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Risarcimento per abuso contratti a termine

La reiterazione di contratti a termine per docenti di religione, pur in presenza di una quota di organico a copertura flessibile, configura abuso del contratto a termine se superiore a 36 mesi, con diritto al risarcimento del danno.

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Pubblicato il 30 gennaio 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Fascicolo n. 1428/2023

REPUBBLICA ITALIANA

NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PESCARA –

NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._14_2025_- N._R.G._00001428_2023 DEL_09_01_2025 PUBBLICATA_IL_09_01_2025

con motivazione contestuale nel procedimento deciso all’udienza del 9.1.2025 PROMOSSO DA avv. COGNOME NOME, Salita di S.Nicola da Tolentino INDIRIZZOb – Roma CONTRO (contumace)

OGGETTO: ricorso ex art. 414 c.p.c.

Conclusioni:

come da note ex art.127-ter c.p.c. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (artt.132 comma 2 n.4, 429 c.p.c. e 118 disp.att.c.p.c.

Con ricorso ex art.414 c.p.c. depositato in data 1.11.2023, la parte ricorrente conveniva in giudizio il esponendo di aver prestato servizio (quale docente di religione cattolica), per oltre 36 mesi in modo continuativo, in forza di n.10 contratti a tempo determinato tutti per il periodo dal 1° settembre al 31 agosto, costantemente reiterati nel corso degli anni senza interruzione di continuità.

Deduceva l’illegittimità dei suddetti contratti a termine per l’insussistenza delle ragioni di carattere sostitutivo che avrebbero dovuto sorreggerli a norma di legge e, in ogni caso, per il superamento del termine di durata complessiva del rapporto così instaurato, di 36 mesi comprensivi delle proroghe e dei rinnovi, di cui all’art.5 comma 4-bis D.Lgs.368/2001 (ora di 24 mesi a norma dell’art.19 comma 2 D.Lgs.81/2015).

Tanto premesso, la parte ricorrente domandava la condanna del convenuto al risarcimento del danno per violazione della Direttiva 1999/70/CE.

L’Amministrazione scolastica non si costituiva rimanendo contumace.

Istruita documentalmente, la controversia, all’esito della discussione mediante trattazione scritta con scambio e deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, viene decisa con Sentenza con motivazione contestuale.

*** Il ricorso è fondato per le seguenti considerazioni.

La disciplina del reclutamento con contratto a termine nel settore scolastico, contenuta nel D.Lgs.297/1994, costituisce un corpus normativo speciale e, pertanto, non è stata abrogata dalla normativa generale sopravvenuta (D.Lgs.368/2001), essendone stata disposta, anzi, esplicitamente la salvezza (art.70 comma 8 D.Lgs.165/2001, che dispone che “8. Le disposizioni del presente decreto si applicano al personale della scuola.

Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35.

Sono fatte salve le procedure di reclutamento del personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni ed integrazioni”).

Tale orientamento, già espresso dalla S.C. (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 10127 del 20/06/2012) è stato confermato dal medesimo Giudice di legittimità quindi osservato che la L.124/1999 per l’accesso ai ruoli del personale scolastico aveva mantenuto il sistema del “doppio canale” (in base al quale l’accesso ai ruoli doveva avvenire per il 50% mediante concorso e per il restante 50% attingendo alle graduatorie per soli titoli, che ha trasformato in graduatorie permanenti prevedendone l’aggiornamento periodico secondo la normativa di dettaglio rimessa a Decreti Ministeriali) ed ha modificato, all’art.4, il regime delle supplenze nel modo seguente: “1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e semprechè ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo. 2.

Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche.

Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario.

3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee.

4. (…)”.

Il sistema delle supplenze è dunque articolato su tre livelli:

– il primo concerne i posti “vacanti e disponibili” (c.d. organico di diritto), ossia privi di titolare che vanno coperti per l’intero anno scolastico (fino al 31 agosto) con l’assegnazione delle supplenze in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione;

– il secondo attiene alle supplenze temporanee su c.d. organico di fatto (comma 2) con scadenza al termine delle attività didattiche (fino al 30 giugno) ed è volto a colmare posti “non vacanti” ma di fatto disponibili prevalentemente connessi con l’incremento imprevisto della popolazione scolastica;

– il terzo riguarda le altre supplenze temporanee (comma 3) conferite anche per periodi inferiori all’anno per fare fronte ad altre necessità come l’assenza di personale.

Successivamente è intervenuta la L.296/2006 che all’art.1 comma 605 ha trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento.

Infine, dopo vari interventi legislativi recanti modifiche ed integrazioni della disciplina delle graduatorie, la L.107/2015, oltre a prevedere un piano straordinario di assunzioni, ha sancito la definitiva perdita di efficacia delle graduatorie ad esaurimento, ha ribadito la cadenza triennale dei concorsi per la copertura del fabbisogno espresso dalle istituzioni scolastiche, ha previsto l’efficacia triennale delle graduatorie concorsuali, ha inserito il limite triennale alla reiterazione delle supplenze per la copertura di posti vacanti e disponibili. stato oggetto di interventi giurisprudenziali nazionali ed europei che possono così sintetizzarsi:

– l’Ordinanza n.207/2013 con la quale la Corte Costituzionale, che, sul presupposto dell’inapplicabilità delle disposizioni di cui al D.Lgs.368/2001 al settore scolastico, era stata investita della questione di legittimità costituzionale dell’art.4 commi 1 e 11 L.124/99 in relazione all’art.117 Cost. e alla clausola 5, punto 1, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE, ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in via pregiudiziale ai sensi dell’art.267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione, la questione della interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo allegato alla Direttiva n.1999/70/CE; – la conseguente Sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 26.11.2014 nelle cause riunite C22/13 C61/13 C62/13 C 63/13 C418/14 ed altri secondo cui la normativa eurounitaria (clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato) “(…) deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”; – la Sentenza n.187 del 2016 con la quale la Corte Costituzionale, a seguito della Sentenza della CGUE interpretativa del diritto dell’Unione, ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.4, commi 1 e 11, L.124/1999 nella parte in cui autorizzava, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima di rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, senza ragioni che lo giustificassero, e che, nell’ambito degli spazi di autonomia riconosciuti al diritto nazionale, ha verificato la questione sottopostale alla luce dello jus superveniens (L.107/2015) facendone derivare che tale intervento, nei casi in cui viene in rilevo, costituisce adeguata misura risarcitoria idonea ad eliminare le conseguenze dell’abuso, mentre per il personale ATA, per il quale non è prevista alcuna stabilizzazione, deve trovare applicazione la misura ordinaria del risarcimento del danno. .22552/2016, che “(…) nell’espletamento del suo ruolo di giudice della nomofilachia (…) ai fini della decisione delle numerose controversie chiamate alla decisione, di canoni interpretativi ed applicativi delle norme interne non travolte dalla pronunzia di incostituzionalità, canoni idonei ad assicurare il continuum di compatibilità tra diritto nazionale (ordinario e costituzionale) e diritto eurounitario” ha enucleato i seguenti principi di diritto:

“Nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione di contratti a termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su cd. organico di fatto e per le supplenze temporanee, non è in sé configurabile alcun abuso ai sensi dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CE, fermo restando il diritto del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta tipologia di supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le sintomatiche condizioni concrete della medesima. ” (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 22552 del 07/11/2016-Rv. 641609 – 01);

“In tema di reclutamento del personale a termine nel settore scolastico, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 11, della l. n. 124 del 1999 (Corte cost. sentenza n. 187 del 2016), e in applicazione della direttiva n. 1999/70/CE, è illegittima, a far tempo dal 10 luglio 2001, la reiterazione dei contratti a termine, stipulati ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 11, della detta legge prima dell’entrata in vigore della l. n. 107 del 2015, rispettivamente con il personale docente e con quello ATA, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi, parametro idoneo in quanto riferibile al termine triennale previsto per l’indizione delle procedure concorsuali per i docenti dall’art. 400 del d.lgs. n. 297 del 1994 e successive modificazioni. ” (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 22552 del 07/11/2016-Rv. 641606 – 01);

“Nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima dei contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 11, della l. n. 124 del 1999, devono essere qualificate misure proporzionate, effettive, sufficientemente energiche idonee sanzionare debitamente l’abuso ed a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’UE, la stabilizzazione prevista nella l. n. 107 del 2015 per il personale docente, attraverso il piano straordinario destinato alla copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell’organico di diritto, sia nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo sia in quello in cui vi sia certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo l’art. 1, comma 109, della l. n. 107 del 2015, nonché l’immissione in ruolo acquisita da docenti e personale ATA attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi-concorsuali, che non preclude la domanda per il risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dalla stessa, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore che, in tal caso, non beneficia di alcuna agevolazione probatoria da danno presunto. ” (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 22552 del 07/11/2016-Rv.

NUMERO_DOCUMENTO – 01);

“Nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima di contratti a termine stipulati su cd. organico di diritto, ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 11, della l. n. 124 del 1999, avveratasi a far data dal 10 luglio 2001, ai docenti ed al personale ATA che non sia stato stabilizzato e che non abbia alcuna certezza di stabilizzazione, va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella sentenza delle S.U. n. 5072 del 2016” (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 22552 del 07/11/2016-Rv. 641608 – 01;

conforme, Cassazione, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 9861 del 20/04/2018, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).

*** stabilizzazione, è stata destinatara, come emerge dall’elenco dei contratti in atti, di incarichi a tempo determinato per l’intero anno scolastico (fino al 31 agosto), ricoprendo posti “vacanti e disponibili” privi di titolare (c.d. organico di diritto), per un periodo complessivo superiore a 36 mesi, compete pertanto il diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella Sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 5072 del 2016, che di seguito si richiamano:

“In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” (Cassazione, Sez. U, Sentenza n. 5072 del 15/03/2016-Rv. NUMERO_DOCUMENTO-01; conformi, con riferimento alla specifica fattispecie di illegittima o abusiva successione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, Cassazione, Sez. L – , Sentenza n. 446 del 13/01/2021, Rv. 660248 – 01; Cassazione, Sez. L – , Ordinanza n. 992 del 16/01/2019, Rv. 652230 – 01, che ha precisato che il maggior pregiudizio sofferto “non può farsi comunque derivare dalla “perdita del posto”, in assenza di un’assunzione tramite concorso ex art. 97 Cost”);

è stato altresì affermato, in via generale, che “In materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile di cui all’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di “chance” di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.” (Cassazione, Sez. U, Sentenza n. 5072 del 15/03/2016-Rv. NUMERO_DOCUMENTO01);

“Nel lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di abuso del contratto a tempo determinato da parte di una P.A., il dipendente, che abbia subito l’illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione in rapporto a tempo indeterminato di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione, con esonero dall’onere probatorio, nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010 e, quindi, nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri di cui all’art.8 della l. n. 604 del 1966. ” (Cassazione, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 16095 del 02/08/2016- Rv. 640721 – 01; conformi, Cassazione, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 8885 del 06/04/2017-Rv. NUMERO_DOCUMENTO – 01; Cassazione, Sez. L – , Ordinanza n. 8927 del 06/04/2017-Rv. P_IVA – 01; Cassazione, Sez. L – , Ordinanza n. 2175 del 01/02/2021, Rv. 660332 – 01 che ha precisato che “(…) poiché il danno presunto, qualificabile come “danno comunitario”, non ha ad oggetto la nullità del termine dei singoli contratti bensì la loro abusiva reiterazione, in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE, sentenza 7 maggio 2018, in C-494/16, tale indennità va liquidata una sola volta e non in riferimento ad ogni contratto di cui venga accertata l’illegittimità” (Cassazione, Sez. L – , Ordinanza n. 2175 del 01/02/2021, Rv. 660332 – 01); *** alla luce del diritto interno e dell’UE, nonché dalla giurisprudenza comunitaria e costituzionale.

Infatti il rapporto di lavoro degli insegnanti di religione – sorretto sia nella fase genetica che in quella funzionale dal gradimento dell’Autorità ecclesiastica – è oggi regolato dalla L.186/2003 (recante Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado), che ha istituito due distinti ruoli regionali, disciplinandone l’accesso mediante concorso per titoli ed esami, limitando al 70% del fabbisogno totale le cattedre da coprire con contratti a tempo indeterminato. La stessa legge, poi, ha istituito una sorta di riserva (del residuo 30% dei posti) da assegnare “mediante contratto di incarico annuale”, al fine di adeguare la consistenza del corpo insegnanti alle fluttuazioni di frequenza delle scuole, a loro volta legate, come è noto, all’indice di natalità in generale ed alla scelta familiare di avvalersi o meno dell’insegnamento di religione.

Tuttavia, la prima circostanza (indice di natalità generale) è comune agli altri insegnamenti e, pertanto, non può ritenersi una specificità significativa al fine di escludere l’abuso.

La seconda circostanza (scelta familiare) è, invece, una apprezzabile peculiarità, poiché il numero degli insegnanti di religione si conforma al numero delle scelte e certamente dipende anche dagli attuali flussi migratori destinati a rendere incerto il numero dei docenti di religione cattolica da impiegare anno per anno.

Parimenti irrilevante ai fini della giustificazione del ricorso alla contrattazione a termine è poi una terza specificità (gradimento dell’Autorità ecclesiastica), in quanto essa è comune ad entrambi i tipi contrattuali (a termine ed a tempo indeterminato) che legano gli insegnanti di religione cattolica all’amministrazione scolastica.

Se può dunque affermarsi che la previsione normativa di rango primario, che regola la riserva del 30% di posti non di ruolo, abbia come sua giustificazione l’esigenza di reclutare a tempo determinato una quota del fabbisogno al fine di consentire una certa flessibilità determinata da ragioni oggettive (potendo ipotizzarsi che tanto derivi dalla valutazione che circa il 70% degli alunni manifesti l’opzione per avvalersi dell’insegnamento di religione), non può d’altro canto ritenersi che la stessa esigenza legittimi l’abuso di tale forma di contrattazione, atteso che sulla base della evoluzione giurisprudenziale già richiamata, non è illimitata la possibilità di utilizzare il contratto a tempo determinato. Del resto L.186/2023 all’art.3 (Accesso ruoli),

prevede l’obbligo dell’Amministrazione di indire con frequenza triennale i pubblici concorsi di cui trattasi (dai quali attingere, durante il periodo di validità delle graduatorie concorsuali, per la copertura della citata percentuale del 70% dei posti), disponendo al comma 2 che “2. I concorsi per titoli ed esami sono indetti su testo unico, e successive modificazioni.

Qualora, in ragione dell’esiguo numero dei candidati, si ponga l’esigenza di contenere gli oneri relativi al funzionamento delle commissioni giudicatrici, il dispone l’aggregazione territoriale dei concorsi, indicando l’ufficio scolasti le che deve curare l’espletamento dei concorsi così accorpati”.

*** Da ultimo la Corte di Cassazione ha confermato i conformi orientamenti formatisi nella giurisprudenza di merito:

“Nel regime speciale di assunzione a tempo determinato dei docenti di religione cattolica nella scuola pubblica, di cui alla l. n. 186 del 2003, costituisce abuso nell’utilizzazione della contrattazione a termine sia il protrarsi di rapporti annuali a rinnovo automatico, o comunque senza soluzione di continuità per un periodo superiore a tre annualità scolastiche, in mancanza di indizione del concorso triennale, sia l’utilizzazione discontinua del docente, in talune annualità, per ragioni di eccedenza rispetto al fabbisogno, a condizione, in quest’ultimo caso, che si determini una durata complessiva di rapporti a termine superiore alle tre annualità, sorgendo, in tutte le menzionate ipotesi di abuso, il diritto dei docenti al risarcimento del danno c.d. eurounitario, con applicazione, anche in ragione della gravità del pregiudizio, dei parametri di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010 (poi, art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015) oltre al ristoro, se provato, del maggior danno sofferto, non essendo invece riconoscibile la trasformazione di diritto in rapporti a tempo indeterminato” (Cassazione, Sez. L – , Sentenza n. 18698 del 09/06/2022, Rv. 664918 – 02); “Stante l’impossibilità di conversione a tempo indeterminato dei contratti annuali dei docenti non di ruolo di religione cattolica in corso, per i quali la contrattazione collettiva stabilisce la conferma al permanere delle condizioni e dei requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge, i medesimi rapporti proseguono, nonostante il reiterarsi di essi nel tempo e ciò in ragione dell’indirizzo della pronuncia della Corte di Giustizia in materia, secondo cui l’interpretazione del diritto interno in coerenza con i principi eurounitari non può tradursi in ragione di pregiudizio per i lavoratori, salvo il diritto al risarcimento del danno per la mancata indizione dei concorsi triennali quali previsti dalla legge per l’accesso ai ruoli” (Cassazione, Sez. L – , Sentenza n. 18698 del 09/06/2022, Rv. 664918 – 01); *** Con riferimento alla conseguenze sanzionatorie, deve richiamarsi l’art.32 (Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato) della L.183/2010, che dispone al comma 5 che “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”. Attualmente l’art.28 (Decadenza e tutele) D.Lgs.81/2015 (recante Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), dispone al comma 2 (modificato dal D.L.131/2024, conv.. in L.166/2024) che “2. Nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilita’ dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966.

Resta ferma la possibilità per il giudice di stabilire l’indennità in misura superiore se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno.

La predetta indennita’ ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.

Ai fini della liquidazione dell’indennità risarcitoria, deve quindi altresì richiamarsi il disposto dell’art.8 della L.604/1966 che impone di avere riguardo “(…) al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti”.

*** Avuto dunque riguardo ai criteri indicati nell’art.8 della L.604/1966 e considerata, in particolare, per un verso la molteplicità dei contratti reiteratamente intervenuti nel corso di numerosi anni, ma per altro verso altresì la peculiarità della normativa statale riguardante gli insegnati di religione cattolica, che favorisce, rispetto a qualsiasi altra categoria di docenti, l’utilizzazione di contratti a tempo determinato ma anche il rinnovo del contratto in favore del medesimo soggetto (che risulta in tal modo avvantaggiato rispetto ad altri aspiranti a quel medesimo posto a tempo determinato), pare equo condannare l’Amministrazione convenuta al pagamento, in favore della parte ricorrente, di un’indennità onnicomprensiva pari a n.4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Occorre infatti considerare che la parte ricorrente, pur nella illegittimità della reiterazione dei contratti a tempo determinato, ha fruito, comunque, di contratti succedutisi senza alcuna soluzione di continuità per periodi sempre annuali, avvantaggiandosi dunque per un numero considerevole di anni (nella permanenza del gradimento dell’Autorità ecclesiastica) di un rapporto di lavoro nella sostanza mai interrottosi, pur non avendo superato alcun concorso pubblico (che secondo i principi costituzionali solo potrebbe garantire, ai sensi dell’art.97 Cost., una tale continuità del rapporto alle dipendenze della Pubblica Amministrazione). *** Conseguono le determinazioni di cui al dispositivo.

Le spese seguono la soccombenza, non essendo possibile alcuna compensazione considerato che l’Amministrazione scolastica ha disatteso i principi già da tempo consolidati nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Il TRIBUNALE DI PESCARA – RAGIONE_SOCIALE – così provvede:

– condanna l’Amministrazione scolastica corrispondere , un’indennità onnicomprensiva pari a n.4 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto;

– condanna il a rifondere a le spese del giudizio che liquida in complessivi €2.200,00, oltre rimborso spese forfetario, IVA e CAP come per legge;

il tutto da distrarsi in favore del procuratore antistatario avv.COGNOME NOMECOGNOME

Così deciso in Pescara in data 9.1.2025.

IL GIUDICE DEL LAVORO (Dott. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

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