N. 358/2021 R.G.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA SEZIONE PRIMA CIVILE
riunita in camera di consiglio e composta dai seguenti magistrati:
Dott. NOME COGNOME Presidente Dott. NOME COGNOME Consigliere Dott. NOME COGNOME Consigliere relatore ha emesso la seguente
S E N T E N Z A N._674_2025_- N._R.G._00000358_2021 DEL_31_01_2025 PUBBLICATA_IL_31_01_2025
nella causa civile di secondo grado iscritta al n. 358 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2021, trattenuta in decisione con ordinanza ex art. 127 – ter c.p.c. del 28.10.2024 e vertente T R A 5. DELLA COGNOME NOME 6. DELLA SALA NOME 9. DI 10. DI COGNOME NOME 11. DI 12. DI 13. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. ), in qualità di eredi della dott.ssa NOME ) in qualità eredi del Dott. NOME 16. 17. 18. NOME 19. 20. 21. 22. 23. 24. FIORE 25. NOME 26. 27. 28. COGNOME 29. 30. NOME COGNOME. COGNOME 33. 34.
, in persona del p.t., rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato APPELLATA
CONCLUSIONI
Per gli appellanti:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte, contrariis reiectis, in parziale riforma della sentenza impugnata previo interpello della CGUE affinché chiarisca:
“la corretta interpretazione ed applicazione del diritto comunitario sulla corretta determinazione dell’importo risarcitorio per la mancata adeguata remunerazione, e sulla natura del credito vantato, oltre che sulla disparità di trattamento”:
in via principale, in conformità con quanto indicato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con sentenze del 25 febbraio 1999 (procedimento C-131/97) e del 3 ottobre 2000 (procedimento C-371/97) ed al netto degli importi eventualmente percepiti in virtù della sentenza di primo grado:
a) accertare e dichiarare il diritto degli appellanti di ricevere un’adeguata rimunerazione per l’attività svolta durante il periodo di formazione specialistica e, per lo effetto, condannare la al pagamento della somma di Lire 21.500.000 (pari ad Euro 11.103,82), per ogni anno del corrispondente corso di specializzazione e per ciascun corso frequentato, o di quella maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, oltre al maggior danno ex art. 1224 cod. civ., alla rivalutazione ed agli interessi maturati e maturandi;
b) accertare e dichiarare che gli odierni appellanti vantano il diritto di vedere riconosciuto il loro titolo e di ottenere il punteggio a loro spettante in base alle direttive comunitarie richiamate in premessa e condannare la al risarcimento del danno per il mancato paritario riconoscimento del titolo suddetto, nella misura da determinarsi ex art. 1226 c.c. oltre il maggior danno ex art. 1224 c.c., rivalutazione gli interessi maturati maturandi.
In via alternativa, condannare la al risarcimento dei danni subiti dagli odierni appellanti per l’omesso recepimento nei loro confronti delle somme previste a titolo di borsa di studio, oltreché nella mancata attribuzione dei punteggi superiori nel conseguimento del titolo; danni che per l’omessa corresponsione della borsa di studio si determinano nella somma di lire 21.500.000 (pari ad Euro 11.103,82), per ogni anno di corso di specializzazione, o di quella maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia; per quanto riguarda l’omessa attribuzione dei punteggi, nella misura da determinarsi ex art. 1226 c.c., oltre il maggior danno ex art. 1224 c.c., rivalutazione gli interessi maturati maturandi.
Sempre in INDIRIZZO
accertare e dichiarare che, nella parte motiva e nel dispositivo della sentenza oggi impugnata, il giudice di prime cure non si è pronunciato in relazione alle posizioni dei Dott.ri e per lo effetto accogliere le rispettive domande come sopra precisate.
In ogni caso, accertare e dichiarare che, per mero ed evidente errore materiale, in epigrafe della sentenza impugnata sono stati indicati il ed il mai convenuti in giudizio, e che nel dispositivo il cognome dell’attrice così come indicato nell’atto di citazione, è stato erroneamente riportato in “ e, per l’effetto, procedere alla correzione dei richiamati errori.
In via istruttoria, ammettere le deduzioni istruttorie già richieste in primo grado.
Con vittoria delle spese del doppio grado nei confronti delle parti appellate.
” Per la “Si conclude per il rigetto dell’appello in quanto infondato con conferma integrale della sentenza di primo grado;
con vittoria di spese, competenze ed onorari del grado anche per responsabilità aggravata ex art. 96 cpc, ed in solido tra le parti ex art. 97 cpc stante la comunanza di interessi, stante la palese contrarietà dell’atto di appello, alla data della sua notifica del 18.1.2021, alla più che consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità formatasi in materia.
Si chiede, altresì, il risarcimento del danno da lite temeraria, in solido ed in favore delle Amministrazioni appellate, della somma da determinarsi in via equitativa e che, in via prudenziale, si quantifica in € 1.000,00 per ciascuno dei medici appellanti.
” MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO
La Corte, visti gli atti e sentito il relatore, osserva quanto segue.
Gli odierni appellanti hanno adito il Tribunale di Roma riferendo di essere tutti laureati in medicina e chirurgia e di avere conseguito, successivamente al 31.12.1982, diplomi di specializzazione medica.
I predetti hanno richiesto di accertare e dichiarare il loro diritto all’indennizzo, nella misura ritenuta di giustizia, per la mancata e/o comunque ritardata attuazione della normativa comunitaria in tema di “adeguata remunerazione” dei medici specializzandi, nonché per il mancato conseguimento di tutti gli altri effetti di natura economica e giuridica da detta normativa derivanti;
con conseguente condanna della al relativo pagamento, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 8692/2020, riteneva che il risarcimento dovesse essere corrisposto a tutti i medici specializzandi sulla base dell’art. 11 L. n. 370/1999 a partire dal 1° gennaio 1983.
Liquidava, pertanto, in favore di ciascun attore la somma di euro 6.713,94 per ogni singolo anno accademico, dal novembre 1983, nonché per gli attori iscrittisi prima dell’1.1.1983, in proporzione alla durata (in mesi) del corso successiva a tale data, la somma pari a 559 euro mensili (112 di € 6.713,94) per ogni mese.
Escludeva il risarcimento per alcuni medici che avevano frequentato corsi di specializzazione che non rientravano nell’elenco dei corsi di formazione comuni a tutti gli Stati membri riportati nella direttiva CEE/75/362.
Gli odierni appellanti hanno impugnato la sentenza nei confronti della articolando tre motivi di gravame.
Con il primo motivo alcuni degli appellanti hanno lamentato l’illegittima esclusione dall’indennizzo a causa della asserita non inclusione del corso di specializzazione frequentato nelle direttive europee.
Con il secondo motivo (medicina del lavoro), (ginecologia e ostetricia), (ematologia generale) e (Igiene e ospedalieri) hanno lamentato il terzo motivo gli appellanti hanno ritenuto non esaustivo il risarcimento parametrato sulla base dell’art. 11 L. n. 370/1999, senza nemmeno la rivalutazione del compenso e l’applicazione degli interessi compensativi.
L’appello è in parte fondato e deve essere accolto nei limiti e nei termini di seguito indicati.
Preliminarmente, si rileva che il tribunale ha omesso di pronunciarsi sulle domande proposte da Con riferimento al motivo di appello relativo alle specializzazioni non rientranti tra quelle indicate nelle direttive comunitarie si osserva quanto segue.
Occorre rilevare che, per quanto attiene alla natura del diritto che può essere azionato in sede giurisdizionale, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 9147/09 affermando che, stante la natura non autoesecutiva delle direttive europee n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, la omessa o tardiva trasposizione delle stesse comporta il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, il quale non nasce da un fatto illecito ex art. 2043 c.c. ma va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato di natura indennitaria, trattandosi comunque di condotta antigiuridica sia sul piano del diritto dell’Unione europea che sul piano dell’ordinamento interno (come chiarito da Cass. 10813/2011 e ribadito da Cass. 12725/2012 e da Cass. 30502/2019). La Suprema Corte (v. Cass. nn. 10813, 10814, 17350, 17682 dell’anno 2011, n. 16104/13) ha evidenziato che il D. Lgs. n. 257/91 ha recepito la direttiva n. 82/76/CE limitatamente ai corsi di specializzazione iniziati nell’anno accademico 1991/92, rimanendo inalterata quindi l’inadempienza dello Stato italiano con riferimento a quei soggetti che avevano maturato i necessari requisiti per usufruire dei benefici comunitari a partire dal 1° gennaio 1983 fino al termine dell’anno accademico 1990/1991.
Con la legge n. 370/99, entrata in vigore in data 27.10.99, è stato riconosciuto il diritto alle borse di studio solamente in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo, così escludendo ma necessariamente tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione che non erano però state parti nel processo innanzi al TAR.
La Corte di Cassazione ha tuttavia ritenuto ingiustificata la disparità di trattamento operata dalla predetta norma rispetto ai principi dettati dalla direttiva 82/76 e comunque self executing la disposizione di quest’ultima relativa al diritto di una equa remunerazione durante la frequenza del corso di specializzazione.
Non ha invece ritenuto applicabile retroattivamente il D.Lgs n. 257/91, che ha regolato in maniera innovativa e più vincolante le modalità di frequentazione dei corsi oggetto di remunerazione, al fine di non avvantaggiare indebitamente chi aveva già intrapreso la specializzazione.
Pertanto, è stata ritenuta legittima la disapplicazione della limitazione soggettiva della norma poiché contraria ai principi espressi dalla direttiva comunitaria.
Quanto alla circostanza della immatricolazione in anno accademico antecedente alla scadenza del termine per l’adeguamento alla normativa comunitaria le Sezioni unite della Corte di Cassazione con ordinanza interlocutoria n. 23901/2020 hanno sollevato una questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE al fine di conoscere se l’art. 189 comma 3 del Trattato sull’Unione Europea e gli artt. 13 e 16 della Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982, che modifica la direttiva 75/362/CEE e la direttiva 75/363/CEE, ostino ad un’interpretazione secondo cui il diritto alla remunerazione adeguata previsto dall’art. 13 della Direttiva 82/76/CEE a favore dei sanitari che svolgano l’attività di formazione, sia a tempo pieno che a tempo ridotto, e sempre che sussistano tutti gli altri requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza europea, spetti anche ai medici che si siano iscritti ad una scuola di specializzazione in anni precedenti al 1982 e che siano in corso al 1° gennaio 1983 e – conseguentemente – se il diritto al risarcimento del danno per il ritardo nel recepimento della Direttiva suindicata da parte dello Stato italiano competa anche a detti sanitari, sia pure limitatamente al periodo successivo al 1° gennaio 1983. La Corte di Giustizia UE con sentenza del 3 marzo 2022, causa C- 590/20, Presidenza del Consiglio dei Ministri c. UK e altri, ha stabilito al riguardo che “l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, nonché l’allegato della direttiva 75/363/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, concernente il attività di medico, come modificata dalla direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982, devono essere interpretati nel senso che qualsiasi formazione a tempo pieno o a tempo ridotto come medico specialista, iniziata prima dell’entrata in vigore, il 29 gennaio 1982, della direttiva 82/76 e proseguita dopo la scadenza, il 1° gennaio 1983, del termine di trasposizione di tale direttiva, deve, per il periodo di tale formazione a partire dal 1° gennaio 1983 e fino alla fine della formazione stessa, essere oggetto di una remunerazione adeguata, ai sensi dell’allegato sopra citato, a condizione che la formazione in parola riguardi una specializzazione medica comune a tutti gli Stati membri ovvero a due o più di essi e menzionata negli articoli 5 o 7 della direttiva 75/362/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi”. Le Sezioni Unite, conseguentemente, con sentenza n. 20278/2022, hanno affermato il seguente principio di diritto:
«Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, spetta anche in favore di soggetti iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici anteriori al 1982-1983, ma solo a partire dal 1 gennaio 1983 e fino alla conclusione della formazione stessa, sempre che si tratti di una specializzazione medica comune a tutti gli Stati membri, oppure a due o più, come menzionate agli artt. 5 e 7 della dir. 75/362/CEE».
Da tali statuizioni si evince quindi che il diritto all’adeguata remunerazione compete (a partire dal 1° gennaio 1983) a tutti i soggetti iscritti a corsi di specializzazione anche in data anteriore al 1982.
La Corte di Cassazione ha avuto in più occasioni modo di precisare che non spetta il diritto al risarcimento in favore dei medici specializzandi per inadempimento della direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, a coloro che abbiano frequentato corsi di specializzazione non comuni ad almeno due Stati dell’UE in base agli elenchi di dette direttive e li abbiano conclusi prima dei decreti ministeriali di conformità delle specializzazioni conseguite a quelle elencate, non potendosi ravvisare un illecito comunitario nel mancato ampliamento del Stati membri e non già un obbligo imposto dalla normativa comunitaria” (v. Cass. n. 20303/2019). Dall’esame del testo della direttiva n. 75/362/CEE nonché della direttiva riassuntiva delle precedenti n. 93/16/CEE, con i relativi allegati e le tabelle di corrispondenza dei nomi dei corsi, si evince che non sono inclusi i corsi di specializzazione frequentati dagli appellanti Neurofisiopatologia, Oncologia, Scienza dell’alimentazione, Medicina dello Sport, Chirurgia d’urgenza e pronto soccorso, Audiologia, Igiene e organizzazione servizi ospedalieri.
Pertanto devono essere respinte le domande proposte da COGNOME NOME (Scienza dell’alimentazione);
(Medicina dello Sport);
(Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccorso);
(Criminologia clinica);
COGNOME NOME (Tecnologie Biomediche);
(Igiene e organizzazione servizi ospedalieri);
i quali peraltro non hanno fornito prova concreta di equipollenza (per esami e qualificazione perseguita) tra le suddette specializzazioni ed una specializzazione menzionata nelle Direttive europee.
Né può attribuirsi rilievo, in funzione del giudizio di equipollenza, alla normativa interna di rango regolamentare invocata dagli appellati.
A prescindere da ogni valutazione di merito circa la rilevanza dei decreti menzionati, infatti, tale normativa è sopravvenuta allo svolgimento del corso di specializzazione da parte degli appellanti e non può sostenersi che l’equipollenza sussista in virtù di norme che non esistevano all’epoca in cui il corso è stato frequentato (v. Cass. n. 25414/2022; n. 20303/2019).
Il principio è stato recentemente confermato dalle le Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui “Non possono pretendere dallo Stato italiano il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362 e 75/363 e successive integrazioni, coloro i quali abbiano iniziato prima del 1991 una specializzazione non contemplata dalle suddette Direttive e di cui non sia dimostrata l’equipollenza di fatto alle specializzazioni ivi previste, a nulla rilevando che la specializzazione conseguita sia stata, in seguito, inclusa tra quelle qualificate “conformi alle norme delle Comunità economiche europee” dal d.m. 31 deve ritenersi del corso di specializzazione in Ginecologia e ostetricia frequentato da in quanto previsto dall’art. 5 della Direttiva 75/362 e dei seguenti corsi previsti dall’art. 7, comma 2, della medesima direttiva come comuni ad almeno due Stati membri, sebbene in alcuni casi con denominazione diversa, ma durata conforme: • Medicina del Lavoro (Occupational Medicine) frequentato da • Odontostomatologia frequentato da • Ematologia generale frequentato da frequentato da • Gastroenterologia endoscopia digestiva (Gastroentorologia) frequentato da Per i motivi sopra esposti, mentre per gli anni accademici a partire dal 1983/1984 spetta l’importo annuo di € 6.713,94 previsto dalla legge n. 370/1999, per l’anno 1982/1983 spetta un importo ridotto, tenuto conto della porzione dell’anno accademico antecedente al 10.1.1983, quindi € 5.594,95 (risultante dal seguente calcolo 6.713,94 € x 10/12 = 5.594,95 €) oltre interessi legali dalla messa in mora coincidente con la notificazione dell’atto di citazione. Pertanto, devono essere riconosciuti i seguenti importi:
– a € 5.594,95 (che ha frequentato negli a.a. 1980 – 1984, ma cui va riconosciuto solo l’importo per l’a.a. 1982/83 attesa la durata legale del corso indicata in 3 anni nella dichiarazione sostitutiva in atti) – a € 26.855,76 (4 anni 1988 – 1992) – agli eredi di € 20.141,82 (3 anni 1985 – 1988) – a € 20.141,82 (3 anni 1986 – 1989) – a € 12.308,89 (5 anni 1979 – 1984) – a € 25.736,77 (4 anni 1982 – 1986) La determinazione in misura fissa dell’indennizzo riconosciuto comporta la necessità di considerare l’obbligazione risarcitoria un’obbligazione di valuta (v. Cass. n. 1917/2012).
L’importo liquidato non può quindi essere soggetto a rivalutazione, ma ai sensi dell’art. 1219 c.c. sono dovuti gli interessi legali dal giorno della motivo di appello relativo alla quantificazione dell’indennizzo è infondato e, per quanto si osserverà infra, non si ritiene necessario rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Si condivide l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui tale parametro è sufficiente a coprire tutta l’area dei pregiudizi causalmente collegabili al tardivo adempimento del legislatore italiano all’obbligo di trasposizione della normativa comunitaria, salva la rigorosa prova, da parte del danneggiato, di circostanze diverse da quelle normali, tempestivamente e analiticamente dedotte in giudizio prima della maturazione delle preclusioni assertive o di merito e di quelle istruttorie (Cass. Sez. Un. n. 30649/2018, n. 14376/2015, n. 1058/2019, n. 25363/2022). Anche la doglianza relativa al mancato riconoscimento della rivalutazione e degli interessi compensativi sull’importo stabilito dalla legge n. 370/1999 è infondata.
Si richiama anche sotto questo profilo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza secondo cui l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, con il quale si è proceduto a un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle citate direttive, ha palesato una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11.
A seguito di tale esatta determinazione monetaria, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale – secondo le regole generali di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c. – gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall’eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale (Cass. n. 23635/2014, n. 1917/2012, n. 1157/2013, n. 1641/2020, Sez. Un. n. 30649/2018). Né elementi contrari emergono dalle conclusioni dei funzionari della Commissione europea nel procedimento per rinvio pregiudiziale avente a oggetto la diversa questione dell’estensione della remunerazione adeguata a coloro i quali abbiano iniziato la specializzazione prima del 29 gennaio 1982 (procedimento conclusosi con la sentenza 3 marzo 2022, causa C-590/202).
Si legge in tali osservazioni che l’inciso finale “non si dà luogo al pagamento di interessi legali e di importi per rivalutazione monetaria” dell’art. 11, comma 1, l. n. 370 del 1999 sarebbe incompatibile con le norme comunitarie.
Anche sotto questo profilo la Corte di Cassazione ha evidenziato innanzitutto l’eccentricità del rilievo, che viene peraltro da un’autorità non giurisdizionale, rispetto all’oggetto del procedimento per rinvio pregiudiziale, tant’è che della questione la sentenza della Corte di giustizia non si occupa.
Inoltre, la Corte ha ribadito che alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita l’aestimatio legislativa, coerentemente alla prescrizione comunitaria che lasciava agli ordinamenti nazionali l’ammontare del risarcimento.
Dalla aestimatio legislativa è derivata un’obbligazione costituente debito di valuta la quale, contrariamente a quanto si osserva nelle conclusioni dei funzionari della Commissione, contempla la risarcibilità del maggior danno, nonché la decorrenza degli interessi legali, alle condizioni previste dall’art. 1224 cod. civ. (v. Cass. n. 25363/2022).
Difettano i presupposti (la totale soccombenza della controparte) per l’accoglimento della domanda avanzata dall’Amministrazione appellata ai sensi dell’art. 96 comma primo c.p.c..
Il parziale accoglimento delle domande proposte dagli appellanti vincitori (soccombenti sul motivo relativo alla quantificazione dell’indennizzo) giustifica la compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio tra le parti.
Tra gli appellanti totalmente soccombenti e la parte appellata
le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, ai sensi del DM n. 55/2014, tenuto conto del valore complessivo della controversia e dell’assenza di attività istruttoria.
Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte degli appellanti soccombenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
La Corte, definitivamente pronunciando, così provvede:
1. In parziale accoglimento dell’atto di appello e in parziale riforma della sentenza appellata, condanna la (quali eredi di di € 20.141,82;
in favore di di € 5.594,95;
in favore di di € 20.141,82;
in favore di di € 12.308,89;
in favore di € 25.736,77;
2. Rigetta l’appello con riferimento alle rimanenti domande;
3. Compensa le spese di lite del doppio grado di giudizio tra gli appellanti indicati al punto 1 e la parte appellata;
4. Condanna i rimanenti appellanti al pagamento delle spese di lite in favore dell’ appellata che si liquidano in € 36.000,00, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.
Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte degli appellanti soccombenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte d’Appello di Roma, il 31.01.2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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