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Codice Penale

Risoluzione del contratto per violazione obblighi informativi

La sentenza conferma il principio che la violazione degli obblighi informativi e di adeguatezza da parte dell’intermediario finanziario può comportare la risoluzione del contratto e il diritto alla restituzione delle somme investite, al netto di quelle di cui si dimostri l’avvenuta vendita e la mancata dimostrazione del danno subito.

Pubblicato il 07 December 2024 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Corte di Appello di Genova Sezione Prima Civile R.G. 197/2022 La Corte D’Appello di Genova, Prima Sezione Civile, in persona dei magistrati:

NOME COGNOME Presidente NOME COGNOME Consigliere NOME COGNOME Consigliere relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._1373_2024_- N._R.G._00000197_2022 DEL_14_11_2024 PUBBLICATA_IL_15_11_2024

Oggetto: RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE – Contratti di Borsa nel procedimento iscritto al n. 197 /2022 promosso da:

(P. IVA ) in persona del suo rappresentante, con sede in INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME NOME (C.F. – PEC renato.

del Foro di con domicilio eletto in INDIRIZZO per procura allegata all’atto di appello appellante contro (C.F. ), nata a in data 29/10/1964 e (C.F. ), nata a Parodi Ligure (AL) in data 30/04/1938, entrambe residenti in INDIRIZZO Ovada (AL), rappresentate e difese dall’Avvocato COGNOME COGNOME COGNOME (C.F. PEC del Foro di Milano, con domicilio eletto in INDIRIZZO, giusta procura in atti appellate * * * Udienza collegiale di precisazione delle conclusioni del 24/04/2024 nelle forme della trattazione scritta. C.F. C.F. C.F. C.F. DELLE PARTI

-parte appellante ha rassegnato le seguenti conclusioni:

“Piaccia alla Corte Ecc.ma, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione reietta, in riforma della sentenza del Tribunale di Genova n. 206 pubblicata il 28/1/22, inter partes, in accoglimento delle ragioni ed eccezioni di cui all’atto di appello, previa declaratoria di inammissibilità di eventuali domande e/o eccezioni e/o istanze anche istruttorie, nuove e/o tardive e/o modifiche del thema decidendum formulate ex adverso su cui non si accetta alcun contraddittorio:

– dichiarare inammissibili (anche per decadenza e/o prescrizione), improponibili e comunque respingere le domande tutte e le istanze istruttorie delle attrici, con la completa assolutoria della ora quale incorporante la predetta per atto di fusione in data 24/11/22 a rogito Notaio di Modena rep. n. 49963 racc. n. 15043, e con la condanna delle Sigg.re , il solido fra loro, a restituire a ora le somme versate (spese legali per € 26.677,96 di cui ai documenti prodotti sub. n. 25) nonché le ulteriori somme eventualmente introitate in virtù dell’esecuzione della sentenza di primo grado oltre rivalutazione ed interessi sulla somma rivalutata anno per anno e ciò anche ex art. 1224 II comma; – ordinare la cancellazione ex art. 89 c.p.c. delle seguenti frasi sconvenienti e/o offensive usate dalla difesa avversaria nell’atto di citazione:

– “sarebbe pacifico che la Banca avrebbe agito in malafede e con sfacciata aggressività su entrambi i fronti:

i) quello della raccolta di investimenti;

e ii) quello degli impieghi, con scellerate operazioni finanziarie che hanno minato alle fondamenta la solidità d’un istituto di credito a danno di soci e risparmiatori.

-“In merito alla conduzione dell’azienda bancaria – a dir poco disastrosa – rileviamo che le scelte manageriali (improntate ad agevolare finanziariamente “amici” e “furbetti” a danno della solidità dell’istituto di credito) sono alla ribalta delle cronache nazionali e internazionali.

Ovvia conseguenza è stata il crollo del valore di mercato delle azioni, secondo un copione cui gli istituti di del proprio titolo sul mercato, inducendo con l’inganno le attrici”;

– “con sistematici acquisti di azioni “spazzatura”.

Vinte le spese e gli onorari di causa di primo e secondo grado oltre Spese Generali 15%, IVA e CPA.

Riservato ogni altro diritto ed azione.

” * * * -parti appellate hanno rassegnato le seguenti conclusioni:

“A. Confermare la sentenza appellata del Tribunale di Genova Sentenza n. 206/2022 pubbl.

il 28/01/2022, RG n. 9581/2019, Repertorio n. 205/2022 del 28/01/2022, dichiarando il grave inadempimento per totale carenza di informativa circa il conflitto di interesse esistente e quindi la risoluzione dei contratti di acquisto dei titoli svolti dalla stessa appellante a danno delle parti appellate relativamente ai punti 1-3-4 delle motivazioni di sentenza.

Per l’effetto e in accoglimento della domanda restitutoria di parte attrice, parte convenuta deve essere condannata al pagamento delle seguenti somme:

€ 269.525,61 per operazioni sub 1, € 55.800 per le operazioni sub 3, € 40.071,48 per le operazioni sub 4, pari a totali € 365.397,09 oltre interessi.

B. Confermare la sentenza appellata del Tribunale di Genova Sentenza n. 206/2022 pubbl. il 28/01/2022, RG n. 9581/2019, Repertorio n. 205/2022 del 28/01/2022, relativamente al punto 2 delle motivazioni della stessa sentenza con conseguente condanna al risarcimento del danno in misura pari alla perdita subita, pari a € 62.669,25 oltre interessi.

Condannare parte appellata alle spese di lite da distrarsi in favore dell’Avv. NOME COGNOME antistatario.

” * * * DI FATTO E DI DIRITTO DELLA

DECISIONE 1.

Sui fatti di causa e sul giudizio di primo grado.

Le attrici evocavano in giudizio e nei propri atti allegavano:

che in data 16/06/2020 avevano aperto un conto corrente cointestato presso la filiale di che avevano contattato l’Istituto di Credito presso cui le stesse erano correntiste affinché le supportasse in una complessa operazione finanziaria composta da tre compravendite (due cessioni ed un acquisto);

che “dal progetto iniziale consistente nella cessione di due immobili (quello di INDIRIZZO e quello di INDIRIZZO) per acquistarne un terzo più grande da pagare con il ricavato delle due cessioni, la consigliò di vendere il solo Immobile di INDIRIZZO e di utilizzare il ricavato di quella cessione quale “anticipo” per l’acquisto dell’Immobile di Cogoleto, pagando il residuo per mezzo di un mutuo che avrebbe erogato stessa.

(cfr. pag. 3 atto introduttivo);

che, per il rimborso del mutuo, la aveva consigliato di vendere l’immobile di INDIRIZZO e conferire il ricavato in un deposito amministrato presso il medesimo istituto di credito che lo avrebbe fatto fruttare tramite investimenti azionari;

che le complicate ed articolate operazioni finanziarie consigliate da erano state condotte in violazione di obblighi informativi e in conflitto di interessi risultando poco trasparenti e fallimentari, tali da creare nocumento alle attrici.

Parti attrici rassegnavano le proprie conclusioni chiedendo che fosse dichiarata la nullità delle operazioni di investimento o la risoluzione per grave inadempimento con condanna della alla restituzione in loro favore della somma pari ad 553.161,53 euro per violazione nell’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria della normativa di settore.

* * * Si costituiva nei propri atti allegava:

-che, con riferimento alle operazioni di vendita delle azioni del 6/02/2009, 9/02/2009 e 10/02/2009 (che avevano registrato perdite per 119.859,30 euro, di cui parte attrice chiedeva il risarcimento del danno), era maturata la prescrizione;

-che le operazioni di vendita dal 6 al 10/02/2009 erano state effettuate direttamente via -che, parimenti, anche le operazioni di acquisto del 17-18-22/12/2009, così come le successive, erano state effettuate direttamente via internet da -che, in ragione di ciò, non poteva addebitarsi alla banca alcuna responsabilità;

-che alcune espressioni utilizzate nell’atto di citazione dalle attrici erano risultate sconvenienti ed offensive.

Parte convenuta rassegnava le proprie conclusioni chiedendo la declaratoria di inammissibilità per prescrizione e/o decadenza delle domande attrici, il loro rigetto nel merito e la cancellazione ex art. 89 c.p.c. delle affermazioni ritenute offensive.

* * * Il Giudice di primo grado istruiva il giudizio, disponendo CTU.

Il Tribunale di Genova emetteva, quindi, la sentenza n. 206/2022, pubblicata in data 28/01/2022 con la quale accoglievain parte, la domanda delle attrici, dichiarava la prescrizione di alcune operazioni, dichiarava la risoluzione per inadempimento di altre operazioni di acquisto e condannava la alla restituzione delle somme di 365.397,09 euro e di 62.669,25 euro, oltre interessi.

* * * 2. Sull’oggetto dell’impugnazione.

proponeva appello e lamentava:

1. l’errore della decisione impugnata nella parte in cui il Tribunale di Genova aveva richiamato le conclusioni delle attrici, come formulate nell’atto di citazione, “quando, per contro, le medesime attrici avevano, con memoria ex art. 183, c.6°, n. 1, c.p.c, ictu oculi rinunciato parzialmente alle proprie domande di cui all’atto introduttivo” (cfr. pag. 18 atto di appello);

2. l’errore della sentenza impugnata per aver il Giudice di prime cure fondato la propria decisione in applicazione della delibera CONSOB n. 11522 del 1/7/1998 non più applicabile, dovendo, piuttosto, far riferimento al Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, che “ha introdotto importanti modifiche che, in ogni caso, fanno venir meno il fondamento della sentenza impugnata” (cfr. pag. 21 atto di appello);

3. l’errore della motivazione nella parte in cui il Tribunale di Genova, nel pronunciare controversia con conseguente reiezione delle domande e pretese avversarie (“…prima di potersi pronunziare su qualsivoglia asserita risoluzione delle operazioni di investimento per cui è causa avrebbe dovuto, cosa che pacificamente non ha fatto, verificare se le AZIONI per cui è causa erano ancora nella TITOLARITÀ delle attrici ed queste ultime avrebbero dovuto fornirne la prova, incombendo esclusivamente su di esse il relativo onere…”) (cfr. pag. 24 atto di appello) ;

4. l’errore commesso dal Giudice di prime cure nella parte in cui la domanda principale delle attrici afferiva alla richiesta declaratoria di nullità degli acquisti, mentre, secondo l’appellante, il Giudice avrebbe affermato l’inadempimento della con conseguente risoluzione del rapporto contrattuale;

5. l’omesso accoglimento della richiesta di cancellazione ex art. 89 c.p.c. di alcune frasi ritenute sconvenienti e/o offensive.

L’appellante chiedeva quindi la totale riforma della sentenza impugnata in accoglimento del proprio gravame.

* * * Si costituivano le parti appellate e contestavano nel merito le diverse censure di controparte.

Le parti appellate evidenziavano che il terzo motivo d’appello, relativo alla verifica della titolarità delle azioni, era stato formulato per la prima volta solo in sede di impugnazione, risultando inammissibile.

nel merito, domandavano l’integrale conferma della sentenza impugnata con condanna di parte appellante al pagamento delle spese processuali.

* * * La Corte provvedeva sull’istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza formulata dall’appellante, che accoglieva.

La causa era fissata per la precisazione delle conclusioni ed era poi rimessa sul ruolo per i medesimi incombenti, attesa la nomina del Presidente del Collegio a componente della Commissione esaminatrice al Concorso per Magistrato Ordinario indetto con D.M. 9/10/2023.

La causa era quindi trattenuta in decisone immediata.

* * * .

Sulla prima censura di appello.

Parte appellante, con la prima censura, lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Giudice di prime cure ha affermato “Va presa dunque in esame la domanda principale come formulata in sede di precisazione delle conclusioni”, che avrebbe determinato, da un lato, una pronuncia su una domanda in parte rinunciata in sede di memorie ex articolo 183, comma sesto, n. 1 e, dall’altro, una compressione delle difese svolte dall’Istituto di Credito in riferimento a conclusioni diverse.

L’appellante sostiene, inoltre, che la sentenza sarebbe viziata giacché le appellate non avrebbero fornito prova delle condotte ascritte a La censura è infondata.

Invero, con la memoria ex art. 183, comma sesto, c.p.c. la parte può precisare o modificare le domande già proposte (Cass. 30745/2019), ma ciò non comporta la rinuncia ad alcuna domanda precedentemente formulata.

Invero, il Supremo Collegio ha chiarito che “affinché una domanda possa ritenersi abbandonata, non è sufficiente che essa non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi avere riguardo alla condotta processuale complessiva della parte antecedente a tale momento, senza che assuma invece rilevanza il contenuto delle comparse conclusionali” (Cass. S.U. 1785/2018).

Risulta dall’esame degli atti di primo grado di parte attrice oggi appellata e delle difese ivi contenute che mai vi è stata alcuna rinuncia ad alcuna domanda come sostenuto dall’odierna appellante.

inoltre, nel precisare le conclusioni hanno richiamato tutte le domande già formulate con l’atto introduttivo.

ha quindi avuto da sempre contezza delle domande e delle difese delle odierne appellate e ha sempre potuto formulare ogni più opportuna difesa, sia nel corso del giudizio, sia con le comparse conclusionali e con le note di replica.

Quanto alla carenza probatoria lamentata da è sufficiente ricordare che a norma dell’art. 23 TUF l’onere della prova in ordine all’adempimento dell’obblighi posti dalla legge a carico dell’intermediario finanziario in materia di informazione del cliente, adeguatezza dell’operazione e conflitto di interessi grava su finanziaria, la disciplina dettata dall’articolo 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, in armonia con la regola generale stabilita dall’articolo 1218 c.c. , impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute” (Cass. 10111/2018).

Il Supremo Collegio, in relazione a situazioni di conflitto di interessi, ha, poi, precisato che “in tema di intermediazione finanziaria, l’art. 23, comma 3, Regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob del 29 ottobre 2007, non ha abdicato al principio “disclose or abstain”, posto alla base della previgente disciplina del conflitto di interesse, risultante dall’art. 27 Regolamento Consob n. 11522 del 1998, poiché le nuove disposizioni, pur essendo finalizzate a prevenire le situazioni di conflitto, prevedono che, ove queste ultime comunque si presentino, l’intermediario sia tenuto ad informare chiaramente il cliente prima di agire per suo conto, mettendolo nella condizione di assumere decisioni consapevoli, che non possono non essere espressione di un assenso, anche solo tacito, all’esecuzione dell’operazione in conflitto” (Cass. 20251/2021). Grava, quindi, su l’onere di provare l’adempimento degli obblighi in materia di informazione del cliente investitore, di adeguatezza dell’operazione e di puntuale comunicazione dell’esistenza di un conflitto di interessi (art. 21 TUF).

Va quindi rigetta la prima doglianza dell’appellante.

* * * .

Sulla seconda censura di appello.

Parte appellante con la seconda censura si duole della decisione del Tribunale di Genova nella parte in cui:

non avrebbe applicato il Regolamento Consob n. 16190 del 29/10/2007 in relazione agli obblighi informativi;

non avrebbe valutato il contenuto del documento 17 prodotto da e non avrebbe considerato adeguatamente le modalità di esecuzione delle operazioni oggetto di causa (tutte effettuate da terminali della banca verosimilmente alla presenza delle attrici e di un funzionario dell’istituto di credito).

La censura è infondata.

Le parti appellate, attrici in primo grado, hanno denunciato la violazione degli obblighi prescritti all’intermediario finanziario e tale violazione è stata accertata dal Tribunale di Genova che ha affermato “A prescindere da ogni valutazione di adeguatezza (o meglio appropriatezza atteso che si tratta di operazioni poste in essere nella vigenza del Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, in assenza di un rapporto di consulenza o gestione portafoglio), va osservato che le allegazioni di parte convenuta non superano gli addebiti mossi da parte attrice in merito all’inosservanza di obblighi informativi e violazione di divieto di agire in conflitto di interessi. ” (cfr. pag. 9 sentenza impugnata).

Il Giudice di prime cure ha ampiamente motivato la propria decisione sulla scorta delle allegazioni delle attrici oggi appellate e in relazione a tutta la normativa di settore, con specifico riferimento alle prescrizioni relative alle informazioni sulla natura dei rischi delle operazioni e sulle possibili perdite, alla valutazione sull’adeguatezza delle singole operazioni disposte dagli investitori e alla evidente presenza di conflitto di interessi, dato che le transazioni avevano oggetto azioni Risulta, inoltre, che il Tribunale di Genova ha espressamente richiamato proprio l’applicabilità del Regolamento Consob n. 16190 del 29/10/2007 sostenendo che “in relazione al conflitto di interesse va ricordato che, come ritenuto dalla Suprema Corte, “in tema di intermediazione finanziaria, l’art. 23, comma 3, Regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob del 29 ottobre 2007, nel testo applicabile “ratione temporis”, non ha abdicato al principio “disclose or abstain”, posto alla base della previgente 1998, poiché le nuove disposizioni, pur essendo finalizzate a prevenire le situazioni di conflitto, prevedono che, ove queste ultime comunque si presentino, l’intermediario sia tenuto ad informare chiaramente il cliente prima di agire per suo conto, mettendolo nella condizione di assumere decisioni consapevoli, che non possono non essere espressione di un assenso, anche solo tacito, all’esecuzione dell’operazione in conflitto. ” (Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 20251 del 15/07/2021” (cfr. pagg. 11 e 12 sentenza impugnata).

Il Tribunale di Genova ha quindi correttamente applicato la normativa di settore vigente richiamando anche le pronunce emesse in merito dal Supremo Collegio.

La Corte di Cassazione, quanto agli obblighi in materia di adeguatezza, ha precisato che “l’intermediario deve accertarsi che la nominata operazione corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente, sia di natura tale che il cliente risulti finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento e sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio” (Cass. 14208/2022). a fronte delle difese e dei documenti versati in atti dalle appellate, non ha dimostrato di aver rispettato i doveri di informativa e gli obblighi sulla stessa gravanti, risultando del tutto irrilevante il contenuto del documento 17 avente ad oggetto le “Condizioni di deposito e amministrazione strumenti finanziari”, che nulla indica quanto alla concreta attuazione dei doveri di informazione come sopra evidenziati e alla comunicazione del conflitto di interessi.

Invero l’intermediario è gravato da uno specifico onere di diligenza, correttezza e professionalità cui consegue il dovere di informativa nei confronti del cliente investitore, sia prima della stipula del “contratto quadro”, profilando anche l’investitore, sia dopo la stipula di tale contratto, in relazione a ogni singolo investimento effettuato, sia nel corso del rapporto, aggiornando costantemente il cliente sull’andamento dell’investimento.

Il Supremo Collegio ha chiarito che “in tema di intermediazione nella vendita di strumenti finanziari, gli obblighi di comportamento sanciti dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 sia nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro (come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (è il caso dell’obbligo d’informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione, di astenersi dal porre in esecuzione operazioni inadeguate e di quelli che sono correlati alle situazioni di conflitto di interessi). Tutti i descritti obblighi, finalizzati al rispetto della clausola generale che impone all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente, assumono rilevanza per effetto dei singoli ordini di investimento, che costituiscono negozi autonomi rispetto al contratto quadro originariamente stipulato dall’investitore” (Cass. 20617/2017).

Quanto poi alla modalità di esecuzione delle operazioni oggetto di causa, la circostanza che siano state tutte effettuate da terminali della banca verosimilmente alla presenza delle attrici e di un funzionario dell’istituto di credito (come si ricava in modo chiaro dalla CTU) non fornisce alcun elemento utile a dimostrare che “l’investitore, debitamente notiziato della conflittualità dell’operazione, non si opponga ad essa e ne autorizzi così tacitamente la conclusione” (Cass. 20251/2021).

Sono agli atti gli estratti del conto corrente, gli estratti conto relativi al deposito titoli a custodia con allegato l’elenco delle operazioni anche effettuate via internet, le contabili inviate alla cliente e ha prodotto i tabulati con tutti i LOG degli accessi via internet con relativo indirizzo IP e la descrizione delle operazioni ma non ha dedotto alcun capitolo di prova teso a dimostrare l’assoluzione dell’obbligo da parte del funzionario della banca proposto al servizio.

Risulta, in sostanza, che ha messo a disposizione i propri terminali e, attesa la complessità del sistema informatico (a fronte del livello di conoscenza delle attrici), un funzionario per permettere l’esecuzione delle operazioni, senza tuttavia dimostrare di aver fornito tutte le necessarie informazioni al cliente sulla natura degli investimenti e sull’esistenza del conflitto di interessi.

Corte di Cassazione ha precisato che “in tema di intermediazione finanziaria, ai fini dell’applicazione della disciplina prevista per la prestazione del servizio di mera esecuzione (execution only) e del conseguente esonero dell’intermediario dagli obblighi informativi previsti dalla disciplina generale, è necessario che questi fornisca la prova, concreta e specifica 1) che il servizio (di mera esecuzione) prestato in favore del cliente in occasione del (singolo e specifico) ordine di investimento concretamente dedotto sia stato effettivamente assunto su iniziativa di quest’ultimo, 2) che il potenziale cliente sia stato chiaramente informato che, nel prestare tale servizio (di mera esecuzione), l’intermediario non è tenuto a valutare l’appropriatezza dell’investimento e che, dunque, l’investitore non beneficia della protezione offerta dalle norme generali che lo riguardano, 3) che l’intermediario abbia agito nel rispetto degli obblighi previsti dalla legge in materia di conflitti di interesse; in relazione al primo presupposto, peraltro, la sola provenienza dell’ordine dal cliente è del tutto insufficiente ad attestare l’effettiva e incontroversa riconducibilità al cliente dell’iniziativa riferita allo specifico ordine di investimento dedotto in giudizio” (Cass. 31712/2023).

come detto, non ha fornito alcuna prova utile a dimostrare l’adempimento agli obblighi sulla stessa gravanti nei termini indicati.

La doglianza di parte appellante è, quindi, infondata e va rigettata.

* * * 5. Sulla terza e quarta censura di appello.

La terza e la quarta censura vanno trattate congiuntamente perché relative alle domande di nullità e risoluzione formulate e ai conseguenti effetti restitutori.

con la terza censura, lamenta la decisione del Tribunale di Genova nella parte in cui ha pronunciato la risoluzione del contratto intercorso tra le parti senza verificare se le azioni oggetto di causa fossero ancora nella titolarità delle attrici e potessero, quindi, essere in astratto restituite (pur in mancanza di una domanda in tal senso).

Parte appellata ha eccepito la novità della difesa per non essere mai stata formulata nel corso del giudizio di primo grado.

con la quarta censura, lamenta l’errore commesso dal principale delle attrici afferiva alla richiesta declaratoria di nullità degli acquisiti, con conseguenti obblighi restitutori.

La quarta censura è infondata.

Invero, quanto alla richiesta declaratoria di nullità, si osserva che, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, cui la parte appellante non ha fornito alcun idoneo motivo per discostarsene, la violazione degli obblighi informativi non determina alcuna nullità, atteso il principio della tassatività di tali fattispecie.

L’unica ipotesi di nullità astrattamente configurabile potrebbe riguardare l’omesso rispetto della forma scritta nella conclusione dei contratti ai sensi dell’articolo 23 TUF, come ricordato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia 9331/2024 (“in tema di intermediazione finanziaria, il contratto-quadro sottoscritto da uno solo dei due investitori è nullo per difetto di forma, ai sensi dell’art. 23 T.U.F. …”).

Va, quindi, rigettata la quarta censura.

La terza censura, relativa agli effetti della pronunciata risoluzione, è, invece, parzialmente fondata.

Risulta dall’esame della comparsa di costituzione di primo grado che ha sollevato tale questione in relazione alle 143.850 azioni acquistate tra il 17/12/2009 e il 22/12/2009.

Infatti, l’appellante, convenuta in primo grado, ha lamentato che “i predetti titoli come risulta dalla richiesta sottoscritto dalla Sig.ra e dalla Sig.ra in data 4/3/2010 e relativi allegati (ns. produz n. 6) non sono stati venduti bensì trasferiti sul deposito titoli n. 40141728 acceso presso *** Banca S.p.A. ed intestato alle predette Sigg.re ” (cfr. pag. 15 comparsa di costituzione e risposta di primo grado) Invero, la pronuncia della risoluzione, conseguente al grave inadempimento connesso alla violazione degli obblighi informativi, comporta, in presenza di un danno, la restituzione delle somme investite, da un lato, e dei titoli acquistati, dall’altro.

La Corte di Cassazione ha affermato che “quando sia dichiarata la risoluzione del contratto d’investimento in valori mobiliari, si ingenerano tra le parti reciproci obblighi restitutori, dovendo l’intermediario restituire l’intero capitale investito, mentre l’investitore è obbligato alla restituzione del valore delle cedole corrisposte e dei titoli , ove ne ricorrano i presupposti, possono compensarsi legalmente, ai sensi dell’art. 1243 c.c.” (Cass. 2661/2019, conforme Cass. Ord. 6153/2023).

Quanto poi all’esistenza del danno il riscontrato inadempimento della banca agli obblighi di adeguata informazione “ingenera una presunzione legale di sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento e il danno patito dall’investitore suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario” (Cass. Ord. 19322/2023).

Il Tribunale di Genova si è posto il problema per tutte e quattro le operazioni;

ha pronunciato la risoluzione per quelle n. 1, 3 e 4 (in relazione alle quali le azioni non risultavano essere state vendute);

ha ritenuto sussistente solo il danno da perdita per l’operazione n. 2 perché le relative azioni erano state vendute.

I documenti versati in atti da n relazione agli investimenti 3 e 4 non sono utili a provare la vendita delle azioni, né che le appellanti non ne siano più titolari.

Risulta, invece, dimostrato dagli estratti conto prodotti che effettivamente le 143.850 azioni acquistate tra il 12/12/2009 e il 22/12/2009 non sono mai state vendute, per essere state per certo trasferite su un conto di Banca *** s.p.a. intestato a L’assenza di prova quanto alla vendita delle azioni per le operazioni 3 e 4 comporta il rigetto della quarta censura di appello, quanto a tali investimenti, mentre il fatto che le azioni dell’operazione n. 1 sono state trasferire su un conto aperto presso Banca *** s.p.a. ha quale conseguenza che non risulta provata la deduzione dell’atto di citazione in primo grado e la relativa domanda formulate nei seguenti termini: “Nel dicembre 2009 vennero acquistati, ancora una volta senza che la sig.ra avesse impartito alcuna istruzione sul punto, ben 143.850 azioni impiegando complessivamente Euro 269.525,61 (doc. 19, doc. 4, pag. 148), ed in particolare:

data acquisto n. tot.

Azioni Prezzo pagato Prezzo unitario 17/12/2009 44.835 € 84.005,76 € 1,87 18/12/2009 20.961 € 39.276,55 € 1,87 22/12/2009 78.054 € 146.243,30 € 1,87 TOTALE 143.850 € 269.525,61 MEDIA € 1,87

Ebbene, quelle azioni sono state vendute in data 06.04.2010 così come emerge dai della vendita non è mai stato accreditato sul conto corrente delle attrici:

ciò trova riscontro nell’estratto di conto corrente al 30.06.2010 (doc. 4, pag. 165) ove in corrispondenza del giorno 06.04.2010 non risulta alcun accredito!

Dato che il prezzo unitario del titolo ad aprile 2010 era di Euro 1,91 ad azione, così come emerge per tabulas nell’estratto del deposito titoli al 30.04.2010, si domanda la condanna della all’accredito sul conto corrente delle attrici della somma di Euro 274.753,50 sino ad oggi mai percetta, a titoli di corrispettivo per la vendita 143.850 azioni ad prezzo unitario di Euro 1,91, oltre interessi e rivalutazione” (cfr. pagg. 14 e 15 atto di citazione in primo grado).

Risulta provato il trasferimento delle 143.850 azioni per un controvalore di 274.753,50 euro su un conto intestato a (cfr. doc. 6 , motivo per cui costoro non hanno dimostrato di aver subito il danno come richiesto, né sotto il profilo del mancato accredito del controvalore, né quanto alle eventuali perdite, giacché non è dato sapere come siano state impiegate quelle azioni.

La domanda risarcitoria relativa alle 143.850 azioni va, quindi, respinta, in quanto è provata l’interruzione del nesso di causalità avendo la parte disposto dei titoli e non avendo provato il danno maturato tra l’acquisto ed il trasferimento ad altro istituto.

Deve essere, quindi, riformata la decisione del Tribunale relativamente al quantum del risarcimento, espungendo dall’importo riconosciuto, pari a 365.397,09 euro, la somma di 269.525,61.

in parziale riforma della sentenza impugnata, va, quindi, condannata a restituire a somma di 95.871,48 euro oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo (come stabilito dal Giudice di prime cure, che ha qualificato la domanda come ripetizione di indebito oggettivo, richiamando la pronuncia n. 3912/2018 della Corte di Cassazione).

* * * 6. Sulla quinta censura relativa alla cancellazione ex art. 89 c.p.c. di alcune frasi ritenute sconvenienti e/o offensive.

Parte appellante ha chiesto anche in sede di gravame la cancellazione ex art. 89 c.p.c. di alcune frasi contenute nell’atto di citazione in primo grado e ritenute dalla stessa Corte rileva che il Tribunale di Genova non si è pronunciato sul punto.

Le appellate sostengono di essersi limitate a riportare le espressioni relative alle vicende che hanno coinvolto come riportate dai principali quotidiani nazionali.

La Corte ritiene che le espressioni impiegate dalle attrici, collocate nel contesto di cui si discute, e utilizzate richiamando le “cronache nazionali e internazionali”, non risultano né sconvenienti né offensive.

Le attrici hanno fatto riferimento ad operazioni svolte “in malafede” (termine che ha una valenza anche giuridica) e alla “sfacciata aggressività” della raccolta degli investimenti, carattere tipico del mercato finanziario.

Le operazioni finanziarie sono state definite “scellerate”, termine che indica un fine non chiaro e trasparente, e, invero, è emerso che le operazioni siano state concluse in una situazione di conflitto di interessi.

Le scelte dei dirigenti di nel contesto di cui si discute, sono state indicate come “disastrose”, aggettivo che non risulta né sconveniente né offensivo.

I titoli acquistati sono stati indicati come azioni “spazzatura”, vocabolo comunque impiegato nell’ambiente della finanza per indicare operazioni ad altissimo rischio.

Infine, le attrici hanno affermato di essere state “indotte con l’inganno” ad acquistare dei titoli, termine che non è sconveniente o offensivo e illustra la prospettazione della parte e quanto dalla stessa percepito.

Tutte le espressioni impiegate sono poi state utilizzate con riferimento all’oggetto della causa, risultando, quindi, non estranee alle domande e alle difese formulate.

La quinta censura va, quindi, rigettata.

* * * 7. Sulla pronuncia in punto spese.

Parte appellante ha chiesto che, in accoglimento delle proprie domande, venisse riformata la sentenza di primo grado anche in punto spese.

Il parziale accoglimento delle censure di appello comporta la necessità di pronunciarsi nuovamente in punto spese valutando il complessivo esito del giudizio.

Parte appellante ha visto rigettata la domanda risarcitoria per i crediti dichiarati prescritti dal Tribunale di Genova, mentre isulta soccombente, dovendo restituire 62.669,25 euro, oltre interessi dalla data di vendita al saldo (come legali dalla data della domanda al saldo (come risulta all’esito del presente grado).

Le spese di lite possono, quindi, essere compensate nella misura della metà, ponendo il restante mezzo a carico di Le spese di lite vanno liquidate sulla base del D.M. 10/3/2014 n. 55, come modificato dal D.M. 147/2022, e dei relativi criteri, tenendo conto del decisum, nei valori medi (scaglione fino a 260.000 euro), come segue (Cass. 19482/2018 – Cass. 34575/2021 – Cass. 12537/2019):

-primo grado fase di studio 2.552,00 euro, fase introduttiva 1.628,00 euro, fase trattazione 5.670,00 euro, fase decisoria 4.253,00 euro (totale 14.103,00 euro, e pari a 7.051,50 euro per effetto della compensazione).

-secondo grado fase di studio 2.977,00 euro, fase introduttiva 1.911,00 euro, fase trattazione 4.326,00 euro, fase decisoria 5.103,00 euro (totale 14.317,00 euro, e pari a 7.158,50 euro per effetto della compensazione).

Le spese della CTU di primo grado vanno definitivamente poste, nei rapporti interni tra le parti, a carico di nella misura di tre quarti, e a carico di parte appellata, in solido tra loro, nella restante misura di un quarto.

* * *

LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA Sezione Prima Civile

visti gli artt. 359 e 279 c.p.c., ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando, nel giudizio di appello proposto da nei confronti di avverso la sentenza n. n. 206/2022 emessa dal Tribunale di Genova e pubblicata il 28/01/2022, in parziale accoglimento dell’appello formulato da , in parziale riforma dell’impugnata sentenza CONDANNA condanna alla restituzione in favore di della somma di € 95.871,48, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo effettivo;

COMPENSA tra le parti nella misura del 50% le spese dei due gradi;

CONDANNA la parte appellante, a rifondere a favore delle parti appellate, il restante 50% delle spese legali che liquida in tale misura per il primo grado in 7.051,50 euro a titolo di compensi, e in 356,50 per esposti, e per il presente grado in 7.158,50 euro a titolo di compensi, oltre al rimborso forfetario ex art. 2, co. 2, D.M. n. 55/2014 (come modificato dal D.M. 147/2022) per entrambi i gradi, I.V.A. se non detraibile dalla parte vittoriosa, C.P.A. come per legge e alle successive spese occorrende, importi da distrarsi in favore dell’Avvocato COGNOME COGNOME COGNOME dichiaratosi antistatario;

PONE definitivamente le spese di CTU, nei rapporti interni tra le parti, a carico di parte appellante nella misura di tre quarti e a carico di parte appellata in solido tra loro, nella restante misura di un quarto;

CONFERMA nel resto l’impugnata sentenza.

Così deciso in Genova, nella Camera di Consiglio del giorno 25/07/2024.

Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME

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