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Risoluzione del preliminare per difformità

In caso di gravi difformità urbanistiche e catastali dell’immobile, la promittente venditrice è tenuta a sanarle tempestivamente. La mancata regolarizzazione costituisce un grave inadempimento che legittima il recesso del promissario acquirente con diritto alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE SECONDA CIVILE in composizione monocratica, in persona del giudice dr.ssa NOME COGNOME ha reso la seguente

SENTENZA N._736_2025_- N._R.G._00001769_2023 DEL_12_02_2025 PUBBLICATA_IL_12_02_2025

nella causa civile iscritta al n. 1769/2023 del ruolo generale degli affari contenziosi TRA (c.f. , in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (c.f. , in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME CONVENUTA

CONCLUSIONI

DELLE PARTI Parte attrice:

“Voglia l’Ill.mo Tribunale, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione;

nel merito, in via principale:

P.- accertare il mancato rispetto per colpa e inadempimento della convenuta del termine essenziale concordato dalle parti per la stipula dell’atto di vendita definitivo (15 settembre 2022) e dichiarare l’intervenuta risoluzione ex art. 1457 c.c. del contratto preliminare del 16 dicembre 2021 e/o del suo collegato e successivo contratto di modifica del preliminare del 28 giugno 2022, e per l’effetto, conseguentemente condannare, il , (CF e P. IVA in persona del suo legale rappresentante pro tempore al pagamento del doppio della caparra versata e quindi della somma di euro 150.000,00 (centocinquantamila/00), ovvero in quella diversa somma accertanda in corso di causa, il tutto maggiorato di interessi di mora ex art.1284, comma 4 c.c.., e rivalutazione monetaria, a decorrere dal giorno del dovuto sin all’effettivo soddisfo, a favore della nel merito, in via subordinata: – nella denegata e non creduta ipotesi di non accoglimento della domanda di merito principale, accertare il grave inadempimento della società convenuta e dichiarare l’operato recesso della società attrice dal contratto preliminare del 16 dicembre 2021 e/o del suo collegato e successivo contratto di modifica del preliminare del 28 giugno 2022, intervenuto ai sensi dell’art. 1385 secondo comma, c.c. e/o secondo l’art 5 del contratto preliminare e conseguentemente condannare il , (CF e P. IVA in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento del doppio della caparra versata e quindi della somma di Euro 150.000,00 (centocinquantamila/00), ovvero in quella diversa somma accertanda in corso di causa, il tutto maggiorato di interessi di mora ex art. 1284, comma 4, e rivalutazione monetaria, a decorrere dal giorno del dovuto sin all’effettivo soddisfo, a favore della via di ulteriore subordine nella denegata e non creduta ipotesi di non accoglimento della domanda di [.inadempimento della società convenuta e dichiarare l’intervenuta risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto preliminare del 16 dicembre 2021 e/o del suo collegato e successivo contratto di modifica del preliminare del 28 giugno 2022, e conseguentemente condannare, il , (CF e P. IVA in persona del suo legale rappresentante pro tempore al risarcimento del danno pari ad euro di Euro 76.794.12. (di cui 75.000,00 già versati dall’attrice a titolo di caparra confirmatoria ed euro 1.794,12 per le competenze del notaio ovvero in quella diversa somma accertanda in corso di causa, il tutto maggiorato di interessi di mora ex art.1284, comma 4 c.c., e rivalutazione monetaria, a decorrere dal giorno del dovuto sin all’effettivo soddisfo, a favore della in ogni caso:

– con il favore delle spese, competenze e onorari del presente giudizio e successive occorrende” Parte convenuta “IN VIA PRELIMINARE:

-accertare e dichiarare l’inammissibilità della domanda formulata ex adverso in via di principalità di condanna alla restituzione del doppio della caparra per la non cumulabilità con quella risoluzione del contratto per i motivi esplicati in atti;

-dichiarare comunque improcedibili le domande subordinate in quanto proposte dall’attrice in mero subordine al rigetto della domanda principale che deve invece essere dichiarata inammissibile;

IN INDIRIZZO NEL MERITO:

accertare e dichiarare l’inesistenza di inadempimento da parte del mandandola assolta da ogni pretesa attorea poiché infondate in fatto e in diritto;

IN OGNI CASO:

Con vittoria di spese di lite anche temeraria ex art. 96 c.p.c. vista la assoluta infondatezza di ogni domanda anche se singolarmente valutata preprocessuale tenuto da parte attrice dal 30.08.2022 al 13.09.2022 e dal 13.09.2022 al 16.09.2022, nonché diritti e onorari di cui al presente procedimento, rimborso forfetario del 15%, IVA e C.P.A. come di legge, oltre alle spese successive all’emananda sentenza RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato il 19.01.2023 la conveniva in giudizio esponendo – che in data 16.12.2021 le parti sottoscrivevano contratto preliminare di compravendita, autenticato nelle firme dal Notaio registrato il 31.12.2021, in virtù del quale la convenuta si obbligava a vendere all’attrice l’immobile sito in Torino, INDIRIZZO composto da appartamento ad uso ufficio, sito al primo piano fuori terra, e cantina al secondo piano interrato, censiti al NCEU al foglio 1035, particella 329, subalterno 45, categoria A/10, consistenza 8,5 vani, rendita catastale € 7.506,70; – che all’immobile competeva anche l’uso esclusivo del giardino raffigurato nella planimetria allegata;

– che il prezzo di vendita veniva concordato in € 362.000,00, oltre IVA;

– che contestualmente alla sottoscrizione del preliminare veniva versata la somma di € 50.000,00 a titolo di caparra confirmatoria;

– che il termine per il rogito dell’atto definitivo, inizialmente fissato al 30.06.2022, con scrittura del 28.06.2022 veniva prorogato, di comune accordo, al 15.09.2022;

– che le parti stabilivano espressamente che il termine del 15.09.2022 dovesse intendersi essenziale ai sensi di legge;

– che a fronte della proroga del termine per la stipula dell’atto di vendita l’attrice versava l’ulteriore somma di € 25.000,00 a titolo di caparra confirmatoria; ) garantire l’assoluta regolarità urbanistica dell’immobile;

2) consegnare il certificato di abitabilità;

3) a rendere conformi allo stato di fatto ex D.L. 78/2010 le planimetrie catastali, nonché a garantire perfetta coerenza catastale degli immobili;

– che con e-mail del 9.09.2022, rinnovata il 12.09.2022, il Notaio comunicava alla convenuta che le risultanze planimetriche catastali non coincidevano con quelle depositate in Comune;

– che il rogito veniva fissato una prima volta per il giorno 13.09.2022, ma parte convenuta non si presentava;

– che, dunque, esso veniva nuovamente fissato per il giorno 15.09.2022, allorquando tutte le parti erano presenti, ma l’atto non veniva stipulato, in quanto persistevano le irregolarità catastali evidenziate dal Notaio, non era stato consegnato il certificato di abitabilità ed erano emerse altre irregolarità catastali ed urbanistiche;

– che le irregolarità venivano accertate dal geom. incaricato da parte attrice;

– che, dunque, la vendita non era stata possibile nel termine essenziale del 15.09.2022 per fatto imputabile esclusivamente a parte convenuta, inadempiente rispetto agli obblighi assunti agli artt. 5 e 6 del preliminare;

– che, per conseguenza, il contratto si era risolto ex art. 1457 c.c.;

– che le doglianze di cui sopra erano state di fatto confermate dalla convenuta con PEC del 22.09.2022, con la quale ella aveva dichiarato di aver avviato le pratiche di regolarizzazione;

– che, alla luce della natura essenziale del termine del 15.09.2022, l’attrice con PEC del 16.09.2022 aveva esercitato il proprio diritto di recesso ex art. 1385 c.c. e con successiva PEC del 3.10.2022 aveva ribadito la propria posizione circa l’intervenuta scadenza del termine essenziale e aveva chiesto il pagamento del doppio della caparra;

– che nonostante vari solleciti la non aveva provveduto a versare il doppio della caparra confirmatoria, come richiesto;

– che in data 19.10.2022 il Notaio aveva avanzato all’attrice richiesta di pagamento delle proprie spettanze per € 1.794,12.

Concludeva pertanto in via principale per l’accertamento del grave inadempimento della convenuta e dell’operato recesso, con condanna della convenuta al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, oltre accessori;

in subordine, per l’accertamento dell’inadempimento di parte avversa e della risoluzione di diritto del contratto ex art. 1457 c.c. con condanna della controparte al pagamento di € 76.794,12 (pari ad € 75.000,00 quale restituzione delle somme versate ed € 1.794,12 a titolo di rifusione delle spese notarili), oltre accessori;

in ulteriore subordine per la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. con condanna della controparte al pagamento di € 76.794,12 (pari ad € 75.000,00 quale restituzione delle somme versate ed € 1.794,12 a titolo di rifusione delle spese notarili), oltre accessori.

2.

Si costituiva la esponendo:

– che l’originario termine per la stipula dell’atto definitivo, fissato al 30.06.2022, fu spostato su espressa istanza di parte promissaria acquirente che non aveva la disponibilità finanziaria per concludere l’operazione;

– che appena venne a conoscenza delle irregolarità ostative al rogito la convenuta immediatamente si attivò per la sanatoria, avvisando la controparte, che confermò la volontà di procedere con la vendita una volta ottenuta la regolarizzazione;

– che l’assenza della parte convenuta davanti al Notaio il giorno 13.09.2022 era stata concordata;

– che nella successiva data del 15.09.2022 la stipula del rogito venne rinviata perché la questione non era ancora stata sanata;

– che non è consentito il cumulo della risoluzione di diritto ex art. 1457 c.c. e – che all’epoca dell’acquisto dell’immobile a favore dell’odierna convenuta il Notaio rogante non aveva sollevato obiezioni in una situazione di fatto del tutto identica a quella verificatasi al momento della vendita oggetto di causa;

– di essersi tempestivamente attivata per sanare le irregolarità.

Ha eccepito l’inammissibilità della domanda attorea per illegittimo cumulo sia delle domande risolutorie con quelle di accertamento del recesso.

Ha dedotto che il termine essenziale non era stabilito a favore dell’acquirente ma solo a favore della venditrice.

Ha concluso per l’inammissibilità e il rigetto delle domande avversarie.

3. Con la prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. parte attrice ha modificato le proprie domande formulando le conclusioni di cui in epigrafe.

4. Quindi, depositate le successive memorie,

la causa è stata istruita mediante l’escussione di testimoni e all’udienza del 24.10.2024 le parti hanno precisato le conclusioni ed il giudice, concessi i termini ex art. 190 c.p.c. nella versione applicabile ratione temporis, ha trattenuto la causa in decisione.

***** 5. In primo luogo occorre rilevare come la modificazione della domanda operata dalla parte attrice con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. (nella formulazione antecedente alle modificazioni introdotte con il d.lgs. 149/2022, da ritenersi applicabile ratione temporis al presente procedimento), non violi alcuna norma processuale, rientrando tra le facoltà della parte previste ai sensi della citata norma, che prevede al n. 1 che le parti possano depositare memorie “limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte”. La citata disposizione è stata interpretata dalla Suprema Corte nella sua composizione più autorevole nel senso che:

“La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (…)” (Cass. Sez. Un. 12310/2015).

Anche la giurisprudenza successiva si è pronunciata in senso analogo, potendosi richiamare tra le altre Cass. Sez. 6-1 n. 18546/2020, secondo la quale (in massima) “Nel processo civile di cognizione, ciò che rende ammissibile l’introduzione in giudizio da parte dell’attore di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall’udienza ex art. 183 c.p.c. è il carattere della teleologica “complanarità”, dovendo pertanto tale diritto attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione (almeno in parte) dell’utilità finale già avuta di mira con l’originaria domanda (salva la differenza tecnica di “petitum” mediato) e rivelarsi di conseguenza incompatibile con il diritto per primo azionato. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE ha confermato la decisione impugnata, che, in un giudizio promosso per la declaratoria di inefficacia di alcuni pagamenti ex art. 44 l. fall., aveva ritenuto ammissibile l’ulteriore domanda di adempimento formulata dall’attore, in via gradata, nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.)”.

In particolare, nella motivazione della citata sentenza si chiarisce che “ciò che rende ammissibile la introduzione in giudizio di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall’udienza ex art. 183 cod. proc. civ., e che, quindi, consente di distinguere la domanda che tale diritto deduce da quella riconvenzionale di cui si occupa il comma 5 del medesimo articolo (cd. reconventio reconventionis), è il carattere della teleologica “complanarità”:

il diritto così introdotto in giudizio deve attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere dopo tutto alla realizzazione, almeno in parte, salva la differenza tecnica di petitum mediato, dell’utilità finale già avuta di mira dalla parte con la sua originariamente dedotto in giudizio”.

Si veda anche la più recente Cass. Sez. 2 n. 28873/2024.

Peraltro, a ben guardare, nel caso di specie le domande proposte dall’attrice con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. erano state già proposte in atto di citazione, seppure con un ordine diverso, essendosi richiesto in quella sede in via principale l’accertamento del recesso della parte attrice e la condanna della controparte al pagamento del doppio della caparra e in via subordinata l’accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto con condanna della controparte alla restituzione della caparra versata e al rimborso delle spese notarili e in via di ulteriore subordine la risoluzione giudiziale del contratto con condanna della controparte al rimborso della caparra e al pagamento delle spese notarili, per cui di fatto con la prima memoria ex art. 183 comma 6, c.p.c. la parte attrice si è limitata a domandare in via principale ciò che aveva già domandato in via subordinata, collegandovi la richiesta di condanna della controparte al pagamento del doppio della caparra che era già stata formulata con l’atto di citazione. Non si ravvisa dunque nelle conclusioni così come riformulate dalla parte attrice con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. nessun elemento di assoluta novità, non solo rientrando le stesse nell’ambito della medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, ma sostanzialmente essendo state le stesse già proposte in precedenza, seppure in un diverso ordine.

Non sussiste dunque sotto i profili esaminati alcun motivo di inammissibilità delle modificazioni della domanda introdotte da parte attrice con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. 6. A fronte delle contestazioni svolte dalla convenuta, e considerato che per effetto delle modificazioni delle domande introdotte ritualmente con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. la domanda principale proposta da parte attrice ha ad oggetto l’accertamento e la dichiarazione della intervenuta restituzione del doppio della caparra, occorre altresì interrogarsi sulla compatibilità della domanda di accertamento della intervenuta risoluzione di diritto del contratto con la domanda di restituzione del doppio della caparra. Al riguardo soccorre la sentenza n. 18392/2022 della Suprema Corte, che, nel solco dei principi già affermati dalla nota sentenza a Sezioni Unite n. 553/2009, ha precisato gli stessi con riferimento ad una ipotesi diversa da quella che era stata oggetto della citata pronuncia a Sezioni Unite, ossia con riferimento all’ipotesi in cui venga richiesto il pagamento del doppio della caparra a seguito della verificazione della risoluzione di diritto del contratto, ciò che impedisce alla parte non inadempiente di formulare una dichiarazione di recesso dal contratto medesimo, essendo lo stesso già sciolto in virtù dell’effetto risolutorio già verificatosi. La Suprema Corte ha precisato che in un’ipotesi siffatta non è precluso alla parte non inadempiente avvalersi della liquidazione anticipata e forfettaria del danno originariamente prevista con la caparra, esprimendo il seguente principio di diritto:

“In tema di inadempimento contrattuale, una volta conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione del contratto al quale accede la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso, cosicché la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra ad essa versata o alla corresponsione del doppio della caparra da essa prestata, in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio” (Cass. Sez. 2 n. 18392/2022). Essendo la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., alla quale la sentenza sopra citata fa espresso riferimento, una modalità di risoluzione di diritto del contratto, analogamente a quella prevista per la scadenza del termine essenziale ex art. 1457 c.c., il principio così espresso può ritenersi senz’altro applicabile anche al caso qui in esame, nel quale, analogamente al caso esaminato da Cass. 18392/2022, la parte non inadempiente ha chiesto sin dal principio il pagamento del doppio della caparra.

Dunque, la circostanza che la parte invochi un effetto risolutorio già prodottosi in virtù della scadenza del termine essenziale ex art. 1457 c.c. non impedisce alla medesima parte di domandare il pagamento del doppio della caparra, posto che come interpretato dalla citata sentenza della Suprema Corte, “l’art. 1385, co. 3 c.c. che vincola la parte non inadempiente ad esercitare la domanda di risarcimento regolata dalle norme generali ove costei abbia agito per l’adempimento coattivo o per la risoluzione, non già per il mero accertamento dell’effetto risolutorio già prodottosi ope legis, sul piano stragiudiziale”.

Deve dunque ritenersi ammissibile anche sotto tale profilo la domanda svolta in via principale di accertamento della intervenuta risoluzione del contratto ex art. 1457 c.c. e di condanna della controparte alla corresponsione del doppio della caparra.

7. Nel merito, occorre dirimere la questione del se il termine del 15 settembre 2022 apposto al contratto preliminare per effetto dell’accordo modificativo del 28 giugno 2022 fosse essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c.

La natura essenziale del termine può desumersi dalla volontà dei contraenti, ovvero dalla natura del contratto o dalle modalità della prestazione.

Nel primo caso (essenzialità soggettiva) tale caratteristica deve risultare da una dichiarazione dei contraenti e deve essere indicata in modo inequivoco, non potendo ritenersi tale la formula secondo cui la prestazione deve essere adempiuta “entro e non oltre” un determinato giorno (Cass. 22549/2007, Cass. 21838/2010).

giurisprudenza afferma infatti che “il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e soprattutto della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta (Cass. n. 32238/2019, n. 14426/2016 n. 25549/2007, n. 21587/2007, n. 5797/2005, n. 2491/1999, n. 10751/1996, n. 2347/1995), posto che l’utilizzo di espressioni quali “entro e non oltre” integra invece una mera locuzione di stile e non vale a qualificare il termine come essenziale (Cass. n. 5509/2002, n. 6086/1999, n. 2870/1983). Con riferimento al caso di specie nel contratto preliminare del 16 dicembre 2021 (doc. 1 di parte attrice) era previsto quale termine per la stipula del contratto definitivo il 30 giugno 2022.

Tale termine era essenziale nell’interesse della parte promittente venditrice, ossia dell’odierna convenuta, posto che al citato art. 3 si prevedeva espressamente che “Nel caso in cui una volta sollecitata per il rogito secondo il periodo previsto a mente dei precedenti articoli la parte promittente acquirente si rifiutasse ovvero anche se si rendesse irreperibile, la promittente venditrice avrà diritto di scelta insindacabile ritenere risolto il presente contratto per decorso del termine essenziale a suo favore, così come espressamente con la sottoscrizione del presente contratto le parti convengono ai sensi dell’articolo 1457 codice civile, o di avvalersi del diritto di cui all’art. 2932 c.c. (…); nel caso in cui la promittente venditrice si avvalga della risoluzione ex art. 1457 c.c., per già oggi espressa volontà delle parti oltre che per norma di legge, potrà trattenere a titolo di indennizzo la caparra ricevuta per l’intero suo ammontare”.

Si tratta di pattuizione che non dà adito a dubbi circa la parte a favore della quale fosse stata prevista l’essenzialità del termine del 30.06.2022.

Il termine del 30 giugno 2022 venne dalle parti di comune accordo prorogato sino al 15 settembre 2022 con contratto modificativo intervenuto in data 28 giugno 2022 (doc. 2 di parte attrice), prima della scadenza del termine originariamente previsto del 30 giugno 2022.Con tale accordo modificativo le parti stabilirono “di prorogare il termine per la stipula del definitivo al 15 settembre 22 da intendersi quale termine essenziale ai sensi di legge (…)”, e consegnasse alla promittente venditrice l’ulteriore somma di € 25.000, che si aggiungeva a quella già versata di € 50.000 a titolo di caparra confirmatoria. In calce al citato accordo modificativo risulta inserita una clausola di salvezza di tutti i precedenti patti contenuti nel contratto preliminare del 16 dicembre 2021 dal seguente tenore letterale:

“Fermi ed invariato i restanti patti convenuti nel preliminare sottoscritto con atto autenticato nelle firme dal Notaio rivoli in data 16 dicembre 2021 Rep 9610 Racc. 7483 registrato il 31 dicembre 2021 al n. 65855 serie 1T”.

Orbene, alla luce di quanto sopra esposto ritiene il Tribunale che anche il termine del 15 settembre 2022 fosse stato pattuito dalle parti come essenziale nell’interesse della promittente venditrice.

Qualora le parti avessero inteso modificare tale espressa previsione contenuta nel contratto preliminare del 16 dicembre 2021, avrebbero invero dovuto esplicitarlo nell’accordo modificativo virgola, non limitandosi a richiamare la natura essenziale del termine ai sensi di legge, ma espressamente prevedendo che, diversamente da quanto si era originariamente previsto, l’essenzialità del termine questa volta era stabilita anche o solo a favore della parte promissaria acquirente.

In difetto di una simile specificazione, in applicazione dei criteri di interpretazione letterale e sistematica del contratto di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., considerata la clausola di salvezza di tutti i precedenti patti espressamente inserita nell’accordo modificativo, e, d’altra parte, considerata la natura professionale dei soggetti coinvolti nella vicenda in esame, che per altri versi si curarono di disciplinare nel dettaglio gli accordi intercorsi anche con il patto modificativo, non può ritenersi che per effetto della proroga il termine originariamente previsto come essenziale solo in favore della promittente venditrice sia divenuto essenziale anche o solo a favore della promissaria acquirente. La domanda di accertamento della intervenuta risoluzione di diritto del contratto ex art. 1457 c.c. proposta in via principale deve essere dunque rigettata. .

Occorre ora esaminare la domanda proposta quale prima subordinata da parte attrice di accertamento dell’intervenuto recesso ex art. 1385 c.c. per grave inadempimento della controparte e la correlata domanda di restituzione del doppio della caparra.

Trattasi di domande che possono ritenersi ammissibili poiché, come si è detto in precedenza (cfr. Cass. Sez. 2 n. 18392/2022), sostanzialmente possono essere assimilate quoad effecta la risoluzione di diritto del contratto per intervenuta scadenza del termine essenziale e lo scioglimento del vincolo contrattuale per l’esercizio del diritto di recesso ex art. 1385 c.c., non operando tra le descritte domande l’incompatibilità che invece opera tra la domanda di accertamento dell’intervenuto recesso dal contratto con pagamento del doppio della caparra (o ritenzione della stessa) e la domanda di risoluzione giudiziale del contratto ex art. 1453 c.c. con risarcimento del danno secondo i principi stabiliti da Cass. Sez. Un. 553/2009. Con il contratto preliminare del 16 dicembre 2021, non modificato in parte qua dall’accordo modificativo del 28 giugno 2022, la parte promittente venditrice aveva dichiarato, tra l’altro:

– “La Parte promittente venditrice garantisce la piena ed assoluta proprietà e disponibilità dell’immobile in oggetto, e garantisce altresì la sua assoluta regolarità urbanistica, volendo in caso contrario provvedere a regolarizzare la situazione nel rispetto della normativa vigente in materia (…)” (art. 5);

– “(…) La parte venditrice dichiara e la parte acquirente prende atto che ad oggi non risulta rilasciato certificato di abitabilità ma che nulla osta al suo rilascio (…)” (art. 5);

– “(…) La Parte promittente venditrice si obbliga, in previsione di quanto stabilito dal DL n. 78/2010 per il futuro atto di compravendita, a rendere conformi le planimetrie catastali degli immobili in oggetto, al loro stato di fatto, ed altresì a rendere conformi gli intestatari catastali con le risultanze dei registri Non è contestato tra le parti che sino al momento in cui il Notaio fece presente alle parti, a ridosso della data prevista per la stipula del rogito, l’esistenza di difformità urbanistiche, edilizie e catastali dell’immobile promesso in vendita, la parte promittente venditrice, pur avendo assunto espressamente l’obbligo di vendere un bene conforme dal punto di vista urbanistico, edilizio e catastale, nonché dotato del certificato di abitabilità, non si era attivata in alcun modo né per verificare che tali condizioni sussistessero né per sanare le eventuali difformità riscontrate. In particolare, non risulta contestato dalla convenuta quanto allegato in atto di citazione secondo cui (punto 22):

“il 15 Settembre 2022, alla presenza di tutte le parti, il notaio rogante e la società attrice, constatavano, ancora che, anche a quella data, l’immobile promesso in vendita risultava con numerosi irregolarità e/o abusi dal punto di vista urbanistico e/o catastale, che lo stato di fatto e/o diritto dell’immobile non corrispondeva alla planimetria catastale allegata al contratto preliminare, che non sussisteva il dovuto e richiesto certificato di abitabilità e che erano presenti altre irregolarità catastali ed urbanistiche A mero titolo esemplificativo e non esaustivo, salvo altro, si elencalo le irregolarità già riscontrate: -mancata rappresentazione di un pilastro collocato nell’ufficio antistante il locale spogliatoio -chiusura dell’apertura che collegava il locale ufficio al locale spogliatoio mediante la realizzazione di muratura in cartongesso;

-realizzazione di un servizio igienico (con conseguente realizzazione di “rialzo” di porzione del pavimento per il passaggio degli impianti) nella cucina –spostamento della porta di accesso del locale ufficio (antistante allo spogliatoio) in posizione diversa da quella autorizzata –parete divisoria tra gli uffici prospicienti il cortile comune realizzata in quanto concerne la planimetria catastale, sono state riscontrate le seguenti difformità con lo stato di fatto e diritto:

-realizzazione di un locale ad uso spogliatoio -presenza di pareti mobili nell’ufficio prospiciente INDIRIZZO -presenza di pareti divisorie nell’ufficio prospiciente il cortile comune.

-mancanza di cronistoria relativa alla destinazione d’uso assunte dall’unità immobiliare nel corso dei vari passaggi di proprietà e delle varie modifiche interne, che non hanno permesso di verificare la presenza e/o la validità de vari titoli abilitativi;

assenza del certificato di abitabilità e/o mancata regolarizzazione della situazione nel rispetto della normativa vigente”.

Tali difformità erano state individuate dalla relazione del tecnico della parte attrice geom. con relazione in data 14.09.2022 (doc. 9 di parte attrice), che le ha confermate anche in sede di prova testimoniale, in occasione della quale il teste, oltre a confermare di avere redatto la citata relazione su incarico della parte acquirente, ha dichiarato:

“l’immobile risultava non conforme sia urbanisticamente che catastalmente.

In tale situazione non può essere presentata neanche una pratica per ristrutturazione”.

Le medesime difformità erano state pure dettagliatamente descritte nella dichiarazione motivata di recesso inviata dalla promissaria acquirente alla promittente venditrice in data 16.09.2022.

La circostanza risulta anche confermata dal messaggio e-mail del 13.09.2022 proveniente dall’indirizzo dello studio del Notaio a firma di tale , persona presumibilmente addetta allo studio del Notaio, con il quale si comunicava l’annullamento della stipula in quella data “perché non risulta esserci regolarità urbanistica e catastale” (doc. 5 di parte attrice).

Anche nella successiva e-mail del 14.09.2022 (doc. 8 di parte attrice), con la quale si fissava il rogito per la data del 15.09.2022, lo studio del Notaio la necessità che in sede di atto si dichiarasse la conformità urbanistica e catastale, e che diversamente non si sarebbe potuto procedere.

Infine, la circostanza che alla data ultima prevista per il rogito vi fossero ancora irregolarità urbanistiche, edilizie e catastali sull’immobile risulta confermata dalla e-mail inviata con provenienza dall’indirizzo PEC della data 22.09.2022 con la quale la citata società riscontrava la comunicazione di recesso dal contratto ricevuta dalla controparte il 16 settembre 2022, precisando che il contratto preliminare non contemplava termini essenziali a favore del compratore ma soltanto a favore del venditore e che l’art. 5 prevedeva che nel caso di irregolarità la parte promittente venditrice avrebbe provveduto a regolarizzare la situazione, che era dunque stato previsto un obbligo in capo al venditore di provvedere a sua cura e spese “alla burocrazia necessaria per la regolarizzazione (rendendo poi così effettuabile il rogito finale di vendita)”, aggiungendo “Ed è proprio quello che abbiamo iniziato a fare”, riferendo altresì di aver dato mandato al proprio tecnico di fiducia di provvedere alla regolarizzazione e impegnandosi a tenere la controparte costantemente aggiornata, supponendo di ultimare il tutto in circa tre settimane ed evidenziando che non era stato indicato un termine per la regolarizzazione poiché lo stesso dipendeva anche dai tempi della pubblica amministrazione, contestando la legittimità del recesso e concludendo nel senso che la promittente venditrice avrebbe provveduto al completamento delle attività per la regolarizzazione burocratica e successivamente avrebbe invitato la controparte alla stipula del rogito (doc. 11 di parte attrice). Non vi è dubbio dunque che alla data del 15-16.09.2022 le descritte difformità effettivamente sussistessero, e che la parte promittente venditrice si fosse attivata a suo dire per sanarle solo in prossimità del termine prorogato per la stipula del rogito del 15.09.2022.

Occorre a questo punto verificare se la condotta della parte promittente difformità dell’immobile e conseguentemente nel non dare luogo alle necessarie sanatorie nel tempo intercorso tra la stipula del contratto preliminare e il settembre 2022 possa configurare un grave inadempimento imputabile alla parte promissaria acquirente ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1455 c.c.

Il meccanismo previsto dall’art. 1385, comma 2, c.c., attribuisce infatti alla parte non inadempiente ex lege la facoltà di recedere a fronte dell’inadempimento della controparte, purché tale strumento di autotutela sia esercitato in modo adeguato alla sua funzione, che presuppone che la controparte abbia posto in essere un inadempimento imputabile di non scarsa importanza.

Si richiamano, ad esempio, – Cass. Sez. 2 n. 21209/2019, secondo la quale “La disciplina del recesso di cui all’art. 1385 c.c. in ipotesi di versamento della caparra confirmatoria, alla stregua della disciplina generale in tema di risoluzione per inadempimento, presuppone l’inadempimento colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente (…)”;

– Cass. Sez. 6-2 n. 409/2012, secondo la quale “Ai fini della legittimità del recesso di cui all’art. 1385 cod. civ., come in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente l’inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall’art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto dell’effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva del medesimo”. Orbene, ritiene il Tribunale che la condotta descritta costituisca inadempimento di non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse della promissaria acquirente, considerato che sono trascorsi circa dieci mesi dalla stipula del contratto preliminare senza che la promittente venditrice si sia curata di verificare se le condizioni di regolarità urbanistica, edilizia e catastale, indispensabili per dare avvio alle pratiche amministrative necessarie per porre rimedio alle irregolarità presenti, a nulla rilevando che all’atto dell’acquisto dell’immobile da parte della tali irregolarità, eventualmente già presenti, non fossero state ritenute ostative all’atto. La corretta esecuzione del contratto, anche alla luce del principio di buona fede in executivis (art. 1375 c.c.), avrebbe infatti dovuto indurre la parte promittente venditrice ad attivarsi immediatamente dopo aver assunto l’obbligo di vendere al fine di verificare se vi fossero le condizioni di regolarità dell’immobile necessarie, anche considerata la notoria complessità di tali pratiche e la notoria lunghezza dei tempi necessari per la loro esecuzione, circostanza che le parti avevano ben presente al momento della stipula del contratto preliminare, come risulta dalla comunicazione inviata dalla convenuta via PEC in data 22 settembre 2022 con la quale si evidenzia come l’obbligo di porre in essere le necessarie sanatorie non avesse un termine determinato in considerazione della durata delle pratiche amministrative. Tale consapevolezza avrebbe dovuto indurre la parte promittente venditrice ad attivarsi appena possibile per realizzare quanto promesso a favore dell’acquirente, anche considerato che quest’ultima aveva già corrisposto alla data del 16 dicembre 2021 una cospicua caparra che venne poi successivamente ulteriormente integrata nel giugno del 2022.

Si comprende allora come la violazione da parte della promittente venditrice degli obblighi contrattuali assunti deve ritenersi costituire adempimento di non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse della controparte, che aveva già investito, lo si ribadisce, una cospicua somma, anche in rapporto al valore complessivo dell’operazione, per l’acquisto dell’immobile, e che dunque, anche a prescindere dalla essenzialità del termine per la stipula del definitivo (essenzialità che come si è detto era prevista esclusivamente a favore della promittente venditrice), coltivava la ragionevole aspettativa di concludere l’affare entro il termine previsto o a ridosso dello stesso. circostanza che invece alla data del 15 settembre 2022 le pratiche amministrative necessarie per sanare le numerose difformità emerse dalla relazione del tecnico non fossero ancora state intraprese (cfr. doc. 4 di parte convenuta, che mostra una prenotazione presso lo “Sportello facile” del Comune di Torino per il 27.09.2022 e doc. 6 di parte convenuta che mostra come la pratica “Istanza MUDE” sia stata effettivamente protocollata dal Comune in data 11.11.2022), essendo il relativo incarico stato conferito dalla convenuta all’arch. solo in data 5.09.2022 (doc. 3 di parte convenuta) rendeva chiaro al momento in cui è stato esercitato il recesso che la stipula del contratto definitivo non sarebbe potuta avvenire entro un breve termine. Tanto risulta confermato, a posteriori, dalla e-mail inviata dall’arch. alla promittente venditrice in data 7.10.2022 (doc. 5 di parte convenuta) con la quale si stima il tempo necessario alla conclusione della pratica comunale per il rilascio del permesso in sanatoria come compreso tra sei mesi e un anno, circostanza confermata anche dalla convenuta nella sua prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., alla pag. 4. Dunque l’interesse della parte creditrice all’ottenimento della prestazione veniva in tal modo gravemente violato, così giustificando l’esercizio del diritto di recesso anche ai sensi dell’articolo 1455 c.c. Deve dunque dichiararsi, in accoglimento della prima domanda subordinata di parte attrice, che il recesso in data 16 settembre 2022 sia stato legittimamente esercitato, con conseguente diritto della parte attrice all’ottenimento del doppio della caparra.

9.

Alla luce di quanto sopra, parte convenuta è tenuta a versare alla la somma di € 150.000,00, pari al doppio della caparra versata.

Si tratta di un debito di valuta, per cui tale importo non è soggetto a rivalutazione monetaria, “se non nei termini del maggior danno rispetto a quello ristorato con gli interessi legali di cui all’art. 1224 c.c., che va, peraltro, provato dal ” (Cass. 14289/2018, n. 5639/2014, n. 13339/2006, n. 6758/2003, n. 10373/2002, n. 3113/1995).

Nel caso di specie, dunque, non essendo stato allegato il maggior danno, saranno dovuti i soli interessi legali al tasso di cui all’art. 1284, comma 1, c.c. dalla data della costituzione in mora, avvenuta via PEC il 3.10.2022, al giorno antecedente la proposizione della domanda giudiziale, e al tasso di cui all’art. 1284, comma 4, c.c. dalla domanda giudiziale (19.01.2023) al saldo, esclusi gli interessi sugli interessi.

10. Le spese di lite seguono la soccombenza, che deve ritenersi integralmente a carico della convenuta, atteso che il rigetto della domanda principale proposta non ha impedito alla parte attrice di ottenere il medesimo bene della vita invocato in seguito all’accoglimento della prima domanda subordinata.

Le spese vengono liquidate come in dispositivo ex D.M. 55/2014 e successive modificazioni, ai valori medi dello scaglione riferimento come individuato dalla parte attrice, vista la nota spese della parte.

11.

La domanda ex art. 96 c.p.c. non può essere accolta mancando il presupposto della soccombenza della parte nei confronti della quale è stata formulata.

il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria e diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede:

1) rigetta la domanda proposta dalla parte attrice in via principale;

2) in accoglimento della prima domanda subordinata di parte attrice a) accerta e dichiara che il contratto preliminare di vendita immobiliare concluso tra le parti in causa in data 16.12.2021 e modificato in data 28.06.2022 si è risolto per il recesso legittimamente esercitato dalla in data 16.09.2022;

b) condanna la al pagamento in favore della della somma di € 150.000,00, pari al doppio , comma 1, c.c. dal 3.10.2022 al 18.01.2023 e interessi al tasso di cui all’art. 1284, comma 4, c.c. dal 19.01.2023 al saldo, esclusi gli interessi sugli interessi;

3) condanna la alla rifusione a favore della delle spese di lite, che liquida in € 786,00 per esborsi ed € 14.103,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA, se dovuta, e c.p.a. come per legge;

4) rigetta la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. Così deciso in Torino il 12.02.2025 Il Giudice Dott.ssa NOME COGNOME La minuta della presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del GOP dott. NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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