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Codice Civile
Codice Penale

Rigetto dell’appello in materia di fideiussione

La Corte d’Appello ha stabilito che la fideiussione non è soggetta a mediazione obbligatoria e ha confermato la correttezza della sentenza di primo grado in merito alla legittimazione ad agire della banca cessionaria del credito. La Corte ha inoltre ribadito che la presunzione di nullità per intesa anticoncorrenziale non opera per le fideiussioni stipulate successivamente al periodo oggetto di accertamento da parte della Banca d’Italia, gravando sul garante l’onere di fornire adeguata prova dell’illecito. Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile l’eccezione di decadenza del creditore ex art. 1957 c.c. sollevata tardivamente.

Pubblicato il 26 June 2024 in Diritto Bancario, Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI ANCONA

I Sezione Civile Riunita in camera di consiglio con l’intervento dei sigg.
magistrati Dott.ssa NOME COGNOME Presidente Rel.
Dott.ssa NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente sentenza

SENTENZA N._870_2024- N._R.G._00000257_2022 DEL_04_06_2024 PUBBLICATA_IL_04_06_2024

Nella causa civile in grado di appella iscritta al n. 257 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2022 e promossa (C.F. (C.F. ) e (C.F. ) rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME come da procura in atti;

APPELLANTI CONTRO (P.IVA ) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura in atti;
APPELLATA C.F. C.F. C.F. P.:
appello avverso la sentenza n. 182 del Tribunale di Pesaro pubblicata in data 09/03/2022 e in materia di fideiussione.

Conclusioni:
come da note di trattazione scritta.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Tribunale adito, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo n. 603/2020 emesso su richiesta di quale mandataria di nei confronti di , in qualità di fideiussori della debitrice principale per il saldo debitore pari ad € 11.846,19 del conto corrente n. , nonché per € 54.559,87 oltre interessi quale residuo del finanziamento chirografario n. In particolare, il Tribunale di Pesaro:

1) dichiarava la procedibilità della domanda stante la tardività dell’eccezione in ordine al mancato esperimento della procedura di mediazione;
2) rigettava l’eccezione di inefficacia del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 644 c.p.c. nei confronti del solo , ritenendo che fosse stato notificato tempestivamente e che, comunque, la costituzione avesse sanato l’eventuale nullità;
3) rigettava altresì l’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata nei confronti della cedente e della cessionaria argomentando che, essendo la cessione di credito intervenuta dopo l’instaurazione del giudizio, la costituzione della cessionaria avesse realizzato la fattispecie di cui all’art. 111, comma 3, c.p.c.;
4) da ultimo, in merito alla declaratoria di nullità delle fideiussioni dedotte in giudizio, in quanto conformi allo schema adottato dall’ABI e dichiarato nullo dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55 del 2005 per violazione della normativa in materia di concorrenza, veniva anch’essa rigettata poiché, nonostante la coincidenza delle clausole, gli opponenti fideiussori non avevano “prospettato il pregiudizio subito” dalle clausole ritenute nulle;
5) compensava le spese di lite.
impugnavano la predetta sentenza e prospettavano i motivi in seguito indicati.

COGNOME costituiva quale attuale titolare del credito in virtù di atto di scissione parziale della società chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma dell’impugnata sentenza.

Devono preliminarmente disattendersi le eccezioni avanzate dall’appellata che assume l’inammissibilità del gravame per assenza dei requisiti di cui agli artt. 342 e 348 bis c.p.c..

Le eccezioni sono entrambe infondate:

l’impugnazione contiene una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e con essi le relative doglianze;
parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità, in quanto l’atto contiene argomentazioni difensive che introducono in giudizio questioni giuridiche di obiettiva controvertibilità, in riferimento alla quali, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla fondatezza in concreto del gravame, non può parlarsi aprioristicamente di “non ragionevole probabilità” di accoglimento dell’appello.

Con il primo motivo di appello, gli appellanti impugnano la parte della sentenza nella parte in cui il Tribunale di Pesaro ha dichiarato la procedibilità della domanda, avendo gli opponenti odierni appellanti sollevato l’eccezione di mancata instaurazione della procedura di mediazione soltanto con la I memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.;

osservano che, al contrario, l’eccezione deve considerarsi tempestiva poiché per i procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo, la proposizione della mediazione sarebbe differita, secondo quando previsto dall’art. 5, comma 6, del D.Lgs.
n. 28/2010, “fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione”.

Il motivo è infondato.

La Suprema Corte ha precisato che la fideiussione, quale oggetto della presenta controversia, è esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28 del 2010, poiché, tale norma prevede l’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per le liti riguardanti i contratti bancari e finanziari, rinviando alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB e alla contrattualistica relativa agli strumenti finanziari disciplinata dal TUF, senza peraltro che questa Corte ha adottato una lettura rigorosa e non estensiva della nozione di “contratti bancari e finanziari” per cui la legge prescrive l’obbligo della mediazione, escludendo, per esempio, che le controversie derivanti da contratti bancari e finanziari” per cui la legge prescrive l’obbligo della mediazione, escludendo, per esempio, che le controversie derivanti da contratti di leasing immobiliare siano assoggettate alla mediazione preventiva obbligatoria.

Al riguardo è stato infatti affermato che la norma che prevede l’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per i contratti “bancari e finanziari” contiene un chiaro richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel testo unico bancari (D.Lgs. n. 385 del 1993), e alla contrattualistica relativa agli strumenti finanziari disciplinata dal testo unico finanziario (D.Lgs. n. 58 del 1998) e che non si può dunque estendere l’obbligo di mediazione alla diversa ipotesi del leasing immobiliare, anche se, nelle varie forme, a questo sono coessenziali finalità di finanziamento, specificamente funzionali, però, all’acquisto o all’utilizzo dello specifico bene coinvolto (Sez. 3, 13.5,2021, n. 12883; Sez. 3, 22.11.2019, n. 30520).

Analogamente si è ispirata a una lettura restrittiva la pronuncia di questa Corte (Sez. 6- 1, 20.5.2020, n. 9204) secondo la quale la controversia avente ad oggetto il pagamento di un assegno bancario a persona diversa dall’effettivo beneficiario, non è sottoposta alla mediazione obbligatoria, trattandosi di fattispecie che non rientra nell’ambito dei contratti bancari, perché la convenzione di assegno, se può trovarsi inserita anche nel corpo dei detti contratti, conserva sempre la propria autonomia, rientrando l’assegno nel novero dei servizi di pagamento ai sensi del D.Lgs. n. 11 del 2010, art. 2, lett. g), che prescindono dalla natura “bancaria” del soggetto incaricato di prestare il relativo servizio.

Tanto premesso, l’esclusione della tipicità della fideiussione come contratto bancario, regolato come tale dal codice civile o dal Testo unico bancario, porta ad escludere l’obbligatorietà della mediazione ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1 bis” (Cassazione civile, sez. I, 21/10/2022, n. 31209)

Pertanto, poiché le domande svolte degli appallanti sono dirette ad accertare la sola nullità della fideiussione da essi prestata, la domanda non era subordinata al preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione.

Con il secondo motivo, gli appellanti lamentano che il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare l’inefficacia del decreto ingiuntivo, stante la tardività della notifica nei confronti di oltre il termine di cui all’art. 644 c.p.c. Il motivo è infondato.

Con riferimento all’invocata inefficacia di cui all’art. 644 c.p.c., è sufficiente osservare che gli opponenti odierni appellanti nulla eccepivano in ordine alla tardività della notifica nell’atto di opposizione, ma che, anzi, nel predetto atto perfino essi affermavano che “Il 04.09.2020 veniva notificato ai sig.ri decreto ingiuntivo n. 603/2020 – R.G. n. 1612/2020, con il quale il Tribunale di Pesaro ingiungeva agli stessi …” (pag. 3 dell’atto di citazione in opposizione).

Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che:
“L’inefficacia del decreto ingiuntivo a causa della sua notificazione oltre il termine di quaranta giorni dalla pronuncia, qualora non si stata fatta valere dall’intimato nell’atto di opposizione, non è deducibile né rilevabile successivamente, tenuto conto che la previsione del suddetto termine è rivolta esclusivamente a tutelare l’intimato medesimo, e che la mancata denuncia della sua inosservanza con l’opposizione comporta la sanatoria del relativo vizio per effetto di acquiescenza dell’interessato.
” (Cassazione civile, 25/03/1985, n. 2090).

Ad ogni modo, allorché la precedente argomentazione assuma portata dirimente, questo Collegio vuole comunque precisare che secondo il costante orientamento della Suprema Corte, la dichiarazione di inefficacia del decreto ingiuntivo di cui all’art. 644 c.p.c. è riconducibile alla sole ipotesi in cui manchi del tutto o sia giuridicamente inesistente la notifica nel termine stabilito dalla norma predetta, e non anche alle ipotesi di nullità od irregolarità della notifica eseguita nel predetto termine, poiché la notificazione del decreto ingiuntivo comunque effettuata, anche se nulla, è pur sempre indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso:

“Costituisce principio consolidato (art. 644 c.p.c.) è legittimamente riconducibile alla sola ipotesi in cui manchi del tutto (o sia giuridicamente inesistente) la notifica nel termine stabilito alla dalla norma predetta, e non anche alla ipotesi di nullità od irregolarità della notifica eseguita nel predetto termine, poiché la notificazione del decreto ingiuntivo comunque effettuata, anche se nulla, è pur sempre indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso (Cass. n. 17478 del 2011).

Per la sola ipotesi che la nullità o irregolarità della notifica del decreto abbia impedito all’opponente di avere tempestiva conoscenza del decreto, è stata prevista la possibilità di farla valere a mezzo dell’opposizione tardiva, ai sensi dell’art. 650 c.p.c. Ed anche in quest’ultima ipotesi, l’opposizione non può esaurirsi in una denuncia di tale irregolarità, perché, ove non accompagnata da contestazioni sulla pretesa creditoria, e dunque non indirizzata all’apertura del giudizio di merito (malgrado il decorso del termine in proposito fissato), non è idonea ad alcun risultato utile per l’opponente, nemmeno con riguardo alle spese della fase monitoria. (Cass. n. 18791 del 2009).

Da tali principi, che confinano la inefficacia del decreto ingiuntivo alla sola inesistenza della notifica nel termine previsto e conferiscono rilievo alla notifica nulla o irregolare – come quella dedotta nella specie – solo per consentire la tardiva instaurazione del giudizio di cognizione mediante opposizione, consegue che certamente la nullità della notifica del decreto ingiuntivo, non può avere alcun effetto nell’ambito di un giudizio di opposizione tempestivamente instaurato e, tanto più, nella fase di appello dello stesso”. (Cassazione civile, sez. III, 27/11/2015, n. 24223)

Con il terzo motivo, gli appellanti tornano ad eccepire la carenza di legittimazione attiva in capo alla cedente nonché alla cessionaria In particolare, muovendo dal presupposto che nel procedimento monitorio l’art. 643, comma 3, c.p.c. prevede che la pendenza della lite si realizza solo dopo la notifica del decreto ingiuntivo, essi sostengono che la cedente avrebbe perso la propria legittimazione prima della instaurazione del giudizio, essendo il credito ceduto prima del deposito del ricorso per decreto ma dopo la notifica dello stesso. stesso modo, ne discenderebbe l’inapplicabilità fattispecie di cui all’art. 111 c.p.c. nei confronti della cessionaria in quanto la norma sarebbe applicabile solo qualora il diritto venga trasferito “nel corso del processo”.

Il motivo è infondato.

Questo Collegio ritiene di aderire a quanto già deciso dal Tribunale, secondo il quale alla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, il credito era ancora nella titolarità della cedente ed è in tale momento che occorre avere riguardo ai fini della individuazione del soggetto titolare del credito:

“Il principio di diritto che, pertanto, deve essere affermato è che l’art. 643 c.p.c., comma 3 deve interpretarsi nel senso che la lite introdotta con la domanda di ingiunzione deve considerarsi pendente a seguito della notifica del ricorso e del decreto, ma gli effetti della pendenza retroagiscono al momento del deposito del ricorso” (Cassazione civile, Sezione Unite, 1/10/2007, n. 20596) Nel caso di specie, alla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, la creditrice era ancora titolare del credito azionato e, pertanto, legittimata ad agire in giudizio per far valere le proprie ragioni creditorie.

Per cui, il processo veniva correttamente incardinato dall’originaria titolare e, a seguito della cessione del credito, proseguito dalla cessionaria , a norma dell’art. 111, comma 3, c.p.c..

Tra l’altro, questo Collegio vuole precisare che l’eventuale accoglimento della censura formulata dalla difesa degli appellanti, avrebbe al più comportato la sola revoca del decreto ingiuntivo, in quanto secondo il consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, i vizi riconducibili al procedimento monitorio, non esimono il giudice ad indagare sulla fondatezza o meno della pretesa creditoria.
(ex multis. Cassazione civile, n. 3906/2016).

Con il quarto e ultimo motivo, gli appellanti si dolgono che il Tribunale non abbia dichiarato la nullità della fideiussione in oggetto per violazione della normativa antitrust.

appellanti, muovendo dal presupposto di una erronea interpretazione della pronuncia a Sezione Unite n. 41994/2021 da parte del primo giudice, sostengono che la coincidenza delle clausole avrebbe dovuto comportare la declaratoria di nullità assoluta della fideiussione.

Assumono che il provvedimento di Banca d’Italia n. 55/05 costituisce prova privilegiata, la quale esimerebbe i fideiussori dalla prova in ordine alla intesa anticoncorrenziale.

Aggiungono che, la nullità della fideiussione e la conseguenza riviviscenza delle norme codicistiche, avrebbe comportato la decadenza della creditrice dal termine di cui all’art. 1957 c.c..

Inoltre, lamentano che la creditrice non avrebbe preliminarmente escusso la debitrice principale Il motivo è infondato.

Con riferimento all’invocata nullità testuale di cui all’ultimo comma dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, è sufficiente osservare che gli appellanti, disattendendo il proprio onere probatorio, non hanno fornito adeguata prova della sussistenza dell’invocata intesa anticoncorrenziale.

In realtà si è già affermato che per le fideiussioni che rientrano nel periodo temporale oggetto di accertamento da parte della Banca d’Italia si verifichi una presunzione di utilizzo uniforme dell’applicazione dello schema ABI, mentre per le fideiussioni stipulate in epoca successiva – come nel caso di specie, in cui la fideiussione è stata sottoscritta nel 2014 – chi eccepisce la nullità deve allegare e fornire la prova della permanenza della intesa anticoncorrenziale al momento della concessione della garanzia, producendo ad esempio gli schemi contrattuali adottati da altri istituti di credito in epoca coeva o almeno prossima sollecitando il confronto delle relative pattuizioni. (cfr: Corte di Appello, Ancona, Sez. I, 28.03.2023, n. 547; Corte di Appello, Ancona, Sez. I, 21.03.2023, n. 499).

Le pronunce sul tema di questa Corte si pongono fra l’altro in linea con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito

“La mancata dimostrazione di un’intesa, anteriore o coeva alla stipulazione della garanzia qui considerata, avente come oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco Part fissazione di specifiche condizioni contrattuali in materia di garanzie fideiussorie non può allora che condurre al rigetto della domanda di nullità formulata in questa sede” (fra le tante: Tribunale di Milano, sez. imp. , 08/11/2021, n. 9050).

Inoltre, occorre poi chiarire che, anche volendo indagare in ordine ad una eventuale decadenza di cui all’art. 1957 c.c., la difesa degli appellanti non ha eccepito tale decadenza nella prima difesa utile, rappresentata nel presente giudizio dall’atto di citazione in opposizione.

Difatti, nell’atto di citazione in opposizione, gli opponenti si sono limitati ad eccepire la nullità della fideiussione poiché presenti le clausole di “reviviscenza”, “sopravvivenza” e di “rinuncia ai termini” di cui all’art. 1957 c.c. riproduttive dello schema ABI, senza precisare quali effetti deriverebbero dalla espunzione delle predette clausole con riferimento alla decadenza del termine semestrale di cui all’art. 1957 c.c. Non è sufficiente eccepire la nullità della fideiussione ma deve essere anche tempestivamente eccepita la decadenza prevista dall’art. 1957 c.c., applicabile al contratto a fronte della declaratoria di nullità. È pacifico, infatti, che l’eccezione di decadenza di cui all’art. 1957 c.c. costituisce eccezione in senso stretto e, pertanto, avrebbe dovuto essere sollevata, a pena di decadenza, nella prima difesa utile, e più precisamente nell’atto di citazione in opposizione, mentre la relativa eccezione è stata propriamente sollevata soltanto nella I memoria ex art. 183 c.p.c..

Restano assorbite le ulteriori censure.

In conclusione, la fideiussione prestata va considerata immune da nullità.

L’appello va pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza.

La Corte di Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da , nei confronti di avverso la sentenza in epigrafe, così provvede:

rigetta l’appello e conferma l’impugnata sentenza;
condanna pagamento in favore di alle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in € 2.977,00 + € 1.911,00 + € 5.103,00 rispettivamente per le fasi di studio, introduttiva e decisionale oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge;
sussistono i presupposti per la condanna di cui all’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 30.05.2002, modificato dalla L. n. 228 del 24.12.2010.

Ancona, così deciso in Camera di consiglio del 4.06.2024 Il Presidente estensore Dott.ssa NOME COGNOME

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