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Rimborso spese ristrutturazione ex casa coniugale

In tema di regime patrimoniale della famiglia, le spese sostenute da un coniuge per la ristrutturazione di un immobile di proprietà esclusiva dell’altro, in assenza di uno specifico accordo, si presumono effettuate in adempimento dei doveri coniugali e non sono quindi ripetibili.

Pubblicato il 11 October 2024 in Diritto Civile, Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 660/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di TRENTO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice dott. NOME COGNOME, ha emesso la seguente

S E N T E N Z A N._908_2024_- N._R.G._00000660_2022 DEL_04_10_2024 PUBBLICATA_IL_04_10_2024

nella causa civile di I grado iscritta al n° 660/2022 R.G. promossa da:

residente in, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME PARTE ATTRICE C O N T R O , residente in Mezzocorona, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME PARTE CONVENUTA OGGETTO:

pagamento somma

CONCLUSIONI

Parte attrice così conclude:

“voglia l’Ill.mo Tribunale, ogni contraria istanza disattesa, condannare versare a l’importo di euro 130.000,00 o quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia, a titolo di rimborso degli importi spesi dal convenuto per la ristrutturazione dell’immobile ex casa coniugale di proprietà esclusiva della signora In subordine condannare a pagare a ai sensi dell’art. 1150, comma 3 c.c., un indennizzo pari al maggior valore acquistato dall’immobile a seguito della ristrutturazione.

Condannare altresì a rimborsare a l’importo di euro 22.000,00 dallo stesso investito per l’acquisto dell’appartamento di Trento, intestato esclusivamente alla signora e da questa venduto dopo la separazione.

Con vittoria delle spese del giudizio.

In via istruttoria, si insiste per l’ammissione delle prove tutte formulate nella memoria istruttoria di data 4/10/2022 e nella memoria ex art. 183 VI comma cpc n. 3 di data 24/10/2022” Parte convenuta così conclude:

“Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, in via principale:

respingere tutte le domande ex adverso formulate sia di rimborso delle somme asseritamente conferite e dei lavori asseritamente svolti da controparte in costanza di matrimonio con per la ristrutturazione dell’immobile contraddistinto dalla p.ed. 23/2 pp.mm 1 e 2 p.ed. 23/1 CC.

Mezzocorona sito in INDIRIZZO nonché di riconoscimento dell’indennizzo ex art. 1150 c.c. per detti lavori e restituzione della somma di Euro 22.000,00.-, in quanto infondate in fatto ed in diritto nonché in ragione della omessa specifica allegazione dei fatti costitutivi della domanda e comunque integralmente sprovviste di prova per tutti i motivi meglio indicati in atti;

in via subordinata:

nella denegata ipotesi in cui il Giudice ritenga che abbia partecipato alle spese di ristrutturazione e abbia diritto alla loro ripetizione, voglia, per le ragioni esposte in atti, quantificare tale somma in Euro 26.754,80.- pari alla metà dell’importo delle 113 rate del mutuo corrisposte (con decorrenza 31.08.2007) in costanza di matrimonio (sino alla data della separazione) tramite addebito sul conto corrente cointestato;

in via ulteriormente subordinata:

nella ulteriore denegata ipotesi in cui il Giudice ritenga di riconoscere a l’indennità ex art. 1150 c.c., voglia, per le ragioni esposte in atti, limitare tale indennizzo alla somma di Euro 25.680,00.-.

in ogni caso:

con vittoria di spese e compensi, oltre rimborso forfettario per spese generali, iva e cpa come per legge, se dovuti, e comunque in caso di accoglimento anche parziale delle pretese di voglia il Giudice, per le ragioni esposte in atti, addebitare alla medesima parte attrice ogni spesa e compenso maturati e maturandi successivamente alla proposta conciliativa formulata alla prima udienza di comparizione parti del 06.07.2022;

in via istruttoria:

si chiede sin d’ora dii essere ammessi a provare per testi le circostanze di fatto articolate nelle premesse dell’atto di citazione di cui ai punti da 1 a 17 da ritenersi qui integralmente trascritti preceduti dalla locuzione «vero che».

Con espressa riserva di ulteriormente dedurre e produrre, articolare, formulare eccezioni processuali e di merito, non rilevabili d’ufficio, nuove argomentazioni, precisazioni e modificazioni, concludere, presentare ulteriori deduzioni istruttorie, nonché di articolare ulteriori mezzi di prova e all’occorrendo di indicare testi, anche in considerazione di quanto addotto dalla controparte, con le memorie di cui all’art. 183, VI comma n. 2 e 3, c.p.c.” FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato conveniva in giudizio l’ex coniuge per chiederne la condanna a versargli, oltre a € 22.000,00, quale importo da lui sborsato per l’acquisto di un appartamento intestato alla sola convenuta, anche € 130.000,00 o la diversa somma ritenuta di giustizia, in via principale, “a titolo di rimborso degli importi spesi…per la ristrutturazione dell’immobile ex casa coniugale” di esclusiva proprietà della predetta e, in subordine, quale indennizzo ex art. 1150, 3° co., c.c. “pari al maggior valore acquistato dall’immobile a seguito della ristrutturazione”. A sostegno di tali domande in citazione si esponeva, in estrema sintesi, che:

➢ nell’ambito del procedimento di separazione consensuale si era concordato di risolvere in altra sede le questioni riguardanti la ristrutturazione della ex casa familiare e i relativi esborsi;

➢ tale immobile era stato donato alla convenuta dal padre quando era ancora un rudere e in seguito era stato interamente ristrutturato (con la realizzazione di tre appartamenti, due garage, una stube e un laboratorio) soprattutto con il denaro versato dall’attore;

➢ un primo intervento era stato effettuato nel 2005 con la spesa di € 15.000,00 per la realizzazione di un appartamento provvisorio in attesa della completa ristrutturazione dell’intero fabbricato, e poi con l’esborso di ulteriori € 50.000,00 per la ristrutturazione del primo piano con l’esecuzione degli impianti di riscaldamento, pavimentazione, pareti di cartongesso e cucina;

➢ per la seconda parte della ristrutturazione erano stati versati € 192.000,00 alle varie ditte esecutrici ed € 143.000,00 per “ulteriori lavori, materiali, arredi, ecc.”;

➢ alle opere di ristrutturazione aveva preso parte personalmente anche lo stesso attore;

➢ parte della spesa era stata sostenuta con un mutuo contratto da entrambi i coniugi per la somma di € 205.000,00, di cui € 52.000,00 erano stati restituiti in costanza di matrimonio e il residuo con il denaro depositato in conti correnti cointestati ai predetti e sui quali venivano versati i relativi stipendi;

➢ all’epoca la retribuzione dell’attore era il triplo di quella della ➢ allo doveva essere versata quantomeno la metà della somma spesa o, in subordine, un indennizzo ai sensi del 3° co. dell’art. 1150 c.c., in ragione dell’aumento di valore dell’immobile;

➢ l’attore aveva sborsato anche la somma di € 22.000,00 impiegata, unitamente all’importo di € 150.000,00 che la aveva ricavato dalla vendita di un terreno di sua esclusiva proprietà, nell’acquisto, da parte della sola convenuta, di un appartamento con garage a Trento.

Costituitasi in giudizio, contestava la prospettazione esposta in citazione e chiedeva il rigetto delle domande ivi formulate;

in subordine, per il caso in cui si fosse ritenuto che lo aveva partecipato alla ristrutturazione della casa familiare e maturato il diritto alla ripetizione dei relativi esborsi, chiedeva di quantificare la somma dovutagli in € 26.754,80, pari alla metà delle 113 rate di mutuo corrisposte in costanza di matrimonio tramite addebito sul conto corrente cointestato;

in estremo subordine, per il caso in cui fosse stata ritenuta fondata la pretesa attorea ex art. 1150, 3° co., c.c., chiedeva di quantificare il richiesto indennizzo in misura di € 25.680,00.

In comparsa di costituzione rappresentava, fra l’altro, che:

➢ all’atto della donazione paterna l’immobile corrispondente alle pp.edd. 23/1 e 23/2 RAGIONE_SOCIALE.C.  non era affatto un rudere, essendo abitato dal fratello con la famiglia;

➢ i lavori di ristrutturazione del 2005 avevano riguardato essenzialmente il primo piano e in minima parte il piano terra, nonché la copertura dell’edificio;

➢ la relativa spesa era stata finanziata con un mutuo fondiario con garanzia ipotecaria concessole nel 2006 da per l’importo di € 205.000,00;

➢ parte delle rate di tale mutuo erano state pagate con il denaro depositato su conto corrente cointestato ai due coniugi, ma alimentato dalle sole retribuzioni e altre entrate di essa convenuta;

aveva eseguito personalmente soltanto pochi lavori;

➢ in costanza di matrimonio l’attore aveva sempre fruito di un alloggio di proprietà di essa convenuta, senza mai pagare alcunché;

➢ i lavori di ristrutturazione menzionati in citazione non avevano consentito di realizzare tre appartamenti, visto che soltanto dopo il divorzio il sottotetto era stato oggetto di intervento edilizio con cambio d’uso per ricavarvi locali adibiti a bed & breakfast;

➢ l’attore non aveva affatto contribuito con il versamento di € 22.000,00 all’acquisto, effettuato da essa convenuta, di un appartamento con garage;

➢ gli esborsi effettuati in costanza di matrimonio da un coniuge per l’acquisto o la ristrutturazione di immobile di proprietà esclusiva dell’altro non sono suscettibili di ripetizione, in quanto posti in essere per adempiere l’obbligo di contribuzione previsto dall’art. 143 c.c. o perché oggetto di donazione indiretta, né era applicabile nella fattispecie in esame l’art. 1150 c.c.;

➢ in via subordinata allo non poteva essere versato più di € 26.754,00, pari alla metà delle 113 rate del mutuo rimborsate durante il matrimonio tramite addebito su conto cointestato o più di € 25.680,00, pari alla metà dell’aumento di valore dell’immobile per i lavori da lui eseguiti.

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di nullità dell’atto di citazione per la “generica e confusionale” indicazione dei fatti fondanti l’azionata pretesa pecuniaria che parte convenuta ha sollevato per la prima volta nella memoria depositata ex art. 183, 6° co. , n° 1, c.p.c. nella sua previgente formulazione, applicabile ratione temporis.

Premesso che l’art. 164 c.p.c. sanziona con la nullità la mancata esposizione (quindi l’integrale difetto di enunciazione, e non già l’incertezza assoluta della stessa, che si ha quando alcune indicazioni sussistono, ma sono contraddittorie o insufficienti) dei soli fatti di cui al numero 4 dell’articolo precedente (da intendersi come l’insieme delle circostanze di fatto che la parte pone a base delle proprie richieste) e non anche delle ragioni giuridiche poste a fondamento delle pretese azionate, mette conto rilevare che nell’atto introduttivo del giudizio l’attore, indicando (anche per il tramite dell’allegata documentazione) i lavori di ristrutturazione che nel corso del matrimonio contratto con la convenuta hanno avuto a oggetto l’ex casa coniugale di esclusiva proprietà della stessa e i relativi costi, nonché l’importo da lui sborsato per l’acquisto di altro immobile parimenti intestato soltanto alla convenuta, ha dedotto in termini sufficientemente chiari i fatti costitutivi delle domande proposte, sicché non è ravvisabile l’eccepita carenza espositiva, tant’è che nel costituirsi, ha svolto articolata e documentata attività difensiva, con ciò dimostrando di aver compiutamente inteso tutte le questioni oggetto dell’odierno thema decidendi. Nel merito le domande di parte attrice non appaiono fondate e, pertanto, non possono trovare accoglimento.

Avendo, come detto, l’attore sostenuto di aver contribuito, con le proprie disponibilità pecuniarie (in parte impiegate nel pagamento dei ratei del mutuo contratto soltanto da e in parte versate alle ditte esecutrici delle opere o a quelle fornitrici dei materiali utilizzati) e anche direttamente con il proprio lavoro, alla ristrutturazione delle pp.edd. 23/1 e 23/2 C.C. Mezzocorona, corrispondenti all’ex casa coniugale, ma di esclusiva proprietà della convenuta, viene in rilievo il principio di diritto secondo cui “in via generale ed astratta…sono irripetibili tutte quelle attribuzioni che sono state eseguite per concorrere a realizzare un progetto di vita in comune”, giacché “l’erogazione (eccessiva o non) si presume effettuata in ragione di un comune progetto di convivenza” e, quindi, essendo sorretta da una giusta causa, è irripetibile, con la conseguenza che è “onere della parte che pretende di ottenere la restituzione della somma dimostrare l’eventuale causa diversa (ad esempio, un prestito) in ragione della quale l’operazione economica era stata attuata in costanza di rapporto coniugale o di convivenza” (v., in motivazione, Cass., n° 5385/2023, ove si è altresì precisato che “il dovere di contribuzione è per i “bisogni della famiglia” e, dunque, va inteso (non nell’interesse esclusivo dell’altro coniuge, ma) in senso solidaristico (cioè nell’interesse collettivo della famiglia) ed ampio (ad es., costituisce adempimento del dovere di contribuzione: mettere a disposizione della famiglia una casa di cui si era già proprietari prima delle nozze affinché vi si possa vivere senza doverne acquistare un’altra;

effettuare le spese di ristrutturazione sulla casa di proprietà dell’altro coniuge per poterla abitare congiuntamente;

partecipare alle spese per l’acquisto dell’abitazione familiare da parte del coniuge in regime di separazione dei beni;

fare la spesa e cucinare tutti i giorni, pulire la casa, anche se con l’aiuto di una domestica;

badare ai figli durante il pomeriggio mentre la mattina ci si dedica alla propria attività lavorativa, ecc.)”).

Al riguardo si è, quindi, sostenuto, per quanto qui rileva, che, “salvo l’esistenza di un differente accordo inter partes, che va provato, non sono ripetibili le somme pagate da uno solo dei coniugi (in costanza di matrimonio, a titolo di rate del mutuo contratto da entrambi per l’acquisto della casa coniugale, anche se cointestata)”, il che nella prassi giurisprudenziale di legittimità è stato considerato come “adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c.” oppure ricondotto “alla logica di solidarietà che connota la vita familiare (e quindi ad una sorta di presunzione di gratuità degli esborsi effettuati in costanza di matrimonio)” (così la citata Cass., n° 5385/2023; nello stesso senso v. Cass., n° 17765/2023, secondo cui “in caso di acquisto, in regime di separazione dei beni, di un immobile da parte di entrambi i coniugi, il cui prezzo sia pagato in tutto o in parte con provvista presa a mutuo, il coniuge che, in seguito alla separazione personale nel frattempo intervenuta, abbia pagato con denaro proprio le rate di mutuo, non ha diritto di richiedere all’altro coniuge il rimborso della metà delle rate versate periodicamente alla banca, atteso che, in forza di quanto previsto dall’art. 143 c.c., ciascun coniuge contribuisce al sostegno ed al benessere della famiglia in forza delle proprie capacità di lavoro anche casalingo, sicché deve ritenersi che il coniuge che in costanza di matrimonio non svolge attività lavorativa e che acquista congiuntamente con l’altro coniuge, sebbene in regime di separazione dei beni, un immobile pagato interamente da quest’ultimo, abbia contribuito in misura paritaria a tale acquisto con il lavoro svolto per soddisfare i bisogni familiari)”. In sostanza, sul presupposto che durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dagli artt. 143 e 316 bis, 1° co., c.c., si ritiene che a seguito della separazione non sussista “il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio” (v. Cass., n° 10927/2018, richiamata, da ultimo, anche in Cass., n° 13366/2024), se non quando le parti abbiano concluso “un accordo negoziale (che può meglio rispecchiare le singole capacità economiche di ciascun coniuge o modulare forme di generosità spontanea tra i coniugi) che è comunque finalizzato al soddisfacimento delle primarie esigenze familiari e dei figli, nel rispetto dei doveri solidaristici che trovano la loro fonte nel rapporto matrimoniale” (così la citata Cass., n° 13366/2024). In adesione a tale impostazione interpretativa, qui condivisa, non ravvisandosi validi motivi per discostarsene, devesi, quindi, ritenere che gli esborsi pecuniari dell’attore per far fronte ai costi della ristrutturazione dell’immobile corrispondente alle pp.edd. 23/2 e 23/1 C.C., di esclusiva proprietà della convenuta e adibito a casa familiare dal 2000, non siano suscettibili di ripetizione, per essere stati presumibilmente effettuati in adempimento dei doveri patrimoniali coniugali nella conduzione della vita familiare, non essendo, del resto, stato provato, e neppure dedotto, un diverso accordo tra i due ex coniugi in ordine alla detta contribuzione, che non appare desumibile neppure dalle testimonianze acquisite nel corso dell’espletata attività istruttoria. Stando a quanto riferito dai testi escussi, a partire dal 2000 gli odierni contendenti utilizzarono come casa coniugale il citato immobile, che all’epoca, diversamente da quanto asserito dall’attore in citazione (v. pag. 1), non era un rudere, tant’è che sino ad allora era stata l’abitazione di un fratello della convenuta e dei di lui familiari, che vi avevano risieduto dalla metà degli anni ’80.

Dal testimoniale assunto in udienza si evince, per quanto qui rileva, che le parti si determinarono ad adattare provvisoriamente a casa di abitazione il piano terra dell’edificio nel corso dei lavori di ristrutturazione, che ebbero a oggetto l’intero fabbricato e, quindi, fra l’altro, gli impianti elettrico, idrico-sanitario e di riscaldamento, pareti e pavimenti del primo piano, poi adibito a casa familiare, la realizzazione di una sottostante tavernetta, nonché il rifacimento del tetto e del sottotetto, sopraelevato ed ampliato, senza però essere rifinito, avendo a ciò provveduto la sola convenuta successivamente alla separazione, quando vi ricavò locali da destinare all’attività di In costanza di convivenza matrimoniale vennero, dunque, effettuati lavori di integrale ristrutturazione, presumibilmente diretti a rendere l’immobile nella sua interezza più confortevole, nonché a migliorarne l’estetica e comunque la funzionalità, di talché vi è ragione di ritenere, in difetto di elementi di segno contrario, che, come detto, gli esborsi pecuniari per far fronte ai costi delle opere edilizie in questione furono effettuati anche da parte dell’attore soltanto per soddisfare le esigenze dell’intero nucleo familiare (analogo Parte rilievo può essere svolto in relazione alle opere edilizie da lui eseguite personalmente), dunque nell’adempimento dei doveri di collaborazione, solidarietà e assistenza tra i coniugi sanciti dall’art. 143 c.c., il che ne preclude la ripetibilità (non risultando neppure adeguatamente provato che le dedotte attribuzioni patrimoniali siano state assolutamente sproporzionate rispetto alla capacità finanziaria dell’attore). Alla medesima conclusione appare fondato addivenire anche in ordine ai lavori relativi al sottotetto, ove si consideri, da un lato, che al riguardo viene in rilievo una pertinenza dell’appartamento del primo piano, tant’è che, come si desume dalla deposizione del teste , durante il matrimonio venne adibita dagli ex coniugi a deposito di materiale vario;

e dall’altro che, stando alla prospettazione dello stesso attore, l’ultimo piano dell’edificio venne ristrutturato per realizzarvi “due appartamenti al grezzo pensati per un futuro dei figli” (v. pag. 3 della memoria dd. 4.10.2022), quindi comunque al fine di soddisfare interessi del nucleo familiare, ossia per concorrere a realizzare un comune progetto di ausilio alla prole.

Non rileva decisivamente in senso contrario la successiva utilizzazione, da parte della convenuta, della porzione di fabbricato in questione come B&B, trattandosi di destinazione commerciale sopravvenuta alla crisi coniugale e resa possibile dai successivi lavori di finitura pagati dalla sola (la circostanza appare sostanzialmente incontestata);

né peraltro consta, come detto, che tale modalità d’uso fosse stata già considerata all’epoca dei lavori di sopraelevazione e ampliamento eseguiti in costanza di matrimonio.

Aggiungasi a ciò che comunque le emergenze processuali neppure consentono di stabilire in termini sufficientemente chiari e univoci non solo l’effettiva consistenza di tutti i lavori eseguiti di persona da nel sottotetto, ma anche e soprattutto l’ammontare degli importi da lui versati alle ditte esecutrici delle opere di ristrutturazione e a quelle fornitrici dei relativi materiali, il che costituisce di per sé condizione ostativa a una declaratoria di accoglimento, che non può essere emessa neppure ai sensi dell’art. 1150, 3° co., c.c, posto a fondamento della domanda subordinata proposta in citazione. Nell’estendere ai rapporti di coniugio il principio affermato in materia di convivenza “more uxorio”, secondo cui, con riguardo alla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, è ravvisabile in capo al convivente non proprietario “un potere di fatto basato su di un interesse proprio…ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, senza quindi potersi ritenere che lo stesso sia un possessore”, nella prassi giurisprudenziale di legittimità si è avuto modo di sostenere che al “coniuge-utilizzatore” è ascrivibile sulla casa familiare “un diritto personale di godimento in base ad acquisto a titolo derivativo (negozio che trova titolo nella unione familiare) dall’altro coniuge esclusivo titolare di un diritto reale (proprietà, usufrutto, diritto personale di godimento (conduttore, comodatario) sull’immobile” (così, in motivazione, Cass., n° 23882/2021 e i precedenti ivi richiamati). Pertanto, dovendo essere considerato detentore qualificato e non già possessore o compossessore dell’immobile già adibito a casa familiare, non può fondatamente azionare il diritto al rimborso delle spese fatte per i miglioramenti apportati al detto bene ai sensi dell’art. 1150 c.c., essendo tale disposizione di “natura eccezionale” e “non può, quindi, essere applicata in via analogica al detentore qualificato od a qualsiasi diverso soggetto” (v. Cass., n° 29924/2022).

Non appare meritevole di accoglimento neppure l’ulteriore domanda con cui ha chiesto di condannare a restituirgli la somma di € 22.000,00 da lui asseritamente sborsata per l’acquisto di un appartamento a Trento intestato in via esclusiva alla convenuta.

Tale prospettazione non ha trovato adeguato riscontro nell’acquisto materiale probatorio, non apparendo a tal fine sufficienti i due estratti conto relativi a un conto corrente bancario cointestato a entrambi i coniugi, ma, in tesi, alimentato con le sole retribuzioni mensili di (v. doc. n° 26 e n° 27 di parte attrice).

L’espletata attività istruttoria non ha, infatti, evidenziato alcun oggettivo elemento di prova da cui desumere se e quali importi menzionati negli allegati estratti di conto corrente siano stati effettivamente destinati al pagamento del prezzo d’acquisto del detto immobile e/o dei corrispettivi dei lavori edilizi a esso relativi (al riguardo si rileva che nella memoria ex art. 186, 6° co., n. 2, c.p.c. l’attore ha sostenuto per la prima volta che una parte del denaro da lui versato è stata impiegata per “risistemare e ammobiliare l’appartamento”, con ciò effettuando un’allegazione inammissibile perché evidentemente tardiva rispetto al termine di cui al n. 1 della citata disposizione codicistica, entro cui doveva essere esaurita l’attività assertiva); non può dirsi neppure adeguatamente dimostrato che il conto corrente di riferimento dei detti estratti conto, seppure cointestato, era alimentato con proventi di pertinenza del solo attore.

Peraltro, ove pure si volesse ritenere corrispondente al vero la prospettazione attorea, non sarebbe ugualmente possibile accogliere la domanda in questione, apparendo fondato presumere, in difetto di elementi sintomatici di un prestito intercorso tra le parti all’epoca della convivenza matrimoniale o comunque di un qualsiasi altro specifico titolo giustificativo dell’invocato obbligo restitutorio a carico della convenuta, che eventuali esborsi in funzione del detto acquisto immobiliare e/o dell’esecuzione di lavori relativi al bene acquistato da siano stati effettuati dall’attore con spirito di liberalità (da individuarsi nella consapevole determinazione di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti da un vincolo giuridico, o extragiuridico, rilevante per l’ordinamento), che è ragionevolmente desumibile dallo stesso rapporto di coniugio (non essendo infrequente che in ambito familiare intercorrano aiuti in denaro non subordinati a specifici doveri di restituzione), ciò consentendo di qualificarli in termini di donazione indiretta, che, “in quanto tale, gode di stabilità, in quanto non può essere revocata che per ingratitudine” (così in motivazione Cass., n° 24160/2018). Per tutto quanto esposto le domande di non possono trovare accoglimento.

L’effettiva incontestata partecipazione dell’attore, sia direttamente con lavori personali, sia con una contribuzione pecuniaria, ai lavori di ristrutturazione dell’immobile di esclusiva proprietà della convenuta appare comunque valorizzabile ai fini di un’integrale compensazione delle spese di lite.

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa proposta da nei confronti di , disattesa ogni diversa domanda, istanza, deduzione ed eccezione, così provvede:

rigetta le domande di parte attrice;

compensa le spese di lite.

Così deciso in Trento in data 4.10.2024

Il giudice dott. NOME COGNOME

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