N. R.G. 23093/2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
Sezione III CIVILE
Il giudice dr.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._5535_2024_- N._R.G._00023093_2021 DEL_04_11_2024 PUBBLICATA_IL_05_11_2024
nella causa iscritta al N.R.G. 23093 dell’anno 2021 TRA (C.F. ) e (C.F. ), in qualità di eredi di , con l’avv. COGNOME NOME COGNOME (C.F. ) e , in qualità di eredi di , con l’avv. NOME COGNOME CONVENUTI OGGETTO:
rimborso somme – azione ex art. 1110 – 1134 c.c. rassegnate dalle parti le seguenti
CONCLUSIONI
Per parte attrice:
“…con riferimento al quantum richiesto con l’azione di regresso per cui è causa, precisa ancora che l’azione riguarda l’importo complessivo di € 17.564,50, di cui € 11.950,00, già versati alla ditta di dal de cuius per i lavori urgenti di C.F. C.F. C.F. C.F. pende il giudizio di appello presso la Corte di Appello di Catanzaro che, da portale telematico, risulta interrotto.
Precisato ciò, richiama tutte le difese già svolte nei propri scritti difensive, in particolare nella propria riassunzione e nelle memorie 183 c. 6 n. 1, 2 e 3, e chiede che la causa venga trattenuta a decisione.
Per parte convenuta:
“… si precisano le conclusioni per come indicate nella memoria di costituzione”.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato , in qualità di eredi di , hanno evocato in giudizio per sentirlo condannare al pagamento della somma di € 10.336,10, oltre interessi legali dal pagamento al soddisfo, a titolo di rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione di lavori di messa in sicurezza dell’immobile sito in Fagnano Castello, censito al Foglio 13, particella n. 72.
In particolare, hanno esposto che:
sono entrambe comproprietarie dell’immobile identificato al Catasto al foglio , particella 72, sub 2, acquistato per successione ereditaria del 20.9.2021;
è proprietario dell’immobile identificato al Foglio , particella 72 sub 1;
entrambi gli immobili sono entrati nella sfera di proprietà di e di mediante successione ereditaria e fanno parte dell’unico fabbricato sito in Fagnano Castello, INDIRIZZO
il 23.1.2014 il Comune di Fagnano Castello emetteva ordinanza con la quale intimava al de cuius e a l’immediata messa in sicurezza o demolizione dell’intero edificio poiché pericolante;
all’epoca gli immobili risultavano al Catasto, rispettivamente, di per la quota di 7/9 e di per la quota di 2/9;
vista l’urgenza dell’intervento e l’inattività di , al fine di evitare ulteriori aggravi di spese e di responsabilità da parte del il de cuius incaricava la ditta di eseguire i necessari lavori di messa in sicurezza, al costo preventivato di € 18.334,80;
il preventivo veniva comunicato a che di volta in volta eccepiva varie della somma di € 11.000 per i lavori da svolgere, mediante bonifici eseguiti il 25.2.2014 e l’8.9.2014, nonché al pagamento dell’ulteriore somma di € 950,00 in favore del direttore dei lavori;
a lavori ultimati ne contestava l’esecuzione in quanto non eseguiti a regola d’arte e non corrispondenti a quelli indicati nella S.C.I.A. e nel preventivo;
ciò nonostante la ditta esecutrice otteneva l’emissione del decreto ingiuntivo n. 442/2015 dell’importo di € 6.814,50, su fattura emessa a saldo dei lavori eseguiti;
proposta opposizione dinanzi al Tribunale di Cosenza, il giudizio si concludeva con sentenza n. 1352/2019 che, in parziale accoglimento dell’opposizione, riduceva la somma dovuta a € 5.614,50, condannando l’opponente al pagamento delle spese di lite, quantificate in € 2.700,00;
avverso detta sentenza proponeva appello, il cui procedimento è ancora pendente;
nonostante le numerose richieste di rimborso delle somme anticipate, nulla veniva corrisposto dal convenuto e subiva, pertanto, l’esecuzione della somma pari a € 12.925,77, non riuscendo a provvedere al pagamento ingiunto dalla ditta Di tanto premesso, hanno dedotto la sussistenza del loro diritto di regresso nei confronti di precisando che la somma di € 3.903,22 corrisponde ai 2/9 della quota di comproprietà sull’immobile di Fagnano Castello per il corrispettivo pagato per i lavori eseguiti e la somma di € 6.462,88 alla metà delle somme indicate nell’atto di pignoramento subito. “NOME” si è costituito in giudizio eccependo, in via preliminare, l’incompetenza per territorio del Tribunale adito per essere competente il Tribunale di Cosenza ai sensi dell’art. 23 c.p.c.;
la carenza di legittimazione attiva delle attrici stante l’assenza di prova della qualità di eredi;
l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento della negoziazione assistita.
Nel merito, ha contestato la domanda deducendo di aver sollecitato il fratello NOME sin dal 2010 per eseguire i lavori di messa in sicurezza;
– di aver richiesto al din dal 2013 di procedere cin l’abbattimento dell’immobile;
– di aver comunicato al fratello di essere disponibile a donargli la propria quota se quest’ultimo avesse voluto procedere al restauro dell’immobile;
– di essere stato di fatto estromesso dall’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza dell’immobile a seguito dell’ordinanza comunale;
– di aver sempre manifestato la propria volontà di procedere alla , in ogni caso, contestato la quantificazione della somma richiesta a titolo di rimborso eccependo che, in caso di accoglimento della domanda, la ripartizione delle spese avrebbe dovuto essere operata in base alle rispettive quote di comproprietà e, dunque, con imputabilità della minor somma di € 4.233,04, da cui decurtare l’ulteriore 50% per la mancata fruizione delle agevolazioni fiscali.
All’udienza del 21.6.2022 la parte attrice ha precisato di agire ai sensi dell’art. 1110 c.c., riducendo la domanda alla minor somma di € 2.655,55, pari ai 2/9 del capitale (€ 11.950,00).
Con note scritte depositate il 21.11.2022 parte attrice ha modificato nuovamente la quantificazione della somma richiesta chiedendo che il credito in linea capitale fosse determinato in 2/9 di € 17.564,50 – dato dalla somma di € 11.950,00 e di € 5614,50 ancora dovuta alla ditta – e, dunque, in complessivi € 3.903,22.
A seguito di interruzione del processo per sopravvenuto decesso di , parte attrice con ricorso in riassunzione depositato il 28.4.2023 ha nuovamente modificato la domanda chiedendo il rimborso della somma di € 17.564,50.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO In via preliminare devono essere respinte le eccezioni di incompetenza territoriale, difetto di legittimazione attiva e di improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita;
peraltro, le suddette eccezioni non sono state riproposte in sede di precisazione delle conclusioni e devono, pertanto, intendersi implicitamente rinunciate.
In ogni caso, quanto alla competenza per territorio, posto che la stessa va determinata in base alle allegazioni della parte attrice e che nel caso di specie in prima udienza è stato precisato che l’azione è stata proposta ai sensi dell’art. 1110 c.c., non risulta applicabile, rispetto alla prospettazione attorea, l’art. 23 c.p.c. invocato da parte convenuta.
La domanda ex art. 1110 c.c. attiene, difatti, al rimborso delle spese sostenute dal comproprietario per la conservazione del bene comune e ha, dunque, ad oggetto il pagamento di una somma di danaro, con conseguente applicabilità del foro delle persone fisiche di cui all’art. 18 c.p.c., con conseguente sussistenza della competenza territoriale del Tribunale adito.
Quanto alla legittimazione attiva le odierne attrici hanno dimostrato la loro qualità di eredi di producendo le rispettive dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà con “Apostille” del Collegio Notarile di Valencia, atto pubblico fidefacente fino a querela di falso (doc. n. 4).
L’invito alla negoziazione assistita risulta ritualmente trasmesso con raccomandata del 17.6.2021ricevuta il 23.6.2021 (doc. n. 1 all. memoria ex art. 183 c.p.c.), con conseguente merito, la domanda va accolta nei termini e nei limiti che seguono.
La fattispecie in esame va inquadrata nell’ambito della disciplina dettata dall’art. 1134 c.c. in tema di rimborso delle spese anticipate dal condomino in via di urgenza per la conservazione delle parti comuni dell’edificio, non essendo applicabile nella fattispecie in esame la normativa di cui all’art. 1110 c.c. invocata da parte attrice.
Occorre premettere che, secondo quanto più volte ribadito dalla Suprema Corte “La diversa disciplina dettata dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell’altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l’utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. Ne discende che anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 cod. civ.” (cfr. Cass. n. 5465/2022; n. 21015/2011; Sez. Un. n. 2046/2006).
La disciplina del condominio di edifici trova, difatti, applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, quanto con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni.
L’art. 1110 c.c. è, dunque, applicabile laddove la spese riguardi un immobile in comproprietà sul quale uno dei due o più comproprietari intervenga per la conservazione della cosa comune;
la analoga disciplina dettata dall’art. 1134 c.c. è, invece, relativa alle spese effettuate dal condomino su parti comuni e presuppone, dunque, la coesistenza di più unità immobiliari appartenenti a più proprietari situate nel medesimo edificio, esattamente ciò che è accaduto nella fattispecie in esame.
Occorre premettere che le parti non hanno depositato in atti alcuna visura dell’immobile catastalmente censito al foglio 13 particella 72 sub 1, atteso che il doc. n. 3 prodotto da parte attrice è la visura del solo sub 2 alla data del 22.9.2021 e, analogamente, il doc. n. 5 è la visura del solo sub divisione ereditaria del Tribunale di Cosenza.
Non vi è, dunque, prova documentale dell’effettiva comproprietà dell’intero immobile (foglio 13 particella 72) in capo alle odierne parti al momento dell’esecuzione dei lavori, né delle rispettive quote.
È, invece, pacifico in atti e in parte provato per tabulas che all’epoca dei fatti fossero comproprietari dell’immobile identificato al Catasto al foglio 13 particella 72 sub 2 per le quote rispettivamente di 7/9 e 2/9 (doc. n. 5).
Quanto al sub 1 parte attrice, al punto 2 dell’atto di citazione, ha indicato quale proprietario dello stesso, senza ulteriore specificazione, lasciando intendere che fosse proprietario esclusivo di tale unità.
L’unico documento da cui è dato evincere come fosse suddiviso l’immobile in oggetto al momento dell’esecuzione dei lavori è, in realtà, la perizia redatta dall’arch. prodotta da parte convenuta unitamente alla comparsa di costituzione quale all. 10, a sostegno di quanto già allegato in detto atto introduttivo e non oggetto di specifica contestazione, come tale da ritenersi provato ai sensi dell’art. 115 c.p.c. In base alla suddetta perizia, all’epoca dell’esecuzione dei lavori, l’intero immobile oggetto di ordinanza risultava composto da due unità immobiliari catastalmente identificate con il sub 1 e sub 2 e di un vano di proprietà di terzi (eredi ), non individuato catastalmente. Viene ulteriormente specificato che era proprietario di 3/9 del sub 1 e di 2/9 del sub 2;
si desume, pertanto, benchè non sia stato esplicitato, che fosse proprietario delle restanti quote dei sub 1 e 2. Ciò che rileva maggiormente, tuttavia, ai fini della individuazione della disciplina applicabile è che nello stesso edificio insistevano tre diverse unità immobiliari e almeno una di queste era di proprietà esclusiva di terzi.
Ne consegue che, diversamente da quanto asserito da parte attrice (punto 3) dell’atto di citazione), l’edificio identificato al Catasto al foglio particella 72, oggetto dell’ordinanza sindacale di messa in sicurezza o demolizione, non era integralmente in comproprietà delle parti ma, nel momento in cui sono stati eseguiti i lavori, era già suddiviso in più unità immobiliari, di cui solo il sub 2 era certamente in comproprietà tra i de cuius delle odierne parti e, presuntivamente anche il sub 1, mentre una terza unità era di proprietà di terzi Ne consegue l’inapplicabilità della disciplina dettata dall’art. 1110 c.c. per gli immobili in comproprietà e l’applicabilità della diversa normativa dettata dall’art. 1134 c.c. stante la pluralità di e di una terza, benchè non accatastata, ma appartenente a diversi proprietari, con conseguente formazione di fatto di un condominio minimo.
Quanto ai diversi presupposti delle due norme e del conseguente diverso onere probatorio, l’art. 1110 c.c. esclude ogni rilievo dell’urgenza o meno dei lavori, stabilendo, piuttosto, che il partecipante alla comunione, il quale abbia sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso, purché abbia precedentemente interpellato o, quantomeno, preventivamente avvertito gli altri partecipanti, sicché, in caso di inattività di questi ultimi, egli può procedere agli esborsi e pretenderne il rimborso, pur in mancanza della prestazione del consenso da parte degli interpellati, incombendo su di lui soltanto l’onere della prova sia della suddetta inerzia che della necessità dei lavori (Cass. Sez. 2, 09/09/2013, n. 20652; Cass. Sez. 2, 08/01/2013, n. 253);
diversamente, anche nel caso di condominio minimo, il condomino che, intraprendendo a proprie spese dei lavori di manutenzione e riparazione delle parti comuni, voglia chiedere il rimborso all’altro condomino deve dimostrare che lavori intrapresi presentino requisiti dell’urgenza ex art. 1134 c.c. (cfr. Cass. n. 620/2019; n. 11463/2021; n. 9280/2018).
Nella fattispecie in esame, in applicazione dei su richiamati principi di diritto e conformemente al regime di ripartizione dell’onere probatorio dettato dall’art. 2697 c.c. come sopra delineato, deve ritenersi dimostrata la sussistenza del requisito dell’urgenza previsto dall’art. 1134 c.c. rispetto ai lavori intrapresi da , quale dante causa dell’odierna parte attrice.
È documentalmente provato, e non oggetto di contestazione, che con ordinanza del 23.1.2014 il Comune di Fagnano Castello aveva ordinato a l’immediata messa in sicurezza o demolizione dell’edificio sito in INDIRIZZO, identificato al Catasto al foglio 13 particella 72 poiché “in stato di abbandono”, con micro lesioni sulle pareti esterne, vetri e tegole rotte e “chiazze di intonaco cadente”, con conseguente concreto pericolo di crollo (doc. n. 4).
L’urgenza dell’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza è indiscutibilmente insita nell’ordine proveniente dall’ente comunale preposto di provvedere alla “immediata messa in sicurezza” delle parti comuni dell’immobile in oggetto.
Pare opportuno sottolineare sul punto che oggetto dell’ordinanza sindacale non è l’immobile in comproprietà contraddistinto come sub 2 (rispetto al quale sarebbe stata applicabile la disciplina della comunione ordinaria di cui all’art. 1110 c.c.) bensì l’edificio comune particella 72 nel quale insistono più immobili appartenenti a diversi proprietari, Quanto alla tipologia di opere eseguite non vi è contestazione specifica sulla necessità della loro esecuzione (in alternativa alla demolizione dell’intero edificio) e sul fatto che attenessero alla messa in sicurezza delle parti indicate nell’ordinanza sindacale. Non assumono rilievo sul punto le missive trasmesse da e a all’epoca dei fatti aventi ad oggetto la richiesta di controlli rigorosi sull’esecuzione dei lavori asseritamente svolti a sua insaputa (doc. n. 8)
in quanto a fronte dell’urgenza di intervenire per la messa in sicurezza dell’edificio nulla è stato dimostrato né tanto meno specificamente allegato sulla tipologia dei lavori da eseguire o sulla necessità di eseguire lavori diversi.
Né ha alcun rilievo al fine di escludere il diritto al rimborso il dissenso manifestato rispetto all’esecuzione dei lavori e all’eventuale migliore soluzione della demolizione nonché l’offerta di “donare” la quota di 2/9 per non partecipare alla spesa.
Risulta, difatti, dagli atti di causa che a seguito dell’emissione dell’ordinanza sindacale abbia tempestivamente avvisato della necessità di eseguire i lavori, comunicando la successiva nomina di un tecnico di fiducia e trasmettendo il preventivo ottenuto (doc. n. 4 e 7), mentre si è limitato a contestare genericamente la corretta esecuzione degli stessi chiedendo una sorta di “verifica” al Comune ma non ha intrapreso alcuna utile iniziativa affinchè si procedesse alla demolizione ovvero all’esecuzione dei lavori con altra ditta o con altre modalità, a nulla valendo l’offerta di donare la propria quota in quanto, evidentemente, non accettata dal de cuius che non era obbligato in tal senso. Del resto, secondo i principi dettati dalla S.C. in materia di urgenza ravvisabile nei lavori condominiali, “In tema di cd. condominio minimo, il singolo condomino ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la gestione della cosa comune nell’interesse degli altri proprietari senza autorizzazione degli organi condominiali, solo qualora, ai sensi dell’art. 1134 c.c., dette spese siano urgenti, secondo quella nozione che distingue l’urgenza dalla mera necessità, poiché ricorre quando, secondo un comune metro di valutazione, gli interventi appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa…” (cfr. Cass. n. 9280/2018). Stante la sussistenza dell’urgenza e l’indifferibilità dell’intervento che doveva essere eseguito “immediatamente” non occorreva, dunque, né il previo consenso dell’altro condomino di fatto, né il ricorso all’autorità giudiziaria ex art. 1105 c.c.
In ipotesi di interventi indifferibili, infatti, è consentito l’intervento diretto del anche dall’art. 1105 c.c., per rimediare all’inerzia/opposizione da parte da parte dell’altro condomino (cfr. Cass. 22/06/2017, n. 15548; Cass. 22/03/2012, n. 4616).
Accertata, dunque, la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del diritto al rimborso occorre procedere alla relativa quantificazione.
Pare opportuno ancora evidenziare che ulteriore presupposto per l’ottenimento del rimborso è che una spesa vi sia stata e ne sussista la relativa prova, in difetto venendo a mancare il sostrato oggettivo del giudizio di rimborsabilità. (cfr. Cass. n. 33158/2019).
Nella fattispecie in esame, l’esecuzione dei lavori è stata affidata alla che ha emesso due fatture di acconto di € 5.500 ciascuna, regolarmente pagate da (doc. n. 6);
risulta, inoltre, interamente versato a titolo di corrispettivo a favore del geom. incaricato della direzione dei lavori, l’importo complessivo di € 950,00 (doc. n. 7).
Quanto al residuo importo di € 6.814,50 di cui alla fattura n. 34 del 12.12.2014 azionata in via INDIRIZZO, a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da , con sentenza del Tribunale di Cosenza n. 2282/2015, la somma ritenuta dovuta è stata ridotta a € 5.614,50 (doc. n. 9, 10);
l’opponente è stato, inoltre, condannato al pagamento delle spese di lite nella misura di € 2.700,00 oltre accessori.
Avverso la suddetta sentenza è stato proposto appello, il cui esito non è noto allo stato degli atti.
Allo stato degli atti, dunque, l’ammontare complessivo delle spese sostenute o comunque dovute in base alla pronuncia di primo grado, escluse le spese di lite e della successiva procedura esecutiva instaurata dal creditore, è pari a € 17.564,50, corrispondente all’importo oggetto della domanda di rimborso come rideterminato in corso di causa.
Sul punto occorre premettere come non sia stato esplicitato, né è dato comprendere, il motivo per il quale a fronte di una iniziale richiesta di rimborso di € 10.366,10, parametrata sulla quota di 2/9 per l’importo di € 11.950,00 (peraltro non corrispondente al calcolo matematico) e sulla quota di ½ per il residuo importo di € 6.426,88, parte attrice abbia modificato la domanda chiedendo il rimborso integrale della spesa sostenuta.
È evidente che, qualunque sia il criterio di riparto da adottare, non possa essere riconosciuto il rimborso integrale che, ovviamente, non tiene conto della quota di partecipazione del comproprietario che ha sostenuto la spesa.
Quanto al criterio di riparto, ritiene questo Tribunale che debba essere applicato il disposto di cui all’art. 1123 c.c. che così dispone:
“Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
” Nel caso in esame è pacifico che, non essendo stato neanche costituito un condominio ma essendosi configurato un condominio minimo di fatto, non vi siano delle tabelle millesimali.
A tal proposito la S.C. con pronuncia n. 9280/2018 ha affermato che “nei casi in cui le tabelle millesimali manchino, il giudice dovrà anche solo incidentalmente, cioè ai soli fini del giudizio, individuare il valore delle proprietà dei condomini obbligati al pagamento”.
La stessa pronuncia ha ulteriormente sancito che “…in tema di c.d. Condominio minimo, in mancanza di tabelle regolarmente approvate, la quota di partecipazione alle spese gravante sui singoli proprietari deve essere determinata dal giudice, in base alla disciplina del condominio di edifici di cui all’art. 1123 c.c. E quindi, tenendo conto del valore delle loro proprietà esclusive, e non, invece, applicando la regolamentazione in materia di comunione prevista dall’art. 1110 c.c., secondo la quale, in assenza di altra indicazione degli accordi, le quote si presumono in parti uguali. ”.
Nella fattispecie in esame la ripartizione può essere utilmente fatta secondo il prospetto di calcolo elaborato nella già citata perizia dell’arch. che è stato dettagliatamente indicato anche in comparsa di costituzione e non è stato oggetto di alcuna contestazione, oltre a essere coerente con le premesse e i dati ivi riportati.
Sul punto parte attrice non ha mosso alcuna replica o rilievo, né ha proposto un criterio di riparto alternativo.
Secondo il metodo di calcolo ivi indicato, considerato che:
al momento dell’esecuzione dei lavori era proprietario dei 3/9 del sub 1 e dei 2/9 del sub 2;
l’intero immobile in comproprietà aveva una superficie lorda pari a mq 161, di cui 40,60 per il sub 1 e 104,70 per il sub 2;
– il rapporto tra la superficie imputabile a e l’intera superficie era pari a 0,241 (3/9 x mq 40,60 + 2/9 x mq 104,70)/mq 161;
– la spesa complessiva sostenuta per l’esecuzione dei lavori, al netto delle spese di lite per il giudizio di opposizione e per la procedura di esecuzione, è pari a € 17.564,50;
la quota astrattamente imputabile a parte convenuta è pari a € 4.233,04.
Tuttavia, in realtà, ad oggi l’unica somma che è stata certamente sborsata e che era sicuramente consegue che, allo stato degli atti, la domanda di rimborso è fondata e può essere accolta solo per la minor somma di € 2.879,95 (pari a € 11.950 x 0,241).
Tale importo, come dedotto da parte convenuta, va ulteriormente decurtato del 50%, pari alle agevolazioni fiscali di cui la proprietà avrebbe potuto fruire in base alla legislazione all’epoca vigente.
La circostanza non è stata oggetto di specifica contestazione e deve, dunque, ritenersi provata ai sensi dell’art. 115 c.p.c. Ne consegue che vanno condannati al pagamento in favore di della somma di € 1.439,97, oltre interessi legali dai singoli pagamenti al saldo.
Deve, infine, essere integralmente respinta la domanda di risarcimento del danno “per il pregiudizio patito” atteso che non è stato né allegato né descritto quale sia in concreto il danno subito da parte attrice, né se si tratti di danno di natura patrimoniale o non patrimoniale.
In difetto della minima allegazione e prova di tale asserito e non meglio specificato danno, la domanda deve essere necessariamente respinta.
Le spese di lite, tenuto conto della soccombenza reciproca – stante il rigetto della domanda risarcitoria – nonché della notevolissima riduzione dell’importo riconosciuto come dovuto a titolo di rimborso rispetto a quanto inizialmente richiesto e poi più volte modificato in corso di causa e, infine, della mancata accettazione della proposta transattiva formulata in via stragiudiziale con pec dell’1/9/2022 per il maggior importo di € 2.550,00 (seppur con compensazione delle spese di lite), sono integralmente compensate tra le parti.
Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta , in qualità di eredi di contro , in qualità di eredi di , ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
• Accoglie parzialmente la domanda e per l’effetto condanna al pagamento in favore di della somma di € 1.439,97, oltre interessi legali dalla data dei singoli pagamenti al saldo.
• Compensa integralmente le spese di lite.
Torino, 4 novembre 2024
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