REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE LAVORO – PRIMO GRADO 3^
IL GIUDICE, Dott., quale giudice del lavoro, all’udienza del 19 ottobre 2018 ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 7877/2018 pubblicata il 19/10/2018
nella causa iscritta al n. R.G e vertente
TRA
XXX, elettivamente domiciliato in Roma, rappresentato e difeso dall’Avv. per procura in atti;
E
INPS, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in
Roma, rappresentato e difeso dall’Avv. per procura in atti;
FATTO E DIRITTO
Il ricorrente ha chiesto di dichiarare l’inesistenza/irripetibilità del provvedimento di indebito oggettivo pari ad euro 3552,43 di cui alla nota dell’Inps del 27.11.2017 (doc. n. 2), riducendolo ad euro 2.735,38, ovvero alla diversa somma ritenuta di giustizia.
Il XXX non contesta la corresponsione a suo favore dell’indennità di mobilità non spettante a causa di rioccupazione a tempo parziale ma sostiene, richiamando soprattutto la giurisprudenza della Suprema Corte e del Consiglio di Stato, che l’Inps non può pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali) allorchè le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.
Per questa ragione la somma dovrebbe essere ridotta di € 817,05 con aliquota del 23% di talchè l’indebito ammonterebbe ad € 2.735,38.
Tale domanda appare fondata.
In effetti, i principi generali consentono al datore di lavoro la ripetizione delle sole somme effettivamente percepite con la conseguenza che la ripetizione dell’indebito deve essere effettuata al netto delle stesse somme (v, tra le altre, Cass. n. 18674/2014; Cass. n.1464/2012 e Cass. n. 239/2006).
“Osserva al riguardo la Corte che, quanto alle ritenute fiscali, il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d’imposta, sul quale il giudice chiamato all’accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d’interferire. Ne consegue che, in sede di accertamento contabile delle differenze retributive spettanti ad un lavoratore, dalle somme lorde spettanti allo stesso devono essere detratte le somme corrisposte dal datore nel loro concreto ed effettivo importo, a nulla rilevando che il datore non abbia operato le ritenute fiscali prescritte (cfr. Cass. 7.7.2008 n. 18584). Quanto al diritto al rimborso di somme indebitamente percepite dal lavoratore, la sentenza della Cassazione da ultimo richiamata non affronta specificamente la questione della modalità del rimborso dell’indebito. Al riguardo deve osservarsi che il diritto al rimborso dell’imposta che si assume indebita, riscossa in tutto o in parte mediante ritenuta alla fonte, spetta in prima istanza al sostituito, il quale, ai fini della ripetizione della stessa, deve fornire la prova di aver subito detta ritenuta, senza dovere, altresì, dimostrare che l’imposta è stata effettivamente incassata dall’erario, ma anche il datore di lavoro, come sostituto d’imposta, ha facoltà di richiedere il rimborso dell’indebito, ed in questo caso dal calcolo di quanto il prestatore di lavoro dovrà restituirgli per importi retribuitivi indebitamente percepiti dovrà essere esclusa la ritenuta d’imposta già versata all’amministrazione finanziaria (cfr. Cass. 11.12006 n. 239). Tale orientamento si fonda sulla considerazione che, nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, il primo versa al secondo la retribuzione al netto delle ritenute fiscali (nonché previdenziali e assistenziali). Ciò si verifica anche quando, come nella specie, siano erogate al lavoratore, per errore, somme maggiori di quelle dovute: anche in tal caso il datore opera, sulle somme erroneamente erogate in eccesso, le ritenute fiscali, a loro volta erronee per eccesso. La ripetizione dell’indebito nei confronti del lavoratore non può non avere ad oggetto, pertanto, che le somme da quest’ultimo “percepite”, ossia quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del predetto.Il datore di lavoro non può, invece, pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali), allorchè le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (in tali termini, cfr. anche Consiglio di Stato, sez. 6, 2.3.2009 n. 1164, con riguardo al rapporto tra amministrazione e dipendente).Quanto, poi, alle ritenute e versamenti fiscali erroneamente disposti dall’amministrazione quale sostituto di imposta, l’amministrazione può provvedere alla richiesta di rimborso direttamente nei confronti del fisco, allorchè ne sussistano le condizioni (in termini, Cons. Stato, Comm. Spec, 5 febbraio 2001)..”(così, Cass. n. 1464/2012).
Inoltre: “salvo il caso in cui il sostituito abbia provveduto direttamente a chiedere il rimborso dell’indebito fiscale, va escluso dal calcolo, di quanto il prestatore di lavoro deve restituire al datore di lavoro per importi retribuitivi indebitamente percepiti, la ritenuta d’imposta già versata all’amministrazione finanziaria,potendo il datore di lavoro, come sostituto d’imposta, chiedere il rimborso alla Amministrazione finanziaria dell’imposta non dovuta” e relativamente ad indebiti contributi previdenziali, “questa Corte ha, altresì, precisato che l’unico soggetto legittimato a chiederne il rimborso, anche per la quota a carico del lavoratore, è il datore di lavoro con la conseguenza che pure di tali contributi non si deve tenere conto nel calcolo di quanto il lavoratore deve restituire a titolo di retribuzione corrispostagli indebitamente (Cass. n. 239/2006).
Anche l’Orientamento della giurisprudenza amministrativa sul punto appare assolutamente consolidato (v., tra le più recenti, Tar Toscana sent. n. 858/2017).
Infatti, secondo i giudici amministrativi costituisce ormai diritto vivente, consolidato e agevolmente conoscibile nell’esperienza del Consiglio di Stato che l’Amministrazione, nel procedere al recupero delle somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve eseguire questo recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali. In altri termini, l’amministrazione non può, invece, pretendere di ripetere le somme al lordo delle predette ritenute, allorché, come di regola accade, le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (ex multis, Consiglio di Stato, sezione II, parere su richiesta straordinaria, n. 991, adunanza 5 aprile 2017; Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 novembre 2015 n. 5010; Consiglio di Stato, sezione III, 21 gennaio 2015 n. 198; Consiglio di Stato, sezione IV, 12 febbraio 2015 n. 750; Consiglio di Stato, sezione IV, 20 settembre 2012 n. 5043; Consiglio di Stato, sezione III, 4 luglio 2011 n. 3984 e n. 3982; id., sezione VI, 2 marzo 2009 n. 1164).
In sintesi, anche la giurisprudenza amministrativa, come quella della Suprema Corte, ha condivisibilmente e costantemente evidenziato (esprimendo principi che possono ritenersi di carattere generale, sia pure espressi in relazione a fattispecie afferenti a provvedimenti di ripetizione dell’amministrazione al lordo delle ritenute fiscali nei confronti di propri dipendenti) che “il recupero di somme indebitamente erogate può avvenire soltanto nei limiti di quanto effettivamente percepito pertanto, e illegittimo il provvedimento di ripetizione disposto dall’Amministrazione al lordo delle ritenute fiscali, salva la possibilità per la medesima di chiedere, quale sostituto di imposta, il rimborso al Fisco delle somme trattenute per errore e versate in eccesso rispetto a quelle effettivamente dovute dall’interessato. Le somme indebitamente erogate sono, dunque, soggette a recupero; ma ove l’amministrazione abbia già versato all’erario le somme trattenute per acconto d’imposta, la stessa non può di certo addossare al privato l’onere di un eventuale, correlativo, recupero dell’indebito tributario, per la cui attivazione e conseguimento è indispensabile la collaborazione attiva dell’amministrazione in quanto erogatrice del reddito soggetto a trattenuta. Sotto tale profilo il contestato provvedimento di recupero deve ritenersi, nella parte considerata, illegittimo in quanto in definitiva il recupero al lordo delle somme erogate, maggiorate ulteriormente degli interessi legali, finirebbe per porre a carico dei dipendenti interessati anche il rimborso delle somme già versate dall’ente all’erario; comportando ciò, tra l’altro, arricchimento senza causa a favore dell’amministrazione procedente…”(v., ancora, C.D.S. Sez.VI num. 2061 del 02/05/2005 ; Sez. VI, 8 ottobre 1998, n.1358; Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1164, Sez. III, 4 luglio 2011 n. 3984; v. anche parere Comm. Spec. 5 febbraio 2001, n.478/2000).
I medesimi principi sono stati del resto già in passato affermati anche in relazione a somme indebitamente erogate dal fondo integrativo pensionistico dell’Inpdap: Le somme indebitamente erogate ai dipendenti dell’I.NP.D.A.P. dal Fondo integrativo di pensione sono soggette a recupero ma l’Amministrazione, nell’emettere il relativo provvedimento ove abbia già versato all’erario le somme trattenute per acconto Irpef non può addossare al privato l’onere di un’eventuale (correlativo) recupero dell’indebito tributario, per la cui attivazione e per il cui conseguimento è indispensabile la collaborazione attiva dell’Amministrazione erogatrice del reddito soggetto a trattenuta; pertanto, il provvedimento di recupero è illegittimo se indica gli importi addebitati al lordo dell’Irpef versata all’erario (ed eventualmente non più recuperabile per decorrenza dei termini) (Sez. 6 Sent n. 01358 del 08/10/1998),
E sono stati ribaditi finanche dalla Corte dei Conti (sez. giur. Lombardia n. 1719 del 1996, tra le altre),
Per le esposte ragioni il ricorso merita accoglimento.
Le spese, liquidate ex D.M. n. 55/2014 tenendo conto dell’entità della somma in contestazione (poco più di 800 euro) seguono la soccombenza, con distrazione.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, così provvede: dichiara l’illegittimità parziale del provvedimento di indebito oggettivo pari ad euro 3552,43 di cui alla nota dell’Inps del 27.11.2017 e dichiara che la somma dovuta dal ricorrente va ridotta ad euro 2.735,38;
condanna l’Inps a rifondere alla parte ricorrente le spese di lite, liquidate in € 800,00 oltre spese generali, iva e cpa, da distrarsi.
Roma 19.10.2018
Il Giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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