R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA SEZIONE QUARTA CIVILE riunita in camera di consiglio in persona dei magistrati:
– dott.ssa NOME COGNOME Presidente – dott.ssa NOME COGNOME Consigliere – dott.ssa NOME COGNOME Consigliere rel. ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._658_2025_- N._R.G._00003638_2021 DEL_30_01_2025 PUBBLICATA_IL_30_01_2025
(artt. 352, comma 6 e 281-sexies c.p.c.) nella causa civile di appello iscritta al n. 3638 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2021 decisa all’udienza del 30.1.2025 e vertente TRA ), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso studio dell’avv. NOME COGNOME, che la rappresenta e difende, unitamente all’avv. NOME COGNOME, in virtù di procura in calce all’atto di appello – PARTE APPELLANTE – C.F. C.F. ) e elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende in virtù di procure a margine dell’atto di citazione e di intervento in p rimo grado – PARTI APPELLATE – OGGETTO: appello avverso sentenza del Tribunale di Roma n. 17664/2020 pubblicata il 10.12.2020 (azioni di nullità e risoluzione di contratto di permuta;
azione di ingiustificato arricchimento).
CONCLUSIONI
Come da verbale di udienza.
FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA §
1.
– Con atto di citazione notificato nel marzo 2017 convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma.r.l.
(in seguito, per brevità, l.), esponendo che il 29.7.2010 avevano sottoscritto un contratto di permuta di bene presente con bene futuro a rogito del notaio (rep. n. 38918, racc. n. 12535), con il quale avevano ceduto all’anzidetta società il loro diritto di comproprietà di un terreno sito in Marcellina (RM), distinto al N.C.T. al foglio 4, particella, a fronte del trasferimento di alcune porzioni C.F. C.F. C.F. C.F. C.F. progettuale) che l. si era impegnata a costruire a proprie spese (appartamenti distinti agli interni nn. 10, 12 e 14, con annessi posti auto). Assumevano altresì che la convenuta non aveva terminato i lavori e quindi non aveva trasferito le porzioni immobiliari entro i termini previsti nell’accordo.
Chiedevano, pertanto, in via preliminare, che fosse dichiarata la nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1472, comma 2, c.c. (norma applicabile alla permuta, in forza del richiamo di cui all’art. 1555 c.c.), e, comunque, la risoluzione dello stesso per grave inadempimento della società convenuta.
Si costituiva l., che chiedeva il rigetto delle averse domande e, in subordine e in via riconvenzionale, la condanna degli attori, ai sensi dell’art. 1458 c.c. ovvero dell’art. 2041 c.c., a tenerla indenne dai costi sostenuti per i lavori eseguiti fino a quel momento, con il pagamento della somma di € 499.445,76 o di quella ritenuta di giustizia.
Nel corso del giudizio, a seguito del rilievo officioso circa la non integrità del contradditorio, spiegavano intervento volontario in qualità di eredi di altra parte del contratto in questione, per sostenere le ragioni degli attori.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 17664/2020, qualificato il contratto come contratto misto caratterizzato da elementi propri della vendita di cosa presente (il suolo) e dell’appalto, lo risolveva per inadempimento di r.l.
e rigettava tutte le altre domande, condannando la società convenuta al pagamento delle spese di lite in favore di § 2. – Con atto di citazione notificato il 7.6.2021 ha proposto appello r.l. , articolato in tre motivi, chiedendo che, sospesa la sua efficacia esecutiva, ai sensi degli artt. 283 e 351 c.p.c., la sentenza impugnata sia riformata, nel senso di rigettare le domande avanzate dalle controparti e, in subordine, accogliere la domanda riconvenzionale svolta in primo grado, previo espletamento di consulenza tecnica di ufficio volta a ricostruire e contabilizzare le opere compiute e i costi sostenuti in esecuzione del contratto.
§ 3. – Si sono costituiti i quali hanno eccepito in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello, a norma degli artt. 348-bis e 342 c.p.c.;
nel merito, hanno contestato la fondatezza dell’appello, instando per il suo rigetto.
§ 4. – Respinta l’istanza ex artt. 283 e 351 c.p.c. e riservata al merito la decisione di ogni altra istanza, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni.
Concesso termine per note conclusionali, all’odierna udienza la sola parte appellante ha precisato le conclusioni e discusso oralmente la causa;
al termine, la Corte ha deciso la causa, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione , ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c. RAGIONI DELLA DECISIONE § 1. – Le eccezioni preliminari di inammissibilità dell’appello sollevate Quanto all’eccezione concernente il difetto dei requisiti di cui all’art. 342 c.p.c. (nel testo ratione temporis applicabile, successivo alla modifica introdotta dall’art. 54 D.L. n. 83/2012, conv. nella L. n. 134/2012, e precedente alla riforma di cui al D.Lgs. n. 149/2022), si osserva come l’impugnazione contenga, ad eccezione di quanto si dirà in relazione al secondo motivo di appello al paragrafo 3.4, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata (con particolare riguardo alla risoluzione del contratto e al mancato riconoscimento di corrispettivo e indennizzo) e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuta e contrasta le ragioni addotte dal primo giudice, posto che non occorre l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (cfr. Cass. S.U. 13.12.2022 n. 36481; Cass. S.U. 16.11.2017 n. 27199).
La questione della inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 -bis c.p.c., invece, può dirsi superata, avendo la Corte, con delibazione in senso reiettivo della relativa eccezione, implicitamente resa, rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni e scelto di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata (v. Cass. ord. 29.11.2021 n. 37272).
§ 2. – Nel merito, con il primo motivo la società appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha risolto per inadempimento il contratto ex art. 1668, comma 2, c.c., ignorando le difficoltà intervenute nei rapporti con il , che avevano rallentato l’esecuzione dei l’anzidetto e la Regione Lazio, in virtù della quale erano maggiorati gli oneri a suo carico con la realizzazione delle opere necessarie all’urbanizzazione primaria in forza di Piano Integrato.
Aggiunge inoltre che le controparti sarebbero state consapevoli delle sopravvenute lungaggini procedimentali dell’assenza ogni sua responsabilità, tanto avere inoltrato una diffida soltanto il 19.4.2016, poco prima dell’instaurazione del giudizio.
Il giudice di primo grado, dunque, avrebbe errato nel valutare esclusivamente lo spirare dei termini, peraltro non essenziali, pattuiti per la costruzione dei fabbricati, «senza dare considerazione, dovuta secondo buona fede, alle concrete vicende sopravvenute e alle peculiarità del decorso esecutivo del contratto (si ripete, i sopraggiunti oneri a carico della Società, le notorie difficoltà economiche legate alla stagnazione del mercato immobiliare e del credito, l’avvenuta esecuzione della parte inziale ed economicamente significativa dell’edificazione programmata )», stante anche la sua buona fede, dimostrata dall’avvenuto esborso documentato della rilevante somma di € 499.445,76. L’impedimento della prestazione edificatoria, dunque, non sarebbe imputabile alla società costruttrice, ma andrebbe ricondotto alla volontà di terzi non prevedibile al momento della conclusione del contratto, integrando gli estremi dell’impossibilità sopravvenuta ex art. 1672 c.c. § 3. – Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda subordinata riconvenzionale di che il giudice di prime cure avrebbe errato nell’applicare al caso di specie la disciplina speciale di cui agli artt. 1668 e ss. c.c., applicabile, per costante giurisprudenza, solo ai contratti di appalto caratterizzati dall’avvenuta ultimazione dell’opera, trovando invece applicazione la disciplina generale contenuta negli artt. 1453 e ss. c.c., e quindi anche l’art. 1458 c.c., che esclude l’effetto retroattivo della risoluzione alle prestazioni già eseguite. L’appellante aggiunge che il giudice avrebbe errato anche ad escludere l’applicazione dell’art. 2041 c.c., affermando che:
a) la società si è limitata a chiedere un indennizzo commisurato alle spese affrontate, senza indicare il vantaggio che gli attori avrebbero ipoteticamente ottenuto, a fronte della norma che prevede il diritto ad un indennizzo costituito dalla minor somma tra il valore di quanto perduto dall’impoverito e il valore di quanto conseguito dall’arricchito;
b) difetta un vantaggio concreto e attuale dei soggetti arricchiti, potendo esso derivare soltanto se e quando l’ufficio fosse completato.
Secondo l’appellante, invece, i signori avrebbero ricevuto un immediato incremento del loro patrimonio, a prescindere dal completamento dell’edificio, «giacché è in re ipsa che un fondo veda incrementato il proprio attuale valore patrimoniale -economico sul mercato con l’edificazione della struttura portante, anche solo nell’ipotesi di vendita dello stesso», tenuto conto anche che i medesimi non avrebbero mai manifestato una perdita di interesse rispetto agli obiettivi edificatori espressi in contratto.
Aggiunge infine che, al fine di evitare uno squilibrio tra le sfere patrimoniali delle parti, dovrebbe riconoscersi in capo all’appaltatore il diritto a ottenere l’equivalente pecuniario delle opere già realizzate acquistate dal committente jure accessionis, convertendosi il valore delle opere non restituibili nel loro equivalente economico , ben potendo avvalersi a tale scopo di una consulenza tecnica di ufficio.
§ 4. – I due motivi, da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione logico-giuridica, attenendo all’accertamento dei presupposti della risoluzione del contratto e ai suoi effetti, sono infondati.
§ 4.1 – Si premette che, per costante giurisprudenza, il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data all’azione dal giudice quando tale qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di impugnarla (v. Cass. 9.12.2019 n. 34026; Cass. 1.8.2013 n. 18427; Cass. 7.11.2005 n. 21490).
Nella specie, l’appellante non muove nessuna critica alla qualificazione del contratto in termini di contratto misto caratterizzato da una prevalente causa appalto, anzi svolge difese che presuppongono tale inquadramento, invocando l’applicabilità dell’istituto dell’impossibilità sopravvenuta ex art. 1672 c.c. («Impossibilità di esecuzione dell’opera») e della disciplina generale della risoluzione del contratto di appalto, in caso di parziale esecuzione dell’opera.
4.2 Ciò premesso, richiama costante orientamento artt. 1453 e 1455 c.c. non è esclusa dalle speciali disposizioni degli artt. 1667 e 1668 c.c., né è governata da queste disposizioni piuttosto che da quelle generali degli artt. 1453 e 1455 c.c. perché le predette disposizioni speciali integrano, senza escluderla, l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale, che rimangono perciò applicabili nei casi in cui l’opera non sia stata eseguita o non sia stata completata o quando l’appaltatore abbia eseguito l’opera con ritardo o, pur avendo eseguito l’opera, rifiuti consegnarla; quindi, nel caso omesso completamento dell’opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme , non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, fare ricorso alla disciplina della garanzia, che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera (cfr., tra le tante, Cass. 17.5.2024 n. 13821; Cass. ord. 13.4.2018 n. 9198; Cass. 22.1.2015 n. 1186).
Alla luce di tali principi, se nel caso in esame non appare corretto il richiamo contenuto nella sentenza alla disposizione speciale di cui all’art. 1668, comma 2, c.c. (a tenore del quale, se le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto), in quanto è pacifico che siano stati completati soltanto gli impalcati fondamentali della struttura muraria dell’edificio, ricorrono in ogni caso i presupposti per risolvere il contratto ex artt. 1453 e 1455 c.c. – come affermato, in via alternativa, dal giudice di prime cure – integrando il mancato completamento dell’opera a distanza di previste dal contratto del 29.7.2010, e segnatamente, all’obbligo di ultimare entro e non oltre venti mesi dall’inizio dei lavori, che doveva avvenire entro tre mesi dalla stipula (art. 5, lett. d), e all’obbligo di trasferire il possesso e la detenzione delle porzioni immobiliari erigende nel termine di ventiquattro mesi dalla stipula (art. 8), senza che assuma rilievo l’eccepita natura non essenziale di tali termini, alla luce della definitiva interruzione dei lavori finalizzati alla costruzione degli immobile e relative pertinenze.
§ 4.3 – La stessa appellante riconosce di non avere completato l’opera, invocando l’operatività della disposizione cui all’art. 1672 c.c. («Impossibilità dell’esecuzione dell’opera»), che, nel fare applicazione all’appalto del principio generale del caso fortuito (art. 1256 c.c.), ripartisce tra i contraenti il rischio dell’impossibilità di proseguire l’opera quando tale impossibilità non sia conseguenza di una causa imputabile ad alcuno di essi, prevedendo che il committente deve pagare la parte dell’opera già compiuta nei limiti in cui è per lui utile, in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera.
Tale assunto non merita accoglimento, in quanto non ha dimostrato il verificarsi del presupposto richiesto dall’art. 1672 c.c., costituito dall’impossibilità sopravvenuta (parziale), avente fonte in una causa non imputabile alle parti, di carattere assoluto e oggettivo, c concernente la prestazione in sé e non eventi di natura personale (v. Cass. 21.10.2010 n. 21599), improvvisa e imprevedibile al momento della conclusione del contratto tale da neutralizzare la diligenza del debitore , avendo allegato dalla sopravvenuta convenzione urbanistica intervenuta tra Comune e Regione e la sfavorevole situazione del mercato immobiliare, senza che assuma valore la condotta improntata a correttezza e buona fede tenuta dalla società inadempiente fino al sopraggiungere dei nuovi eventi.
§ 4.4 – Quanto agli effetti della risoluzione e alla pretesa diretta ad ottenere il pagamento del prezzo dell’attività e delle opere già eseguite, la prima censura contenuta nel secondo motivo è inammissibile per difetto del requisito di specificità, di cui all’art. 342 c.p.c. E invero – a fronte del ragionamento svolto dal giudice di primo grado, il quale, partendo dal rilievo secondo cui la clausola di salvaguardia per le prestazioni già eseguite, prevista dall’art. 1458 c.c., non trova applicazione rispetto alle prestazioni con cui il debitore non abbi a soddisfatto, sia pure parzialmente, le ragioni del creditore (Cass. n. 10383/1998 e Cass. n. 9906/1998), ha escluso che la minima attività edificatoria svolta da priva di qualsiasi concreta utilità per i committenti e dunque il diritto al pagamento del compenso – si è limitato a dedurre che va applicato l’art. 1458 c.c., per cui «è escluso l’effetto retroattivo della risoluzione alle prestazioni già eseguite»; principio contrario ai suoi interessi, tenuto conto che la pretesa creditoria fatta valere dall’appaltatore sarebbe soddisfatta proprio dall’effetto recuperatorio ex tunc rispetto alle prestazioni eseguite prodotto dalla pronuncia costituiva di risoluzione del contratto di appalto per inadempimento, secondo la regola generale dettata dall’art. 1458 c.c., cui consegue, per ciascuno dei contraenti e in modo avulso dall’imputabilità [… dell’inadempienza, una totale restitutio in integrum (cfr. Cass. ord. 30.10.2018 n. 27640; Cass. 30.6.2015 n. 13405; Cass. 21.6.2013 n. 15705).
Si aggiunga sul punto che, in ogni caso, affinché possa operare tale ultimo effetto possa riconoscersi diritto dell’appaltatore riconoscimento del diritto al compenso per le opere già eseguite ex art. 1458 c.c., in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, l’appaltatore ha l’onere di dimostrare che quest’ultimo se ne sia comunque effettivamente giovato.
Nel caso in esame l., come osservato dal giudice per escludere il diritto all’indennizzo ex art. 2041 c.c., si è limitato a elencare le spese affrontate, producendo una relazione di parte e alcune fatture (docc. 6 e 7 fasc. primo grado), e a sollecitare l’espletamento di una consulenza tecnica di ufficio, senza indicare il reale vantaggio acquisito dai committenti, deducendo che tale vantaggio sarebbe in re ipsa, per il solo fatto della presenza della struttura portante dell’edificio rimasto sul fondo e del principio dell’accessione.
Una volta escluso il diritto al compenso dell’appaltatore per difetto dei presupposti di cui all’art. 1458 c.c., non può operare l’azione generale di arricchimento ex artt. 2041 e 2042 c.c., stante il carattere sussidiario e residuale, che ne esclude la esperibilità quando non sia esercitabile nessun’altra azione basata su contratto, fatto illecito o produttivo di obbligazione.
§ 5. – La doglianza contenuta nel terzo motivo, attinente all’ingiusta delle avverse domande, è assorbita dal rigetto degli ulteriori motivi di appello, e dalla conseguente conferma della sentenza gravata.
§ 6. – In definitiva, l’appello va respinto.
spese del presente giudizio devono essere poste carico dell’appellante, secondo il principio di soccombenza, e si liquidano, applicando i parametri di cui al D.M. n. 55/2014 (modificato, da ultimo, dal D.M. n. 147/2022), scaglione di riferimento da € 260.000,01 a € 520.000,00, valori medi, in complessivi € 20.119,00 per compensi (€ 4.389,00 per fase di studio;
€ 2.552,00 per fase introduttiva;
€ 5.880,00 per fase istruttoria/di trattazione;
€ 7.298,00 per fase decisionale).
Il rigetto dell’appello costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, L. n. 228/2012.
la Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto contro la sentenza del Tribunale di Roma n. 17664/2020 pubblicata il 10.12.2020, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
1. – rigetta l’appello;
2. – condanna l. alla rifusione delle spese di lite in favore di , che liquida in € 20.119,00 per compensi, oltre al 3. – dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, D.P.R. n. 115/2002.
Così deciso in Roma in data 30.1.2025 Il Consigliere est.
Il Presidente – NOME COGNOME – NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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