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Codice Civile
Codice Penale

Risoluzione del contratto di appalto per gravi difetti

La Corte ha confermato la sentenza di primo grado che aveva risolto il contratto di appalto per gravi difetti di realizzazione, condannando l’appaltatore al risarcimento del danno. La Corte ha ribadito che in caso di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, il committente può richiedere la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento del danno.

Pubblicato il 30 November 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA

Sezione Prima Civile riunita in camera di consiglio e così composta PRESIDENTE Dr.

NOME COGNOME Relatore Consigliere Dr.

NOME COGNOME Consigliere Dr.

NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A N._1346_2024_- N._R.G._00000208_2023 DEL_09_11_2024 PUBBLICATA_IL_11_11_2024

nella causa n. 208/2023 R.G. promossa da (COD. FISC: elettivamente domiciliata presso il difensore in INDIRIZZO MILANO – rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME COGNOME appellante nei confronti di (COD. FISC.)

– elettivamente domiciliata presso il difensore in INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME NOME

CONCLUSIONI

Per l’appellante :

“Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, ogni contraria istanza anche istruttoria, deduzione e produzione disattese, in riforma dell’impugnata sentenza n. 2559/22 del Tribunale di Genova:

In INDIRIZZO

1. rigettare l’opposizione di al d.i. n. 3703/16 del Tribunale di Genova in quanto infondata in fatto ed in diritto, confermando in toto il d.i. opposto;

2. rigettare le domande e le eccezioni tutte della opponente svolte in via principale ed in via riconvenzionale, in quanto infondate in fatto ed in diritto;

3. rigettare l’appello incidentale di in quanto infondato in fatto ed in diritto;

4. accertare e dichiarare, comunque, il debito di nei confronti di per l’importo di capitali € 39.742,24 condannando la prima al pagamento a favore della seconda dello stesso importo capitale, oltre interessi moratori dalle relative fatture sino al saldo effettivo;

5. accertare e dichiarare l’inadempimento grave dell’opponente al contratto inter partes, dichiarando il contratto stesso risolto per fatto e colpa di ex art. 1453 e segg. c.c.;

In via subordinata:

6. compensare integralmente tutte le rispettive poste dare-avere tra le parti;

In ogni caso:

7. con vittoria di spese e compensi di entrambi i gradi di giudizio.

” Per l’appellata “Voglia la Corte d’Appello Eccellentissima, contrariis reiectis e previa ogni più opportuna pronuncia, In via pregiudiziale e/o preliminare dichiarare l’inammissibilità dell’appello di in assenza di ragionevoli probabilità di un suo accoglimento ex art. In via principale respingere l’appello di in quanto infondato per i motivi di cui al presente atto.

In via incidentale in parziale riforma della Sentenza del Tribunale di Genova n. 2559/2022, pubblicata il 11/11/2022, previa compensazione con quanto risultasse denegatamente dovuto a controparte per le fatture ingiunte, condannare la in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla restituzione dell’importo di Euro 42.700,00 nonché a risarcire alla tutti gli importi e/o danni dalla stessa subiti, come indicati in narrativa, nell’importo di Euro 81.830,00, o di quello maggiore o minore meglio visto, da liquidarsi anche in via equitativa ex art. 1226 c.c., oltre interessi e rivalutazione. Con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio”.

In via istruttoria e subordinata:

ove ritenuto si insiste per i mezzi di prova non ammessi di cui alla memoria ex art. 183 c. VI, n. 2 c.p.c..

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso per decreto ingiuntivo chiedeva, ed otteneva, decreto ingiuntivo per la somma di € 39.742,24 derivante da contratto di appalto sottoscritto il 3.6.2015 (così in ricorso) con (di seguito per brevità ) per la ingegnerizzazione, sviluppo e realizzazione di un sistema di controllo del consumo energetico basato su tecnologia brevettata di proprietà della ricorrente, oltre alla produzione dei primi 2000 dispositivi e ai servizi di gestione telecomunicazione e connettività degli stessi; erano stati consegnati 132 dispositivi, continuando a prestare in favore della convenuta i servizi di gestione della connettività, mentre aveva eseguito solo in parte e con ritardo i dovuti pagamenti.

Chiedeva quindi il saldo per l’attività nel frattempo eseguita e fatturata.

Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo , chiedeva la risoluzione del contratto per fatto e colpa di l’accertamento del diritto a non compensazione con quanto eventualmente dovuto all’opposta, la restituzione dell’importo di € 42.700,00, nonché il risarcimento dei danni nella misura di € 104.800,00 o in quella meglio vista.

Si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione svolta da , in via riconvenzionale principale l’accertamento dell’inadempimento della controparte, con condanna all’esatto adempimento;

in via riconvenzionale subordinata l’accertamento dell’inadempimento grave dell’attrice opposizione, con dichiarazione di risoluzione per fatto e colpa dell’attrice, oltre al risarcimento dei danni;

in ulteriore subordine e sempre in via riconvenzionale condannare comunque al risarcimento dei danni ex artt. 1337 e 2043 c.c. Espletate le prove testimoniali, dopo una prima CTU e la revoca del consulente e nomina di nuovo consulente esperto nella materia, depositata la consulenza, la causa era trattenuta in decisione.

Con sentenza definitiva n. 2559/2022 pubblicata l’11/11/2022, non notificata, il Tribunale di Genova, in composizione monocratica, così decideva:

«1. In accoglimento dell’opposizione dispiegata da revoca il decreto ingiuntivo n. 3703/2016 emesso dal Tribunale di Genova il 5.10.2016;

2.

In accoglimento della domanda riconvenzionale svolta da dichiara la risoluzione del contratto oggetto di lite e per l’effetto condanna a restituire all’opponente la somma di € 4.700,00 iva inclusa oltre rivalutazione ed interessi legali dalla comunicazione della risoluzione (settembre 2016) al saldo;

3. Condanna a risarcire il danno mediante corresponsione della somma di € 23.945,6 iva inclusa oltre rivalutazione ed interessi legali nei termini di cui in parte motiva;

4. Rigetta le domande riconvenzionali svolte da parte opposta;

5. Condanna a rifondere a le spese di lite che liquida in € 7.616,00 per compensi, € 786,00 per esborsi, oltre 15% spese generali, IVA e CpA 6. Pone le già liquidate spese di CTU a carico di parte opposta».

[… Avverso tale decisione, proponeva appello dinanzi a questa Corte con atto notificato in data 27.02.2023.

Con comparsa si costituiva la quale instava per il rigetto dell’appello;

proponeva appello incidentale.

Infine, le parti precisavano le conclusioni trascritte in epigrafe mediante note depositate in relazione all’udienza collegiale in data 05.06.2024, svoltasi con la modalità della trattazione scritta prevista dall’art. 127 ter c.p.c., e quindi la causa veniva trattenuta in decisione, concedendo termini di legge per il deposito e di comparse conclusionali e note di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ad avviso della Corte, sia l’appello principale che quello incidentale sono infondati e devono essere rigettati.

APPELLO PRINCIPALE 1) PRIMO MOTIVO – SULL’ERRATA INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO DA PARTE DEL GIUDICE CON RIGUARDO AL TERMINE DI CONSEGNA DEI PRIMI 2.000 PRECISOS.

VIOLAZIONE DEGLI ARTT.LI 1362 E SEGG.TI C.C. E DELL’ART. 1453 E SEGG.TI C.C. –

Parte appellante censura la sentenza impugnata laddove il Giudice di primo grado ha ritenuto che la mancata consegna dei primi 2000 dispositivi entro il 1511.2015 abbia costituito un grave e perdurante ritardo, il quale unitamente alla sussistenza dei vizi dei dispositivi giustificava la risoluzione del contratto per grave inadempimento di Sul punto, l’appellante deduce che: i) tale assunto

è infondato perché contrario agli artt. 1362 e ss. c.c. in tema di interpretazione del contratto, ma anche perché contrasta con l’espresso riconoscimento del giudice che il termine del 15.11.2015 non è essenziale “perché comunque non ne era indicata l’essenzialità” (pag. 7 sentenza);

ii) dalla le prime 2000 unità entro il 15.11.2015” (doc. 1 fasc. di primo grado QX), e pertanto dall’uso delle parole “si prevede” si evince che il termine del 15.11.2015 era meramente indicativo, non essenziale e non tassativo;

iii) inoltre, l’ulteriore pattuizione contrattuale, secondo la quale:

“ogni 30 gg a partire dal 30.11.2015 verranno fatturati i Precisos effettivamente attivati ed operanti, fino alla concorrenza dei 54.300,00 (corrispondenti ai primi 2.000 dispositivi)”, si dimostra incompatibile con l’obbligo di fornire i detti 2.000 dispositivi entro il 15.11.2015;

iv) anche i tempi e le modalità di pagamento effettuati da dimostrano che il termine era puramente indicativo;

infatti, la società ha versato la prima tranche di € 55.000,00 in 6 rate, la prima da € 5.000,00 e le altre cinque da € 10.000,00 da ottobre 2015 a febbraio 2016, e quindi ha pagato, oltre a quelle precedenti, anche le rate scadute il 30.11.2015 ed il 30.12.2015, ossia in date successive al termine de quo del 15.11.2015;

v) pare evidente che il giudice di prime cure non ha applicato il principio di cui all’art. 1362 c.c.

attribuendo al detto termine del 15.11.2015 un significato che non aveva;

vi) infine, la risoluzione del contratto ex artt. 1453 e ss. c.c. può essere dichiarata dal giudice solo laddove l’inadempimento non abbia avuto scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra (art. 1455 c.c.);

vii) nel caso di specie, da tutti gli elementi di fatto e di diritto che precedono, si evince, invece, l’assenza di ritardo alcuno da parte di o certamente l’assenza di un ritardo grave da parte dell’esponente che potesse legittimare la risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto per colpa di

LA CORTE RILEVA QUANTO SEGUE.

I)

Rispetto alla questione del termine, la definizione del termine come essenziale comporta soltanto che, in caso di violazione, la risoluzione può essere pronunciata a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine all’importanza dell’inadempimento;

mentre in caso di termine non essenziale, il Giudice, per pronunciarsi sulla risoluzione, deve verificare in concreto l’importanza dell’inadempimento:

“La domanda di risoluzione del contratto per inosservanza del termine essenziale richiede mentre quella di risoluzione per inadempimento consistente nell’inosservanza di un termine non essenziale implica un apprezzamento complessivo del sinallagma contrattuale, al fine di verificare quale fosse l’intenzione delle parti e quale di esse, con la sua condotta, si sia resa responsabile del mancato raggiungimento dello scopo negoziale che era stato originariamente prefisso, così incorrendo in un inadempimento di non scarsa importanza (art. 1455 c.c.) … ” Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 10682 del 20/04/2023, Rv. 667793 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4314 del 04/03/2016, Rv. 639412 – 01).

II) Tale valutazione è stata correttamente eseguita nel presente caso, laddove il Tribunale ha sottolineato come il ritardo nella consegna nella sostanza superasse il limite della tollerabilità, definendolo come “grave e perdurante”, proprio in quanto, rispetto al termine stabilito contrattualmente al 15/11/2015 “solo 132 pezzi vennero consegnati tra aprile e giugno 2016, molti meno rispetto ai che dovevano essere consegnati e a fronte di un avvenuto pagamento di € 42.700,00 (iva inclusa) da parte della committente”, benché già fin dall’inizio del 2016, attraverso lo scambio di corrispondenza risultante dai docc. 11 – 24 di parte opponente, fosse lamentata del ritardo quale fonte di danno; non solo ma “Oltre a esservi stata una consegna tardiva di pochi pezzi (solo 132 invece di 2000) essi sono risultati in parte viziati” (pagg. 7 – 8 sentenza impugnata).

III) Quanto alla previsione contrattuale relativa ai tempi di fatturazione, la stessa riguardava modalità e tempi di pagamento dei “Precisos”, in quanto era previsto che fossero fatturati (e quindi pagati) i dispositivi “effettivamente attivati e operanti” con decorrenza dal 30/11/2015, in relazione alla fornitura delle prime 2.000 unità che avrebbe dovuto avvenire entro il 15/11/2015.

La previsione di un pagamento successivo alla fornitura – che avrebbe dovuto avvenire dopo tale date – non è affatto incompatibile, ma al contrato del tutto coerente con l’obbligo di fornire i detti 2.000 dispositivi entro il 15.11.2015, proprio in quanto l’obbligo di pagamento poteva insorgere solo dopo la consegna e la verifica della funzionalità dei dispositivi.

2) SECONDO MOTIVO – SULL’ ERRATA VALUTAZIONE DEL GIUDICE CIRCA GLI ASSUNTI VIZI DEI DISPOSITIVI.

LA VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 115 E 116 C.P.C. E DELL’ART. 1453 E RAGIONE_SOCIALETI C.C. – censura la sentenza impugnata cure laddove il Tribunale avrebbe recepito acriticamente le conclusioni del CTU in merito agli asseriti vizi dei dispositivi, senza tener conto dei fatti e del contenuto del contratto, sostenendo che:

i) l’assunto di un’insufficiente portata del trasmettitore del sensore ottico è privo di fondamento, poiché il trasmettitore prevede una portata/trasmissione a due piani di distanza e non vi è mai stata da parte dell’appellata richiesta alcuna di un trasmettitore che coprisse una distanza superiore;

ii) infatti nel contratto non è prevista una portata di tre piani o più, ma con riguardo alle “prestazioni” del dispositivo è specificato letteralmente che “non sono richiesti particolari prerequisiti da parte del cliente (FE)” (doc. 1 fascicolo primo grado ;

iii) la conclusione del CTU secondo la quale la portata del trasmettitore fino a due piani determinerebbe un non corretto funzionamento del prodotto è quindi infondata;

iv) infatti, non può costituire la rilevata portata del trasmettitore fino a due piani un vizio del dispositivo rispetto a prestazioni neppure concordate;

v) inoltre, non è legittimo pretendere dal dispositivo prestazioni che soddisfino un numero indeterminato e generalizzato di unità abitative che siano situate ai piani più disparati degli edifici ed alle distanze più diverse rispetto ai contatori;

vi) il Giudice di prime cure non ha tenuto neanche in considerazione la condotta di buona fede tenuta da anche in corso di causa, offrendo espressamente di risolvere bonariamente la questione incrementando la potenza della trasmissione dei dispositivi con un semplice componente aggiuntivo, proposta di cui anche il CTU ha dato atto, ma che è stata rifiutata da (pag. 13 CTU);

vii) in merito alla rispondenza o meno dei dispositivi alla normativa CE, è pacifico quindi che il CTU, non avendo eseguito le prove di laboratorio che gli erano state richieste, non ha accertato il vizio dedotto da , vizio che dunque non è stato provato, mentre Il CTU dall’analisi della copiosa documentazione fornitagli da Cont di vista (formale, sostanziale e tecnico)”;

viii) il Giudice di prime cure ha poi correttamente riconosciuto che “la mancanza del marchio CE non esclude la commerciabilità dei prodotti” e che “la mancanza di marcatura CE non può di per sé, non essendo peraltro stata richiesta e pattuita contrattualmente, essere considerata un vizio tale da giustificare la risoluzione del contratto” (pag. 10 sentenza);

ix) da tutto ciò deriva l’impossibilità di ravvisare nel caso di specie vizio alcuno dei dispositivi ed in particolare di vizi gravi che costituiscano un inadempimento grave da parte di alle obbligazioni assunte che potessero giustificare la dichiarazione di risoluzione del contratto per colpa dell’appaltatrice ex art. 1453 c.c..

LA CORTE RILEVA QUANTO SEGUE.

I) L’affermazione dell’appellante secondo cui non sarebbe “legittimo pretendere dal dispositivo prestazioni che soddisfino un numero indeterminato e generalizzato di unità abitative che siano situate ai piani più disparati degli edifici ed alle distanze più diverse rispetto ai contatori” è smentita dalla considerazione che “Attualmente, come indicato dallo stesso CTU,

la tendenza è di centralizzare i misuratori collocandoli in spazi liberamente accessibili per permettere una più veloce ed unitaria lettura al letturista, sostituendo inoltre i vecchi contatori con i nuovi apparecchi moderni in grado di colloquiare con la centrale di controllo del fornitore per trasmettere letture e limitare i consumi in modo più preciso.

Una tale collocazione dei contatori rende però più difficile il collegamento con gli apparati precisos tenuto conto della riscontrata difficoltà di collegarsi oltre il secondo piano.

La circostanza che i contatori risultino essere oramai nella maggior parte dei casi centralizzati è di conoscenza comune e a maggior ragione di un operatore del settore quale (la centralizzazione è in atto da circa trent’anni) così come è di conoscenza comune l’innalzamento di un palazzo oltre il secondo piano, soprattutto in centri urbani:

ciò rende però poco utilizzabili gli apparecchi realizzati e venduti e quindi certamente difettosi” (pag. 9 – 10 sentenza impugnata).

II)

Del tutto irrilevante la disponibilità che sarebbe stata manifestata in sede di CTU dall’appellante a porre rimedio al difetto in questione, mediante un componente aggiuntivo che, secondo il CT di detta parte, sarebbe idoneo ad aumentare la portata del sistema.

Anche a voler ammettere l’idoneità di tale componente aggiuntivo, tutta da verificare, il rimedio sarebbe del tutto tardivo e non potrebbe far venir i presupposti dell’inadempimento rispetto alla tempistica contrattuale come evidenziato in sede di esame del primo motivo.

III) Del tutto irrilevanti, altresì, le questioni concernenti la rispondenza dei dispositivi alla normativa CE e alla marcatura CE, posto che la non rispondenza non è stata verificata e comunque la sentenza impugnata ha escluso che la mancanza di marcatura CE, non essendo stata richiesta e pattuita contrattualmente, potesse “essere considerata un vizio tale da giustificare la risoluzione del contratto” (pag. 10 sentenza impugnata).

IV) Il motivo di appello, pertanto, è palesemente infondato, al limite dell’inammissibilità.

3) TERZO MOTIVO – SULL’ ERRATA VALUTAZIONE DEL GIUDICE IN ORDINE AL RIGETTO DELL’ECCEZIONE

DI QX DI DECADENZA IN RELAZIONE AGLI ASSUNTI VIZI DEI DISPOSITIVI.

VIOLAZIONE DELL’ART. 1667 C.C. –

L’appellante censura la sentenza impugnata con riguardo al rigetto dell’eccezione di decadenza e prescrizione mossa da in relazione alla tardiva denuncia da parte di degli assunti vizi dei dispositivi.

In merito la parte sostiene che:

i) il Giudice di primo grado ha errato nel sostenere che non può parlarsi né di decadenza né di prescrizione perché sono stati consegnati soli 132 dispositivi contro i 2.000 previsti e quindi la consegna non è stata completata e perché a marzo 2016 si sarebbe lamentata non soltanto del ritardo nella consegna ma anche del malfunzionamento dei dispositivi (pag. 10 sentenza);

ii)

nella corrispondenza prodotta da (doc. da 11 a 24) l’opponente ha soltanto sollecitato la consegna dei dispositivi ulteriori rispetto ai primi 132, a conferma del funzionamento Cont nel caso di consegna ripartita il termine decadenziale di cui all’art. 1667 c.c. non decorre dal completamento della fornitura (nel caso di specie dell’intero lotto di 2.000 dispositivi), bensì dalla consegna dei primi apparecchi quando, come nel caso di specie, tali apparecchi sono del tutto fungibili tra loro ed aventi tutti le stesse caratteristiche tecniche; iv) ciò è stato chiarito anche dalla Corte di Cassazione, la quale con la sentenza n. 16766/2019 ha espresso il principio per cui nella vendita a consegne ripartite che abbia ad oggetto una quantità di beni con le medesime caratteristiche, per la tempestività della denuncia deve guardarsi solo alla prima consegna;

v) aveva quindi l’onere di denunciare i vizi di cui si lamenta entro il termine di sessanta giorni dalla consegna dei primi 132 dispositivi, il che non è stato fatto;

vi) il Tribunale ha quindi rigettato l’eccezione di decadenza di questa difesa con una motivazione assunta in violazione dell’art. 1667 c.c. e del principio di diritto dettato dalla Suprema Corte;

viii) dunque, la sentenza impugnata dovrà essere riformata col rigetto dell’opposizione a d.i., stante l’accertata decadenza per decorso del termine ex art. 1667 c.c..

LA CORTE RILEVA QUANTO SEGUE.

Le questioni sollevate con il motivo di appello in esame sono sostanzialmente irrilevanti, posto che:

i) la risoluzione del contratto di appalto è stata pronunciata facendo applicazione delle norme generali in tema di risoluzione del contratto, di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c., e non della normativa speciale prevista per il contratto di appalto dagli artt. 1667 e 1668 c.c.;

ii) il contratto deve essere considerato unitariamente, comprendendo lo studio e la progettazione, nonché la consegna degli apparati, pur essendo distintamente configurato il corrispettivo:

€ 29.300,00 per studio e progettazione, nonché € 38,00 per ciascun apparato, e viene espressamente qualificato nella sentenza come appalto, né vi è impugnazione sul punto;

iii) la circostanza che a giugno 2016 vi sia stata la consegna di soli 132 pezzi, a fronte dei previsti in contratto, comporta che l’opera oggetto dell’appalto non sia stata ultimata, con la conseguenza che “si applicano le norme generali in tema di prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine” (Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019, Rv. 653113 – 01);

iv) proprio in quanto la sentenza appellata ha fatto applicazione della disciplina generale sulla risoluzione e non della speciale garanzia ex artt. 1667 e 1668 c.c., ne discende che considerazioni svolte – evidentemente ad abundantiam – a pag. 10 della sentenza impugnata relativamente a decadenza e prescrizione sono ininfluenti ai fini della pronuncia emessa.

APPELLO INCIDENTALE FUTURENERGY 1) PRIMO MOTIVO – SUL CONTENUTO DELLA

SENTENZA

DI PRIMO GRADO IN MERITO ALL’OBBLIGO RESTITUTORIO – L’appellante incidentale censura la sentenza impugnata nella parte inerente all’obbligo restitutorio gravante su in dipendenza della pronunciata risoluzione, sostenendo che:

i) il Giudice di primo grado ha riconosciuto come eseguita l’attività di studio, ideazione, sviluppo prototipo come da punto 6 del contratto (quantificata nel contratto in Euro 29.300,00) e che sono stati consegnati 132 apparecchi (il cui valore contrattuale è di Euro 5.016,00), funzionanti nonostante i difetti;

ii) per questo motivo il Tribunale ha valutato in via equitativa il valore delle opere eseguite in € 38.000,00 e, visto il pagamento di € 42.700,00 effettuato da , condannato alla restituzione di Euro 4.700,00;

iii) tuttavia, all’esito del lavori di progettazione gli apparati forniti (solo 132 esemplari) sono risultati viziati e conseguentemente non può affermarsi che abbia beneficiato dell’attività di studio e progettazione, in considerazione del fatto che il software realizzato da era inutilizzabile per produrre apparecchi aventi le caratteristiche richieste da ;

iv) avuto riguardo allo scopo del contratto, non può ritenersi che si sia giovata dell’attività di progettazione svolta da considerato che tale lavoro si è rivelato inidoneo e inadeguato alla realizzazione degli apparati richiesti;

v) neppure si è giovata della vendita dei 132 apparati avendone dovuto effettuare la sostituzione ( ha prodotto in necessità di sostituire 5 Precisos, di quelli già consegnati a cagione del mancato funzionamento;

vi) stante l’inutilizzabilità degli apparecchi, l’attività personalizzazione e assistenza del software denominato “RAGIONE_SOCIALE” per l’esponente è stata del tutto inutile, con conseguente diritto alla restituzione della somma di Euro 4.000,00;

vi) di conseguenza, deve vedersi riconosciuto il diritto alla restituzione dell’intero importo versato a pari a € 42.700,00.

LA CORTE RILEVA QUANTO SEGUE.

I)

Nella sentenza impugnata viene richiamato il principio per cui “… nel caso di risoluzione del contratto per colpa dell’appaltatore, quest’ultimo ha diritto, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, al riconoscimento del compenso per le opere effettuate e delle quali, comunque, il committente stesso si sia giovato” (Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 27640 del 30/10/2018, Rv. 651030 – 01).

Il Tribunale ha nella fattispecie ritenuto, che «Nel caso di specie risulta che sia stata eseguita l’attività di studio, ideazione, sviluppo prototipo come da punto 6 del contratto (“elenco forniture e quotazione economica”) per € 29.300,00 e che siano stati consegnati 132 apparecchi per € 38,00 ciascuno come indicato nello stesso contratto, così come risulta (tanto che l’opponente non ha richiesto la ripetizione dell’indebito per la relativa somma di € 4.000,00) l’attività di personalizzazione e assistenza del software denominato “CMR”. È comunque risultato dall’istruttoria che quest’ultimo servizio venne prestato dal dott. …I vizi e difetti degli apparecchi precisos non ne impedivano il totale funzionamento (come sopra visto il sistema di alert-soccorso funzionava, così come il sistema di collegamento purché entro il secondo piano e in assenza di contatore centralizzato), tanto che essi vennero regolarmente venduti agli utenti finali da parte della stessa.

In proposito si vuole rimarcare come la stessa opponente abbia allegato (e provato) di avere venduto, sulla carta (in quanto in realtà consegnati solo 132) 1406 apparati agli utenti finali.

Può quindi considerarsi che vi sia stata una loro utilizzazione con un evidente vantaggio.

D’altronde non risulta neppure che gli utenti finali si siano lamentati con parte consegnati viziati (132) e in parte non consegnati e tale ultimo elemento verrà più avanti considerato al fine della quantificazione del danno risarcibile.

E’ appunto tale vantaggio che deve essere quantificato con una valutazione che non può che essere per equivalente, di tipo sostanzialmente equitativo, tenendo conto di alcuni elementi:

la risoluzione per inadempimento per colpa dell’appaltatore ed il suo prezzo contrattuale» (pag. 12), per giungere alla conclusione che «… considerato il valore di € 29.300,00 per la fase di studio e ideazione oltre ad € 5.016,00 (€ 38×132) per la realizzazione e consegna degli apparati, oltre all’IVA, si ha un valore finale di € 41.865,52 e, considerati i vizi e l’imputabilità della risoluzione a colpa dell’appaltatore, può equitativamente valutarsi un importo di € 38.000,00 (comprensivo di IVA) per le prestazioni comunque rese. Considerato che è pacifico che abbia versato, esclusa la prestazione extracontrattuale di € 4.000,00, la somma di € 42.700,00 iva inclusa, detraendo la somma di € 38.000,00 per l’utilità che comunque ha avuto nei termini sopra indicati, vi è un debito di nei confronti dell’attrice di € 4.700,00 iva inclusa (42.700 – 38.000) oltre rivalutazione ed interessi … » (pag. 14).

II) Si deve avere riguardo alla ricostruzione del tenore delle pattuizioni contrattuali di cui a pagg. 6 e s. della sentenza impugnata:

«… in data 5.6.2015, le parti sottoscrivevano il contratto di appalto prodotto sub doc. 1 di parte opposta (“con contratto sottoscritto in data 3.6.2015 la società appaltato all’esponente pag. 1 del ricorso per decreto ingiuntivo) e poco dopo iniziava la consegna degli apparati:

in data 8.6.2016 ne venivano consegnati n. 89, il 10.6.2016 n. 38 e il 27.04.2016 n. 5. Il contratto indica le diverse prestazioni che ne costituiscono l’oggetto, individuando quale termine finale per la consegna delle 2000 unità il 15.11.2015.

Vi è anche la quotazione economica delle diverse prestazioni:

per lo studio e la progettazione € 29.300,00, e per la fornitura dei 2000 pezzi l’importo di € 38,00 ciascuno (indicando per un evidente errore la somma di € 80.000,00 invece di € 76.000).

… L’intera operazione, comprensiva dello studio, costo di € 109.300,00 (considerando € 29.300,00+80.000,00 e il più corretto costo di € 105.300,00 considerando € 29.300,00+76.000,00), somma che doveva essere corrisposta con le modalità di pagamento specificamente indicate:

emissione di una fattura di € 55.000,00, da pagare da parte della committente con il versamento di € 5.000,00 al momento dell’emissione della medesima fattura e di € 10.000,00 ogni mese dal 30.10.2015 al 28.2.2016 con i rimanenti € 54.300,00 da suddividere tra i 2000 precisos e quindi pari ad € 27,15 per ognuno:

“ogni 30 giorni a partire dal 30.11.2015 verranno fatturati i Precisos effettivamente attivati ed operanti fino alla concorrenza dei 54.300,00”.

Per la fornitura dei successivi pezzi era stata prevista una fatturazione per il 50% alla consegna e per il residuo 50% all’attivazione, con calcolo mensile.

La lettura complessiva del contratto permette di valutare chiaramente come le parti avessero imputato i singoli costi a ciascuna attività (ossia € 29.300,00 per la parte di ideazione, indicando anche ciascuna singola voce ed il relativo costo, ed € 76.000,00 per la realizzazione e consegna dei primi 2000 pezzi) e come poi, nel prevedere le modalità di pagamento, avessero deciso di suddividere diversamente i costi.

Invece di fare pagare € 29.300,00 per lo studio e sviluppo e poi € 38,00 per ciascun precisos attivato, nel contratto viene previsto “in alternativa spalmando lo sviluppo sui primi 2000 pezzi” un anticipo di € 10.000,00 ed un costo per i 2000 pezzi pari ad € 47,65 ciascuno e per i successivi 5000 pezzi di € 35,00 e per i successivi 10000 € 32,00.

Il contratto prevedeva poi le concrete modalità di pagamento, con il versamento di una somma forfettaria di € 55.000,00, con cadenze prestabilite e di singoli importi per ciascun apparato.

Tale somma forfettaria, a causa del suo importo, non poteva che comprendere gli € 29.300,00 per il progetto e studio con un anticipo di parte del costo dei precisos.

Non è quindi corretto e confligge con quanto indicato in contratto quello che afferma secondo cui € 55.000,00 riguardassero la sola progettazione e non è corretto perché è proprio il contratto ad indicare il contrario …».

III) Tale ricostruzione è corretta e comunque non viene, in questa sede, censurata né IV) È ben vero che, come è stato ampiamente argomentato in sede di esame dell’appello principale, i dispositivi che vennero forniti in ritardo, nell’esiguo numero di 132, presentavano difetti accertati dalla CTU.

V)

Tuttavia, risulta che abbia venduto ben 1406 dispositivi al prezzo di € 75,40

(teoricamente comprensivo di € 38,00 quale costo del dispositivo e € 5,00 per provvigioni), né risulta che alcuno degli utenti finali abbia richiesto la restituzione di quanto indebitamente versato per dispositivi viziati e consegnati, o per i dispositivi non consegnati, come ritenuto nella sentenza impugnate e come sarà meglio evidenziato in seguito.

VI) Tenuto conto di tali circostanze, si deve ritenere che la committente, avendo effettuato la vendita dei dispositivi, al corrispettivo indicato, si sia comunque giovata, almeno in parte, dell’opera appaltata, così come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata.

VII) Inammissibili le censure svolte in merito al fatto che «stante l’inutilizzabilità degli apparecchi, l’attività di personalizzazione e assistenza del software denominato “RAGIONE_SOCIALE” per l’esponente è stata del tutto inutile, con conseguente diritto alla restituzione della somma di Euro 4.000,00», dal momento che, come rilevato nella sentenza impugnata, il detto importo venne versato per l’attività di personalizzazione e assistenza (« pagava le fatture che nel frattempo emetteva per l’importo di € 42.700,00, oltre a corrispondere la somma di € 4.000,00 per l’attività extracontrattuale di assistenza software» pag. 3) e sempre dalla sentenza risulta la richiesta di restituzione soltanto dell’importo di € 42.700,00 relativo all’attività di studio e progettazione, ma non dell’indicato importo di € 4.000,00, come si legge pag. 12: «risulta (tanto che l’opponente non ha richiesto la ripetizione dell’indebito per la relativa somma di € 4.000,00) l’attività di personalizzazione e assistenza del software denominato “CMR”» e come in effetti emerge dal testo delle conclusioni formulate in primo (e del resto ribadite anche in questa sede).

2) SECONDO MOTIVO – SULLA QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO – risarcimento del danno, sostenendo che:

i) secondo il Giudicante, non avrebbe provato che gli utenti finali dei 1406 apparati venduti abbiano chiesto la restituzione di quanto versato per gli apparati viziati o non consegnati e, di conseguenza, il Giudice ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno solo in riferimento ai restanti 594 apparati del lotto oggetto di appalto;

ii) la decisione è fondata su un presupposto erroneo e cioè che abbia incassato dagli utenti finali il corrispettivo per i 1406 apparati venduti;

iii) infatti, come risulta dal contratto di vendita dei RAGIONE_SOCIALE agli utenti finali (sub doc. 29), non ha fatturato né incassato i corrispettivi per i 1406 non consegnati) quindi dovrà essere riconosciuto il risarcimento del danno con riferimento a tutti gli apparecchi non consegnati;

v) nello specifico, aveva già venduto 1406 apparati SEM agli utenti finali, per un corrispettivo di Euro 75,40 cad. e, dedotto il costo previsto per ogni Precisos, pari ad euro 38,00 (come contrattualmente pattuito – doc.

2) la avrebbe dovuto maturare un guadagno netto per ogni apparato di euro 37,40 (75,40-38,00), che moltiplicato per 2000 (l’intera fornitura prevista)

determina un mancato guadagno pari ad euro 74.800,00 oppure, se moltiplicato per Euro 1406 (i precisos già venduti al cliente finale), un mancato guadagno pari a Euro 52.584,40.

vi) in merito al risarcimento del danno relativo alle provvigioni pagate agli agenti che hanno venduto gli apparecchi agli utenti finali, l’odierna appellata e appellante incidentale riconosceva agli agenti l’importo di euro 5,00 per ogni apparato venduto;

vii) tenuto conto che gli apparati venduti sono 1406, ha versato ai propri agenti la somma di 7.030,00 euro, in relazione alla quale ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno;

viii) complessivamente, pertanto, il danno patrimoniale ammonta ad Euro 81.830,00 (di cui Euro 74.800,00 per mancato guadagno ed Euro 7.030,00 per provvigioni pagate).

LA CORTE RILEVA QUANTO SEGUE.

I) Si legge nella sentenza impugnata (pagg. 14 – 15):

«L’Impresa ha richiesto il risarcimento dei danni patiti, sia il danno emergente che il lucro cessante, derivanti Parte SEM con una perdita di guadagno per ogni apparato di € 37,40 (75,40-38,00) per un totale di € 74.800,00 considerando 2000 apparati e di € 52.584,40 considerandone 1406.

A tale somma, richiesta quale posta risarcitoria, secondo la tesi attorea, dovrebbero essere aggiunti € 5,00 per apparato riconosciuto a ciascun agente, nonché il danno da discredito commerciale.

… Come indicato dai testi aveva venduto circa 1500 apparati, con il riconoscimento agli agenti di 5 euro per ogni apparato venduto, come da piano provvigionale doc.

27 parte attrice , dipendente dell’attrice dal 2012 circa in qualità di impiegato ha dichiarato:

“sul cap. 13 sì è vero riconosceva agli agenti una commissione di euro 5 per ogni apparato venduto.

Il piano provvigionale doc. 27 di parte opponente che mi viene esibito è stato redatto da me unitamente ad altri colleghi della Direzione commerciale che si occupano di vendite… ha venduto circa 1500 apparati”;

, responsabile marketing di :

“è vero riconosceva agli agenti una provvigione di cinque euro per ogni apparato venduto.

Il piano provvigionale che mi viene esibito quale doc. 27 di parte opponente lo ho redatto io…a grandi linee sono stati venduti da circa 1500 apparati”).

Non può però ritenersi che le provvigioni corrisposte diano luogo ad un danno perché non risulta che nessuno degli utenti finali abbia richiesto la restituzione di quanto indebitamente versato per apparati consegnati viziati o non consegnati.

Parte opponente ha prodotto anche uno dei contratti sottoscritti in cui veniva indicato quale prezzo del singolo precisos quello di € 75,40 (doc. 29) e la lista dei contratti che sarebbero stati sottoscritti in numero di 1406 (doc. 30 con indicazione dei nominativi, numero serie, prodotto, indirizzo e numero agente).

Può quindi ritenersi che su ogni precisos il guadagno netto fosse dato dal suo costo praticato all’utente finale sottratto il costo vivo praticato da sottratta la provvigione corrisposta ad ogni agente e quindi:

di € 75,40 – 38,00 – 5,00= 32,40 euro.

Tale valore deve essere moltiplicato per il numero degli apparati pacificamente non venduti rispetto all’iniziale gruppo di 2000, ossia contratti indicati abbiano reclamato i precisos non consegnati o abbiano chiesto la restituzione delle somme da loro versate.

Non vi è quindi la prova di un danno diretto, anzi, al momento (ma ormai sono trascorsi diversi anni ed è verosimile che nessuno chiederà più niente) ha venduto dei beni senza averli neppure acquistati.

Dovrà invece considerarsi il certo mancato guadagno per gli apparecchi non venduti a causa della intervenuta risoluzione del contratto, pari ad € 32,40×594= 19.245,6 euro, somma che dovrà essere riconosciuta all’opponente a titolo di risarcimento dei danni, oltre rivalutazione ed interessi secondo i principi di cui alla sentenza Cass 1712/1995.

In definitiva dovranno essere versati all’opponente, a titolo di risarcimento, € 23.945,6 iva inclusa oltre rivalutazione ed interessi legali».

II)

Avuto riguardo alla circostanza che 1406 dispositivi sono stati venduti, dei quali risulta averne pagati a solo 132, per un corrispettivo di € 5.016,00, ne consegue che, in relazione ai 1.406 dispositivi venduti agli utenti, non si è verificato alcun danno, avendone anzi effettuato la vendita al prezzo di € 75,40, come evidenziato dal Tribunale.

III) Sempre in relazione alla vendita di 1406 dispositivi, non può essere riconosciuto alcun danno con riferimento alle provvigioni di € 5,00 pagate, proprio perché, come evidenziato nella sentenza impugnata, nessuna richiesta di restituzione risulta essere stata fatta dagli utenti finali quanto al prezzo pagato per i dispositivi.

IV)

A pag. 13 dell’atto di citazione introduttivo del primo grado la difesa di allegava che spettasse alla propria rappresentata “il risarcimento dei danni subiti e quindi” e in particolare:

senza specificare alcunché in merito al concreto contenuto delle pattuizioni V) In sostanza, l’attrice in opposizione non ha mai allegato, né in atti di citazione, né – come vedremo di seguito – negli atti successivi, quali fossero i termini delle pattuizioni relative alla vendita dei dispositivi, e conseguentemente la convenuta in opposizione a fronte della genericità delle allegazioni non era gravata dall’onere di una specifica contestazione (v. da ultimo Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 10629 del 19/04/2024, Rv. P_IVA – 01), essendosi dapprima, in comparsa di costituzione, limitata a contestare l’esistenza di un proprio inadempimento, il che escludeva a priori l’esistenza di un danno del quale potesse essere chiamata a rispondere nei confronti di , poi – a fronte delle produzioni avversarie effettuate in sede di memoria istruttoria ex art. 183 comma VI n. 2 c.p.c., tra le quali il doc. 29 cui si riferisce l’appellante incidentale – a far rilevare che controparte non aveva allegato alcunché al riguardo (come vedremo). VI) Infatti, si limitava, anche in sede di memoria ex art. 183 comma VI n. 2 c.p.c., ad effettuare alcune produzioni documentali e dedurre tre capitoli di prova così formulati:

«13.

Vero che riconosceva agli agenti, in relazione a ciascun apparato venduto, l’importo di Euro 5,00 come risulta dal Piano Provvigionale, che si mostra al teste (doc. 27).

14. Vero che il doc. 29 che si mostra al teste è il contratto di fornitura, con allegato il pacchetto “Preciso” fatto sottoscrivere agli utenti finali;

15.

Vero che vendeva agli utenti finali 1406 apparati come da elenco che si mostra al teste (doc. 30)» (pag. 4 memoria).

A fronte di alcune di tali produzioni, tra le quali i documenti menzionati nei capitoli così formulati e in particolare il doc. 29, la difesa di osservava:

“- con i doc.ti 26, 27, 28, 29 30 controparte produce rispettivamente presentazione slide del prodotto con funzionalità aggiuntive redatta su richiesta di , un piano provigionale per agente di commercio, una guida rapida di installazione, una proposta di fornitura energetica di FE a terzi e un elenco di nominativi.

Controparte non spiega e questa difesa non riesce neppure ad immaginarsi il senso di tali produzioni” (pag. 3 memoria ex art. 183 comma VI n. 3 c.p.c. VIII) Ugualmente a pag. 17 della comparsa conclusionale la difesa di affermava:

« aveva già venduto 1406 apparati SEM agli utenti finali, per un corrispettivo di Euro 75,40 cad.».

IX) Solo nella comparsa di costituzione nel presente grado a pag. 24 l’attuale appellante incidentale sostiene «… come risulta dal contratto di vendita dei Precisos agli utenti finali allegato sub doc. 29 “Per la vendita conclusa con il presente accordo verrà emessa fattura dell’intero importo alla consegna del materiale”.

non ha fatturato né incassato i corrispettivi per i 1406 Precisos non consegnati.

A conferma di quanto sopra, si richiama anche una delle prime lettere di contestazione dell’esponente, in cui si dà atto che:

“La aveva già venduto ai clienti ben 1.700 apparati che non ha potuto consegnare perdendo il relativo incasso mensile e sostenendo di contro costi e spese non preventivate anche per i propri agenti”

(doc. 10)».

X) Pertanto, le valutazioni del Tribunale appaiono coerenti con le risultanze processuali, avuto riguardo alla genericità delle allegazioni svolte dalla difesa di in primo grado, modificate in appello, in violazione del divieto di cui all’art. 345 c.p.c., e con le risultanze istruttorie.

Le generiche allegazioni contenute negli atti di primo grado non possono, infatti, essere integrate da elementi asseritamente desumibili dai documenti prodotti, contrariamente a ciò che essere desunta dall’esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l’onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi” (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 22055 del 22/09/2017, Rv. 646016 – 01). XI) Non può pertanto essere riconosciuto alcun danno ulteriore rispetto a quello già liquidato in primo grado.

Tanto premesso, ritenutane l’infondatezza, sia l’appello principale che l’appello incidentale devono essere rigettati.

Ai sensi dell’art. 92 c.p.c. stante la reciproca soccombenza, devono pertanto essere integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

La Corte di Appello Ogni diversa o contraria domanda, eccezione e deduzione disattesa e reietta, definitivamente pronunciando, 1) rigetta l’appello proposto da , avverso la sentenza n. 2559/2022 pronunciata inter partes in data 10-11/11/2022 dal Tribunale di Genova, in composizione monocratica;

rigetta l’appello incidentale proposto , confermando integralmente la sentenza appellata.

2) Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

3) Ai fini di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012 si dà atto dell’integrale rigetto dell’appello principale e dell’appello incidentale.

Genova, 05/11/2024 Il Presidente estensore Dott. NOME COGNOME

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