R.G. 8020/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA SEZIONE SECONDA CIVILE nella persona del Giudice dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._4494_2024_- N._R.G._00008020_2017 DEL_04_11_2024 PUBBLICATA_IL_05_11_2024
Nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 8020/2017 promossa da:
in qualità di eredi di entrambe con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME ATTRICI contro con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME CONVENUTA e nei confronti di con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME TERZA CHIAMATA Conclusioni Le parti hanno precisato le conclusioni come da fogli depositati telematicamente che qui devono intendersi come integralmente trascritte.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, in proprio e in qualità di eredi di hanno convenuto in giudizio la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza della morte della madre.
A fondamento della domanda, le attrici hanno dedotto che:
la madre, era stata ammessa a frequentare il centro diurno della struttura socio-sanitaria sita INDIRIZZO Pisogne (BS);
il 15.2.2013, mentre si trovava presso la suddetta struttura, la “veniva spinta da un altro paziente della struttura, il sig. e cadeva rovinosamente a terra”, riportando la rottura del femore sinistro, come diagnosticato in seguito dal Pronto Soccorso di Esine;
il 16.2.2013, la veniva sottoposta ad un intervento, con esito positivo, all’arto inferiore sinistro e, in seguito, trasferita presso la casa di riposto “ di Sale Marasino per la riabilitazione post-operatoria ove, il 4.3.2013, decedeva improvvisamente;
le attrici tentavano di contattare la struttura sanitaria per chiedere delucidazioni in merito all’accaduto, ma non ottenevano risposta.
A detta delle attrici, la caduta della madre – episodio che ha complicato un quadro clinico già precario in un soggetto ultranovantenne – sarebbe imputabile a comportamento colposo dei sanitari della struttura convenuta che, in tesi, non avrebbero prestato adeguata sorveglianza ai pazienti.
In conseguenza di ciò, hanno chiesto iure proprio il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, quantificato in € 200.000,00 ciascuna e iure hereditatis il risarcimento del danno c.d. catastrofale da liquidarsi in via equitativa, oltre al risarcimento del danno patrimoniale pari alle spese sostenute per la riabilitazione e alle somme versate per la frequentazione della stessa.
La convenuta si è costituita in giudizio contestando (1) il comportamento colposo addebitabile ai sanitari della propria struttura e (2) il nesso causale tra la morte della e la caduta avvenuta nella struttura.
Ha chiesto, quindi, il rigetto della domanda e l’autorizzazione a chiamare in causa la propria compagnia assicurativa Autorizzata la chiamata in causa, si è costituita in giudizio associandosi alle difese della convenuta e chiedendo il rigetto della domanda.
La causa è stata istruita mediante CTU medico-legale e prove testimoniali e trattenuta in decisione all’udienza del 6.6.2024 con termini di legge per il deposito di comparsa conclusionali e memorie di replica.
figlie di deceduta il 4.3.2013 presso la casa di cura ove si trovava ricoverata per riabilitazione post-operatoria a seguito di rottura del femore sinistro, hanno agito in giudizio nei confronti della struttura socio-sanitaria ove la madre era caduta 17 giorni prima del decesso, chiedendone l’accertamento della responsabilità per l’incidente e la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti da loro stesse e dalla madre.
Dalle allegazioni e conclusioni in atti risulta che le attrici hanno chiesto il risarcimento dei danni sia iure proprio (da perdita del rapporto parentale) che iure hereditatis (da c.d. danno catastrofale sofferto dalla vittima), invocando dunque una responsabilità mista contrattuale ed extracontrattuale della struttura sanitaria.
Va chiarito che, seppur vero che l’accettazione del paziente nella struttura sanitaria determina la conclusione del c.d. contratto atipico di spedalità, il rapporto contrattuale che ne segue intercorre unicamente tra la struttura e il paziente ricoverato che, solo, è legittimato ad agire in via contrattuale verso la struttura stessa.
Viceversa, i parenti del paziente che invocano un danno iure proprio agiscono in via extracontrattuale, con conseguente onere probatorio a loro carico rispetto a tutti gli elementi costitutivi della responsabilità.
In ogni caso, sia in applicazione del regime della responsabilità contrattuale sia di quella extracontrattuale, era preciso onere di parte attrice allegare in modo specifico, prima ancora che provare, i fatti costitutivi posti a fondamento della domanda tra i quali, per quanto rileva in questa sede, il comportamento colposo imputato alla controparte che avrebbe cagionato il danno.
Parte attrice non ha assolto a tale onere probatorio, essendosi limitata ad invocare una generica negligenza del personale sanitario della struttura convenuta senza specificare i profili di responsabilità addebitabili al personale di turno il giorno dell’incidente e il comportamento alternativo esigibile utile ad evitare l’evento.
Dall’analisi degli atti emerge che, il giorno del fatto, era stata accompagnata in poltrona dal personale sanitario, insieme agli altri ospiti della struttura, come abitualmente accadeva dopo pranzo.
Risulta, altresì, che la era parzialmente autonoma ed in grado di deambulare, seppure con qualche difficoltà e con l’ausilio di un bastone e che il personale della struttura, informato di ciò, le consentiva di muoversi in autonomia seppur sotto sorveglianza, come in effetti accaduto sino al giorno della caduta.
Risulta, in altri termini, che il giorno della caduta tutto si è svolto secondo le normali procedure, che il personale sanitario ha correttamente aiutato i pazienti a sedersi in poltrona dopo il pranzo, che la aveva con sé il bastone con cui abitualmente si aiutava nella deambulazione.
In un simile contesto di “normalità”, spettava a parte attrice allegare e provare l’esistenza di circostanze dalle quali poter desumere la negligenza imputata alla convenuta.
La circostanza per cui la sarebbe stata “spinta” da un altro paziente della struttura in occasione di un alterco tra i due è stata contestata dalla convenuta e smentita dalle risultanze testimoniali.
Sul punto, va osservato che le attrici non erano presenti sul luogo del fatto e non hanno chiarito come sono venute a conoscenza della dinamica descritta e, del resto, la circostanza che avessero ripetutamente cercato di contattare la struttura per avere delucidazioni sull’accaduto indica che non conoscevano l’esatta dinamica della vicenda;
al contrario, due operatrici della struttura, presenti al momento del fatto, hanno riferito in sede testimoniale che “non ci sono state discussioni tra gli ospiti quando sentiamo discussioni interveniamo immediatamente;
nell’occasione non vi sono state né grida né discussioni” (cfr. verbale del 17.1.2020 teste e teste La dinamica della caduta è rimasta, dunque, molto incerta.
Anche volendo ipotizzare che la caduta sia avvenuta a seguito di un contatto tra la e un altro paziente, spettava comunque a parte attrice dimostrare che tale contatto era evitabile o, comunque, che era avvenuto in circostanze anomale che il personale della struttura avrebbe dovuto gestire con maggiore attenzione, ma ciò non è stato dedotto.
Ad esempio, non risulta che il paziente con cui la si sarebbe scontrata fosse notoriamente aggressivo e quindi dovesse essere allontanato o tenuto sotto stretta osservazione, né risulta che il luogo in cui gli ospiti si trovavano dopo il pranzo fosse inadeguato o non consentisse loro di muoversi con agio in autonomia, né risulta che la avesse manifestato quel giorno debolezze fisiche o mentali che avrebbero dovuto allertare il personale e suggerire maggiore cautela o, ancora, che il personale di turno quel giorno fosse insufficiente a gestire il numero di ospiti presenti nella struttura. A tal proposito, anzi, si osserva che parte convenuta ha dimostrato di possedere i requisiti di accreditamento che rispettano gli standard imposti quanto a personale impiegato, minutaggio di lavoro e di riposo, frequenza di turnazione.
È ben vero, come afferma parte attrice, che il mero possesso di un’attestazione non esonera di per sé da ogni responsabilità, ma proprio perché parte attrice assume tale responsabilità, avrebbe dovuto chiarire in cosa sarebbe consistito il comportamento colposo addebitato alla controparte.
Dunque, risulta che il giorno del fatto tutto si è svolto secondo le normali procedute e che, pertanto, la caduta della è da considerarsi evento imprevedibile e non imputabile ad alcun comportamento colposo del personale sanitario.
La mancata dimostrazione dell’esistenza di un fatto illecito imputabile alla controparte assorbe di per sé ogni ulteriore profilo di responsabilità.
Si aggiunga, in ogni caso, che non risulta dimostrato nemmeno il nesso causale tra la caduta e il decesso.
Parte attrice affida la prova del nesso causale ad una relazione di parte, redatta dal dott. all’epoca dei fatti direttore della casa di cura ove la si trovava ricoverata per il decorso post operatorio, che si rivela, tuttavia, inidonea per le seguenti ragioni (doc. 4 parte attrice).
In primo luogo, la relazione è stata redatta ad oltre due mesi di distanza dal decesso della (la relazione è datata 15.5.2013 e il decesso è avvenuto il 4.3.2013), non nell’immediatezza del fatto, e non contiene alcun riferimento ad esami autoptici sul corpo della paziente o a documentazione clinica specifica;
pertanto, non è dato sapere sulla base di quali criteri e parametri il medico abbia, a distanza di mesi, ricostruito il quadro clinico della paziente ipotizzando una possibile causa di decesso.
Ad ogni modo, si consideri che nella relazione si afferma che “il decesso è stato improvviso” e che la paziente “è immediatamente deceduta”;
pertanto, sembra potersi affermare che l’evento morte è stato un epilogo assolutamente inaspettato tenuto conto del quadro clinico della già comprensivo della caduta, della frattura del femore e dell’operazione (che, da quanto risulta, ha avuto esito positivo).
Infine, va evidenziato che la relazione non individua la caduta quale causa certa della morte, ma ipotizza (si ribadisce, a due mesi di distanza) come causa “probabile” del decesso un “rigore trombotico ischemico” dovuto a “aritmia cardiaca” già presente nella paziente “non adeguatamente coagulata per anemia ed elevato rischio emorragico”.
Nulla esclude, dunque, che la fosse già affetta da una patologia pregressa che è degenerata sino a provocarne la morte.
Pertanto, sulla base della mera relazione prodotta da parte attrice non è possibile ricollegare la morte della alla caduta avvenuta nel febbraio 2013 presso la struttura della convenuta.
Nemmeno il CTU ha apportato alcun contributo chiarificatore, essendosi limitato a prendere atto che “non è stata eseguita l’autopsia, unico esame post mortem in grado di stabilire con esattezza le cause del decesso” e a rilevare che “il complesso quadro patologico della signora si trovò ad essere ulteriormente insultato dal sopraggiungere di una frattura femorale”, senza tuttavia aver effettuato alcuna disamina tecnico-specialistica e senza aver individuato la reale causa dell’evento morte.
In sintesi, seppur plausibile che la caduta di una persona anziana possa aver contribuito ad indebolire un quadro clinico già fragile, non è stato accertato, con la certezza processuale necessaria ad affermare la sussistenza di una responsabilità, che la caduta è stata la causa determinante l’evento morte.
Per queste ragioni la domanda deve essere respinta.
In considerazione della peculiarità della vicenda e della comprensibile difficoltà di conoscere l’esatta dinamica della vicenda e la causa del decesso, nonché dell’affidamento comprensibilmente riposto dalle attrici nella struttura sanitaria dove si trovava la madre, si ritiene sussistano le ragioni per compensare le spese di lite nel rapporto tra parte attrice e parte convenuta.
Per le stesse ragioni le spese di CTU, già liquidate in separato decreto, vanno poste a carico delle parti nella misura del 50% ciascuna.
Nei rapporti tra parte convenuta e la terza chiamata, le spese di lite vanno poste a carico della terza chiamata e si liquidano in euro 12.489,00 di cui euro 10.860,00 per compenso professionale (considerati valori medi per fase studio, introduttiva, istruttoria e decisionale) ed euro 1.629,00 per spese generali oltre iva e cpa di legge.
Il Tribunale di Brescia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita: rigetta la domanda;
dichiara compensate le spese di lite nel rapporto tra parte attrice e parte convenuta condanna la terza chiamata a rifondere a parte convenuta le spese di lite liquidate come in parte motiva.
pone le spese di CTU, già liquidate in separato decreto, a carico delle parti in misura del 50% ciascuna e per la convenuta a carico della terza chiamata.
Brescia, 4 novembre 2024
Il Giudice NOME COGNOME
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