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Codice Civile
Codice Penale

Risoluzione del contratto di fornitura per vizi del bene venduto

La sentenza in esame affronta il tema della responsabilità del fornitore per i vizi del bene venduto e la conseguente risoluzione del contratto. Il Giudice, applicando i principi del Codice del Consumo e del Codice Civile, ha accertato l’inadempimento del fornitore e l’inutilizzabilità del bene a causa dei vizi riscontrati, sancendo la risoluzione del contratto e condannando il fornitore al pagamento delle spese processuali.

Pubblicato il 03 June 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Bologna SECONDA
SEZIONE R.G. 16095/2020 La Tribunale di Bologna, SECONDA SEZIONE, in persona del Giudice Onorario Dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N. 3274_2022_- N._R.G._00016095_2020 DEL_03_01_2023 PUBBLICATA_IL_21_12_2022

EX ART.
281 sexies C.P.C. nella causa civile tra (RAGIONE_SOCIALEF. ), assistito e difeso dall’Avv. attrice NOMECOGNOME, assistito e difeso dall’Avv. convenuta

CONCLUSIONI

Parte attrice:
come in atto di citazione in riassunzione Parte convenuta:
come in comparsa di risposta

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE come in atti rappresentata e difesa, ha convenuto in giudizio la sig.ra per ivi sentirla condannare al pagamento della somma di € 5.098,38 portata dalla fattura n. 79/2020 in C.F. alla fornitura e posa in opera di 3 box doccia presso l’immobile di proprietà della convenuta, completata nell

L’attrice lamenta il mancato pagamento della suddetta fornitura nonostante i solleciti e le infondate ed intempestive contestazioni circa vizi e difetti dei manufatti consegnati ed installati, pervenute solo dopo diverse settimane dall’installazione.

La convenuta si è tempestivamente costituita in giudizio chiedendo il rigetto della domanda avversaria ed avanzando domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento dell’attrice e di risarcimento danni.

La convenuta, infatti, afferma che i box doccia consegnati ed installati nell (tardivamente rispetto alla data di consegna pattuita di ) sono risultati difformi rispetto alle caratteristiche pattuite:
ante mobili incurvate e vetri rigati, mancata tenuta dell’acqua con copiose fuoriuscite tanto da rendere l’opera inutilizzabile.

A causa della presenza dei predetti difetti, la committente non avrebbe accettato l’opera e denunciato tempestivamente -a novembre 2018- le problematiche riscontrate; sarebbe intervenuta per tentare di risolvere il problema delle perdite d’acqua tra il mese di ed i primi mesi del 2019 senza alcun risultato positivo.

La convenuta, pertanto, invoca l’applicazione dell’art. 130 del Codice del Consumo, o in subordine gli artt. 1667-1668 c.c., per l’accertamento dell’inadempimento del fornitore– appaltatore e la conseguente risoluzione del contratto.

La difesa di parte attrice ha tempestivamente eccepito la tardività della denuncia dei vizi rispetto a quanto previsto dall’art. 1495 c.c. precisando come il contratto in questione debba inquadrarsi nella vendita di cose mobili, ma anche rispetto a quanto previsto dall’art. 1667 c.c. non essendo pervenuta dalla alcuna denuncia nel termine di sessanta giorni dalla scoperta dei pretesi vizi.

La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione della produzione documentale effettuata dalle parti e l’espletamento di CTU finalizzata a descrivere i manufatti forniti ed installati dall’attrice, la sussistenza dei vizi lamentati e la causa degli stessi, l’idoneità o meno all’uso proprio dei predetti manufatti nonché i costi necessari per l’eliminazione dei vizi eventualmente constatati;
con ordinanza , qui integralmente richiamata e confermata, sono state rigettate le istanze di prova orale dedotte dalla difesa della convenuta.

Letta la relazione del CTU, si rileva quanto segue:

-i manufatti di cui si discute sono stati realizzati “su misura” in base alle esigenze della committente ed allo stato dei luoghi;
il tutto come da preventivo di spesa in atti (doc. 2 del fascicolo attoreo e 4 del fascicolo di parte convenuta);
-sono stati riscontrati problemi di mancata tenuta dell’acqua e non verticalità delle ante dei box doccia;
-ciò rendere assolutamente inutilizzabili i predetti box e necessaria la loro completa sostituzione (per la quale non sarebbe possibile determinare una spesa trattandosi di manufatti da eseguirsi su misura) o, in ipotesi, la sostituzione di cerniere ed ante (senza totale demolizione dei manufatti) con una spesa stimata di € 3.300,00 (soluzione proposta “in extremis” dal consulente di parte attrice e ripresa dal CTU).

Il CTU riferisce che nel corso delle operazioni peritali sono stati effettuati diversi tentativi di risoluzione dei problemi di tenuta dell’acqua, anche incaricando soggetti terzi, purtroppo senza alcun risultato positivo.
luce dell’accertamento peritale, dunque, è emersa chiaramente la sussistenza dei vizi lamentati dalla convenuta che rendono l’opera, allo stato, assolutamente inutilizzabile.

Anche l’intervento da ultimo proposto dal consulente di parte, peraltro solo al termine delle operazioni peritali e non in contraddittorio, conferma l’esistenza del vizio che comporta l’inidoneità all’uso dei manufatti.

Circa la risolutività di tale intervento, che in ogni caso non esclude l’inadempimento dell’attrice rispetto al contratto di fornitura e posa in opera di cui si discute, vale la pena evidenziare che la stessa attrice nel corso delle operazioni peritali non è stata in grado di porre rimedio al problema della tenuta all’acqua;
neppure è stata in grado di porre rimedio al vizio la ditta incaricata di comune di accordo dalle parti che, anzi, ha escluso la possibilità di trovare fornitori dei materiali da sostituire per evitare completa demolizione dell’opera.

Tali considerazioni confermano che i box doccia forniti ed installati dall’attrice non corrispondono alle caratteristiche contrattualmente pattuite e risultano inidonei all’uso.

Quanto alla tempestività della denuncia dei vizi, non vi è contestazione (anzi è confermato) sul fatto che l’attrice ha riconosciuto l’esistenza di problemi di tenuta all’acqua dei box doccia ed è intervenuta per cercare di porvi rimedio, anche se imputata tale vizio “alle particolari richieste della convenuta”.

Data la natura delle parti contraenti, la controversia può essere correttamente definita facendo ricorso all’art. 130 del Codice del Consumo in base al quale, in caso di “difetto di conformità” del bene, esistente al momento della consegna, il consumatore ha diritto, in sequenza, a:
a) ripristino senza spese mediante riparazione o sostituzione;
b) riduzione del prezzo;
c) risoluzione del contratto.

Nel caso di specie, considerato che i tentativi di eliminazione del vizio (difetto di conformità con riferimento alla tenuta all’acqua che per un box doccia è qualità essenziale per l’utilizzabilità del bene) non hanno avuto buon esito e che alcuna riduzione di prezzo può essere soddisfacente stante l’inutilizzabilità dei manufatti, appare fondata la domanda di risoluzione del contratto.

Allo stesso risultato si perviene anche facendo applicazione degli artt. 1453 c.c. risoluzione del contratto per inadempimento e 1495 c.c. tempestività della denuncia del vizio ritenuta in base al riconoscimento da parte del fornitore.

Volendo valorizzare la circostanza che i box doccia di cui si discute sono stati forniti ed installati “su misura” per la particolare configurazione dei luoghi, come da preventivo, e quindi inquadrare la fattispecie come contratto d’appalto, trovano applicazione gli artt. 1667 e 1668 c.c.:

accerta la tempestività della denuncia/riconoscimento dei vizi per quanto detto sopra, il committente ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto nel caso in cui i vizi siano tali da rendere l’opera assolutamente inutilizzabile.

L’accertato inadempimento del fornitore fa venir meno il suo diritto al pagamento del prezzo concordato per la fornitura del bene e l’installazione dello stesso a regola d’arte.

Né può essere accolta la domanda subordinata svolta dall’attrice avente ad oggetto la condanna della convenuta al pagamento di una somma pari alla differenza tra il prezzo contrattualmente pattuito e l’ammontare della spesa prevista per l’eliminazione dei vizi:
innanzitutto, per quanto detto sopra, non è provato che l’esecuzione degli interventi proposti dal consulente di parte attrice e fatti propri dal CTU (senza prove empiriche) possa essere risolutiva del problema della tenuta all’acqua anche in considerazione dei precedenti tentativi non andati a buon fine;
inoltre, l’ammontare delle possibili riparazioni, se si tiene conto anche degli inevitabili disagi conseguenti agli interventi stessi, copre quasi interamente il preteso credito.

Dichiarata, dunque, la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attrice, va rigettata l’ulteriore domanda di risarcimento danni formulata dalla convenuta non essendo stati documentati né allegati in punto di an ulteriori danni come riportati nella relazione del perito di parte doc. 5 del fascicolo di parte convenuta.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo secondo i parametri aggiornati di cui al D.M- 55/2014, tenuto conto dell’attiva processuale effettivamente svolta e del valore della lite;
alla convenuta dovrà inoltre essere rimborsato quanto corrisposto al CTU.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza da ritenersi assorbita e/o rigettata:
-rigetta la domanda attorea;
-in accoglimento della domanda riconvenzionale dichiara la risoluzione del contratto dedotto in atti per inadempimento dell’attrice;
-condanna l’attrice alla refusione in favore della convenuta della quota delle spese di CTU da quest’ultima sostenute nonché delle spese di lite che liquida in € 2.500,00 per compensi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Bologna Il Giudice Onorario Dott.ssa NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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Carmine Paul Alexander TEDESCO - Avvocato
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