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Codice Civile
Codice Penale

Rigetto appello per mancanza di legittimazione ad agire

Il Tribunale, applicando il criterio della ragione più liquida, ha rigettato l’appello confermando la sentenza di primo grado. In particolare, è stata rilevata la mancanza di legittimazione ad agire dell’appellante in assenza di prove circa il valido conferimento del potere di agire in nome e per conto di un ente pubblico.

Pubblicato il 17 September 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

R.G. Nr.
3000/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI Sezione Unica CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa NOME COGNOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._812_2024_- N._R.G._00003000_2022 DEL_09_09_2024 PUBBLICATA_IL_10_09_2024

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 3000/2022 promossa da:
(C.F. ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso nel presente giudizio dall’avv. COGNOME COGNOME come da procura alle liti in atti;
APPELLANTE contro (RAGIONE_SOCIALE. ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa nel presente giudizio dall’avv. COGNOME NOME e dall’avv. COGNOME NOMECOGNOME come da procura alle liti in atti;
APPELLATO (C.F. APPELLATO CONTUMACE C.F. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Si omette l’esposizione dello svolgimento del processo, non più richiesta dalla formulazione dell’art. 132 c.p.c., introdotta dall’art. 45, comma 17, della legge n. 69/2009.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata da (di seguito Al riguardo, occorre considerare quanto affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità – anche a Sezioni Unite – secondo cui l’atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (cfr. in tal senso Cass. SU n. 27199/2017; Cass. n. 22781/2014; Cass. n. 8098/2000, Cass. n. 12694/1999).

E’ stato altresì costantemente precisato che la specificità dei motivi di appello deve essere commisurata alla specificità della motivazione che sorregge la decisione impugnata (cfr. da ultimo e fra le tante Cass. n. 1651/2014;
Cass. n. 6231/2000).

L’art. 342 c.p.c. impone, quindi, all’appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e di indicare, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza impugnata a sostegno della decisione sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni di fatto e di diritto che l’appellante ritenga che quella doglianza possano giustificare.

Orbene, si ritiene che, nel caso in esame, l’atto di appello soddisfi le condizioni normativamente richieste al fine di superare il vaglio di ammissibilità:
il ha contestato la scelta del Giudice di Pace di ritenere applicabile la disciplina dettata dagli artt. 15 e 211 C.d.
RAGIONE_SOCIALE in luogo di quella in materia di responsabilità extracontrattuale, esplicitando le argomentazioni di fatto e di diritto che, secondo l’appellante, avrebbero dovuto condurre ad una diversa decisione.

Parimenti, va rigettata l’eccezione svolta da secondo cui, essendo stata la sentenza di primo grado pronunciata secondo equità – avendo la causa un valore pari ad euro 800,00 -, l’appello proposto dal sarebbe inammissibile in quanto formulato in violazione dei vincoli imposti dall’art. 339, comma 3, c.p.c. ha chiesto, in primo grado, la condanna dei convenuti al pagamento, in solido tra loro, della somma di euro 800,00, oltre IVA, interessi di mora e svalutazione monetaria, o di “quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia e che sarà accertata in corso di causa …”. Tale domanda è determinata nell’ammontare, in misura inferiore ad euro 1.100,00, ma è accompagnata dalla richiesta di quella diversa somma maggiore che dovesse essere ritenuta di giustizia:
ciò comporta che la causa deve ritenersi di valore indeterminato, non essendo stata sollevata dalla tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 c.p.c., con la conseguenza che la sentenza è appellabile senza i limiti prescritti dall’art. 339
c.p.c. (cfr. Cass. n. 9432/2012; nello stesso senso, Cass. n. 3290/2018 secondo cui “Per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339, comma 3, c.p.c., occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 e ss. c.p.c., e senza tenere conto del valore indicato dall’attore ai fini del pagamento del contributo unificato.

Pertanto, ove l’attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento euro (limite dei giudizi di equità cd. necessaria, ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c.), accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente “maggior somma che sarà ritenuta di giustizia”, la causa deve ritenersi – in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 c.p.c. – di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude è appellabile senza i limiti prescritti dall’art. 339 c.p.c.”).

Tanto premesso, si ritiene che il presente procedimento possa essere definito mediante il criterio della c.d. ragione più liquida, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., che consente al giudice di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica. In applicazione del predetto criterio, infatti, il giudice, senza dover necessariamente seguire, nella stesura delle motivazioni, l’ordine logico delle diverse questioni articolate e dedotte dalle parti, può decidere la causa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – in quanto assorbente, senza che sia necessario esaminare previamente le altre (cfr. per questi rilievi Cass. 12002/2014; Cass. 17214/2016).

Orbene, quand’anche volesse ritenersi che, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di Pace – che ha applicato alla fattispecie oggetto del presente giudizio gli artt. 15 e 211 C.d.S. – sia configurabile, nel caso di specie, un danno risarcibile – da individuarsi nel pregiudizio patrimoniale subito dal a titolo di danno emergente, corrispondente all’obbligazione di effettuare un esborso pari ai costi di ripristino dello stato dei luoghi in conseguenza del sinistro occorso in data 21.09.2012 – l’accoglimento dell’appello sarebbe precluso dall’assenza di ogni prova circa la valida attribuzione alla – ora fallita – del potere di riscuotere quanto spettante al L’odierna appellante fonda la propria legittimazione ad agire nei confronti di e di sulla convenzione – accordo quadro (e altra documentazione) dalla stessa sottoscritta, in regime di concessione di servizi, con il Comune di il quale ha affidato alla – oggi fallita – “il servizio di pulitura, ripristino della viabilità e della messa in sicurezza della circolazione stradale, interventi post incidentali eseguiti in condizioni di emergenza 24 ore su 24, cedendole a titolo di corrispettivo il credito risarcitorio nei confronti del danneggiante e della compagnia assicurativa garante RCA del responsabile” (cfr. atto di citazione).

Il Fallimento, tuttavia, a fronte delle contestazioni sollevate dall’odierna appellata, non ha comprovato la valida attribuzione all’Ing.
– che ha sottoscritto la suddetta documentazione – del potere di agire in nome e per conto del Nel caso di specie, viene in rilievo un atto di natura privatistica con cui l’ente ha inteso disporre dei propri poteri concernenti un credito di diritto privato – ossia il diritto al risarcimento del danno conseguente alla ritenuta responsabilità (di natura extracontrattuale) di – di cui l’ente medesimo assume di essere titolare.

Non può richiamarsi, nella specie, l’art. 107 TUEL che fa riferimento all’adozione di “atti e provvedimenti amministrativi” e attribuisce ai dirigenti “c) la stipulazione dei contratti;
d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l’assunzione di impegni di spesa;
e) …; f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie” ma ai fini della “attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati” dagli organi di governo dell’ente.

L’Ing. non ha adempiuto al compito di attuare un obiettivo o un programma definito con un atto di indirizzo di un organo di governo dell’ente e non ha neppure adottato un atto amministrativo, non venendo, quindi, in rilievo la presunzione di legittimità degli atti amministrativi.

In assenza di ogni prova circa l’attribuzione, da parte del , del potere di porre in essere, in nome e per conto dell’ente, un atto di natura privatistica all’Ing.
essendo irrilevante, a tal fine, il capitolo di prova n. 4 formulato in primo grado dall’odierna appellante, in quanto generico – deve escludersi che il Fallimento possa fondare la propria legittimazione sulle facoltà conferite alla dall’Ing.

Pertanto, l’appello proposto dal deve essere rigettato, con la conseguente conferma della sentenza in questa sede impugnata.

Quanto alle spese di lite, oggetto di regolazione sono solo le spese del presente grado di giudizio che seguono la soccombenza della parte appellante e si liquidano ai sensi del DM 55/2014 come da dispositivo in favore della – unico appellato costituito – tenuto conto del valore della controversia e dell’attività processuale effettivamente svolta, applicando i valori medi per le fasi studio e introduttiva e il valore minimo per la fase decisionale, non essendo stata svolta attività propria della fase istruttoria da valutare e compendiare in sede di scritti conclusivi. L’integrale rigetto dell’impugnazione pone in capo al l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/2002.

Il Tribunale di Rimini, definitivamente pronunciando nel giudizio di II grado iscritto al R.G. Nr.
3000/2022, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
– rigetta l’appello proposto dal e, per l’effetto, conferma la sentenza del Giudice di Pace di Rimini n. 164/2022, depositata in data 24.02.2022;
– condanna il al pagamento in favore di delle spese di lite che si liquidano in euro 2.547,00 a titolo di compenso professionale, oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali, Iva e Cpa, come per legge;
– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/2002.
Manda alla Cancelleria per le comunicazioni e per ogni altro adempimento di sua competenza.
Rimini, 9 settembre 2024.
Il Giudice dott.ssa NOME COGNOME

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