R.G. N. 526/2024
REPUBBLICA ITALIANA
CORTE D’APPELLO DI VENEZIA – sezione lavoro –
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai seguenti magistrati:
NOME COGNOME Presidente NOME COGNOME Consigliere NOME COGNOME Consigliere relatore ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._81_2025_- N._R.G._00000526_2024 DEL_04_03_2025 PUBBLICATA_IL_05_03_2025
nella causa promossa con ricorso in riassunzione , nata a Torre del Greco (NA) il 13.7.1956 e residente a Loreto (AN), in INDIRIZZO (C.F. , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME CF: , fax:
NUMERO_TELEFONO, pec:
dall’ avv. NOME COGNOME CF: , pec:
fax: NUMERO_TELEFONO, giusta delega in atti ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo sito in INDIRIZZO Ancona Parte riassumente – appellante nel giudizio riassunto contro , già (C.F. , in persona del pro tempore, l (C.F. , in persona del legale rappresentante pro tempore, e l C.F. C.F. ), presso cui sono domiciliati in Venezia, INDIRIZZO (PEC Parte riassunta – appellata nel giudizio riassunto
OGGETTO: riassunzione a seguito dell’ordinanza n. 20589/24 della Corte di Cassazione che ha cassato con rinvio la sentenza n. 169/18 della Corte d’appello di Venezia – sezione lavoro
IN PUNTO:
ritardata immissione in ruolo;
differenze retributive e contributive Conclusioni:
Per parte appellante:
“Voglia l’ecc.ma Corte d
’ Appello adita, in ragione di quanto esposto accogliere le conclusioni spiegate nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado che quivi si trascrivono modificate nei limiti di cui all’ ordinanza di rinvio della Cassazione Civile, sez.
Lavoro, n. 20589/2024, ed attenendosi al contenuto ed al principio di diritto ivi indicato:
‘NEL MERITO:
previo ogni accertamento del caso e di legge;
accertato e dichiarato che con sentenza n. 2/2004, divenuta definitiva in data 6/7/04 il Consiglio di Stato ha definitivamente accertato il diritto della Professoressa in Aricò alla nomina in ruolo con decorrenza primo settembre 1991, nella sede di Vicenza o di , per la classe di concorso A089 (stenografia);
accertata e dichiarata comunque per i motivi quali esposti in narrativa del ricorso la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale del , in persona del Ministro in carica pro tempore, e/o del Provveditorato agli Studi di in persona del in carica pro tempore, e/o dell’ , in persona del in carica pro tempore, al colpevole ritardo di ben quattordici anni (dall’1.9.1991 all’1.9.2005) con cui si è provveduto alla nomina in ruolo della Professoressa , condannare i convenuti e/o uno o più dei convenuti, in solido tra loro o in via esclusiva e/o alternativa, all’integrale risarcimento dei seguenti danni, nessuno escluso, subiti dalla ricorrente: (…) Euro 124.798,80, pari alle retribuzioni non percepite dalla ricorrente dal 1991 al 2005, già , da liquidarsi anche in via equitativa;
danno previdenziale pari alla differenza pensionistica cui la ricorrente avrebbe avuto diritto se fosse stata immessa in ruolo fin dal 1991 e se le fossero, quindi, stati versati i relativi contributi, così come quantificato in corso di causa ovvero quella diversa somma, maggiore e/o minore, che risulterà di giustizia, da liquidarsi anche in via equitativa, tenendo conto della somma che ella ha dovuto corrispondere all’ per il riscatto del periodo non coperto e pari ad euro 11.325,21;
(..) Voglia altresì l’Ecc.ma Corte di Appello adita condannare le controparti a corrispondere la differenza dovuta alla ricorrente a titolo di Trattamento di Fine Servizio tra quanto la stessa ha percepito dal 1.9.2005 al 31.8.2023, e pari ad euro 39.193,85 e quanto effettivamente dovuto dal 1.9.1991 al 31.8.2023.
Oltre a rivalutazione ed interessi dalla data del dovuto sino al saldo effettivo”.
Con ogni conseguente statuizione come per legge anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
” Per parte appellata:
“rigettare l’appello avversario per i motivi di cui in narrativa, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite.
” Svolgimento del processo 1. Con la sopra indicata sentenza la Corte d’Appello di Venezia aveva confermato la sentenza n. 578/2012 del Tribunale di Treviso che, a sua volta, aveva parzialmente accolto le domande svolte dalla prof.ssa , accertando il diritto della stessa al risarcimento del danno per la ritardata immissione in ruolo limitatamente al periodo dal 01.09.1991 al 01.09.1993 e condannando il a pagare le relative differenze retributive.
Con ordinanza n. 20589/2024 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della prof.ssa e ha cassato la sopra indicata sentenza della Corte d’Appello di Venezia, rinviando il giudizio alla medesima Corte, in diversa composizione.
La prof.ssa era docente non di ruolo in Provincia di Bolzano e nel 1991, stante la disponibilità di posti, presentava al Provveditorato di e a quello di Vicenza domanda di ’anno scolastico 1991/92, relativamente alla classe A089 (stenografica).
Veniva inclusa nelle graduatorie delle province di e di Vicenza e, a seguito della nomina in ruolo di una sola docente da parte del Provveditorato di Treviso, previa diffida proponeva ricorso avanti il TAR di Bolzano che lo rigettava.
Proponeva allora appello avanti il Consiglio di Stato che, dopo ripetute richieste di documentazione al Provveditorato e al , con sentenza n. 2/2004 accoglieva il ricorso accertando il diritto della prof.ssa alla nomina in ruolo con decorrenza dal 01.09.1991 nelle sedi di Vicenza o.
La lavoratrice sollecitava le Amministrazioni competenti a provvedere alla sua nomina in ruolo, alla ricostruzione della carriera ai fini giuridici ed economici nonché al riconoscimento delle pregresse spettanze economiche e previdenziali.
Nell’agosto 2005 il Provveditorato di Treviso procedeva all’immissione in ruolo con decorrenza giuridica dal 01.09.1991 ed economica dal 01.09.2005.
La lavoratrice ha instaurato la presente causa al fine di ottenere il risarcimento dei danni per la ritardata nomina in ruolo nonché le differenze retributive e contributive dal 1991 al 2005.
La sentenza del Tribunale di Treviso – confermata dalla Corte d’Appello – accoglieva parzialmente le domande della prof.ssa , così motivando:
“- Le conseguenze dannose risarcibili della mancata immissione in ruolo devono essere inquadrate temporalmente con riferimento alla decorrenza individuata dalla sentenza del Consiglio di Stato alla data del 1 settembre 1991 nelle sedi di Vicenza o di per la classe di concorso A TARGA_VEICOLO (stenografia) e fino al 1 settembre 1993 allorché la ricorrente, se avesse impiegato la diligenza che la situazione le suggeriva, avrebbe potuto essere immessa in ruolo per effetto dell’aggiornamento della graduatoria e del punteggio nel frattempo acquisito con le supplenze annuali che avrebbe potuto ottenere sfruttando la sua posizione per i titoli già acquisiti nella provincia di – Per un verso infatti deve senz’altro ritenersi configurabile la responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione che ha applicato in modo errato le disposizioni di legge negando alla ricorrente l’immissione in ruolo e così negando un diritto spettante per affetto della disciplina del rapporto di lavoro specifico. Per altro verso deve essere riconosciuto che la stessa ricorrente avrebbe senz’altro potuto mitigare le conseguenze di tale illegittimo comportamento della pubblica amministrazione qualora avesse sfruttato la propria posizione in graduatoria e ottenuto una supplenza annuale che le avrebbe consentito di guadagnare il punteggio utilmente spendibile in occasione del successivo aggiornamento della graduatoria ai fini dell’immissione in ruolo con decorrenza dal 1 settembre 1993.
Tale risultato sarebbe stato possibile perché l’insegnante collocatasi in graduatoria in posizione immediatamente successiva a quella della ricorrente ha potuto conseguire l’immissione in ruolo con decorrenza dal 1 settembre 1993 in quanto si è avvantaggiata della supplenza annuale nel frattempo ottenuta.
Al contrario la ricorrente preferito rimanere nei dintorni della propria residenza di Bressanone accontentandosi di supplenze assegnate dai singoli direttori di istituto per periodi complessivamente più brevi.
In tal modo non ha conseguito il massimo punteggio che avrebbe potuto ottenere trasferendosi a e anche la maggiore retribuzione.
Se avesse adottato questa scelta, peraltro perfettamente compatibile con la domanda di immissione, presentata appunto per le province di e di Vicenza, avrebbe mantenuto il vantaggio sulle altre concorrenti e conseguito il ruolo in occasione del successivo aggiornamento delle graduatorie.
– Il danno subito dalla ricorrente pertanto va inquadrato nell’ambito del mancato guadagno e quantificato con riferimento all’eventuale differenza esistente tra la retribuzione che avrebbe potuto percepire accedendo alla possibilità di ottenere una supplenza annuale e quella che le sarebbe spettata se fosse stata immessa in ruolo con decorrenza dal 1 settembre 1991 e ciò fino al 1 settembre 1993.
Tale conclusione appare coerente con quanto disposto dall’articolo 1227 secondo comma codice civile in virtù del quale il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
– Le considerazioni fin qui svolte sono assorbenti rispetto tutte le domande risarcitorie prospettate.
È necessario comunque precisare che il danno da mancato versamento dei contributi può essere rilevato solo in occasione dell’inizio del trattamento pensionistico e che il diritto ai versamenti contributivi non può configurarsi in capo al lavoratore bensì all’ previdenziale.
– Considerata la soccombenza prevalente dell’amministrazione la stessa va condannata a rifondere in favore della ricorrente le spese di lite che, dedotta la quota compensata per la soccombenza reciproca, si liquidano in complessivi euro 1500,00” (pagg. 2-4).
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della sig.ra , così motivando:
la Corte d’Appello, raggiunta dalla domanda di danni conseguenti alla mancata percezione delle retribuzioni cui la ricorrente avrebbe avuto diritto se assunta fin dal 1991, ha tuttavia ritenuto, in sostanza, che la ricorrente, pur residente in Provincia di Bolzano, avrebbe dovuto, onde limitare il danno poi accertato, presentare domanda di supplenze nelle stesse Province di e di Vicenza per le quali aveva partecipato al concorso a cattedre, in quanto in tal modo avrebbe accumulato punteggi che, dall’anno scolastico 1993- 1994, le avrebbero consentito di accedere ai ruoli, come dimostravano le vicende della candidata collocata immediatamente al di sotto di lei nelle graduatorie; pertanto, il risarcimento è stato limitato dal Tribunale, con pronuncia confermata sul punto in appello, al solo periodo dal 1.9.1991 al 1.9.1993;
va detto subito come non sia seriamente contestabile che, sulla base del giudizio ex post svolto dalla Corte territoriale, se la ricorrente avesse fatto domanda di supplenze a e Vicenza, alle avrebbe ottenuto il posto di ruolo fin dal settembre 1993, in quanto le vicende della candidata collocata immediatamente al di sotto di lei nella graduatoria del concorso sono, in mancanza di altri elementi di segno contrario (quali preferenze etc.), pianamente tali da far concludere in tal senso;
ma ciò non basta e gli errori commessi dalla Corte territoriale attengono al piano giuridico;
4. il principio in materia è del tutto consolidato, nel senso che l’art. 1227, comma 2, c.c., escludendo il risarcimento per il danno che il creditore avrebbe potuto evitare con l’uso della normale diligenza, impone a quest’ultimo una condotta attiva, espressione dell’obbligo generale di buona fede, diretta a limitare le conseguenze dell’altrui comportamento dannoso, intendendosi comprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza, a tal fine richiesta, soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (Cass. 5 agosto 2021, n. 22352; Cass. 8 febbraio 2019, n. 3797; Cass. 15 ottobre 2018, n. 25750; Cass. 5 ottobre 2018, n. 24522, ove anche il richiamo al limite dell'”apprezzabile sacrificio”; fino alla più risalente Cass. 20 novembre 1991, n. 12439);
il comportamento attivo nel caso di specie consisteva – secondo la Corte d’Appello – nella presentazione della domanda di supplenze nelle stesse Province in cui la ricorrente aveva partecipato al concorso a cattedre;
4.1 ciò posto, un primo rilevante errore di diritto commesso dalla Corte territoriale è quello di avere valutato il comportamento della danneggiata secondo un ragionamento ex post;
si è già detto che, con il senno di poi, se la ricorrente avesse presentato domanda di supplenza nelle Province di Vicenza, sarebbe stata immessa in ruolo fin dal settembre 1993 ed il danno sarebbe stato parzialmente evitato;
l’impostazione non può però essere condivisa, in quanto un tale giudizio va svolto secondo una prospettiva ex ante ed in tanto si potrebbe dire che quel comportamento attivo poteva essere preteso quale modalità di attuazione degli obblighi di correttezza gravanti sul danneggiato, in quanto si dimostrasse che, sulla base dei dati di fatto noti all’epoca, fosse concretamente pronosticabile quel risultato utile;
una valutazione secondo questa prospettiva, che imporrebbe la consapevolezza originaria in capo alla ricorrente di tutto l’assetto delle graduatorie quale conoscibile secondo l’ordinaria diligenza da un concorrente poi destinato a candidarsi per le supplenze, è mancata e – come rileva la ricorrente – non è certo a dirsi che tutto fosse scontato, se solo ella, per ottenere il riconoscimento del diritto all’assunzione in conseguenza del concorso, delle graduatorie e delle scelte di altri candidati poziori di accettare posti altrove, ha dovuto perseguire due gradi di giudizio amministrativo ove poi, si desume dalla narrativa, gli elementi utili sono stati infine acquisiti dopo plurime ordinanze istruttorie del Consiglio di Stato e più d’una risposta evasiva della parte pubblica; 4.2 oltre a ciò – ed in via logicamente pregiudiziale e dunque ancora più assorbente – errata è stata anche la valutazione della Corte territoriale sull’esigibilità del comportamento attivo utile ad evitare o limitare il danno;
la ricorrente, come è pacifico, risiedeva con la famiglia a Bressanone, in Provincia di Bolzano;
il comportamento attivo richiesto era quello, dopo l’esito all’epoca non favorevole del concorso a cattedre, di presentare domanda di supplenza presso le Province di e Vicenza;
tale scelta avrebbe comportato, a fronte di una collocazione comunque precaria, l’accesso alle supplenze in Province lontane da quella di residenza e comunque è indubbio che sarebbero sussistiti margini di incertezza vuoi rispetto alle supplenze ottenibili, vuoi rispetto alla possibilità di addivenire, attraverso esse, al posto di ruolo ed ai relativi tempi;
va allora detto che l’obbligo di adottare comportamenti di salvaguardia della controparte, secondo parametri di ordinaria diligenza – come si è detto – può riguardare solo attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici;
il giudizio rispetto a tali sacrifici esigibili va svolto in ragione del complessivo assetto di interessi che coinvolge il danneggiato;
nel caso di specie ciò significa che l’intervento attivo richiesto esorbita dai limiti di quanto esigibile, perché esso già è fonte di pregiudizio (sul piano familiare e personale), da affrontare sulla base di una situazione caratterizzata comunque da incertezze di diverso tenore sui futuri esiti favorevoli;
ciò va al di là di quanto possa pretendersi perché, a fronte della colpa e della responsabilità piena altrui nella causazione del danno, ipotizzare che il danneggiante, prima del ristoro, sia tenuto a subire ulteriori pregiudizi e per giunta in vista di esiti ex ante incerti, va al di là di quanto imposto dalla norma;
non si tratta qui di sostituirsi inammissibilmente al giudice del merito nella valutazione della diligenza tenuta o da tenersi, quanto di censurare la valorizzazione, per escludere il risarcimento, di tipologie di comportamenti che in realtà non integrano in sé la fattispecie, perché non esigibili;
rientra invece nell’ambito dei comportamenti attivi coerenti con la previsione della norma, quello di essersi medio tempore la costantemente impegnata in supplenze sul suo territorio di residenza e quanto in ragione di ciò introitato costituisce aliunde perceptum da detrarre dal risarcimento dovuto;
5. l’ultimo motivo si incentra sul tema del danno patrimoniale e denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.;
con esso si censura l’argomentazione della Corte territoriale in merito al fatto che i calcoli erano tali per cui – dice la Corte di merito – «non è dato sapere come si arrivi» al risultato di oltre 100 mila euro;
quella così esposta non è una piena ratio decidendi, ma solo un’osservazione ad abundantiam sul contenuto dei calcoli;
ciò è reso evidente dal fatto che il Tribunale, nonostante quei calcoli, ha espresso la condanna generica al netto dell’aliunde perceptum e in ogni caso l’allegazione del lavoro svolto, i cui redditi sono destinati ad essere detratti dal ristoro, è avvenuta in modo assai particolareggiato (v. gli oltre 20 capitoli di prova trascritti anche nel ricorso per cassazione), potendosi del resto ricostruire quanto sarebbe stato dovuto in caso di tempestiva immissione in ruolo sulla base della contrattazione collettiva di diritto pubblico ‘privatizzato’; il diritto risarcitorio era stato dunque dedotto in tutte le caratteristiche proprie dei casi come quello di specie (Cass. 4 agosto 2020 n. 16665) ed erano di tutta evidenza gli elementi acquisibili, eventualmente anche con integrazioni officiose su dettagli mancanti, altrimenti, i conteggi non avevano alcuna portata decisiva ed il danno va valutato ed era valutabile a prescindere da essi, sicché quel passaggio motivazionale, rispetto al pregiudizio patrimoniale, non è dirimente e, anche per quanto appena detto, il motivo che lo riguarda resta in parte qua assorbito; rispetto al danno pensionistico, al danno morale ed a quello per i corsi a Macerata, fatti oggetto di pur veloci valutazioni da parte del giudice del merito, il motivo non contiene invece specifiche critiche rispetto all’infondatezza (danno pensionistico), superfluità (spese corso Macerata) ed alla natura scarna e come tale inidonea delle allegazioni (e non delle prove, di cui è menzione nel motivo) a fondare qualsiasi pronuncia risarcitoria (danno morale), sicché su quei profili non vi è censura accoglibile ed è invece sceso il giudicato interno; 6. in definitiva, il ricorso va accolto, per quanto di ragione, delineandosi anche il seguente principio:
«le condotte attive cui il creditore del risarcimento è tenuto al fine di evitare o limitare, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., il danno, attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza ed in espressione dell’obbligo generale di buona fede, non si estendono a comportamenti che, per quei fini, risultino pregiudizievoli rispetto ad altre situazioni personali del danneggiato, per giunta a fronte di plurime incertezze, da valutare in base ad un giudizio prognostico ex ante, sulla capacità di quei comportamenti di ottenere l’effetto di salvaguardia richiesto dalla norma»; la sentenza va dunque cassata e va disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Venezia che riesaminerà il caso, sul piano del danno patrimoniale da perdita delle retribuzioni, sulla base dei principi sopra esposti” (pagg. 5-11).
2.
La prof.ssa ha proposto ricorso in riassunzione sulla base della suddetta ordinanza della Corte di Cassazione e del principio di diritto ivi indicato, riportandosi ai propri precedenti scritti difensivi.
L’appellante ribadisce la richiesta delle differenze retributive dal 1991 al 2005 e chiede CTU per determinarne la quantificazione nel caso di contestazione dei conteggi già notificati a controparte.
L’appellante precisa che ha dovuto versare l’importo di € 11.325,21 per regolarizzare la propria situazione contributiva, in quanto il Ministero non vi ha provveduto pur essendovi tenuto in forza delle sentenze in sede amministrativa, e che in data 13.9.2024 le è stato corrisposto il TFS calcolato solo dal 01.09.2005.
Pertanto, previa determinazione mediante CTU, chiede la liquidazione del danno pensionistico che nelle more del presente giudizio è divenuto attuale.
3.
Il , nonostante la regolarità della notifica, si è costituito in giudizio solo in data 10.2.2025 ed ha chiesto il rigetto dell’appello.
In particolare ha riproposto l’eccezione ex art. 1227 c.c. e ha sostenuto l’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno previdenziale, escluso dalla Suprema Corte che ha rinviato il giudizio alla Corte d’Appello di Venezia esclusivamente con riferimento al danno patrimoniale da perdita delle retribuzioni.
Analoghi rilievi il ha svolto con riferimento al TFR.
4. All’udienza del 13.2.2025
la causa è stata discussa e, all’esito della camera di consiglio, decisa come da dispositivo in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. Il ricorso in riassunzione va parzialmente accolto nei termini che seguono.
2005.
Ed invero, così la Suprema Corte di Cassazione:
“in definitiva, il ricorso va accolto, per quanto di ragione, delineandosi anche il seguente principio:
«le condotte attive cui il creditore del risarcimento è tenuto al fine di evitare o limitare, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., il danno, attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza ed in espressione dell’obbligo generale di buona fede, non si estendono a comportamenti che, per quei fini, risultino pregiudizievoli rispetto ad altre situazioni personali del danneggiato, per giunta a fronte di plurime incertezze, da valutare in base ad un giudizio prognostico ex ante, sulla capacità di quei comportamenti di ottenere l’effetto di salvaguardia richiesto dalla norma»; la sentenza va dunque cassata e va disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Venezia che riesaminerà il caso, sul piano del danno patrimoniale da perdita delle retribuzioni, sulla base dei principi sopra esposti;
, ha riproposto in questa sede il conteggio delle retribuzioni perdute nell’intero periodo per cui è causa, detratto l’aliunde perceptum, di euro 124.798,80 per differenze retributive.
, costituendosi, non ha contestato nemmeno nella presente fase di giudizio, il predetto conteggio.
Sicchè il conteggio delle retribuzioni perdute nel periodo per cui è causa, detratto l’aliunde perceptum, deve ritenersi non contestato.
Deve essere specificato che da tale conteggio dovranno essere detratte le eventuali somme già corrisposte dal in esecuzione della sentenza di primo grado e di quella impugnata.
La domanda relativa al danno previdenziale non può essere accolta in quanto il rigetto disposto dalla Corte d’Appello di Venezia è stato confermato dalla Suprema Corte per la genericità:
“rispetto al danno pensionistico, al danno morale ed a quello per i corsi a Macerata, fatti oggetto di pur veloci valutazioni da parte del giudice del merito, il motivo non contiene invece specifiche critiche rispetto all’infondatezza (danno pensionistico), superfluità (spese corso Macerata) ed alla natura scarna e come tale inidonea delle allegazioni (e non delle prove, di cui è menzione nel motivo) a fondare qualsiasi pronuncia risarcitoria (danno morale), sicché su quei profili non vi è censura accoglibile ed è invece sceso il giudicato interno” (pag. 10 dell’ordinanza della Corte di Cassazione)” considerazioni devono essere svolte con riferimento alla domanda relativa all’importo che la ha dovuto versare per il riscatto del periodo non coperto da contribuzione e con riferimento alla domanda relativa alle differenze di TFR: l’art. 394, ultimo comma, c.p.c. prevede che:
“Nel giudizio di rinvio può deferirsi il giuramento decisorio, ma le parti non possono prendere conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata, salvo che la necessità delle nuove conclusioni sorga dalla sentenza di cassazione”.
Nel caso di specie, il versamento per il periodo non coperto da contribuzione e le differenze relative al TFR non derivano direttamente dalla pronuncia della Suprema Corte, che come detto, ha ad oggetto solo le differenze retributive dell’intero periodo dal 1991 al 2005, essendo il pensionamento della D’Avino intervenuto successivamente.
Sicchè, in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma della sentenza di primo grado, deve essere accertato e dichiarato il diritto di al risarcimento del danno patrimoniale per il colpevole ritardo di quattordici anni (dall’1.9.1991 all’1.9.2005) con cui si è provveduto alla sua nomina in ruolo e per l’effetto parte appellata deve essere condannata al conseguente risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite nel predetto periodo pari ad Euro 124.798,80 (già detratto l’ aliunde perceptum), previa detrazione di quanto già eventualmente corrisposto nel corso del giudizio, oltre rivalutazione o interessi legali secondo il maggiore dei due tassi, come per legge. 7. Quanto alle spese di lite, in una valutazione unitaria dell’esito del giudizio, tenuto conto della prevalente soccombenza della parte appellata/riassunta ma tenuto, altresì, conto dei profili di soccombenza anche di , il Collegio ritiene equo compensare per 1/3 le spese di lite e di condannare parte appellata/riassunta alla corresponsione in favore di parte appellante/riassumente della residua quota di 2/3 delle spese di lite di tutti i gradi di giudizio, nella misura liquidata in tale quota in dispositivo, facendo applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/14 e ss. mod. in un importo pari ai medi dello scaglione di riferimento per valore della causa, oltre al 15% per rimborso spese forfetario, IVA e CPA come per legge.
PQM
Corte, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, rigettata e/o assorbita ogni diversa istanza, eccezione e domanda, così provvede:
1) in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma della sentenza di primo grado, accerta e dichiara il diritto di al risarcimento del danno patrimoniale per il colpevole ritardo di quattordici anni (dall’1.9.1991 all’1.9.2005) con cui si è provveduto alla sua nomina in ruolo e per l’effetto condanna parte appellata al conseguente risarcimento del danno pari alle retribuzioni non percepite nel predetto periodo pari ad Euro 124.798,80 (già detratto l’ aliunde perceptum) previa detrazione di quanto già eventualmente corrisposto nel corso del giudizio, oltre rivalutazione o interessi legali secondo il maggiore dei due tassi, come per legge; 2) compensa per 1/3 le spese di lite di tutti i gradi di giudizio tra le parti e condanna parte appellata alla refusione in favore di parte appellante della residua quota di 2/3 che liquida in tale quota in euro 6.032,00 per il primo grado di giudizio, in euro 5.646,00 per il grado d’appello, euro 4.390,00 per il giudizio di Cassazione ed euro 5.646,00 per la presente fase oltre, per tutte le fasi, rimborso forfettario, Iva e Cpa come per legge.
Venezia, il giorno 13.2.2025 Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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