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Risarcimento danni per omessa vigilanza bancaria

La sentenza chiarisce i principi in tema di onere della prova in materia di vigilanza bancaria e di nesso causale tra l’attività degli enti preposti e il danno patito dall’investitore. Viene inoltre ribadita la necessità di allegazioni specifiche e circostanziate a sostegno della domanda.

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Pubblicato il 28 marzo 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

R. G. 1590/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La corte di appello di Venezia Sezione prima civile e Impresa riunitasi in camera di consiglio, nelle persone di dott. NOME COGNOME presidente rel. – dott. NOME COGNOME consigliere – dott. NOME COGNOME consigliere – ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._394_2025_- N._R.G._00001590_2023 DEL_07_03_2025 PUBBLICATA_IL_07_03_2025

nella causa civile iscritta a ruolo in data 14/09/2023 promossa da C.F. con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME

– parte appellante – contro (C.F. con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME e NOME;

(C.F. con il patrocinio dell’avv. COGNOME e COGNOME NOME;

– parte appellata –

Avente a oggetto: Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario) – Appello avverso la sentenza del tribunale di Vicenza n. 1293/2023 pubblicata in data 05/07/2023.-

Causa riservata in decisione all’udienza del 6-2-2025 sulle seguenti conclusioni delle parti C.F. l’Ecc.ma Corte di Appello di Venezia, contrariis reiectis, accogliere per le motivazioni in fatto e diritto evidenziate nel presente appello, e per l’effetto:

– In via preliminare, in relazione all’eccepita apparenza della motivazione, rimettere gli atti di causa al giudice di primo grado in diversa composizione per la riedizione della corrispondente fase processuale;

– Riformare la sentenza gravata n. 1293/2023 rep. 2048/2023 resa dal Tribunale di Vicenza, nel giudizio avente

R.G. n. 6501/2021, G.I. dott.ssa COGNOME, pubblicata il 5.7.2023, e notificata in pari data e conseguentemente:

– Accertare e dichiarare la responsabilità aquiliana della e della ciascuna per le sue competenze, per mancata vigilanza-controllo e per tutto quanto sopra dedotto e, per l’effetto:

– Condannare i convenuti, ciascuno per la propria competenza, al risarcimento del danno emergente in favore della Sig.ra commisurato in misura pari al valore dell’investimento effettuato dai singoli azionisti detratto da quello corrispondente alla differenza tra il valore di acquisto delle azioni (€ 60,50.- per ) e quello inferiore – come stabilizzatosi dopo il crollo del titolo – di € 6,30.- fissato dal CDA per l’esercizio del diritto di recesso, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali, per un importo complessivo pari ad € 162.600,00.-. – Condannare i soggetti convenuti, anche solidalmente tra di loro, a titolo di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. e per violazione del principio del neminem ledere, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subiti e subendi, derivanti dalla perdita totale degli investimenti effettuati, nonché per l’accertata omissione di un tempestivo controllo sul mediatore, da quantificarsi in corso di causa rimettendosi per al giusto ed equo apprezzamento dell’On.le Corte Giudicante ai sensi dell’art. 1226 c.c. – Condannare i convenuti per il danno derivante dalla perdita subita dall’azionista per aver sottoscritto azioni rivelatesi successivamente infruttuose, per la cui quantificazione si chiede disporsi CTU contabile al fine di accertare l’incidenza e la correlazione tra l’intero importo investito e l’importo corrisposto per l’acquisto delle azioni rivelatesi infruttifere e la perdita degli interessi che sarebbero maturati se non sottoscritto procuratore antistatario. Con ogni più ampia riserva di ulteriormente dedurre e contro dedurre nei termini di legge.

Con ogni salvezza in generale.

precisa le conclusioni chiedendo che codesta Corte d’Appello voglia rigettare, anche ai sensi degli artt. 342 e 348-bis c.p.c., l’appello proposto nei confronti della perché inammissibile e comunque infondato in fatto e in diritto.

Con condanna dell’appellante al pagamento di spese e compensi.

Voglia codesta ecc.ma Corte, rigettata ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, a) dichiarare l’appello inammissibile per carenza di interesse;

b) in via gradata, rigettare l’appello perché infondato, in fatto e in diritto, e, per l’effetto, confermare il rigetto della domanda dell’appellante;

c) in ogni caso, respinta l’istanza di c.t.u. perché inammissibile, rigettare la domanda dell’appellante per la sua totale infondatezza, in fatto e in diritto;

d) condannare l’appellante alla rifusione di spese e competenze del grado di appello;

e) condannare l’appellante al pagamento della somma prevista dall’art. 96, terzo comma, c.p.c. in relazione al giudizio di appello.

Motivi della decisione In fatto.- , premesso di essere «socia e amministratore della società “ socio unico della società “RAGIONE_SOCIALE», ha convenuto avanti il tribunale di Vicenza la e la al fine di sentirle condannare al risarcimento del danno connesso con l’investimento effettuato dall’attrice con l’acquisto di azioni della e alla cui causazione, a suo dire, aveva contribuito l’omessa vigilanza su Ricordati alcuni finanziamenti che veva concesso alla tra il di € 181.500,00.

Soggiungeva l’attrice che allorquando il 13-2-2015 aveva richiesto al consiglio di amministrazione di i cedere le n. 2.576 azioni in suo possesso la banca non aveva evaso la richiesta e che “in data 18.08.2015, le azioni, per effetto della decisione del CDA, subivano una prima consistente svalutazione di circa il 20%, passando da un valore nominale unitario di €. 60,50 ad €. 48,00;

con l’operazione di trasformazione della in RAGIONE_SOCIALE il prezzo per l’esercizio del diritto di recesso veniva fissato dal CDA in €. 6,30 per ciascuna azione, sebbene questa quotazione non fosse mai stata tecnicamente supportata da perizia asseverata;

e le nuove azioni non venivano altresì collocate sul mercato regolamentato, atteso che erano considerate dagli operatori di Borsa come vera e propria “carta straccia” con un valore atteso non superiore a €. 0,10”.

L’attrice, assumendo «la totale illiceità della condotta tenuta dalla e l’intento fraudolento con cui la stessa ha erogato il finanziamento funzionalmente correlato alla contestuale operazione di sottoscrizione delle azioni» ha dedotto di essere stata «indotta a sottoscrivere contratti di investimento di titoli altamente rischiosi, in assoluta carenza e/o inadeguatezza dei presidi inderogabili di correttezza e buona fede ed in stato di assoggettamento al dispotico potere della , la quale avrebbe condizionato la concessione di finanziamenti a favore della alla sottoscrizione da parte dell’attrice stessa di azioni proprie. Ricordato che in riferimento ad analoga condotta di ma relativa ad aumenti di capitale operati nel 2013 e nel 2014, la banca era stata sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in ragione dell’accertata violazione della normativa di tutela del consumatore, l’attrice ha addebitato a (a) di avere concesso vari finanziamenti a in modo scorretto;

(b) di avere violato la normativa antitrust e del Codice del consumo;

(c) di avere fornito informazioni false che l’avrebbero indotta ad acquistare le azioni della banca.

Sulla base di queste premesse la ha addebitato alle autorità convenute di non avere rilevato nell’esercizio della vigilanza su «la scorrettezza della metodologia utilizzata per determinare il prezzo dei titoli, la falsificazione dei dati rappresentati nei bilanci e comunicati agli investitori, riflettenti il.

Si sono costituite in giudizio sia la che , contestando le domande nei loro confronti formulate e chiedendone il rigetto.

3.

Il tribunale adito, disposta l’esibizione da parte delle convenute dei verbali ispettivi redatti nei confronti della dal 2004 al 2017, con la sentenza qui appellata n. 1293/2023, ha definito la controversia, respingendo le domande attoree e condannando la Corrà alla rifusione delle spese processuali sostenute dagli enti convenuti.

4. Avverso tale sentenza ha proposto appello sulla base di quattro motivi, chiedendo l’accoglimento delle domande formulate in prime cure e non accolte dal tribunale.

5.

Si sono costituite in causa sia che opponendosi all’accoglimento dell’appello e chiedendone il rigetto.

6.

La causa, precisate dalle parti le rispettive conclusioni, come in epigrafe ritrascritte e depositati gli scritti difensivi conclusionali, è stata riservata per la decisione all’udienza del 6 febbraio 2025.

In diritto.- 1. Nella sentenza appellata il tribunale, ricordata la necessità per chi agisce anche nei confronti di “Autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione delle norme di legge e regolamentari relativi al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza, e dei canoni generali di prudenza diligenza perizia, quali espressione del principio generale del “neminem laedere”, alla luce dei principi costituzionali di tutela del risparmio (art. 47 Cost.)”, in considerazione della invocata responsabilità omissiva, della preventiva individuazione dell’obbligo specifico di tenere la condotta omessa, ha rilevato: a.) la genericità delle contestazioni mosse dall’attrice neppure “facilmente intellegibili”, “mancando ogni chiaro riferimento alle specifiche violazioni imputabili all’una e all’altra convenuta e ogni riferimento al contesto temporale in cui gli interventi ritenuti doverosi avrebbero dovuto collocarsi” (sentenza appellata, pag. 9), così come faceva difetto il “preciso comportamento che sarebbe stato omesso dalle convenute” (ivi, pag. 11) e l’indicazione di “quale specifico obbligo delle convenute” .

6 bis, della l. 28-12-2005 n. 262” (ivi, pag. 13);

b.) la dimostrazione da parte delle convenute di aver “fattivamente esercitato il proprio potere-dovere di vigilanza”, come risultante dalla documentazione acquisita in esito alla disposta esibizione; b.1) con specifico riguardo alla la documentazione acquisita restituiva che a seguito degli interventi di tale autorità i prospetti informativi relativi agli aumenti di capitale recavano avvertenze tali per cui “se l’attrice avesse letto i prospetti informativi del 2013 e 2014, così come conformati per effetto delle istruzioni della avrebbe potuto rendersi conto della rischiosità dell’investimento”, ma l’attrice si doleva di un acquisto risalente al 2009 e che – secondo la sua prospettazione – sarebbe stato concluso a seguito della coartazione della volontà dell’investitrice da parte della banca, con conseguente insussistenza di un nesso causale tra il danno e le asserite omissioni della nella vigilanza sulle informazioni al pubblico ; c.) la falsità dei dati dolosamente rappresentati dalla banca alle autorità con comportamenti decettivi posti in essere dai dirigenti di (tanto da essere stati condannati in sede penale per il reato di ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza:

sentenza appellata, pag. 10), con una condotta protrattasi anche durante e dopo l’ispezione della (sentenza appellata, pag. 11);

2.

Avverso tale sentenza ha proposto appello lamentando la mera apparenza della motivazione della sentenza del tribunale e articolando cinque doglianze.

2.1.

Con il primo motivo si deduce che la natura dell’attività amministrativa di vigilanza siccome diretta all’applicazione di sanzioni amministrative avrebbe natura vincolata, dal che conseguirebbe secondo l’appellante sul piano dell’onere probatorio che l’attore è tenuto esclusivamente alla “allegazione dell’elemento negativo del comportamento doveroso” (appello, pag. 9).

2.2.

Il secondo motivo, che viene formulato “ad colorandum”, è relativo al provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato nei confronti di per ricordare che “il provvedimento di condanna.3.

Nel terzo motivo vengono cumulate varie doglianze, sostanzialmente incentrate sulla lamentata omessa vigilanza da parte della in merito alla dedotta sopravvalutazione del prezzo delle azioni di Si rimarca, in particolare, il lasso di tempo intercorso fra il 2014 e il 2017, allorquando la banca venne posta in liquidazione coatta amministrativa.

2.4.

Il quarto motivo consiste nella riproposizione degli argomenti svolti a proposito della richiesta risarcitoria, deplorando il mancato espletamento della c.t.u. per la cui ammissione aveva instato la parte appellante.

2.5.

Da ultimo, “per mero tuziorismo difensivo e forse per eccesso di cautela”, l’appellante svolge argomentazioni dirette a confutare l’eccezione di prescrizione sollevata dalla e rimasta assorbita dalla scelta del tribunale di respingere la domanda per carenza di prova dell’omissione colposa e del nesso causale.

3.

Le autorità appellate hanno replicato a tutte le doglianze, opponendosi all’accoglimento dell’appello e chiedendo dichiararsene l’inammissibilità o comunque il rigetto.

4. L’appello, non immune da profili di inammissibilità, è comunque privo di fondamento e va respinto.

5.

Con specifico riguardo alla posizione della come si è sopra evidenziato, la motivazione fornita dal tribunale per giungere alla reiezione della relativa domanda della si poggia su due autonome e concorrenti rationes decidendi, ognuna delle quali in grado di sorreggere da sola la decisione:

i) l’insussistenza di un’omissione colposa di vigilanza;

ii) la mancanza di un nesso causale fra la dedotta omissione e il danno che la assumeva di aver patito (v. supra sub b.1.

).

In particolare, il tribunale, con riferimento alla vigilanza della sui prospetti relativi agli aumenti di capitale della banca, come sopra già ricordato, ha ritenuto che «la anch’essa vittima della attività decettiva della dirigenza di peraltro dimostrato che , per quanto nella sue possibilità, aveva esercitato vigilanza e sollevato rilievi, di modo che i prospetti informativi delle emissioni del 2013 e 2014 fossero idonei ad avvisare i clienti dei pericoli insiti nell’acquisto delle azioni, fattore di rischio connesso agli strumenti finanziari offerti, si segnala che i moltiplicatori “Price/Earnings” e “Price/Book Value” riferiti all’Emittente e impliciti nel valore delle azioni dell’Emittente e del Prezzo di Offerta, pari ad Euro 62,5 per le Azioni ed Euro 62,5 per le Obbligazioni, evidenziano un disallineamento rispetto ai multipli di mercato di un campione di banche con azioni quotate, in ragione del fatto che il valore delle azioni di viene determinato dall’assemblea dei soci annualmente e non in un mercato regolamentato “ E il primo prospetto del 2014 recava l’«AVVERTENZA» iniziale della nota informativa sugli strumenti finanziari (doc. 14, pp. 2-3), secondo cui «Si precisa che il prezzo delle Azioni in Offerta, pari ad Euro 62,50, risulta superiore rispetto al patrimonio netto contabile per azione alla data del 31.12.2013, corrispondente ad Euro 43,66.

Quale specifico fattore di rischio connesso agli strumenti finanziari offerti, si segnala che il moltiplicatore “Price/Book Value” riferito all’Emittente e implicito nel valore delle azioni dell’Emittente e del Prezzo di Offerta, pari ad Euro 62,50 per le Azioni, evidenzia un disallineamento rispetto ai multipli di mercato di un campione di banche con azioni quotate, in ragione del fatto che tali multipli derivano dai prezzi di Borsa, mentre il valore delle azioni di viene determinato annualmente, su proposta del Consiglio di Amministrazione che si avvale di un esperto indipendente, dall’assemblea dei soci sulla base di un processo valutativo e non è quindi conseguenza del prezzo che deriva dall’incontro di domanda ed offerta su un mercato regolamentato … Per valutare se le Azioni oggetto delle Offerte siano compatibili con i propri obiettivi di investimento, i destinatari delle Offerte sono invitati, tra l’altro, a tener conto che le Azioni presentano gli elementi di rischio propri di un investimento in strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato, per cui in sede di disinvestimento potrebbero sorgere difficoltà di smobilizzo. Per i sottoscrittori delle Azioni, infatti, potrebbe essere impossibile o difficile poter vendere le Azioni o poter ottenere, in caso di vendita, un valore uguale o superiore al valore dell’investimento originariamente effettuato».

Da tale ricostruzione il tribunale ha tratto che “se l’attrice avesse letto i prospetti informativi del 2013 e 2014, così come conformati per effetto delle istruzioni della emanato prospetti informativi) e che la volontà dell’investitrice era stata coartata dalla banca, la quale aveva posto tale acquisto quale condizione per la concessione del finanziamento, di tal che non è ipotizzabile alcun nesso causale tra il danno e asserite omissioni di nella vigilanza sulle informazioni al pubblico”.

Non si rinviene nell’appello, invero non sempre chiaro e lineare, una specifica doglianza diretta alla confutazione della ritenuta insussistenza del rapporto causale fra la denunciata omissione e il danno, non essendo a tal fine sufficiente fotocopiare il testo della sentenza all’interno dell’atto di appello per assolvere alle prescrizioni dell’art. 342 c.p.c. (come parrebbe pretendere l’appellante a pag. 20 della memoria di replica), in quanto si tratta, non solo di indicare le parti della sentenza che si intende impugnare, ma anche di articolare su di esse una ragionata critica che affronti e confuti l’argomentazione spesa sul punto dal tribunale, il che – come detto – non si rinviene nell’appello. Ne viene che – come del resto eccepito dalla difesa della – l’impugnazione proposta dalla finisce per essere inammissibile in parte qua, siccome diretta avverso una statuizione che, per non essere stata sottoposta ad appello per la motivazione indicata, risulta passata in giudicato.

6.

In ogni caso, la verifica nel merito delle doglianze veicolate con l’appello ne evidenzia l’intrinseca infondatezza.

6.1.

Così è da ritenersi con riguardo alla censura con la quale si sostiene l’apparenza della motivazione spesa dal tribunale, censura alla quale l’appellante crede di poter far conseguire la richiesta di “rimettere gli atti di causa al giudice di primo grado in diversa composizione per la riedizione della corrispondente fase processuale” (appello, pag. 31).

È noto che, in caso di nullità della sentenza per difetto di motivazione l’unica conseguenza è che una tale motivazione andrebbe riformulata dalla corte d’appello, non trattandosi di una delle tassative ipotesi per le quali soltanto l’art. 354 c.p.c. stabilisce la rimessione della causa avanti il tribunale (principio pacifico:

“Il vizio di nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione non rientra fra quelli, tassativamente indicati, che ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., comportano la rimessione della causa al primo giudice, dovendo il giudice del gravame, ove ritenga la sussistenza del vizio, porvi rimedio pronunciando. n. 28838 del 05/12/2008).

6.2.

Va peraltro escluso che la sentenza appellata sia dotata di una motivazione soltanto apparente, in quanto la circostanza che il tribunale abbia richiamato la sentenza penale, lungi dall’evidenziare una motivazione apparente, consente di apprezzare il ragionamento seguito dal primo giudice, basato sulla piena utilizzabilità della decisione resa in altra sede.

E’ noto che “in mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, il giudice civile può legittimamente porre a base del proprio convincimento le prove “atipiche” (tra cui anche le risultanze di atti delle indagini preliminari svolte in sede penale), se idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che sia configurabile la violazione del principio ex art. 101 c.p.c., dal momento che il contraddittorio sui mezzi istruttori si instaura con la loro formale produzione nel giudizio civile e la conseguente possibilità per le parti di farne oggetto di valutazione critica e di stimolare la valutazione giudiziale” (così, fra le tante, Cass. n. 2947 del 01/02/2023). 6.3.

Inoltre, va considerato che il tribunale non si è affatto basato in via esclusiva sulla motivazione della sentenza penale, ma è giunto alla decisione di rigetto delle domande proposte dalla in base ad una valutazione di genericità delle sue allegazioni e prendendo comunque in esame la documentazione prodotta dalle parti in esito alla disposta esibizione, dalla cui compulsazione ha tratto l’avvenuta dimostrazione da parte delle autorità convenute dell’assolvimento delle loro funzioni di vigilanza.

7.1.

Il primo motivo si incentra, innanzi tutto, nella tesi per cui, dovendosi qualificare l’attività di vigilanza in termini di attività “vincolata”, l’onere probatorio per chi intenda far valere la mancata attività si esaurirebbe “nell’allegazione dell’elemento negativo del comportamento doveroso che, nel caso specifico, è rappresentato dallo iato temporale tra l’emersione dei fattori di rischio estremo – 2008/2009 – al concreto intervento con la procedura prevista dalla legge che è del 2017!

” (appello, pag. 9).

In proposito va ricordato che, secondo la suprema Corte, l’attività esercitata dalla nell’esercizio della funzione di vigilanza non è vincolata, ma è connotata non viene in questa sede in rilievo).

In ogni caso, risulta dirimente osservare

che, come anche in appresso sarà evidenziato, il tribunale ha, innanzi tutto, constatato un difetto di puntuali e minimamente specifiche allegazioni, onde l’esonero dall’onere probatorio cui l’appellante mirerebbe di pervenire con la tesi veicolata dal motivo in esame risulta in ogni caso non decisivo, non potendosi colmare quelle carenze sul piano delle allegazioni.

In secondo luogo – e ulteriormente – il giudice di legittimità spiega che se «la norma dell’art. 2043 cod. civ. è applicabile anche nei confronti della in quanto si pone come limite esterno alla sua attività discrezionale», nondimeno «l’illecito civile segue le comuni regole del codice civile anche per quanto riguarda la c.d. imputabilità soggettiva, il nesso di causalità, l’evento di danno e la sua quantificazione» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6681 del 23/03/2011) e rimane, quindi, soggetto all’ordinario riparto degli oneri probatori, che pone a carico del danneggiato, secondo la previsione dell’articolo 2697, primo comma, c.c., la prova dei suoi elementi costitutivi (“È doveroso ricordare, infine, che, allorquando agisca ex art. 2043 cod. civ., spetta alla parte attrice, giusta la regola desumibile dall’art. 2697 cod. civ., dimostrare il fatto, l’evento dannoso ed il nesso di causalità tra il primo ed il secondo”: Cass. 26832/24, in motivazione, pag. 9).

Non può, dunque, darsi seguito alla prospettazione agitata sul punto dall’appellante non solo perché non vi è stata una previa puntuale allegazione delle condotte che si assumevano in violazione di precisi obblighi di attivazione, ma anche perché non può condividersi quella liberazione dagli oneri probatori vagheggiata dall’appellante.

Così come fuori bersaglio si rivela la dissertazione in merito all’illecito “omissivo di pura condotta” e alle conseguenze che l’appellante crede di poter trarre da tale qualificazione (appello, pag. 8), trattandosi di un illecito nel quale la prova del danno prodotto dall’omissione costituisce elemento costitutivo della fattispecie.

7.2.

Il motivo in disamina sostiene poi che il tribunale «pur riconoscendo alle convenute un ruolo di garanzia nei confronti dei risparmiatori, ne ha poi escluso la responsabilità in difetto di una norma giuridica che imponesse “obblighi di impugnata e ne travisa il significato, risultando quindi neppure pertinente.

Il tribunale, invero, non ha affatto ritenuto la mancanza di una norma giuridica che imponesse “obblighi di prevenzione”, arrestandosi a un tale rilievo.

Tutt’al contrario, la sentenza gravata ha preso le mosse dall’insegnamento di legittimità secondo cui la responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 c.c. “è applicabile anche nei confronti delle Autorità di vigilanza … ma trattandosi di asserita responsabilità per condotta omissiva, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico di tenere la condotta omessa” (sentenza appellata, pag. 9). Ha poi constatato che l’attrice non si era fatta carico di individuare l’obbligo di tenere la condotta omessa che assumeva violato e che non erano stati allegati “gravi indizi di irregolarità”, in linea con quanto accreditato dalla giurisprudenza della s. Corte nella soggetta materia (cfr. Cass. 9067/2018), mentre la neppure aveva allegato in fatto le “specifiche violazioni imputabili all’una e all’altra convenuta e ogni riferimento al contesto temporale in cui gli interventi ritenuti doverosi avrebbero dovuti collocarsi” (sentenza appellata, pag. 10), né “ha mai allegato il preciso comportamento che sarebbe stato omesso dalle convenute” (ivi, pag. 11), né “allegato … quale specifico obbligo delle convenute sia stato omesso” (ivi, pag. 15), limitandosi ad allegazioni “estremamente generiche tanto da non essere facilmente intellegibili”. A fronte dell’evidenziata carenza in tema di allegazione dell’omissione di vigilanza, il tribunale ha quindi riscontrato anche una mancata prova, in quanto “la generica asserzione di omessa vigilanza” risultava smentita alla luce della documentazione acquisita in causa – che restituiva le attività poste in essere dalle due autorità nei confronti della banca e l’accertata condotta decettiva dei funzionari della – in assenza da parte dell’attrice della dimostrazione che il comportamento delle convenute era sostenuto da dolo o colpa grave (sentenza appellata, pag. 13). 7.3.

In sede di appello la evidenzia lo “iato temporale” (appello, pag. 9) intercorso fra l’ispezione della del 2009 e la decisione di sottoporre alcuni stralci della relazione ispettiva della del 2009 riportati alle pagine da 9 a 14 dell’atto di appello – e che sarebbe, pertanto, ingiustificabile l’attesa di “quasi dieci anni prima di prendere i dovuti provvedimenti”.

Il punto è che i brani della relazione riportati dall’appellante non riguardano affatto le doglianze che la aveva adombrato in prime cure, ossia quelle relative ai criteri di determinazione del prezzo delle azioni e ai finanziamenti funzionali all’acquisto delle azioni della stessa banca, attenendo a profili del tutto diversi, all’assetto del gruppo, alle società controllate, alla ripartizione dei ruoli negli organi sociali, agli obiettivi di budget, al ricorso agli strumenti derivati.

Nel mentre diverse 8. Il paragrafo sub n. 2 dell’atto di appello è dedicato a “qualche breve riflessione in relazione agli esiti dell’accertamento antitrust” svolte “ad colorandum” e con la quale, in buona sostanza, si auspica un utilizzo di tale accertamento ai fini della dimostrazione dell’illecito addebitato agli enti appellati.

In disparte il profilo di inammissibilità del motivo per la natura perplessa e non di specifica e motivata critica ad una statuizione della sentenza appellata, in ogni caso, mette conto rimarcare che non si tratta, in questo contendere, di accertare una condotta della banca anticoncorrenziale, ma – secondo la prospettazione dell’appellante – di una condotta omissiva degli enti deputati alla vigilanza, di tal ché il richiamo a quella pronuncia, tanto più ai divisati fini di agevolazione probatoria, risulta del tutto fuori bersaglio. 9.

Il terzo motivo si incentra sui prospetti informativi rilasciati dalla banca in occasione degli aumenti di capitale e contiene una serie di disparate doglianze.

Va in proposito ricordato quanto sopra già osservato, ossia che l’appello non sottopone a specifica censura la ratio della sentenza incentrata sulla mancanza di un nesso di causa tra le lamentate omissioni e il danno che la assume di aver patito.

Il motivo in rassegna non contiene un’articolata argomentazione diretta a sottoporre a ragionata critica la motivazione fornita sul punto dal tribunale.

Dalla disparata raccolta di considerazioni in qualche modo racchiuse nel motivo in rassegna possono, in estrema sintesi, enuclearsi le seguenti doglianze:

“lasciata operare in libertà” per tre anni;

b) fino al 2013 non veniva fornito alcun prospetto dalla c) già dal 2008 le autorità avevano evidenziato che il prezzo delle azioni di era “assolutamente gonfiato”;

d) la mancanza di una perizia asseverata sul valore del prezzo di € 6,30 stabilito dal consiglio amministrazione per recesso conseguente alla trasformazione da società cooperativa a società per azioni;

e) la sentenza penale del tribunale di Vicenza era stata richiamata dalla sentenza qui appellata senza valutarla “in ogni sua parte”.

Il punto è che l’acquisto contestato risale al 2009, di tal ché non è neppure pertinente quanto dedotto sub a), b) e d), né l’appellante si fa carico di evidenziare la rilevanza specifica degli assunti relativi alle operazioni di aumento di capitale del 2013 e 2014.

In ogni caso, quanto alla deduzione sub d), va ricordato che l’art. 2437-ter c.c. non richiede l’effettuazione di alcuna perizia, ma unicamente il parere del collegio sindacale e del revisore contabile, pareri la cui acquisizione da parte della banca risulta in causa alla stregua del doc. n. 39 prodotto da La deduzione sub c) è del tutto sfornita di qualsivoglia elemento di riscontro e non è suffragata da risultanze acquisite in causa.

Sulla legittimità del richiamo della sentenza penale si è già detto sopra sub 6.2.-6.3.

, ma in questa sede va evidenziato che l’appellante neppure si fa carico di indicare con adeguata specificità quale sarebbe la “parte” della sentenza che il primo giudice non avrebbe idoneamente valutato e la rilevanza di una tale omissione ai fini che qui interessano.

Il motivo ritorna sulla prospettazione che, a fronte delle funzioni stabilite dal t.u.b. (art. 51-54, 65-69) ossia da una legge, si richiederebbe “un mero onere di allegazione da parte del deducente” (appello, pag. 24).

La tesi è già stata sopra presa in esame e confutata, non potendosi ravvisare alcun esonero dall’onere probatorio ed essendosi già sopra ricordate le carenze anche sul piano delle allegazioni che la prospettazione dell’attrice denotava e denota.

10. Il quarto motivo contiene una serie di rilievi in ordine alla quantificazione del ogni caso, non può non evidenziarsi la intrinseca contraddittorietà della prospettazione della , che in sede di atto di appello deduce:

“il collegamento funzionale tra il finanziamento (apparentemente) erogato in favore della società RAGIONE_SOCIALE e la sottoscrizione di azioni di nuova emissione da parte dei soci della finanziata a ciò indotti dalla rosea prospettiva di essere agevolati nella fase di ottenimento del finanziamento” (appello, pag. 27);

e, dall’altro, in primo grado allegava che era “stata indotta a sottoscrivere contratti di investimento di titoli altamente rischiosi, in assoluta carenza e/o inadeguatezza dei presidi inderogabili di correttezza e buona fede ed in stato di assoggettamento al dispotico potere della ” (pag. 11 dell’atto di citazione).

Tale mancata precisazione dei fatti rilevanti al fine di verificare le modalità di produzione del danno lamentato mina alla radice la domanda formulata.

Va inoltre pure sottolineato che, a tutto concedere, l’omissione astrattamente imputabile alle autorità convenute (qui appellate) non potrebbe che collocarsi temporalmente in epoca precedente e prossima al 2009, vale a dire allorquando la ha compiuti gli acquisti di azioni oggetto di contestazione.

E non vi è alcun riscontro probatorio in ordine alla conoscenza da parte della e/o di di situazioni tali da evidenziare il fenomeno del c.d. capitale finanziato, che risulta emerso soltanto a seguito dell’ispezione di del 2015 e, peraltro, si tratta di operazione oggetto delle condotte di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza realizzate da esponenti della banca (risultano sanzionati a tale titolo, fra gli altri, il direttore generale e il vice-direttore generale della banca:

doc. 37 La già evidenziata carenza da parte dell’appellante delle sue allegazioni e prospettazioni si ripete anche in ordine alle modalità di produzione del danno e in cosa esso si sostanzierebbe, non essendo chiarito cioè se viene lamentato un pregiudizio per aver acquistato sic et simpliciter le azioni ad un prezzo eccessivo (danno da investimento) ovvero per non essere stata messa in condizione di rendersi conto tempestivamente della perdita di valore dei titoli (danno da mancato Contr Quanto al danno per aver acquistato i titoli, avendo la investito la somma di € 181.500,00 nell’acquisto nel 2009 di n.3000 azioni al prezzo di € 60,50 ciascuna, indotta – secondo una delle prospettazioni agitate dalla stessa appellante – dalla rosea previsione presentatale dalla banca sulla loro reddittività futura ovvero per l’esigenza di ottenere altri finanziamenti dall’istituto di credito, è giocoforza ritenere che il prezzo delle azioni non abbia rivestito un ruolo effettivamente dirimente. Come correttamente notato dalla difesa di infatti, è del tutto ragionevole infatti presumere che la somma di € 181.500 sarebbe stata in ogni caso investita portando soltanto all’acquisto di un maggior numero di azioni.

Con il che neppure si apprezzerebbe un danno rilevante.

In merito al danno c.d. da disinvestimento, va richiamato quanto osservato dal tribunale circa il contenuto dei prospetti di del 2013 e 2014, ossia che tali prospetti recavano dati dalla cui semplice lettura si sarebbe agevolmente venire a conoscenza sia dell’incongruità del prezzo di offerta delle azioni sia dei rischi dell’investimento in azioni della banca.

Ne viene che la – che ha richiesto di cedere le azioni il 13-2-2015 – avrebbe avuto modo di poter disinvestire in epoca anteriore alla luce proprio di quelle informazioni contenute nei prospetti.

11.

In definitiva, l’appello è, sotto ogni profilo, del tutto privo di fondamento e va respinto, con conferma della sentenza impugnata.

12.

Le spese processuali seguono la soccombenza della parte appellante e vanno poste a suo integrale carico.

Alla liquidazione delle spese si provvede come da dispositivo, con applicazione dei valori medi (tranne che per la fase istruttoria-trattazione, da riconoscersi ai valori minimi, considerata la sua limitata rilevanza in appello) dei compensi previsti dal d.m. 55/2014 per le cause di valore indeterminabile (media complessità), dato atto del mancato deposito di note spese.

PNOMERAGIONE_SOCIALE

definitivamente decidendo sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 1293/2023 del tribunale di Vicenza, lo respinge e, per l’effetto, conferma liquida, per ciascuna parte appellata, in € 10.313,00 per compenso, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% del compenso e agli oneri fiscali e previdenziali se e come per legge;

dà atto della sussistenza a carico della parte appellante del presupposto procedimentale di cui all’art. 13, co.

1 quater, d.p.r. 115/2002.

Venezia, 20 febbraio 2025.

Il presidente est. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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