RG. n. 617/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE SECONDA nelle persone dei magistrati:
dott. NOME COGNOME Presidente dott.ssa NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere relatore riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente:
SENTENZA N._1341_2024_- N._R.G._00000617_2023 DEL_07_11_2024 PUBBLICATA_IL_08_11_2024
nella causa d’appello contro la sentenza n. 295/2023 pronunciata dal Tribunale di Savona, pubblicata in data 2 maggio 2023, notificata in data 17 maggio 2023, RG 379/21, promossa da:
(già , società con unico socio soggetta a direzione e coordinamento di in persona del suo procuratore Avv. tale in virtù dei poteri conferiti con procura per atto Dott. , Notaio in Roma, del 12/12/2017 (Rep. N. 55629 – Racc. n. 27976), rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di La Spezia e dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Bologna, anche disgiuntamente, in forza di procura depositata telematicamente unitamente all’atto di appello ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in La Spezia, INDIRIZZO APPELLANTE contro Genova 13.2.1948, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Genova, in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione in appello ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Genova, INDIRIZZO APPELLATO e APPELLANTE INCIDENTALE avente a
oggetto: servitù; risarcimento danni
nelle quali le Parti hanno assunto le seguenti
CONCLUSIONI
PER L’APPELLANTE “Voglia l’Eccellentissima Corte di Appello di Genova adita, contrariis reiectis, in accoglimento dei motivi di appello ed in riforma della impugnata sentenza n. 295/23 emessa dal Tribunale di Savona, nella persona della Dott.ssa NOME COGNOME in data 30/4/2023, pubblicata in data 2/5/2023, notificata in data 17/5/2023 ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, Nel merito, in via principale sentenza n. 295/2023 emessa dal Tribunale di Savona, nella persona della Dott.ssa NOME COGNOME in data 30/4/2023, pubblicata in data 2/5/2023, rigettando la domanda di rimozione del cavidotto e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi formulata dal in quanto infondata in fatto ed in diritto per i motivi indicati in atti e comunque non provata. Si insiste per l’accoglimento di ogni eccezione formulata in atti e/o a verbale nel corso del giudizio di primo grado.
Anche nella denegata ipotesi in cui non dovesse essere accolto il primo motivo di appello e dovesse essere pertanto confermata la statuizione del Tribunale di Savona che ha condannato alla rimozione del cavidotto e alla rimessione in pristino, salvo gravame, si chiede, in accoglimento del secondo motivo di appello ed in riforma della relativa statuizione della sentenza di primo grado, che le spese di lite da addebitare ad in favore del vengano compensate, quanto meno in parte, per i motivi indicati in atti (spese di lite del giudizio di primo grado che dovranno invece essere integralmente addebitate al ex art. 91 c.p.c. qualora la Corte territoriale adita dovesse accogliere il primo motivo di appello, rigettando la domanda di rimozione e di rimessione in pristino). Dichiarare inammissibile e/o comunque rigettare l’appello incidentale proposto dal Sig. n quanto infondato in fatto ed in diritto e comunque non provato, dichiarando in ogni caso ex art. 345 c.p.c. l’inammissibilità e comunque la non utilizzabilità nel presente giudizio dei documenti prodotti da controparte in appello sub All. 2, 3 e 4, in quanto nuove produzioni, peraltro inconferenti ai fini della decisione del presente giudizio.
Con vittoria delle spese e competenze di lite del giudizio di primo grado (come da nota spese in atti), oltre forfettarie 15% IVA e CPA come per legge), non sussistendo alcun valido motivo per potere operare una denegata compensazione delle stesse.
Con vittoria altresì delle spese e competenze del presente grado di giudizio, oltre forfettarie 15% IVA e CPA.
Salvis iuribus” PER L’APPELLATO e APPELLANTE INCIDENTALE “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Genova, respinte le contrarie domande ed eccezioni, così giudicare:
– in via pregiudiziale e/o preliminare, per le ragioni esposte al par. 7 del presente atto rigettare la domanda avversaria di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata;
– nel merito, per le ragioni esposte ai paragrafi 3) e 6) del presente atto, respingere i motivi di appello avversari e per l’effetto, confermare la sentenza emanata dal Tribunale di Savona il 2.5.2023 n. 295;
– in via di appello incidentale, riformare la sentenza del Tribunale di Savona n. 295/2023 dal cpv. 3 di pag. 7 al rigo 5 di pag. 8, nonché nell’ultimo cpv. prima del
PQM
di pag. 8 condannando sia al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi sia al rimborso delle spese sostenute in sede di ATP, nonché per la mancata partecipazione alla mediazione obbligatoria;
– in via istruttoria, si ripropone domanda di espletamento di CTU contabile per determinare l’entità subiti dall’Azienda agricola a causa del mancato sfruttamento degli immobili oggetto di causa e, inoltre, si chiede la comparizione del CTU a chiarimenti per accertare che il cavidotto impedisce l’esecuzione dei lavori edili dei fabbricati situati sui terreni oggetto di causa;
– in ogni caso, vinte le spese di entrambi i gradi.
” SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’azienda agricola “COGNOME NOME” in Albenga, produttrice di vino e olio, nonché proprietario di un podere situato in INDIRIZZO (Albenga), in cui erano piantumati circa 1000 ulivi e in cui erano presenti alcuni casolari da ristrutturare;
– tale podere era stato acquistato in forza di atti di vendita stipulati negli anni 2003 e 2004, regolarmente trascritti;
– di aver appurato, successivamente, nell’anno 2005, che (oggi, , senza preavviso, aveva interrato un cavo elettrico all’interno dei di lui terreni, meglio contraddistinti al foglio, particelle 147, 148, 149, 151 e al foglio 27, particelle 117 e 118 del NCT del Comune di Albenga, eseguendo lavori che avevano in parte danneggiato alcuni muretti a secco;
– di aver, pertanto, rivolto alla predetta società, per iscritto, plurime lamentele e richieste di rimozione del cavidotto, senza tuttavia sortire alcun effetto.
A fronte di quanto sopra, il deduceva, ancora:
– che nell’anno 2019, intendendo ristrutturare e destinare a magazzino uno dei casolari insistenti sul podere, aveva presentato richiesta di autorizzazione al Comune di Albenga, unitamente ad apposito progetto che prevedeva, a valle dell’edificio, la costruzione di un basamento e il rafforzamento del terreno, con l’esecuzione di micropali, lavori, tuttavia, impediti dalla presenza del citato cavidotto nel sottosuolo;- che, pertanto, aveva adito il Tribunale di Savona proponendo ricorso ex art. 696 bis c.p.c., a seguito del quale, radicato il procedimento R.G. n. 356/2020, era stato nominato CTU l’Ing. con l’incarico di accertare la presenza del cavidotto “ de quo” nei terreni di proprietà dell’allora esponente, di determinare le opere e i costi per la sua rimozione, nonché l’entità dell’indennità di occupazione abusiva e, altresì, di individuare il soggetto utilizzatore del cavidotto medesimo; – che all’esito della CTU, malgrado fosse stata confermata la presenza del cavidotto nel terreno di cui trattasi, RAGIONE_SOCIALE non aveva provveduto alla rimozione del manufatto.
Tutto ciò premesso, dunque, l’attore citava in giudizio al fine di sentirla condannare, ex art. 948 c.c., alla restituzione della porzione di beni immobili di sua proprietà, alla rimozione del cavidotto e al risarcimento del danno da occupazione abusiva o, in alternativa, ex art. 949 c.c., alla cessazione delle molestie perpetrate attraverso la costruzione in parola, alla sua rimozione e al risarcimento del danno per abusiva occupazione.
Si costituiva ritualmente la quale, contestando le avversarie pretese, replicava:
– di aver provveduto alla posa del cavo interrato, nel 2005, a seguito di richiesta di allaccio di nuova fornitura di energia elettrica da parte di soggetto terzo, , nonché a seguito di autorizzazione del Comune di Albenga per la manomissione di suolo pubblico rilasciata il 9.11.2005;
– che tale linea elettrica interrata era stata in massima parte posata su strada vicinale, costituente pubblica via, e non invece sulla proprietà attorea, come ricavabile anche dalle risultanze della CTU espletata in sede di ATP;
– che, in ogni caso, nessuna indennità di occupazione poteva essere riconosciuta a favore della controparte, avendola il CTU esclusa in considerazione della natura del terreno ospitante il cavidotto, quale fondo agricolo allo stato gerbido.
La convenuta concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda attorea con vittoria di spese e competenze di causa.
Concessi i termini ex art.183 c.p.c., depositate le conseguenti memorie, il Giudice disponeva l’acquisizione degli atti del procedimento ex art. 696 bis c.p.c., avente n. R.G. 356/2020 e, ritenuta, nel resto, la causa matura per la decisione, fissava l’udienza di precisazione delle conclusioni al 9 dicembre 2022.
All’esito delle difese finali, il Tribunale così statuiva:
Il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede:
condanna alla integrale rimozione della linea di bassa tensione in cavo interrato e alla riduzione in pristino stato della porzione di fondo in proprietà dell’attore di cui in parte espositiva;
2) rigetta la domanda di risarcimento danni;
3) condanna al pagamento in favore di delle spese processuali che liquida in € 233,00 per esborsi ed in € 5.077,00 per compenso, oltre al 15% del compenso per rimborso forfettario spese generali, I.V.A. (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A. Sentenza per legge esecutiva.
” Ciò detto, va osservato che il Giudice di primo grado accoglieva la domanda attorea con riferimento, in particolare, alle ragioni di seguito esposte:
– il CTU aveva accertato la presenza del cavidotto interrato nella proprietà del , rilevando, altresì, che il cavidotto mdesimo proseguiva per un tratto sulla stradina ricompresa nei mappali 151 e 147 del Foglio 26;
– il CTU aveva precisato che il tracciato della suddetta stradina, in parte carrabile e in parte solo pedonale, era indicato in mappa e costituiva quello che negli atti della convenuta veniva, tuttavia, considerato come strada vicinale pubblica;
– le eccezioni di , in relazione alla natura di suolo pubblico del terreno in questione, non erano, tuttavia fondate, non potendo essere dirimenti, a tal fine, né il provvedimento autorizzativo della manomissione del suolo pubblico del Comune di Albenga del 9/11/2005, né la relazione descrittiva del Geom. sì da giungere alla conclusione che la rete elettrica interrata, oggetto di causa, si trovava, effettivamente, nei terreni di proprietà del Il Tribunale, quindi, rilevava l’assenza, tanto di un atto costitutivo di servitù tra privati, quanto di un provvedimento amministrativo acquisitivo o di asservimento all’interesse pubblico della porzione di suolo in argomento, ritenendo, pertanto, pacifico l’attraversamento abusivo del fondo attoreo da parte della linea di bassa tensione, in cavo interrato, della società convenuta con conseguente lesione del diritto dominicale, illecito permanente, da cui discendeva la fondatezza della richiesta di rimozione e di rimessione in pristino di cui alla citazione. Per quanto concerne, invece, il risarcimento del danno richiesto, il Giudice di prime cure osservava che quanto alla lamentata diminuzione del godimento e al mancato sfruttamento economico della porzione immobiliare interessata dall’impianto, era risultata insussistente la prova, tanto sotto il profilo del danno emergente, quanto in relazione al lucro cessante, quale conseguenza della temporanea imposizione della servitù, sì da argomentare sul punto:
– che sotto il primo profilo, secondo gli accertamenti compiuti dal CTU, l’area interessata non era coltivata e si trovava in stato gerbido;
– che l’opera interrata era posta, peraltro, in massima parte in corrispondenza del tracciato della stradina esistente;
– che nessun danno, in relazione al mancato godimento del bene da parte dell’attore, era stato, dunque, di fatto allegato e risultava ipotizzabile, tenuto conto della peculiarità della situazione.
Il Tribunale, pertanto, rigettava la domanda risarcitoria in questione.
Quanto, infine, alle spese processuali, il Giudice di primo grado, sulla base del principio di soccombenza, condannava al pagamento delle stesse la parte convenuta , ritenuta prevalentemente soccombente, dando atto della necessità, viceversa, di compensare le spese di ATP, ravvisando l’utilità di detto accertamento per entrambe le Parti.
Nei confronti della predetta sentenza, oltre a chiedere la sospensione della provvisoria esecutorietà, ha proposto appello per i seguenti motivi.
valutazione degli elementi probatori in atti, che ha condotto il Giudice di prime cure a ritenere erroneamente fondata e conseguentemente ad accogliere la domanda del volta ad ottenere la rimozione del cavidotto e la rimessione in pristino dei luoghi – Violazione degli artt. 948 e 949 c.c. – Mancata statuizione di inammissibilità delle domande petitorie ex adverso formulate.
Con tale motivo l’appellante ha contestato come la decisione del Giudice di prime cure risultasse inficiata dal non aver correttamente valutato le risultanze probatorie in atti, omettendo, altresì, di pronunciarsi su tutte le argomentazioni difensive/eccezioni formulate dall’odierna appellante, e in particolare sulla inammissibilità delle domande ex adverso formulate.
In violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., inoltre, l’accertamento della abusività del cavidotto era stato compiuto, a parere dell’appellante, attraverso una valutazione alquanto sommaria delle risultanze probatorie.
In particolare, il Giudice di primo grado:
– non aveva adeguatamente valorizzato la circostanza, accertata dal CTU, secondo cui il cavidotto interrato insisteva in massima parte in corrispondenza del tracciato della stradina vicinale esistente, da considerarsi, o comunque, da presumersi, pubblica, sì che il manufatto interrato insisteva solo marginalmente sul terreno di proprietà attorea e , in ogni caso, non arrecava alcun nocumento all’attore;
– non aveva, inoltre, dato adeguata rilevanza, ai fini della prova del carattere pubblico della strada vicinale, alla documentazione in atti, ossia l’autorizzazione del Comune di Albenga del 9/11/2005 e alla relazione descrittiva del Geom. del 24/1/2006 (atto quest’ultimo proveniente da controparte), che qualificava espressamente la strada vicinale “ de qua” come “pubblica via”, a fronte del menzionato provvedimento del 9/11/2015, espressamente qualificato quale “autorizzazione per la manomissione di suolo pubblico”, il tutto così da provare come il Comune di Albenga considerasse la strada vicinale in discussione come pubblica, a fronte, d’altra parte, della mancanza in atti di documentazione comprovante la natura privata della medesima via; – non si era, infine, pronunciato sull’eccezione di inammissibilità giuridica delle domande svolte da controparte, in via alternativa, ex art. 948 c.c. ed ex art. 949 c.c., non sussistendo i presupposti, né per l’esperimento della prima citata azione, dal momento che RAGIONE_SOCIALE non aveva mai contestato il diritto di proprietà di controparte sul proprio fondo, né quelli per l’azione ex art. 949 c.c., in quanto le ingerenze/manomissioni/turbative/molestie denunciate da controparte, nel caso di specie, non si erano sostanziate in una pretesa o in un diritto vantato sulla cosa stessa. II MOTIVO (relativamente al capo/punto della sentenza che ha condannato alla integrale rifusione delle spese di lite del giudizio di primo grado in favore del :
Erroneo addebito ad delle integrali spese di lite sostenute dal per difendersi nel giudizio di primo grado, in violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., considerato l’integrale rigetto della domanda risarcitoria formulata da controparte.
Con tale motivo l’appellante ha lamentato che il Giudice di prime cure, applicando non correttamente quanto previsto negli artt. 91 e 92 c.p.c., aveva condannato, del tutto ingiustificatamente, senza motivarlo, a rifondere integralmente al spese processuali, pur avendo lo stesso Tribunale statuito in sentenza l’integrale rigetto della domanda risarcitoria formulata dall’allora attore, circostanza in forza della quale il Giudice di primo grado avrebbe dovuto compensare, quanto meno parzialmente, le spese di lite di cui si tratta. [… particolare, l’appellato ha argomentato quanto segue.
In merito al I motivo di appello, il ha rilevato come l’appellante avesse fondato tale doglianza su una erronea lettura della relazione a firma dell’Ing. , lettura che era stata già proposta in primo grado e, categoricamente, respinta dal Tribunale.
In sostanza, in tesi, aveva posto in risalto conclusioni del CTU insussistenti, fondate sul non aver compreso che negli immobili di proprietà dell’appellato esisteva una strada privata, oggetto dell’illecito lamentato.
L’appellato, inoltre, ha assunto di aver provato che il manufatto era stato interrato in una porzione dei propri immobili, nei quali era situata una stradina privata che mai era stata considerata dal Comune di Albenga tracciato aperto al pubblico, oppure, sottoposto a servitù di passaggio.
ha, altresì, evidenziato la fondatezza, sia dell’azione di rivendicazione della proprietà ex art. 948 cod. civ., sia dell’azione di negazione dell’esistenza di servitù ai sensi del successivo art. 949 cod. civ., avendo dimostrato di essere proprietario degli immobili oggetto di causa e, come lui, le provenienze precedenti fino a quelle documentabili, nonché l’inesistenza di diritti altrui sui propri terreni.
In merito al II motivo di appello , l’appellato ha rilevato come, secondo l’appellante, il mancato accoglimento della richiesta di risarcimento dei danni avrebbe dovuto comportare la compensazione parziale delle spese di causa, muovendo, così, da tale assunto per proporre appello incidentale.
A tal riguardo, infatti, il ha impugnato la medesima sentenza, in punto mancato riconoscimento del risarcimento del danno per perdita della possibilità di sfruttamento economico del proprio fondo, reputando di aver offerto la prova a riguardo, nonché in merito alla omessa pronuncia circa le spese legali e quelle di CTU sostenute nell’ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo, chiedendo di riformare la sentenza del Tribunale di Savona dal cpv. 3 di pag. 7 al rigo 5 di pag. 8, nonché nell’ultimo cpv. prima del
PQM
di pag. 8, con l’effetto di condannare , sia al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, sia al rimborso delle spese sostenute in sede di ATP, nonché per la mancata partecipazione alla mediazione obbligatoria.
All’esito della prima udienza del 31.10.2023, accolta, ex art.283 c.p.c., l’istanza dell’appellante afferente alla sospensione dell’esecutività provvisoria della sentenza impugnata, la Corte ha fissato udienza di rimessione della causa in decisione al 24.09.2024, assegnando alle Parti i termini ex art. 352
c.p.c. per la precisazione delle conclusioni e per il deposito di comparse conclusionali e note di replica, udienza dopo la quale il Consigliere istruttore, nelle more designato, ha riservato la decisione al Collegio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Passando alla disamina delle singole doglianze, devesi osservare quanto segue -circa il primo motivo dell’appellante Pare opportuno, in via preliminare, evidenziare, che l’originaria pretesa attorea era chiaramente tesa a far accertare l’insussistenza di qualsivoglia diritto in capo all’appellante di mantenere il cavidotto di cui è causa nel sottosuolo del assumendo l’illiceità di tale condotta, in rapporto alle prerogative dominicali del predetto, tanto da richiedere la rimozione, il [… tal senso, dunque, vale la pena subito porre in risalto, proprio il riconoscimento di tali prerogative ha indotto l’appellato, rispetto alle possibili posizioni avversarie, a prospettare la propria azione ai sensi, alternativamente, degli artt. 948 c.c. e 949 c.c. Orbene, rispetto a ciò, diversamente da quanto dedotto da nell’ultima parte del motivo, la pretesa inammissibilità di tali domande è stata trattata, in via assorbente, nel momento in cui il Tribunale ha ritenuto collocato il cavidotto nella proprietà attorea, ha accertato la mancanza di un valido titolo per mantenere la posa dello stesso, venuta meno la tolleranza della proprietà medesima, giungendo, pertanto, a qualificare la condotta dell’allora convenuta come illecita, ordinando la rimozione del manufatto ed il ripristino.
La deduzione dell’appellante, per l’effetto, rispetto al fatto di non aver mai contestato la proprietà della controparte e di non aver chiesto la costituzione di alcun diritto sulla proprietà stessa non coglie nel segno, a fronte di una prospettazione, equivoca anche in comparsa di costituzione e risposta in primo grado, circa la pretesa natura pubblica della strada sotto la quale passava il cavidotto e la pretesa, comunque, di mantenerlo in sito, il che certamente legittima l’ ”actio negatoria servitutis”, a prescindere da asserite non contestazioni circa il fatto che non abbia contestato, come si legge nel gravame, la titolarità dei fondi interessati. A fronte, dunque, di dette doglianze, inconsistenti, va sottolineato, comunque, che certa è la proprietà in capo al dei mappali di cui al fg. , nn. 147, 148, 149, 151 e fg., partt. 117 e 118, considerati gli atti di acquisto prodotti, in rapporto alla continuità degli stessi, in ogni caso, a maggior ragione, rispetto a quanto previsto dall’art. 949 c.c.
Sul punto, anche rispetto alla pretesa dell’appellante di mantenere il cavidotto ove è collocato, devesi richiamare la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui, in ordine all’onere probatorio:
“ In tema di “actio negatoria servitutis”, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché la parte che agisce in giudizio per far accertare l’inesistenza dell’altrui diritto di servitù su un fondo del quale affermi di essere il proprietario ha l’onere non già di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà del fondo, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possederlo in forza di un valido titolo, atteso che detta azione non tende necessariamente all’accertamento dell’esistenza della titolarità della proprietà, ma all’ottenimento della cessazione dell’attività lesiva, spettando, invece, al convenuto l’onere di provare l’esistenza del proprio diritto, in virtù di rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l’attività lamentata come lesiva dalla controparte” ( così ex plurimis Cass., sez. 2, n.1905, 23.1.23, oltre a Cass., sez. 2, n. 803, 12.1.22). Non coglie nel segno, devesi ancora chiarire, il richiamo alla pronuncia Cass., sez.2, n. 31510, 3.12.2019, poiché circa il possesso da parte dell’appellato nessuna contestazione circa la sussistenza dello stesso è stata mossa da , né in sede di ATP, né in sede di comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, a fronte di una situazione fattuale, afferente ai luoghi in cui era posato il cavidotto, nella piena conoscenza dell’allora convenuta, tanto che, come già sopra richiamato la pretesa inammissibilità dell’azione ex art.949 c.c. era motivata nei seguenti termini: “ …in quanto le ingerenze/manomissioni/turbative/molestie denunciate da controparte non si sostanziano in una pretesa o in diritto vantato sulla cosa stessa…”, profilo del tutto diverso da quello dell’insussistenza del possesso:
ciò assorbe i plurimi elementi di prova documentali, anche rispetto alla CTU, circa la sussistenza del possesso medesimo dei fondi di cui è causa, desumibile anche dagli atti della P.A. prodotti dal.
Ciò detto, se si osserva che l’appellante odierno neppure depositò la prima memoria ex art.183 , comma 1, c.p.c., così cristallizzando domande ed eccezioni, la considerazione che precede risulta ancor più pacifica.
appello, la lamentata superficialità con cui il primo Giudice avrebbe esaminato le prove acquisite omette di considerare le seguenti circostanze:
-il cavidotto in questione, come emerge dalla CTU, di cui all’ATP 356/20 RG, acquisita al fascicolo, a firma dell’Ing. , attraversa in modo indubitabile la proprietà dell’appellato, atteso il tenore non equivoco di quanto affermato dal Consulente d’ufficio, in esito, si noti, a rilievi condivisi e sottoscritti, nella restituzione grafica, tanto che nella CTU medesima si legge:
”… La restituzione grafica del rilievo, controfirmata dalle parti nella riunione collegiale del 15/09/20, viene allegata alla presente e dalla sovrapposizione catastale (che contiene la svista per cui il mapp. 149 è indicato come 148) si rileva in particolare che il cavidotto, indicato con linea verde, si sviluppa nella proprietà del riscorrente dapprima attraversando la particella 149 del Fg. per poi sconfinare nel mapp. 118 del Fg. e quindi proseguire per un tratto sulla stradina ricompresa nei mappali 151 e 147 del Fg. per sconfinare ancora nel mappale 117 del Fg..
Si precisa che il tracciato della suddetta stradina, in parte carrabile e in parte solo pedonale, è indicato in mappa e costituisce quello che negli atti di parte resistente viene considerato come “strada vicinale pubblica… “;
-l’estrapolazione di detto ultimo periodo, come da gravame, non tiene conto della parte precedente, avendo semplicemente esposto il CTU che la controparte, attuale appellante, aveva indicato, nei suoi atti, che il tracciato della “ stradina” fosse una strada vicinale pubblica, il tutto senza nessun accertamento a riguardo, diversamente da quanto prospettato nel gravame, accertamento per nulla desumibile neppure da pag. 5 della relazione, cui si richiama – la CTU medesima, invece, ha accertato, con assoluta chiarezza, che il cavidotto non serve in alcun modo la proprietà del , consentendo a di fornire energia elettrica ad un terzo, in adempimento di un rapporto negoziale rispetto al quale del tutto estraneo è l’attuale appellato ( vedi pag.5 della CTU, oltre che la specifica tecnica allegata dalla stessa , allora, 12.8.05); – gli allegati alla CTU citata sono del tutto coerenti con tali risultanze, neppure contestate dal CTP di in quella sede;
– la “stradina” individuata, presente, dunque, sulla proprietà del , non è, “ per tabulas”, inserita nell’elenco ufficiale delle strade vicinali del Comune di Albenga, come chiarito dal primo Giudice, ancor meno risultando, altresì, la destinazione ad uso pubblico;
– a conferma di ciò, d’altra parte, il Comune di Albenga, anche per “facta concludentia”, chiamato in giudizio di fronte al TAR, come da ricorso 29.9.16, rispetto ad contenuto dell’autorizzazione paesaggistica 12.7.16, n. 15611, nella quale si indicava la necessità, rispetto agli immobili “de quibus”, di garantire che le recinzioni da apporre non ostacolassero la viabilità esistente, nulla specificava e, rispetto alla contestazione di qualsivoglia “ iure servitutis publicae”, neppure si costituiva in sede di giudizio amministrativo, nulla opponendo, nei fatti, alle recinzioni poste senza riconoscimento alcuno di uso pubblico; – gli assunti del Geom. di cui alla relazione 24.1.06, prodotta dall’appellante in primo grado, circa l’indicazione di una strada vicinale, poi definita quale pubblica via, altro non sono che mere asserzioni, che sembrano muovere, peraltro, dall’errato presupposto di ritenere che ogni strada vicinale, sia anche ad uso pubblico, il che non è ( vedasi a riguardo, sotto il primo profilo, Cass. sez, n 8879, 29.3.23, e circa la nozione di strada vicinale privata Cass, sez,II, n.11466, 30.4.21);
– fermo quanto sopra, la questione è financo di scarsa rilevanza, poiché estendendosi la proprietà al sottosuolo, ex art.840 c.c., qualsivoglia uso pubblico della via, in superficie, non implicherebbe affatto il diritto di gravare il sottosuolo medesimo con la posa di una cavidotto quale quello in esame, al fine di portare la luce elettrica ad un terzo soggetto, senza la previa costituzione , ma non altera il diritto di proprietà della medesima, che rimane privata;
pertanto, l’esistenza di tale servitù non consente anche l’utilizzo del sottosuolo di quella strada al fine di collocare tubature, poiché tale attività comporta l’insorgenza di una nuova servitù sul bene privato, diversa da quella di passaggio”);
– rispetto, poi, al dirimente argomento di cui al punto che precede, risulta davvero inconsistente, quale prova del diritto dell’appellante a mantenere il cavidotto in esame, il contenuto dell’autorizzazione alla manomissione del suolo pubblico, come da atto n.10/05, del 9.11.05 del Comune di Albenga, nel quale si indica un non meglio precisato tratto di 200 m. di, appunto, suolo pubblico in “ INDIRIZZO”, atto amministrativo che, oltre ad essere generico ed equivoco, sia rispetto all’area di riferimento, che alla titolarità effettiva del terreno da “ manomettere”, non contiene, in ogni caso, qualsivoglia esercizio del potere conformativo della proprietà privata di cui si tratta, si da non essere opponibile, comunque, al : a conferma, merita di essere aggiunto, l’art.16 della concessione faceva salvi i diritti dei terzi ( “…intendendosi che la stessa – leggasi la concessione- è assentita senza pregiudizio dei terzi stessi”);
– analogamente, va aggiunto, nessuna valenza probatoria del diritto dell’appellante può rinvenirsi nella nota 24.6.2005 della , ove, peraltro, neppure vengono indicati i mappali interessati.
Alla luce di quanto sopra, risulta di ogni evidenza come l’appellante, al di là di apodittiche affermazioni e censure, non ha affatto provato il diritto in forza del quale mantenere il cavidotto in questione nella proprietà dell’appellato, sì che il Giudice, del tutto correttamente, è pervenuto alla decisione impugnata.
Le difese finali nulla aggiungono rispetto ad argomenti già smentiti dalla disamina obiettiva delle acquisizioni processuali.
Il motivo di appello è, pertanto, infondato e va respinto.
-circa il secondo motivo dell’appellante In merito, reputa la Corte di dover riservare la disamina del motivo in questione, afferente alla condanna alle spese di lite, nonostante il rigetto della domanda risarcitoria dell’allora attore, dopo la trattazione dell’appello incidentale che il ha inteso, sul punto, proporre, non in via subordinata, il tutto come da apposito paragrafo finale, cui si rinvia.
-circa l’appello incidentale di la Corte, con riferimento all’invocata riforma della sentenza impugnata, in punto risarcimento danno, di dover muovere dalla sentenza a SS.UU. della Suprema, n. 33645, del 15.11.22, che ha escluso, comunque, l’assunto per cui la mera violazione della proprietà sia idonea a far sorgere un danno risarcibile, ponendo in capo al preteso danneggiato un onere di allegazione e prova, che si articola in modo diverso, sia rispetto a quanto dedotto, sia rispetto alla posizione assunta dal preteso danneggiante. In merito, occorre osservare, i principi di diritto espressi in tale pronuncia, non possono essere invocati ed applicati senza tenere conto delle argomentazioni che li precedono, sì che in particolare, risulta necessario evidenziare quanto segue:
1
-la Corte di Cassazione, in primo luogo, così scrive:
“…Richiamando un passaggio motivazionale di Cass. Sez. U. 11 novembre 2008, n. 26972, secondo cui il danno in re ipsa (nella specie riferito al danno non patrimoniale) «snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo», Cass. n. 13071 del 2018 ha rimarcato come il riconoscimento di un danno in re ipsa nel caso di occupazione sine titulo dell’immobile avrebbe la valenza di danno punitivo fuori delle condizioni previste da Cass. Sez. U. 5 luglio 2- le SS.UU. superano, per l’effetto, detta nozione e giungono a meglio qualificare tale danno in termini di “ danno presunto” o “danno normale”: “… privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato…”, così da aggiungere:
“… Tale esito interpretativo, per quanto riguarda la lesione della facoltà di godimento, resta coerente al significato di danno risarcibile quale perdita patrimoniale subita in conseguenza di un fatto illecito…” e , ancora, :
“…l’estensione della tutela dal piano reale a quello risarcitorio, per l’ipotesi della violazione del contenuto del diritto, deve lasciare intatta la distinzione fra le due forme di tutela”;
3- la Corte medesima, sul punto, chiarisce, al fine di apprezzare ancor più la distinzione, incompatibile con un danno “ in re ipsa”, che, mentre la tutela reale è orientata al futuro ed al ripristino della situazione corrispondente alla legalità:
“… L’azione risarcitoria è invece orientata al passato e costituisce il rimedio per la perdita subita a causa della violazione del diritto.
Essa costituisce la misura riparatoria per la concreta lesione del bene della vita verificatasi in conseguenza della condotta abusiva dei terzi.
Mentre la tutela reale costituisce il rimedio per l’alterazione dell’ordinamento formale, la tutela risarcitoria è compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalità del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) è in uscita, del lucro cessante se la perdita è in entrata…”, così da porre in risalto che:
“…La distinzione fra le due forme di tutela comporta che il fatto costitutivo dell’azione risarcitoria non possa coincidere senza residui con quello dell’azione di rivendicazione ma debba contenere l’ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile…” , reiterando, in modo ulteriore, l’assunto, ritenuto caposaldo del sistema, in forza del quale” …se non c’è danno conseguenza non c’è danno ingiusto…”;
4- in ragione di tali motivazioni, allora, le SS.UU., richiamata:
”… la necessità dell’elemento costitutivo ulteriore nella causa petendi della domanda risarcitoria rispetto a quella della domanda di rivendicazione…”, specificano, nella sentenza in esame, rispetto al diritto di godere e disporre dei beni di proprietà che:
“… La domanda risarcitoria presuppone che, per la presenza di un danno risarcibile, l’azione lesiva del contenuto del diritto di proprietà sia valutabile non solo come violazione dell’ordine formale, ma anche come evento di danno… Il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione, cagionata dall’occupazione abusiva, del “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”. Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire…”;
5- la Suprema Corte, inoltre, sottolinea, che:
“…Il riferimento alla specifica circostanza di godimento persa stabilisce la discontinuità fra il fatto costitutivo dell’azione di rivendicazione e quello dell’azione risarcitoria, preservando la distinzione fra la tutela reale e quella risarcitoria…”, contrastando, così, anche il rischio che la nozione di danno “in re ipsa”:
“… piuttosto che assumere, in assenza dei presupposti di legge, la valenza di danno punitivo, divenga un danno correlato all’astratta posizione riconosciuta dall’ordinamento al proprietario, senza possibilità di prova contraria, approdo parimenti non condiviso, in forza di quanto sopra”;
6- in ragione delle considerazioni svolte, aggiungono i Giudici di legittimità, deriva che:
“ …nella comune fattispecie di occupazione abusiva d’immobile è al contrario richiesta, come si è visto, l’allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa…”, allo stesso tempo chiarendo che il non uso, pur rientrante fra le prerogative del proprietario, “…non è suscettibile di risarcimento…, mentre il danno conseguenza riguarda il pregiudizio al bene della vita che, mediante la 7- rispetto, quindi, alla necessaria allegazione specifica del preteso danneggiato, le SS.UU. aggiungono: “…L’allegazione che l’attore faccia della concreta possibilità di godimento perduta può essere specificatamente contestata dal convenuto costituito.
Al cospetto di tale allegazione il convenuto ha l’onere di opporre che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento.
La contestazione al riguardo non può essere generica, ma deve essere specifica, nel rigoroso rispetto del requisito di specificità previsto dall’art. 115, comma 1, cod. proc. civ. In presenza di una specifica contestazione sorge per l’attore l’onere della prova dello specifico godimento perso, onere che può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, cod. proc. civ.) o mediante presunzioni semplici.
Nel caso della presunzione l’attore ha l’onere di allegare, e provare se specificatamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa… Sia per la perdita subita, che per il mancato guadagno va rammentato che l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti.
Poiché non si compie l’effetto di cui all’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., per i fatti ignoti al danneggiante l’onere probatorio sorge comunque per l’attore, a prescindere dalla mancanza di contestazione, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l’evenienza dei fatti ignoti alla parte convenuta sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno.
Ne consegue sul piano pratico la maggiore ricorrenza per il convenuto dell’onere di contestazione, nel rigoroso rispetto del requisito di specificità previsto dall’art. 115 comma 1, nelle controversie aventi ad oggetto la perdita subita e la maggiore ricorrenza per l’attore dell’onere probatorio, pur in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il mancato guadagno.
Si chiarisce così la portata eminentemente pratica delle nozioni di “danno normale” e “danno presunto” emerse nella recente giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, le quali rinviano, nelle controversie relative alla perdita subita, a una maggiore frequenza dell’onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l’attore dell’onere di provare la circostanza in discorso, data la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell’occupazione abusiva. ” Orbene, in ragione di dette argomentazioni, da cui questa Corte non reputa vi siano ragioni per discostarsi, argomentazioni che si rinvengono anche in recenti arresti ( vedasi Cass., sez.3, n.10477, 17.4.24, secondo cui: “ Il danno da indisponibilità diretta dell’immobile patito dal proprietario – configurabile quando si verifica, quale conseguenza immediata e diretta della violazione del diritto dominicale, la soppressione o compressione della facoltà di fruire direttamente del cespite e di ritrarne le utilità congruenti alla sua destinazione – può essere risarcito a condizione che lo stesso venga provato, anche presuntivamente, sulla base dell’allegazione, da parte del danneggiato, di determinate caratteristiche materiali e di specifiche qualità giuridiche del bene che consentano di presumere, con ragionevole certezza e secondo l’id quod plerumque accidit, che quel tipo di immobile sarebbe stato destinato ad un impiego fruttifero o che l’avente diritto ne avrebbe ritratto, immediatamente e direttamente, un’utilità, specificamente indicata, corrispondente alle sue caratteristiche”), va osservato, rispetto alle doglianze dell’appellante incidentale, in punto danno, quanto segue: – in primo grado, l’allora attore, in citazione, non allegava alcuna circostanza specifica circa il mancato utilizzo del bene, sovrapponendo, come da punto 16 della citazione stessa, la tutela “reale”, con quella risarcitoria, indicando un preteso ristoro di € 15.000,00, così illustrato:
“ nonché la condanna al risarcimento del danno derivato dall’abusiva occupazione e dei costi di rimozione”, pur avendo già chiesto la rimessione in pristino, il tutto, devesi sottolineare, non esplicitando alcuna interferenza del cavidotto con l’attività di ristrutturazione di alcuni suoi immobili, attività già assentita – solo nella prima memoria ex art.183 c.p.c., detta Parte deduceva, a fronte della contestazione avversaria, quale fatto costitutivo del risarcimento, a pag. 5, che il cavidotto in questione era sito ove era prevista la costruzione di un basamento ed il rafforzamento del terreno, con l’esecuzione di micropali, assumendo che: “… i lavori sono bloccati…”;
– a fronte di quanto sopra, va posto in risalto, in sede di ATP, il CTU aveva escluso qualsivoglia pretesa di indennità per indebita occupazione, sottolineando come la proprietà interessata dal cavidotto fosse un fondo agricolo allo stato gerbido, escludendo, a fronte di generiche deduzioni avversarie, che il manufatto in questione interferisse rispetto al progetto di ristrutturazione del 2019, in allora non ancora assentito, circa la posa dei micropali;
– rispetto a tali acquisizioni, con la seconda memoria ex art.183, comma 6, c.p.c., l’allora attore chiedeva una nuova CTU, avente ad oggetto, si noti, la determinazione del danno in relazione alla “ destinazione produttiva dell’area illegittimamente utilizzata dalla Società convenuta”, così da alludere a circostanze fattuali ulteriori e diverse da quelle in precedenza allegate, oltre che del tutto genericamente indicate, connotando tale richiesto accertamento tecnico quale atto istruttorio, comunque, inammissibilmente esplorativo;
– ciò detto, in esito al rigetto di cui alla sentenza impugnata, la critica mossa al primo Giudice si è risolta nell’affermare, in modo apodittico, rispetto a quanto già considerato, che:
“…la condotta avversaria ha influito sull’attività economica dell ”, di cui l’appellante incidentale era titolare, riproponendo, peraltro, l’assunto per cui le porzioni di proprietà abusivamente occupate avevano scopo produttivo, così da pervenire ad una distinzione del preteso risarcimento che, in termini di danno emergente, per non aver goduto del bene, implica una pretesa di danno “ in re ipsa”, a maggior ragione tenuto del fatto che, comunque, ciò che era occupato era il sottosuolo (nei termini, altresì, indicati dal CTU), e quanto al lucro cessante, in un mancato sfruttamento economico del tutto ipotetico ed anzi smentito da quanto constatato in sede di ATP, né superato da qualsivoglia elemento idoneo a rendere sufficientemente concreta la deduzione; – ferme le considerazioni che precedono, i documenti fotografici riportati nel corpo dell’atto difensivo, così come i nuovi documenti sub nn.2, 3, e 4, oltre ad essere allegati senza alcuna indicazione delle ragioni legittimanti la produzione, in rapporto all’art.345 c.p.c., altro non sono, comunque, che, i nn. 2 e 3, in particolare, valutazioni di parte, precostituite “ad hoc”, a ottobre 2023, inconferenti e ancor meno dirimenti rispetto alle concrete allegazioni e deduzioni dell’appellante incidentale, a fronte di quanto sopra argomentato ( i citati doc. 2 e 3 , rispetto ad un doc. 4 del 2020, attestano, anzi, come non vi sia stato alcun “blocco dei lavori”, al di là di indicate, del tutto fumose, esigenze di cautela, rispetto a lavori da eseguire, come da nota, del tutto generica e valutativa, a firma del Geom. , rilasciata, il 6.10.23, su richiesta evidente dell’appellante incidentale, quale committente ); – le stesse pregresse richieste di rimozione del cavidotto, a riguardo, sono del tutto generiche circa i pregiudizi ( nella nota 21.11.18 a firma Avv. si parla dell’intenzione di una, non meglio precisata, riattivazione delle colture e recupero di edifici vicini, elemento il primo neppure riportato nella successiva nota 19.11.2019 e, quanto alle interferenze con l’attività costruttiva, smentito da quanto sopra), potendosi apprezzare, in verità, il fatto che il manufatto in contestazione era stato tollerato consapevolmente almeno fino a fine 2018 ( vedasi il tenore della citata missiva 21.11.2018); – non a caso, d’altra parte, merita di essere evidenziato, l’appellante incidentale ha invocato, comunque, una liquidazione equitativa, che, tuttavia, valutate le acquisizioni, è strumentale a superare, in realtà, la necessaria prova del danno, comunque mancante, proprio in ossequio ai principi di cui alla rammentata sentenza della Suprema Corte a SS.UU..
Ciò detto, vanno affrontate anche le residue ragioni di gravame del nei termini che – la doglianza circa il mancato riconoscimento delle spese per la rimozione del cavidotto, non tiene in considerazione alcuna quanto ha già disposto il Tribunale, condannando alla rimozione e rimessione in pristino, sì che non è dato comprendere il senso del motivo, gli oneri economici di ciò essendo già stati posti a carico della citata società;
privo di pregio è quanto emerge dalle note di replica, rispetto all’ipotesi in cui la controparte non dovesse dare esecuzione alla sentenza, nel caso dovendo, infatti, il procedere necessariamente ad esecuzione coattiva del titolo, sotto la vigilanza del Giudice dell’esecuzione e non certo in autonomia.
– la doglianza, ancora, relativa alle spese di ATP, neppure articolata in un autonomo e specifico motivo di appello ( pag. 44), non si confronta affatto, deducendo un’omessa pronuncia, con la chiara motivazione della sentenza appellata, ove si legge, all’ultima pagina:
“ Le spese legali e quelle di CTU sostenute nell’ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo vengono invece integralmente compensate, considerato che l’indagine peritale è stata svolta al fine di individuare l’esatta collocazione del cavidotto, i potenziali pregiudizi e i costi di rimozione delle opere, nell’interesse e per l’utilità di entrambe le parti coinvolte nel presente giudizio…”, al di là della mancanza di una statuizione specifica nel dispositivo, frutto di un evidente errore materiale. In merito, va detto, in ogni caso, che pienamente condivisibile è detta decisione del primo Giudice, atteso che, a fronte di una situazione fattuale che presentava margini di incertezza, anche rispetto al tempo trascorso dalla posa del cavidotto nella sostanziale inerzia del , in ragione, altresì, di posizioni, rispetto alla richieste, non esenti da ambiguità, circa rimozione, ripristino, risarcimento danni, come ancor più apprezzabile nel seguito della motivazione, l’utilità di detta attività tecnica è stata correttamente ritenuta ravvisabile in capo a entrambe le Parti, con conseguente compensazione delle spese relative, neppure potendosi tacere che la valenza della pretesa risarcitoria dell’allora ricorrente risulta essere stata, con evidenza, assai incidente sulla possibile conciliazione, come i seguiti hanno dimostrato; – la doglianza, infine, di cui a pag. 11, circa la richiesta di condanna dell’appellante al pagamento di:
“… una somma corrispondente a quella del Contributo Unificato ex art. 8 D.L.vo 28/10, nella versione antecedente alla Riforma Cartabia…”, si appalesa inammissibile atteso che:
– tale pretesa attiene ad un versamento che il Giudice, ai sensi del comma 4bis, nella versione applicabile di detta norma, dispone a favore dell’Erario e non a favore della controparte ( così come previsto, invece, nel nuovo art.12bis, se vi è richiesta), sì che non sussiste alcun interesse, né legittimazione del a vantare di fronte a questa Corte un diritto non proprio;
– non risulta, peraltro, per chiarezza, che tale “pretesa” fosse stata avanzata in primo grado, non rinvenendosi, comunque, nelle conclusioni di cui all’atto di citazione in primo grado, così come in quelle di cui alla prima memoria 12.11.21 ex art.183, comma 6, c.p.c. ed, ancora, in sede di precisazione delle conclusioni in data 6.12.22;
– a fronte di ciò, per la prima volta detta “domanda” risulta contenuta nelle conclusioni dell’appello incidentale, con riferimento, tuttavia, ad una condanna a favore del medesimo.
In merito a tale ultima questione, ferma, dunque, l’inammissibilità di detta doglianza, atteso che quanto sopra non consente sindacato alcuno della sentenza appellata sul punto, reputa la Corte che sia opportuno, tuttavia, evidenziare, anche a fronte della tempistica indicata nelle difese finali, che la mediazione medesima venne proposta nel maggio 2019, senza indicare alcuna richiesta indennitaria/risarcitoria, benchè in realtà quest’ultima fosse un obiettivo per nulla marginale , svelato in sede di ATP ( nel 2020) e , ancor più in citazione, come, a maggior ragione, palesato dal gravame in esame, così da acclarare, a ben vedere, come lo stesso odierno appellante incidentale avesse inteso la mediazione solo con riferimento alla valenza procedurale, tanto da neppure dedurre il completo ed effettivo oggetto del contendere. Rispetto alle difese finali del , ancora, non emergono argomenti idonei a modificare le primo luogo, il riconoscimento del fatto che sulle spese di ATP il primo Giudice ebbe, comunque, a pronunciarsi, seppure in modo non condiviso dall’appellante incidentale.
Ciò detto, merita, ancora, di essere trattata la prospettazione, di cui a tali difese conclusive, di oblique doglianze rispetto alla mancata liquidazione di € 760,00, calcolati in sede di ATP.
In merito, reputa la Corte di dover evidenziare come le stesse siano manifestamente inammissibili sotto più profili, atteso che:
– detta somma venne indicata quale “ equo ristoro”, arbitrariamente individuato dal CTU per :
“…il disagio creato durante le operazioni di messa in opera della linea elettrica e per la sua rimozione…” , importo indicato, quale imprecisata indennità, negando, allo stesso tempo, la sussistenza dei presupposti per risarcire qualsivoglia indebita occupazione;
– detta specifica pretesa non fu oggetto, comunque, di domanda alcuna nel giudizio di primo grado, tanto che della stessa, nelle argomentazioni e richieste non vi è traccia nella citazione, inidoneo essendo che al punto 13, nella parte in fatto, sia stato riportato un ampio stralcio della CTU, quale dato storico, rispetto, invece, al contenuto del successivo punto 16;
– a fronte del gravame incidentale proposto, ugualmente nessuna doglianza specifica è stata sollevata tempestivamente di fronte alla Corte circa il fatto che il primo Giudice non avesse liquidato tale “ indennità”, come detto “recuperata” solo in comparsa conclusionale in appello, così da introdurre tardivamente, a ben vedere, un nuovo motivo di gravame, se non anche una nuova domanda, rispetto al giudizio di primo grado, considerata la differente imputazione esplicitata in detto accertamento tecnico, rispetto poi alle domande risarcitorie proposte. In esito, pertanto, alle considerazioni svolte, l’appello incidentale, in conclusione, è infondato e va respinto, non essendo accoglibili le richieste di integrazione probatoria a mezzo CTU, superflue e, come detto, esplorative.
– il secondo motivo di gravame di – la regolazione delle spese di lite Il Giudice di primo grado ha ritenuto prevalente la soccombenza dell’attuale appellante principale, con motivazione generica, rispetto ad un’iniziativa giudiziaria, va detto, anche risarcitoria del , rispetto alla quale l’assenza di prova del danno è stata affermata dal Giudice medesimo:
in tal senso, la stessa compensazione delle spese di ATP operata dal Tribunale, già rammentata, depone, in effetti, in senso opposto alla valutazione in discussione, avendo dato atto lo stesso primo Giudicante dell’utilità e necessità per entrambe le Parti di tale accertamento “ante causam”.
Ciò premesso, osservato che nel presente grado di giudizio, sia l’appellante principale, circa il primo motivo, sia l’appellante incidentale, in punto risarcimento e altre doglianze, sono risultati soccombenti, non può tacersi come il primo Giudice non abbia considerato quanto la pretesa risarcitoria del fosse rilevante, rispetto a deduzioni davvero inconsistenti a sostegno della stessa, in rapporto, peraltro, a costi di rimozione indicati dal CTU in € 9.100,00, oltre IVA, oggetto, costi che, peraltro, furono oggetto di richiesta da parte dell’allora attore, nonostante la di lui domanda, avanzata nei confronti della società convenuta, di rimessione in pristino, quale condanna di “facere”. Da ciò discende, che la pretesa “soccombenza prevalente “, non fosse ravvisabile, sussistendo una sostanziale paritaria reciproca soccombenza, che giustificava la compensazione integrale delle spese di lite, nel giudizio di fronte al Tribunale, sì da acclarare la fondatezza della doglianza in esame.
Detta conclusione è del tutto coerente anche con gli esiti del giudizio di appello, in ragione di quanto sopra esposto, sì che le spese di primo grado, comprese quelle di ATP ( come merita di essere esplicitato nel confermare sul punto la sentenza appellata), così come quelle di secondo grado devono essere integralmente compensate fra le Parti.
ultimo, attesa la totale infondatezza dell’appello incidentale, occorre dare atto del fatto che in capo a sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del DPR n. 115/2002.
definitivamente pronunciando nella causa d’appello contro la sentenza n. 295/2023 emessa dal Tribunale di Savona, pubblicata in data 2 maggio 2023, notificata in data 17 maggio 2023, la Corte così provvede:
RIGETTA il primo motivo di appello dell’appellante RIGETTA l’appello incidentale dell’appellato COMPENSA integralmente fra le Parti, in parziale riforma della sentenza appellata, le spese di lite di primo grado;
COMPENSA integralmente fra le Parti le spese di lite del grado di appello;
CONFERMA nel resto la sentenza appellata, anche rispetto alla compensazione delle spese di ATP, come da parte motiva;
DA’ ATTO, in ragione del rigetto totale dell’appello incidentale, che ricorrono i presupposti , in capo per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del DPR n. 115/2002.
Genova, lì 1.10.24 IL CONSIGLIERE EST.
IL PRESIDENTE Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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