R.G. n. 1205/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI SALERNO Prima Sezione Civile
La Corte di Appello di Salerno, nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott. NOME COGNOME Consigliere rel.
riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente
SENTENZA N._983_2024 – N._R.G._00001205_2023 DEL_11_11_2024 PUBBLICATA_IL_12_11_2024
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1205 del Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2023, vertente TRA nato Montecorvino Rovella 28/04/1967 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME per procura allegata all’atto di appello;
– appellante –
nata rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura allegata alla comparsa di risposta;
– appellata –
OGGETTO:
appello avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 1700/2023, pubblicata il 17/04/2023.
CONCLUSIONI
Per l’appellante:
“in riforma della sentenza gravata, dichiarare la risoluzione del contratto preliminare del 5.12.06 per inadempimento della sig.ra RAGIONE_SOCIALE solo scopo fraudolento di sottrarsi alle obbligazioni assunte con la citata scrittura privata;
condannare la sig.ra alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria corrisposta al momento della sottoscrizione dell’atto di promessa di vendita nella misura di € 200.000,00;
in ogni caso con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio”.
Per l’appellata:
“1. confermare la sentenza impugnata, in virtù delle argomentazioni ivi utilizzate, qui trascritte, incoraggiate anche da questa difesa;
2. in alternativa, accogliere tutte od in parte le ulteriori eccezioni, già rese ed agli atti, in relazione alla simulazione contrattuale, rigettando comunque l’appello per tale via.
Nel caso, consentendo di operare l’istruttoria richiesta, con l’annullamento dell’ordinanza istruttoria in data 7.8.2016 e di ogni altra confermativa o precedente – rectius, con la sua integrazione nel senso di ammettere le ulteriori istanze istruttorie orali, considerando l’avvenuto espletamento dell’interrogatorio formale, confermata l’ammissione dei documenti già agli atti;
3. nel denegato caso di accoglimento della domanda, contenere il risarcimento – poiché non vi è istanza di recesso – entro quanto concretamente provato di aver patito, in nessun caso oltre la misura della caparra;
non condannare, comunque, alla corresponsione di rivalutazione monetaria sulla caparra e/o altro onere, sulla scorta di Giurisprudenza richiamata in narrativa ed in virtù del principio nominalistico sotteso alla pattuizione della caparra (Cass. civ. n. 28573/2013).
Tanto, poiché domanda definita di “risoluzione contrattuale”, e mancando prova in relazione al quantum del risarcimento (Cass. civ. n. 17923/2007).
Eventualmente, decidendo per la compensazione delle spese di lite, sussistendone i presupposti di Legge”.
FATTI DI CAUSA
, promissario acquirente di un locale commerciale, agiva in giudizio nei confronti della promittente alienante ( per la risoluzione del contratto preliminare, stipulato con scrittura privata del 5.12.2006, e la condanna alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata (nella misura di € 200.000,00).
Deduceva l’inadempimento della promittente venditrice, per aver venduto l’immobile ad un terzo (la società “RAGIONE_SOCIALE) in data 24.5.2007, prima della scadenza del termine del 31.12.2007 pattuito dalle parti per la stipula del contratto definitivo, per cui “le costituitasi, eccepiva la simulazione assoluta del contratto preliminare, avendo le parti creato un’apparenza negoziale al solo scopo di consentire al di accedere ad un mutuo ipotecario con il quale ottenere la liquidità necessaria a ripagare un debito di € 75.000,00 contratto con , marito della convenuta e originario amico dell’attore, il quale gli aveva prestato tale ingente somma al fine di consentirgli di ripagare ulteriori debiti da lui contratti. Qualificata l’azione come domanda di recesso ex art. 1385 c.c., la sentenza in oggetto ritiene, anzitutto, infondata l’eccezione di simulazione assoluta del contratto preliminare.
Secondo il primo giudice, l’accordo simulatorio costituisce un patto aggiunto e contrario al contenuto del contratto stipulato anteriormente o contemporaneamente, per il quale la prova per testimoni e la prova per presunzione incontrano le limitazioni di cui agli artt. 2724 e 2729, comma 2, c.c.;
che non risultano sussistenti i presupposti di cui all’art. 2724 c.c. legittimanti la prova per via indiziaria, ai sensi dell’art. 2729, comma 2 c.c.;
che non forniscono alcun utile contributo probatorio neppure i documenti di formazione sopravvenuta alla maturazione delle preclusioni istruttorie (l’ordinanza cautelare del G.I.P. di Salerno del 22.2.2010, la sentenza del G.U.P. di Salerno del 10.1.2013 e la sentenza della Corte d’Appello di Salerno del 13.9.2016);
che risulta generica e tardiva la doglianza formulata dalla convenuta soltanto nella comparsa conclusionale di replica attinente all’ammissibilità della prova testimoniale in virtù di una presunta illiceità del negozio dissimulato.
Riconosciuta la validità del contratto preliminare, il giudice di prime cure rigetta le domande proposte dall’attore per insussistenza dell’inadempimento della promittente alienante.
La sentenza interpreta l’art. 3 del contratto preliminare (il quale stabilisce che il vincolo preliminare “perderà la propria efficacia – rimanendo acquisito alla venditrice le anticipazioni effettuate, che si intendono effettuate a titolo di caparra confirmatoria – qualora entro il termine perentorio del 31.12.2007 non si sia addivenuto alla stipula definitiva dell’atto di compravendita” e riserva alla promittente venditrice “la facoltà di prorogare il predetto termine di 6 mesi, qualora la parte promittente acquirente motivi per giusta causa il rinvio della stipula, mediante comunicazione scritta da inviare alla parte promittente venditrice e che, decorso inutilmente quel termine finale, il preliminare avrebbe perso la sua efficacia; che, a tal fine, l’attore ha dedotto che “ripetutamente invitava la stessa a convenire dinanzi al notaio per la stipula dell’atto definitivo e per il pagamento del saldo del prezzo” alla scadenza del termine convenuto, dopo aver atteso la proroga semestrale nell’interesse della promittente venditrice;
che la circostanza è stata specificamente contestata dalla convenuta, secondo cui l’accordo era solo apparente, ponendo a carico dell’attore l’onere di dimostrare di aver puntualmente richiesto, nelle more della pendenza del termine, l’adempimento del preliminare;
che tale onere non è stato assolto, sicché non è provato che il promissario acquirente abbia invitato la controparte alla stipula del contratto definitivo nelle more della pendenza del termine, cui la convenuta si sarebbe sottratta;
che ciò “assume un rilievo ancora più significativo, tenuto altresì conto di quanto convenuto all’art. 6 del contratto preliminare, laddove era previsto che il rogito avrebbe dovuto essere stipulato presso lo studio di un notaio scelto dal promissario acquirente”;
che “non risulta in alcun modo riscontrato che l’odierno attore, nelle more della pendenza del termine, si fosse attivato per l’esecuzione della stipula del preliminare provvedendo alla designazione del notaio per la stipula del contratto definitivo ed invitando la controparte a provvedere alla prestazione del consenso in parte qua”;
che “tale rilievo è evidentemente assorbente, risultando del tutto neutra la circostanza che, nelle more della stipula del contratto definitivo, tale immobile era stato ceduto in favore di terzi, in assenza di prova della specifica richiesta di adempimento entro i termini contrattuali cui avrebbe dovuto seguire l’esecuzione dell’obbligo di trasferimento:
ed invero, l’inadempimento avrebbe potuto riscontrarsi soltanto nell’ipotesi in cui non si fosse addivenuti al trasferimento, richiesto dall’attore, a causa dell’alienazione a terzi dell’immobile”;
che “la prima contestazione documentata al riguardo risulta direttamente la notifica dell’atto di citazione, perfezionata in data 23.4.2009, a circa un anno e mezzo di distanza dalla scadenza del termine finale del contratto preliminare, e, pertanto, dalla cessazione degli effetti dello stesso:
trattasi di ulteriore riprova dell’originario disinteresse dell’attore in merito all’esecuzione del contratto in questione”;
che non può ritenersi circostanza idonea a riscontrare l’inadempimento della promittente alienante il fatto che, sia pure durante la pendenza del termine per la stipula del contratto definitivo, l’immobile fosse stato ceduto ad un terzo.
inadempimento contrattuale la cessione dell’immobile oggetto di preliminare durante la pendenza del termine utile a stipulare il definitivo.
Sostiene l’appellante che il principio esclude che il promissario acquirente possa chiedere la risoluzione del contratto prima della scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene;
che sfugge, però al giudice di primo grado che l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento, con contestuale domanda ex art. 1385 c.c., è stata proposta dopo la scadenza del termine, con atto di citazione notificato il 23.4.2009, mentre il contratto definitivo andava stipulato entro e non oltre il 31.12.2007, prorogabile di 6 mesi;
che, perciò, “contrariamente a quanto statuito con la sentenza gravata, l’azione è stata proposta quando oramai al promissario venditore non era più possibile adempiere, sicché la condotta della promissaria venditrice, odierna appellata, integra un’ipotesi di doppia alienazione che vale anche nel caso, come quello di specie, di preliminare di vendita”;
che “dalla corretta applicazione dei principi di diritto enunciati nella sentenza di primo grado discende, contrariamente a quanto concluso dal giudice di prime cure, che la condotta contestata alla controparte integra un’ipotesi di doppia alienazione, inadempimento contrattuale grave che giustifica la domanda di risoluzione spiegata dall’odierno appellante, poiché proposta quando era ormai spirato il termine utile ad adempiere per la promissaria venditrice”.
Nel secondo motivo di appello l’errore di diritto censurato riguarda la corretta applicazione degli artt. 115 c.p.c. (violazione del principio di non contestazione) e 112 c.p.c. (violazione di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato).
Secondo l’appellante, il rigetto della domanda per non aver dimostrato di aver invitato la controparte a stipulare il definitivo “non tiene in debita considerazione che la sig.ra nel costituirsi non ha mai contestato la circostanza, esplicitamente allegata nell’atto di citazione, secondo cui ella sarebbe stata più volte invitata dal a recarsi dal Notaio ed avrebbe ripetutamente differito l’appuntamento”.
Inoltre, il primo giudice “omette di valutare la qualità dei rapporti intercorrenti tra le parti alla data della stipula del contratto preliminare:
la stessa difesa della non esita a definirli di natura amicale, quasi fraterna”, per cui la convocazione della promissaria venditrice presso un notaio di fornire la prova.
L’appellante ravvisa, inoltre, una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per aver rigettato la domanda in base ad una ragione (l’omessa convocazione dinanzi al notaio) mai dedotta da controparte, le cui difese si limitano ad un’eccezione di simulazione assoluta del contratto.
costituitasi, ribatte che lo stesso appellante, nella sua comparsa conclusionale, ha ammesso di non aver mai chiesto la stipula del definitivo (“Né si comprendono i riferimenti alla mancata diffida:
in prossimità del termine previsto per la stipula si provvide al fine di incaricare il notaio rogante ad estrarre visura aggiornata dell’immobile dalla quale si scoprì che controparte aveva già provveduto ad alienare in data 25 giugno 2007 l’immobile oggetto del preliminare ad altro soggetto per cui ogni ulteriore attività volta alla conclusione della vendita era compromessa ed irreparabile”);
che la circostanza, sempre contestata dall’appellata, non risulta comunque provata;
che, non avendo manifestato la volontà di stipulare il definitivo entro il termine, il contratto preliminare è divenuto inefficace, come previsto dall’art. 3. L’appellata ripropone, in subordine, l’eccezione di simulazione assoluta del contratto preliminare.
Lamenta che “non è stata consentita, almeno sino ad oggi, alcuna possibilità di dimostrarlo tramite istruttoria orale” e di aver “domandato di “imporre all’attore l’esibizione di idonea documentazione comprovante il supposto trasferimento della somma a titolo di caparra alla convenuta, ai sensi dell’art. 210 e segg. c.p.c.”.
Osserva che la simulazione contrattuale è provata dalla confessione dello stesso appellante nel verbale di sommarie informazioni ex art. 351 c.p.p. , ove ha ammesso che “non avevo alcuna necessità di acquistare tale immobile” e che “l’immobile oggetto del preliminare di vendita non mi interessava per niente”.
Queste dichiarazioni, la mancanza di prova dell’effettiva dazione di denaro e il comportamento dell’appellante, il quale ha lasciato che il contratto formalizzato divenisse inefficace, costituiscono perlomeno “principio di prova per iscritto ex art. 2724 n. 1 c.c.” che ammette il ricorso alla prova orale richiesta.
Richiama, inoltre, la prova fornita dalle sentenze penali (Trib. Salerno n. 592, depositata il 10.1.2013;
Corte d’Appello Salerno n. 1609, depositata il 13.9.2016) ed il valore indiziario della mancata trascrizione del contratto, della “scelta” di non adottare le forme dichiarazione (simulata) di versamento di una caparra confirmatoria di € 100.000,00 senza garanzie in favore del promissario acquirente, dell’attesa di un anno e mezzo dopo la scadenza del termine prima di agire in giudizio e senza alcuna previa diffida, della clausola di ritenzione delle anticipazioni effettuate in caso di cessazione di efficacia del contratto preliminare, della mancanza di una richiesta scritta alla promittente alienante almeno 60 giorni prima della scadenza pattuita di proroga semestrale del termine del 31.12.2007. L’appellata, infine, ripropone le istanze istruttorie respinte ed eccepisce, in caso di accoglimento dell’appello, l’inammissibilità della domanda di restituzione del doppio della caparra per mancato esercizio del recesso da parte dell’attore, avendo agito per la risoluzione del contratto e non per l’esercizio della facoltà di recesso;
eccepisce, da ultimo, l’inammissibilità della richiesta di rivalutazione monetaria o di corresponsione di oneri ulteriori.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Osserva preliminarmente la Corte che la riproposizione in appello dell’eccezione di nullità per simulazione assoluta del contratto preliminare, a norma dell’art. 346 c.p.c., senza esplicazione di un appello incidentale, è inammissibile.
Risolvendo un contrasto di giurisprudenza in seno alla Suprema Corte, le Sezioni Unite 12.5.2017, n. 11799, hanno delineato i confini fra l’istituto della c.d. mera riproponibilità, di cui all’art. 346 c.p.c., e quello dell’appello incidentale, regolato dall’art. 343 c.p.c., con riguardo alle eccezioni proposte in primo grado dal convenuto, quando tali eccezioni siano state respinte o non esaminate dal giudice che, tuttavia, abbia deciso, nel merito, in senso favorevole al convenuto.
La questione se sia necessario che l’appellato proponga l’appello incidentale sull’eccezione non accolta, o se sia sufficiente la mera riproposizione, è stata esaminata, sia con riferimento alle eccezioni di merito, sia alle eccezioni di rito.
Quanto alle eccezioni di merito, se l’eccezione è stata respinta in primo grado in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocabilmente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.), né è non enunciando espressamente il rigetto, ma evidenziando indirettamente, in modo chiaro ed inequivoco, che il giudice ha parimenti inteso rigettare l’eccezione, “la posizione del convenuto non può che essere omologa a quella dell’attore appellante principale, che, di fronte ad una parte della motivazione che gli dà torto, se la vuole ridiscutere, deve farla oggetto dell’appello”. Se, invece, l’eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, è sufficiente la sua mera riproposizione, a norma dell’art. 346 c.p.c., che deve essere espressa.
Nel caso di specie, la sentenza di primo grado ha esaminato l’eccezione di simulazione assoluta del contratto preliminare, ritenendola infondata.
Pertanto, la sua riproposizione in appello, ex art. 346 c.p.c., da parte della convenuta odierna appellata, vittoriosa in primo grado, è inammissibile perché non forma oggetto di un appello incidentale.
Nel merito, il giudice di primo grado ha qualificato l’azione proposta dal promissario acquirente ( ) come un’azione di recesso dal contratto preliminare per inadempimento della controparte (avendo chiesto la condanna al pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata), ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c., anziché come azione di risoluzione del contratto ex artt. 1385, comma 3, e 1453 c.c.
L’inadempimento della promittente venditrice consiste nell’aver alienato il bene a terzi (in data 24.5.2007) prima della scadenza del termine fissato per la stipula del contratto definitivo (31.12.2007).
Premesso che la qualificazione giuridica della domanda non forma motivo di impugnazione, la questione posta dal primo motivo di appello consiste nello stabilire se la vendita del bene a terzi prima della scadenza del termine integra un inadempimento della promittente venditrice che legittima il promissario acquirente ad esercitare, dopo la scadenza del termine, il diritto di recesso dal contratto preliminare.
Osserva la Corte che le espressioni adoperate dalle parti nella clausola n. 3 (definita “condizioni e termini”) depongono nel senso che la loro volontà comune era quella di fissare un termine essenziale per la stipula del contratto definitivo.
Di regola, secondo i principi di diritto consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte, il termine stabilito dai contraenti per la stipulazione del contratto soltanto a fissare una data e non è significativa della improrogabilità di detto termine;
il termine fissato è, invece, essenziale per volontà dei contraenti, quando, al di là della mera locuzione di stile, le parti lo prevedano con specifiche indicazioni come un termine improrogabile, oppure quando la sua essenzialità si desuma in base alla natura e all’oggetto del contratto, quando l’utilità economica avuta presente dalle parti possa essere perduta per effetto dell’inutile decorso di quel termine (Cass., 15.10.2007 n. 21587; Cass., 17.3.2005 n. 5797; Cass., 3.2.1998 n. 1045).
Nella specie, dalla formulazione dell’art. 3 del contratto si evince la volontà espressa delle parti di considerare come essenziale il termine fissato per la stipula del contratto definitivo.
Ciò si desume, sia dalla previsione che il contratto preliminare “perderà la propria efficacia … qualora entro il termine perentorio del 31/12/2007 non si sia addivenuto alla stipula definitiva dell’atto di compravendita”, sia dalla facoltà riservata solo alla promittente venditrice “di prorogare il predetto termine di 6 mesi, qualora la parte promettente acquirente, motivi per giusta causa il rinvio della stipula, mediante comunicazione scritta da inviare alla parte promittente venditrice almeno 60 giorni prima della scadenza pattuita”. Così interpretata la clausola, alla scadenza del termine essenziale, non prorogato, si sarebbe verificata la risoluzione di diritto del contratto preliminare, ai sensi dell’art. 1457 c.c., il quale prescinde, a differenza del recesso e della risoluzione giudiziale, dalla indagine sulla importanza dell’inadempimento.
La previsione di un termine essenziale non preclude, però, alla parte non inadempiente l’esercizio del diritto di recesso, laddove sia prevista, come nel caso in esame, una caparra confirmatoria.
L’art. 3 del contratto, infatti, prevede che il contratto “perderà la sua efficacia” se non sarà eseguito entro il termine perentorio del 31.12.2007, “rimanendo acquisito alla venditrice le anticipazioni effettuate, che si intendono effettuate a titolo di caparra confirmatoria”.
Per giurisprudenza consolidata, il verificarsi di un’ipotesi di risoluzione del contratto di diritto (per una delle cause previste dagli artt. 1454, 1455, 1457 c.c.) non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poiché dette domande hanno una minore ampiezza In tal caso, tuttavia, vanno applicati i principi regolatori della materia del recesso, tra cui quello secondo cui esso può considerarsi legittimo solo nel presupposto che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza. Tale valutazione non può essere omessa per il fatto che le parti hanno preventivamente e consensuale apprezzato la “gravità” dell’inadempimento con la pattuizione di un termine essenziale, poiché tale apprezzamento viene meno se la parte rinuncia ad avvalersi della risoluzione del contratto e preferisce recederne, per ottenere la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, anziché l’integrale risarcimento del danno subito (Cass., 25.10.2010, n. 21838).
La questione decisiva resta, dunque, quella di stabilire se la promittente venditrice si sia resa gravemente inadempiente all’obbligo di stipulare il contratto definitivo.
Le parti avevano convenuto, all’art. 6, che il contratto definitivo sarà stipulato “presso lo studio di un Notaio scelto dalla Promissaria acquirente”.
Ne consegue che, per effetto della clausola, l’inadempimento della promittente venditrice presuppone che, entro la scadenza del termine essenziale, il promissario acquirente le abbia comunicato la scelta del notaio rogante e l’invito a comparire a data fissa nello studio notarile per la stipula del contratto definitivo.
Prima che ciò avvenga, la promittente venditrice non può ritenersi inadempiente.
Né il promissario acquirente può ritenersi esentato dall’invito formale a comparire davanti al notaio per la stipula per il fatto che la promittente venditrice ha nel frattempo alienato il bene a terzi.
A differenza della vendita di cosa altrui, nella quale il venditore è inadempiente all’obbligo di trasferire la proprietà del bene già al momento della stipula del contratto, secondo il disposto dell’art. 1479, comma 1, c.c., se il compratore ignora l’altruità del bene, nel contratto preliminare di vendita, invece, indipendentemente dalla conoscenza del promissario compratore dell’altruità del bene, fino alla scadenza del termine per stipulare il contratto definitivo, il promittente venditore può adempiere all’obbligo di procurargliene l’acquisto. In merito alle modalità di adempimento dell’obbligazione assunta dal promittente venditore di una cosa altrui, le Sezioni Unite 18.5.2006, n. 11624, hanno affermato il principio, secondo cui il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell’altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l’acquisto del promissario direttamente dall’effettivo proprietario.
Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest’ultimo a trasferirgliela.
Questi principi devono ritenersi validi, per analogia, anche nel caso in cui il bene, appartenente al promittente venditore al momento della stipula del contratto preliminare, sia stato da questi alienati a terzi prima della scadenza del termine per la stipula del definitivo.
Anche se il contratto preliminare non sia stato trascritto e, perciò, sia inopponibile al terzo acquirente, non può escludersi che il promittente venditore riesca a trasferire il bene al promissario acquirente, entro la scadenza del termine, riacquistandolo dal terzo o procurando al promissario acquirente la vendita diretta dal terzo.
Va, dunque, condiviso il ragionamento del giudice di prime cure, secondo cui la promittente venditrice non può ritenersi inadempiente all’obbligo di stipulare il contratto definitivo entro il 31.12.2007, poiché entro tale data non ha ricevuto alcun invito a comparire a data fissa davanti al notaio designato per la stipula.
Sono infondate anche le censure svolte nel secondo motivo di appello, poiché l’appellante non può ritenersi esentato dall’onere della prova perché non ha contestato specificamente la circostanza, dedotta nell’atto di citazione, di averla invitata verbalmente davanti ad un notaio per la stipula.
Anzitutto perché nell’atto di citazione si fa riferimento ad un invito, non meglio circostanziato (non essendo indicata la data ed il notaio scelto), tra l’altro successivo alla scadenza del termine, inidoneo ad ipotizzare un inadempimento della promittente venditrice.
Anche se si ritiene sufficiente un invito verbale, deve specificare il giorno, l’ora ed il notaio presso cui comparire.
In ogni caso, la contestazione della circostanza generica può essere anche implicita in una versione dei fatti con essa incompatibile, come nel caso di specie, in cui la promittente venditrice ha eccepito la simulazione assoluta del contratto, rappresentando che le parti avevano concordato la finzione di una promessa di vendita.
Né può ravvisarsi un vizio di extrapetizione nell’aver rigettato la domanda in base ad una ragione (l’omessa convocazione davanti al notaio) mai dedotta da controparte.
La violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c., ricorre quando il giudice fonda la sua decisione su una diversa “causa petendi”, sostituendo i fatti costitutivi del diritto affermi l’insussistenza dell’inadempimento della promittente venditrice dedotto in giudizio attraverso per assenza del suo presupposto fattuale, pur non allegato dalla convenuta.
In definitiva, l’appello deve essere rigettato.
Stante il rigetto dell’appello e la conseguente conferma della decisione impugnata, occorre procedere al regolamento delle sole spese processuali di secondo grado, fermo restando il regolamento di primo grado, che non forma oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass., 29.10.2019, n. 27606).
Il regolamento segue il principio di soccombenza, di cui all’art. 91, comma 1, c.p.c., con conseguente condanna di parte appellante al rimborso degli onorari di difesa in favore di parte appellata, che si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dei parametri stabiliti con decreto del Ministro della Giustizia 13 agosto 2022, n. 147.
Il rigetto integrale dell’impugnazione comporta l’attestazione della sussistenza del presupposto processuale per il pagamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione (c.d. doppio contributo).
PQM
La Corte di Appello di Salerno, prima sezione civile, definitivamente decidendo in grado di appello nella causa civile iscritta al R.G. n. 1205/2023, così provvede:
1. rigetta l’appello;
2. condanna al rimborso delle spese processuali del grado di appello in favore di che liquida in € 6.500,00 per onorari di difesa, oltre il rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% degli onorari, Cnap ed Iva come per legge.
Dà atto, a norma dell’art 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115/02, della sussistenza del presupposto processuale per il pagamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Salerno lì 08/11/2024
Il Consigliere estensore Il Presidente (dott. NOME COGNOME (dott.ssa NOME COGNOME
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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