibizione documentale, il giudice, “qualora il cliente limiti l’adempimento del proprio onere probatorio soltanto ad alcuni aspetti temporali dell’intero andamento del rapporto, versando la documentazione del rapporto in modo lacunoso e incompleto”, valutate le condizioni delle parti e le loro allegazioni (anche in ordine alla conservazione dei documenti), può integrare la prova carente “sulla base delle deduzioni in fatto svolte dalla parte, anche con altri mezzi di cognizione disposti d’uffici, in particolare con la consulenza contabile, utilizzando, per la ricostruzione dei rapporti di dare e avere, il saldo risultante dal primo estratto conto, in ordine di tempo, disponibile e acquisito agli atti’ (Cass. 31187/2018). Nel caso di specie però non vi è solo una carenza documentale limitata ad alcuni trimestri, in quanto non risulta documentato l’andamento dei rapporti fino a tutto il 1997 e, successivamente, per il conto ordinario, dal 1.10.2012, per il conto anticipi dal 01.01.2010.

Inoltre, non risultano essere stati dedotti e provati elementi utili al fine di desumere con certezza l’andamento del rapporto e l’eventuale saldo negativo o positivo per il correntista.

In definitiva, nel caso di specie non si pone solo un problema di carenza iniziale ed infrannuale degli estratti conto, ma anche di carenza probatoria correlata agli ultimi anni di vita dei rapporti bancari, peraltro neanche interessati dalla istanza ex art. 210 c.p.c., formulata dalla parte attrice, odierna appellante, nella seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. solo con riguardo agli estratti conto dall’apertura del conto corrente fino al III trimestre 1997;
va quindi ribadito che qualsivoglia ricostruzione del saldo alla data della domanda sarebbe arbitraria (v. per un caso analogo Cass. sez. VI ord. n. 3776 del 1.12.2021).

Con l’ultimo motivo di gravame si censura la decisione impugnata in punto di compensazione delle spese di lite;
argomenta parte appellante di essere vittoriosa con riguardo alla illegittima segnalazione alla Centrale Rischi ed al riconoscimento della nullità della e dell’illegittima capitalizzazione.

Il motivo è infondato, configurandosi nel caso di specie una evidente soccombenza reciproca, che giustifica anche il riparto delle spese con riguardo alla consulenza tecnica.

Il dispositivo della sentenza appellata è così strutturato:
PartIl Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
a) rigetta le domande di cui ai punti A, C, E, F, G e H delle conclusioni di parte attrice b) quanto al punto B delle conclusioni di parte attrice:
– dichiara illegittima la segnalazione di sconfinamento effettuata dalla convenuta nel febbraio 2010 – rigetta la domanda risarcitoria per difetto di prova c) quanto al punto D delle conclusioni di parte attrice:
– dichiara inammissibile la domanda di ripetizione dell’indebito avanzata da parte attrice – dichiara la nullità della clausola relativa alla commissione di massimo scoperto come pattuita nel conto corrente n. (già ) e nel correlato conto anticipi (già – dichiara la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi quanto ai medesimi rapporti – rigetta la pretesa in punto di interessi ultralegali e usura d) compensa fra le parti le spese di lite e) pone le spese di CTU definitivamente a carico delle parti al 50% ciascuno L’analisi del dispositivo consente di ravvisare una ipotesi di soccombenza reciproca, nella declinazione data da Cassazione civile, sez. un.
31/10/2022 n. 32061:
si è infatti in presenza di una pluralità di domande cumulate per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva (ripetizione indebito;
nullità condizioni economiche dei contratti;
accertamento saldo conto corrente; risarcimento del danno per abusiva revoca degli affidamenti e per illegittima segnalazione alla centrale Rischi), alcune articolate in più capi, formulate dalla parte attrice avverso la di cui solo alcune sono state accolte, sicchè limitato accoglimento giustifica la compensazione totale fra le parti delle spese di lite del grado ex art. art. 92 c.p.c., comma 2, anche perché agli effetti state rigettate le domande attoree di maggior rilievo nell’ambito della economia processuale, ossia la domanda di rideterminazione del saldo dei conti correnti e la domanda di risarcimento del danno. L’appello principale va quindi rigettato.

APPELLO INCIDENTALE

Col primo motivo di appello incidentale la e la cessionaria intervenuta censurano la sentenza nella parte in cui il giudice di prime cure ha ritenuto l’illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi con riguardo all’importo di €.
84.000,00 di ricevute bancarie insolute;
allega che nella prospettazione della parte attrice non era in discussione l’esistenza del debito, ma il suo inserimento nell’insieme dei crediti per i quali ottenne la ristrutturazione della complessiva posizione debitoria mediante mutuo come dimostrato dalla lettera dell’Avv. COGNOME (doc. n. 32) sottoscritta per accettazione dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, ove si afferma che la somma di € 84.074,84 ad oggi richiesta alla sulla scorta della documentazione in nostro possesso, non è in alcun modo dovuta, essendo stata la stessa ricompresa nell’importo di € 296.000,00 mutuato nel dicembre 2009 al fine di regolarizzare tutte le pregresse posizioni della mia assistita…”, così evocando il principio di non contestazione; chiede di essere ammessa a provare detto credito e l’omesso risanamento del corrispondente debito con i mutui, attraverso testi e consulenza tecnica.

Il motivo è infondato.

Il giudice di prime cure ha ritenuto necessaria la prova documentale della ri. insolute, sul rilievo della eccezione riconvenzionale di compensazione formulata dalla nel caso in cui fossero dovute delle somme alla correttamente il giudice di prime cure ha ritenuto che nell’ambito dei rapporti bancari la prova della presentazione delle ricevute bancarie e degli insoluti dovesse essere fornita mediante documentazione Va infatti ricordato che secondo Cassazione civile sez. I, 17/10/2018, n.25999 Il principio, sancito dall’art. 115, comma 1, c.p.c., secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta “ad substantiam“, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta “ad probationem”, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte. Col secondo motivo di gravame gli appellanti incidentali tornano ad affermare la legittimità della commissione di massimo scoperto, in quanto determinata nella percentuale del 0,125%, e giustificata dal punto di vista della causa, essendo la remunerazione per la messa a disposizione di fondi da parte della banca.

Il motivo è carente di specificità atteso che non aggredisce la pronuncia d prime cure, ove chiaramente si afferma, con statuizione conforme alla giurisprudenza di legittimità, che nel caso specifico i contratti bancari non recano la specifica indicazione di tutti gli elementi che concorrono a formarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito):
infatti non è dato comprendere se la commissione in esame sia applicata nella misura citata su quale valore, se sul massimo utilizzato o sul picco anche per un solo giorno o per un periodo più lungo.

Col terzo motivo di gravame le appellanti incidentali aggrediscono la sentenza di prime cure nella statuizione relativa all’anatocismo.

In primo luogo affermano che al contratto di conto corrente è allegato il documento di sintesi datato 28.10.2005 (doc. n.6) contenente la clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale con previsione della condizione di reciprocità;
che negli stessi contratti di fido risulta prevista ed accordata la capitalizzazione trimestrale a conferma dell’avvenuta alla accettazione della modifica delle condizioni contrattuali;
in secondo luogo, affermano la legittimità dell’anatocismo post delibera CICR 2000 ;
concludono per il riconoscimento della capitalizzazione trimestrale sia per il periodo post 2000 e comunque a far data dal 28.10.2005.

Il motivo è infondato.

Per quanto riguarda il documento di sintesi datato 28.10.2005, è vero che esso alla clausola XI dispone la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e attivi;
tuttavia va rilevato che la scheda, per quanto attiene il tasso creditore, espone un tasso nominale annuo pari a 0,50% identico al tasso annuo effettivo circostanza questa che smentisce la pari periodicità, sulla scorta di Cassazione ordinanza n. 4321 del 10/2/2022, ove con riguardo al tasso creditore si afferma che “la previsione di un tasso di interesse effettivo corrispondente a quello nominale equivale alla mancata indicazione del tasso annuo calcolato per effetto della capitalizzazione:
anche ad ammettere che le parti abbiano realmente voluto quest’ultima (in una qualche misura numericamente apprezzabile), il contratto di conto corrente mancante della detta indicazione non soddisferebbe una delle condizioni cui è subordinata, secondo quanto si è detto, la pattuizione dell’anatocismo” (conf. Cassazione Civile, 3 luglio 2023, n. 18664, Pres. COGNOME, Rel.
COGNOME ).

Infatti secondo la Corte Suprema un tasso creditore nominale coincidente con il tasso effettivo – ossia un tasso annuo dell’interesse non capitalizzato coincidente con quello capitalizzato – non rispetta la delibera CICR 9 febbraio 2000, poiché «non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore, che è richiesta dalla Delib.,
art. 3, e non soddisfa, inoltre, la condizione posta dall’art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, Quanto alla specifica questione della validità dell’anatocismo trimestrale successivamente all’entrata in vigore della delibera CICR 9.02.2000, si rammenta che l’art. 7 della suddetta delibera ha regolamentato la procedura prevista, per ogni istituto bancario, per adeguare le condizioni contrattuali aventi ad oggetto gli interessi anatocistici trimestrali stipulate anteriormente all’entrata in vigore della delibera medesima. Il secondo comma dell’art. 118 TUB a sua volta ha previsto che “Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula:
“Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente.

Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR.

La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione.

In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate”.

E’ quindi sorta la questione se la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a condizione di reciprocità avesse o meno valenza peggiorativa e quindi se, avendo essa banca provveduto a darne pubblicità nelle forme previste dalla delibera CICR 2/9/2000, detta clausola avrebbe potuto essere applicata non essendo necessaria la forma scritta imposta dal terzo comma dell’art. 118 TUB.
Cass. ord. n. 7105 del 12/3/2020 ha ritenuto che “la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi all’assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, rende evidente che vi sia stato un peggioramento delle condizioni contrattuali precedentemente applicate al conto corrente per cui è causa, sicché, proprio in applicazione dell’art. 7, comma 3 della delibera CICR (per cui “nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela”) sarebbe stato necessario nella fattispecie in esame un nuovo accordo espresso tra le parti, non essendo ammissibile un adeguamento unilaterale. ” Ed ancora sempre la Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 26779/2019, ha affermato “che è inappropriato spacciare per miglioramento il passaggio al regime della trimestralizzazione per tutti gli interessi, giacché il raffronto deve essere effettuato tra l’assenza di capitalizzazione degli interessi debitori, quale conseguenza della nullità della clausola e la loro capitalizzazione trimestrale a seguito dell’intervento del CICR 2000.

La citata giurisprudenza di legittimità conferma l’orientamento adottato da codesta Corte a partire da sentenza 420/16, e da ultimo ribadita da Corte di Cassazione con sentenza n. 17634 del 21/6/2021, secondo cui “nei contratti di conto corrente bancario stipulati in data anteriore all’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 – come nel caso di specie, ndr-, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del d.lgs. n. 342 del 1999, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 425 del 2000, pur non avendo interessato il secondo comma di tale disposizione, che costituisce il fondamento del potere esercitato dal CICR mediante l’adozione della predetta delibera, ha inciso indirettamente sulla disciplina transitoria dettata dall’art. 7 di tale provvedimento, in quanto, avendo fatto venir meno, per il passato, la sanatoria delle clausole che prevedevano la capitalizzazione degl’interessi, ha impedito di assumerle come termine di comparazione ai fini della valutazione dell’eventuale peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, in tal modo escludendo la possibilità di provvedere all’adeguamento delle predette clausole mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, come consentito dal comma secondo dell’art. 7, e rendendo invece necessaria una nuova pattuizione (cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, n. 9140; 21/10/2019, nn. 26769 e 26779).

Quindi, in assenza di specifica pattuizione, nel caso di specie non provata dalla la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi va esclusa per tutto il periodo documentato, fino a nuova valida pattuizione.

Va quindi rigettato anche l’appello incidentale.
spese di lite del grado vanno compensate, ritenendo la reciproca soccombenza.

La Corte di Appello di Ancona definitivamente pronunciando sull’appello proposto da e i soci contro e con l’intervento di nonché sull’appello incidentale proposto da per la riforma della sentenza in epigrafe, così provvede:
– rigetta sia l’appello principale che l’appello incidentale e per l’effetto conferma la sentenza gravata;
– compensa fra le parti le spese di lite del grado;
– dichiara gli appellanti principali ed incidentali tenuti al pagamento di una somma pari a quella già versata a titolo di contributo unificato ex art. 1, comma 17, L. 228/2012.
Ancona, così deciso nella camera di consiglio telematica del 13.05.2024 Il Presidente Estensore Dott.ssa NOME COGNOME

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