REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE SECONDA CIVILE
così composta:
riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1459/2023 pubbl. il 28/02/2023
nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 2805 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2022, decisa all’udienza del giorno 27.2.2023
tra
XXX (cod. fisc.), YYY (cod. fisc.) E ZZZ (cod. fisc.), domiciliati presso
-appellanti- e KKK S.P.A.
-appellata contumace- e
JJJ S.R.L. (cod. fisc.), e per essa la mandataria SSS S.P.A. (cod. fisc.)
-terza intervenuta –
OGGETTO: contratti bancari (causa non rientrante nelle materie rimesse alla Sezione specializzata in Materia di Impresa).
CONCLUSIONI
per gli appellanti: “Piaccia all’Ill.ma Corte d’Appello di Roma, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, in accoglimento dell’appello proposto, previa preliminare sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado per i motivi esposti in premessa, riformare per i motivi sopra esposti, la sentenza n. 695/2022, pronunciata dal Tribunale di Latina, Seconda Sezione Civile, nella persona della dr.ssa il 04/04/2022, pubblicata il successivo 06/04/2022, resa nella causa iscritta al n. 7142/2016 R.G. e, pertanto, accogliere tutte le conclusioni rassegnate in primo grado da intendersi ivi integralmente riportate e trascritte.
Con vittoria di spese e compensi professionali di entrambi i gradi di giudizio, da distrarsi in favore del procuratore nominati che se ne dichiara antistatario”;
per la terza intervenuta: “Voglia l’adita Corte, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, (…)
c) nel merito: rigettare integralmente l’appello proposto da YYY, XXX e ZZZ (quali garanti della fallita ***), in quanto infondato in fatto e diritto e comunque non provato, confermando in toto la sentenza impugnata, per quanto motivato; (…)
e) in ogni caso: condannare l’appellante al pagamento delle spese e dei compensi professionali, oltre IVA e CPA”.
FATTO E DIRITTO
1. Con decreto ingiuntivo n. 1939/2016 del 7.10.2016, notificato il 17.10.2016, il Tribunale di Latina ha ingiunto a XXX, YYY e ZZZ, quali fideiussori della fallita ***, di pagare, in solido tra loro, alla KKK S.p.A., e per essa alla *** S.p.A., la somma di € 52.639,62, oltre interessi come da domanda, a fronte del saldo debitore del conto corrente di corrispondenza n. 400481006 (già n. 1524/59 con la *** S.p.A.) stipulato il 24.4.2001.
Avverso il suddetto decreto ingiuntivo hanno proposto opposizione ex art. 645 c.p.c. XXX, YYY e ZZZ.
Con sentenza n. 695/2022 del 6.4.2022 il Tribunale di Latina, in composizione monocratica, ha rigettato l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 1939/2016 del 7.10.2016 e, ai sensi dell’art. 653, co. 1, c.p.c., ha dichiarato definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo n. 1939/2016 del 7.10.2016, condannando gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto tempestivamente appello XXX, YYY e ZZZ, svolgendo i motivi di seguito indicati. L’appellata KKK S.p.A., pure ritualmente citata, non si è costituita in giudizio e con la presente sentenza deve essere dichiarata contumace.
Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 1°.6.2022 è intervenuta ex art. 111 c.p.c. nel presente grado di giudizio la JJJ S.r.l., e per essa la mandataria SSS S.p.A., premettendo: (i) di essere divenuta titolare, con efficacia dal 14.7.2017, dei crediti di cui era titolare la KKK S.p.A., come da avviso di pubblicazione sulla G.U.R.I. – Parte II 8.8.2017, n. 93, nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione avente ad oggetto un portafoglio di crediti pecuniari della cedente derivanti da finanziamenti ipotecari e chirografari vantati verso creditori classificati “in sofferenza”; (ii) di avere conferito alla *** S.p.A. (ora SSS S.p.A., a seguito di mutamento della denominazione sociale), con atto a rogito del notaio in Milano, ***, in data 20.7.2017 (rep. n.; racc. n.), procura per l’amministrazione, la gestione, l’incasso ed eventuale recupero, anche per via giudiziale, dei credit suddetti, nonché per l’eventuale escussione delle garanzie accessorie, di qualsiasi tipo o natura; e ha concluso, come in epigrafe, per il rigetto della proposta impugnazione.
La presente causa è stata trattenuta in decisione alla prima udienza, ai sensi dell’art. 80-bis disp. att. c.p.c., e decisa senza assegnare alle parti i termini di cui all’art. 190 c.p.c. in ragione di quanto disposto con il decreto in data 3.2.2023, ritualmente comunicato alle parti dalla Cancelleria.
2. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado per avere qualificato l’obbligazione assunta dagli attuali appellanti nei confronti dell’KKK S.p.A., in relazione ai rapporti contrattuali tenuti dall’attuale appellata con la debitrice principale, come contratto autonomo di garanzia. In particolare, gli appellanti deducono come non sia possibile ritenere – come ha fatto il Tribunale di Latina – che la presenza della clausola “a semplice richiesta scritta” sia sufficiente a qualificare la garanzia rilasciata dagli attuali opponenti come contratto autonomo di garanzia Il motivo è fondato.
“L’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento ‘a prima richiesta e senza eccezioni’ vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale” (così Cass. civ., S.U. 18.2.2010, n. 3947). Nel caso in esame, tuttavia, non è possibile ritenere che si sia in presenza di una siffatta clausola con riguardo all’art. 7 del contratto del 6.12.2007, sottoscritto dagli odierni appellanti (v. doc. n. 4 del fascicolo del procedimento monitorio), che si limita a prevedere – come ha ritenuto il giudice di primo grado – che il pagamento da parte del garante debba avvenire “a semplice richiesta scritta”, e non a prima richiesta e senza eccezioni. Infatti, la previsione della clausola “a prima” o “a semplice” richiesta è possibile anche in un contratto di fideiussione, integrando – in buona sostanza – la clausola solve et repete, che comporta per il fideiussore la possibilità di far valere, in via di eccezione, i diritti del debitore principale agendo in ripetizione verso il beneficiario solo dopo avere provveduto al pagamento di quanto dovuto.
Né l’esame delle altre clausole contrattuali, unitamente a quella sopra riportata dell’art. 7, consente di ritenere senza alcun dubbio che le parti abbiano voluto stipulare un contratto autonomo di garanzia.
In particolare, non è possibile giungere a una valutazione nel senso ritenuto dal giudice di primo grado – si ripete, in mancanza di alcuna deduzione da parte dell’opponente – sulla base dell’art. 8 del contratto in data 6.12.2007, in cui si prevede che: “Nell’ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fidejussione si intende fin da ora estesa a garanzia dell’obbligo di restituzione delle somme comunque erogate”. Infatti, nel momento stesso in cui si prevede la non irrilevanza della dichiarazione di un’eventuale illegittimità delle obbligazioni garantite rispetto alla fideiussione prestata, ed espressamente qualificata come tale, si introduce una previsione che esclude in radice la possibilità di affermare che si sia in presenza di un contrato autonomo di garanzia. Anzi, la previsione contrattuale in esame è un chiaro indice della natura di fideiussione del rapporto di garanzia in questione.
Perché la fideiussione sia valida occorre che l’obbligazione garantita non solo sussista realmente, ma sia a sua volta valida (art. 1939 c.c.), sicché la previsione contrattuale dell’art. 8 si preoccupa di estendere la garanzia prestata anche alla diversa obbligazione restitutoria nascente dall’indebito. È di tutta evidenza, allora, come una previsione siffatta non sarebbe stata necessaria qualora quella prestata da *** fosse stata un’obbligazione autonoma di garanzia, mentre si rende necessaria in presenza di una fideiussione, poiché l’obbligazione del garante si determina per relationem.
Neanche è possibile invocare, a sostegno della natura di contratto autonomo di garanzia, l’art. 6 del contratto stipulato in data 6.12.2007, in forza del quale “I diritti derivanti alla Banca dalla fidejussione restano integri fino alla totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fidejussore medesimo o qualsiasi altro coobligato o garante entro i termini previsti dall’articolo 1957 cod. civ., che si intende derogato”. Tale disposizione, tuttavia, consente piuttosto di qualificare quella stipulata da *** come fideiussione omnibus, rilasciata cioè a garanzia di tutte le obbligazioni assunte dal debitore principale nei confronti della Banca garantita, entro il limite indicato dal contratto stesso.
Quanto infine all’art. 9 del contratto suddetto, secondo cui “nessuna eccezione può essere opposta dal fidejussore riguardo al momento in cui l’Azienda di credito esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti col debitore”, la funzione è quella di non consentire al fideiussore di sindacare la valutazione operata dalla banca in ordine al merito creditorio, la quale implica una valutazione in ordine alla capacità del debitore (principale) di fare fronte al debito maturato, anche in ragione della capacità imprenditoriale, alla quale non è e non può essere estranea una qualche discrezionalità. Non si tratta, dunque, di una previsione che impedisce al garante di sollevare un’eccezione in senso proprio relativa al rapporto principale di credito, ma piuttosto di impedire allo stesso di sindacare il recesso operato dalla banca dal rapporto a tempo indeterminato con il debitore principale.
3. Con il secondo motivo di appello si deduce che il giudice di primo grado ha omesso ogni pronuncia in ordine all’eccezione, sollevata dagli odierni appellanti, di nullità del contratto di fideiussione fatto sottoscrivere dalla Banca a XXX, YYY e ZZZ perché contenente le “vecchie” clausole dichiarate illegittime dall’AGCOM (Autorità Garante della Concorrenza), ponendosi dunque in contrasto con l’art. 2, co. 2, lett. a) della legge n. 287/1990. Al riguardo, gli appellanti hanno dedotto che, poiché le clausole sono in contrasto con norme imperative sono nulle (art. 1418 c.c.) e tale nullità, seppure non fosse stata eccepita dagli attuali appellanti (ma così non è) doveva comunque essere rilevata d’ufficio dal Giudice, soprattutto perché persegue interessi generali dell’ordinamento, tra i quali rientra la tutela della categoria economica più debole (come il semplice consumatore).
Il motivo non merita accoglimento.
Preliminarmente si deve osservare come la censura in esame sia fondata sull’assunto della nullità della fideiussione omnibus sottoscritta dall’appellante in quanto riproduttiva delle clausole n. 2, 6 e 8 del modello ABI sanzionato dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55/2005 perché restrittivo della concorrenza, ritenendo dunque – in buona sostanza – che la gravità delle violazioni denunziate travolgerebbe tutto il contratto, e soltanto le clausole nulle. Tuttavia, tale impostazione ha trovato una definitiva smentita con la sentenza n. 41994/2021 emessa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte in data 30.12.2021, secondo cui “I contratti di fideiussione ‘a valle’ di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.
Esclusa, dunque, la nullità dell’intero contratto, la dedotta nullità delle suddette clausole non comporterebbe, in ogni caso, la revoca del decreto ingiuntivo nei confronti dei fideiussori opponenti, non essendo impugnata la sentenza nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto provato il credito azionato in via monitoria, sulla scorta della documentazione prodotta dall’opposta nella fase monitoria e nel giudizio di opposizione, e non risultando altresì dedotta, nel proporre appello, la decadenza della garanzia ai sensi dell’art. 1957 c.c., cosicché nessun effetto produrrebbe sulla statuizione di rigetto dell’opposizione l’auspicato rilievo della nullità delle clausole riproducenti quelle sanzionate dalla Banca d’Italia. Ne consegue che manca l’interesse ex art. 1421 c.c. degli appellanti alla dichiarazione di nullità delle suddette clausole.
Soprattutto, la questione della nullità dei contratti di fideiussione stipulati dagli odierni appellanti per violazione della normativa antitrust costituisce una deduzione nuova, effettuata per la prima volta nel presente grado di giudizio. Di ciò gli appellanti mostrano di essere consapevoli laddove deducono che la nullità è rilevabile d’ufficio anche nel giudizio d’appello.
In verità, il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità in ogni stato e grado del giudizio trova un limite nella necessità che il fatto su cui la stessa si basa sia stato tempestivamente allegato nel corso del giudizio di primo grado. In caso contrario, si determinerebbe un inammissibile vulnus delle maturate preclusioni processuali (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 9.8.2019, n. 21243; Cass. civ., Sez. III, 19.2.2020, n. 4175). Nel caso in esame, invece, è difettata l’allegazione di un patto lesivo della concorrenza con l’atto di citazione in opposizione ex art. 645 c.p.c. come anche nel corso del giudizio di opposizione, ancora prima che la prova, delle circostanze rilevanti al fine di poter ritenere sussistente la dedotta nullità, che peraltro non riguarderebbe l’intera fideiussione rilasciata dagli appellanti, ma soltanto alcune clausole dalla stessa.
L’eccezione di nullità della fideiussione è fondata su un fatto nuovo, mai dedotto nel giudizio di primo grado nei termini dedicati alla fissazione del thema decidendum e del thema probandum di cui all’art. 183 c.p.c., vale a dire il provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2.5.2005, sanzionatorio per violazione della disciplina anticoncorrenziale delle suddette norme uniformi ABI in materia di fideiussione. E la deduzione di tale fatto nuovo costituisce violazione dell’articolo 345 c.p.c., nella parte in cui sono ritenute inammissibili le nuove eccezioni nonché i nuovi documenti, a meno che la parte dimostri di non averli potuti produrre per causa non imputabile alla stessa.
Circostanza, quest’ultima, che non ricorre, atteso che il provvedimento della Banca d’Italia risale al 2005 mentre il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è stato promosso nel 2016.
4. Con il terzo motivo di appello si deduce che la Banca opposta non ha assolto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo all’onere probatorio, essendosi limitata a produrre i soli estratti conto relativi al rapporto, ma non avendo fornito la prova dell’esistenza di un valido contratto di apertura di conto corrente ordinario di corrispondenza, in particolare non potendosi ritenere rispettato il requisito della forma scritta nel caso di specie per essere stato sottoscritto dal solo correntista, e non anche dalla Banca, non avendo quest’ultima provato la consegna della scheda contrattuale al correntista.
Il motivo non merita accoglimento.
Come ha osservato la Suprema Corte, in materia di contratti bancari l’omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito non determina la nullità del contratto per difetto della forma scritta, prevista dall’art. 117, co. 3, T.U.B. requisito firma/e, infatti, deve essere inteso in senso strutturale, bensì funzionale, in quanto posto a garanzia della più ampia conoscenza, da parte del cliente, del contratto predisposto dalla banca, la cui mancata sottoscrizione è dunque priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell’istituto di credito idonei a dimostrare la sua volontà di avvalersi di quel contratto (cfr. Cass. civ., Sez. I, ord. 6.9.2019, n. 22385; Cass. civ., Sez. I, ord. 18.6.2018, n. 16070; Cass. civ., S.U., 16.1.2018, n. 898).
5. Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza di primo grado per non avere ammesso la c.t.u. contabile, per cui ha istato parte attrice, laddove “Se, dunque, il Giudice di prime avesse ammesso la CTU avrebbe avuto modo di accertate che gli interessi applicati dalla Banca superavano il tasso soglia usura, così come eccepito dagli attuali opponenti ed avrebbe, conseguentemente potuto accertare la fondatezza della domanda riconvenzionale dagli stessi avanzata”.
Il motivo è privo di ogni pregio.
L’appellante, da un lato, ha semplicemente enunciato la violazione della normativa relativa agli interessi usurari, dall’altro lato, non ha minimamente argomentato la sua contestazione. Del, resto, l’appellante non ha quantificato la misura degli interessi usurari che sarebbero stati (in tesi) applicati dalla Banca; non ha indicato quali sarebbero i parametri presuntivamente violati dalla Banca; non ha indicato neppure i periodi di riferimento in cui gli interessi usurari sarebbero stati applicati; non ha indicato la misura degli interessi che, al contrario, la Banca avrebbe dovuto applicare, né quella realmente applicata dalla Banca.
La consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che detto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata dal giudice qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (cfr. Cass. civ., Sez. VI-1, ord. 15.12.2017, n. 30218; Cass. civ., Sez. VI-L, 8.2.2011, n. 3130). Ed è appena il caso di rilevare come quello in esame non sia uno di quei casi in cui sia possibile derogare al divieto di indagini esplorative (cfr. Cass. civ., Sez. III, 14.2.2006, n. 3191; Cass. civ., Sez. III, 6. 6.2003, n. 9060).
6. In conclusione, l’appello proposto da XXX, YYY e ZZZ avverso la sentenza n. 695/2022 emessa dal Tribunale di Latina, in composizione monocratica, il 6.4.2022 deve essere rigettato.
Le spese del presente giudizio di appello seguono la soccombenza tra le parti costituite e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, mentre devono essere integralmente compensate tra gli appellanti e la KKK S.p.A., che non si è costituita nel presente giudizio, pur ritualmente evocata in giudizio, non svolgendo dunque alcuna attività difensiva.
La Corte deve dare atto, con la presente sentenza, della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, co. XVII, della legge 24.12.2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra difesa, eccezione e istanza disattesa, così provvede:
dichiara la contumacia della KKK S.p.A.;
rigetta l’appello proposto da XXX, YYY e ZZZ avverso la sentenza n. 695/2022 emessa dal Tribunale di
Latina, in composizione monocratica, il 6.4.2022; condanna XXX, YYY e ZZZ, in solido tra loro, a rimborsare alla JJJ S.r.l., e per essa alla SSS S.p.A., le spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 5.000,00 per compenso, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. qualora dovuta e C.P.A. nella misura di legge; nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio tra gli appellanti e la KKK S.p.A.; dà atto che, per effetto della presente decisione, sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.
Roma, 27.2.2023
IL GIUDICE EST.
IL PRESIDENTE
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.