REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
Prima Sezione Lavoro
in persona del giudice, dott. ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 7664/2018
ex art. 1, comma 57, l. n. 92/2012, nella causa civile iscritta al n. del
Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2017, trattenuta in decisione all’udienza dell’11 ottobre 2018, vertente
T R A
XXX, elettivamente domiciliato in Roma, alla via, presso lo studio dell’avv. che lo rappresenta e difende in virtù di procura allegata al ricorso introduttivo depositato telematicamente
OPPONENTE E
YYY – in persona del legale rappresentante pro tempore – elettivamente domiciliata in Roma, , presso lo studio degli avv.ti che la rappresentano e difendono giusta procura allegata alla memoria di costituzione nella fase sommaria
OPPOSTA
OGGETTO: opposizione ex art. 1, comma 51, l. n. 92/2012, avverso ordinanza del 31 marzo 2017
CONCLUSIONI DELLE PARTI:
L’avv., per l’opponente: “…1) IN VIA PRINCIPALE: applicare la tutela reale dichiarando il licenziamento illegittimo perché disposto in chiara violazione degli art 1 e 2 della legge n. 604/66 e dell’art. 18 della legge 300/70 e delle richiamate norme del CCNL di categoria e per effetto ordinare la reintegrazioni della lavoratrice al posto di lavoro e di condannare la ditta convenuta al pagamento di tutte le retribuzioni globale di fatto dovute dal giorno del licenziamento fino affettiva reintegrazioni con tutti gli accessori della tutela reale. Vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a e spese generali, da distrarsi in favore dell’Avv. che si dichiara procuratore antistatario, e sentenza provvisoriamente esecutiva”.
Gli avv.ti, per l’opposta: “…in via preliminare accertare e dichiarare la inammissibilità del ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 1, comma 51, legge n. 92/2012; in ogni caso rigettare la domanda, in quanto infondata in fatto ed in diritto e, comunque, carente di prova. In via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda, si chiede che, in applicazione dell’art. 32 della legge n. 183/2010, la condanna economica sia limitata nella misura minima della indennità prevista; in via ulteriormente gradata, si chiede che la condanna economica sia limitata, tenendo conto di quanto la ricorrente ha percepito successivamente alla fine dello stage (cd. aliunde perceptum). Con vittoria di spese, diritti ed onorari”.
ESPOSIZIONE DEI FATTI
Con ricorso depositato telematicamente il 2 maggio 2017 ed iscritto a ruolo il 4 maggio 2017, XXX ha proposto opposizione avverso l’ordinanza del 31 marzo 2017, con cui questo Tribunale ha rigettato l’impugnazione del licenziamento disciplinare a lui irrogato dalla soc. YYY con lettera del 6 aprile 2016.
Il ricorrente in opposizione si duole del fatto che il Giudice della fase sommaria abbia rigettato la domanda reputando sufficienti i documenti prodotti dalla società senza ammettere i mezzi di prova da lui richiesti, necessari per far luce sulle vere motivazioni del licenziamento impugnato; osserva che la Costituzione ritiene l’imputato innocente fino alla sentenza definitiva, mentre egli non è stato ancora processato ed è tuttora in corso l’indagine; richiama, infine, integralmente il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio.
Il ricorrente ha pertanto rassegnato le conclusioni sopra trascritte.
La soc. YYY, costituitasi telematicamente il 15 settembre 2017, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’opposizione siccome iscritta a ruolo il 4 maggio 2017 e quindi oltre il termine di trenta giorni decorrente dalla data di comunicazione dell’ordinanza di rigetto (31 marzo 2017).
Ha altresì eccepito la inammissibilità dell’opposizione non avendo il ricorrente indicato specifici motivi a fondamento dei pretesi errori attribuiti alla decisione resa dal Giudice della prima fase.
In fatto, la convenuta ha dedotto che il ricorrente, assunto in data 1.9.2000 ed addetto presso la sede di Roma dal 21.5.2012 con mansioni di Supervisore operativo nel progetto ***, ha ricoperto, in regime di trasferta, il ruolo di referente del sito di Pesaro per più periodi nel 2015 e di quello di Civitanova Marche dall’8.2.2016 al 19.2.2016; che i fornitori consegnano i documenti richiesti recandosi presso i locali delle Filiali oppure inviandoli via mail; che il 23 febbraio 2016 la Polizia Giudiziaria, su delega della Procura della Repubblica di Pesaro, ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro, presso la Filiale di Civitanova Marche, nell’ambito del procedimento penale n. RG. P.M., del personal computer aziendale, assegnato al XXX, nonché di un’agenda di colore grigio; che, a seguito di espressa richiesta, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro ha informato essa convenuta che il XXX era indagato per il reato di cui agli artt. 317 – 629 – 56 – 61 – 81 cod. pen.; che essa società ha appreso che, in data 17 febbraio 2016, i Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Pesaro hanno tratto in arresto l’attuale ricorrente, in flagranza di reato, per estorsione aggravata e continuata, perché sorpreso nell’atto di ricevere denaro contante da un responsabile di cooperativa di corrieri, contrattualizzato presso la filiale di Pesaro; che il XXX non l’ha informata di essere stato arrestato; che, con lettera dell’8.3.2016, essa ha contestato al lavoratore di non aver informato il suo superiore dell’avvenuto arresto, diversamente da quanto previsto dalla normativa aziendale, e di essere venuto meno, in ragione dei fatti per i quali era stato arresto, ai fondamentali obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà posti alla base del rapporto di lavoro, esponendo anche il datore di lavoro al rischio di conseguenze sanzionatorie previste dal Decreto Legislativo n. 231/2001 e cagionando una grave lesione dell’immagine della società medesima; che, dopo aver ricevuto le giustificazioni del lavoratore, lo ha licenziato per giusta causa; che il codice disciplinare è sempre stato affisso presso le bacheche aziendali di tutte le sedi di lavoro di YYY mentre il codice etico di *** (società capogruppo di YYY) è consultabile sull’intranet aziendale; che il XXX è stato destinatario di numerose sanzioni disciplinari; e che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro ha avanzato nei confronti del ricorrente richiesta di rinvio a giudizio (con udienza fissata per il 24.1.2017).
L’opposta ha dedotto che il licenziamento è stato compiutamente motivato; che la sanzione è stata pienamente legittima e proporzionata ai fatti addebitati i quali, per la loro gravità, integrano il requisito della giusta causa; che, in subordine, il licenziamento può essere considerato disposto per giustificato motivo soggettivo; e che, in caso di accoglimento della domanda, non sussistono le condizioni per far luogo alla reintegrazione nel posto di lavoro.
Ha quindi ha rassegnato le conclusioni sopra riportate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – L’opposizione non è tardivamente proposta. Dai registri di cancelleria il ricorso risulta iscritto a ruolo il giorno 4 maggio 2017, laddove l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria è stata comunicata alle parti il 31 marzo 2017. Tuttavia, il ricorso è stato depositato telematicamente, come appare da specifica annotazione della Cancelleria sul registro informatico, il 2 maggio 2017, nel rispetto quindi del termine perentorio di 30 giorni stabilito dall’art. 1, comma 51, l. n. 92/2012, tenuto conto che il 1° maggio è giorno festivo.
2. – Parimenti infondata l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione per mancata indicazione di specifici motivi a fondamento degli errori che avrebbe commesso il giudice della fase sommaria.
Secondo ormai costante orientamento giurisprudenziale, “Nel rito di impugnazione del licenziamento, come riformato dalla l. n. 92/2012, le due fasi del giudizio di primo grado, quella di cognizione sommaria e la successiva a cognizione ordinaria, sono tra loro in rapporto di prosecuzione; di talché, l’opposizione, che non ha natura di impugnazione, può riguardare nuovi profili soggettivi e oggettivi, tra cui anche le eccezioni in senso stretto (nella specie, l’eccezione di decadenza) non sollevate nella fase sommaria” (Cass. civ., sez. lav., 11/12/2015, n. 25046; v. anche Cass. civ., sez. lav., 21/11/2017, n. 27655).
Se dunque la fase che si apre dopo quella sommaria non ha natura di impugnazione, colui che la promuove, come può addirittura proporre motivi di indagine non dedotti nella prima fase, così, a maggior ragione, non ha alcun onere di formulare specifici motivi di doglianza avverso il provvedimento sommario, ma può anche soltanto limitarsi a riproporre le medesime argomentazioni già prospettate affinché le stesse siano nuovamente vagliate senza i limiti della cognizione sommaria.
Perciò, l’attuale opponente ha validamente intrapreso il presente giudizio richiamando interamente il contenuto del ricorso introduttivo della prima fase ed inoltre, sia pur in forma estremamente sintetica ma del tutto puntuale, si è lamentato del fatto che i mezzi di prova già richiesti non erano stati ammessi, ed ha evidenziato il principio costituzionale di presunzione di innocenza fino a pronuncia definitiva di condanna.
3. – L’onere della prova del fatto posto a fondamento del licenziamento grava sul datore di lavoro (art. 5 l. n. 604/1966), ma, una volta che l’inadempimento addebitato sia provato, grava sul lavoratore l’onere di provare che tale inadempimento si sia verificato per causa a lui non imputabile.
La Corte di Cassazione ha infatti affermato che “Il datore di lavoro, su cui a norma dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966 grava l’onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, può limitarsi, nel caso in cui la giusta causa sia costituita dalla assenza ingiustificata del lavoratore dal servizio, nella sua valenza di inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare, a provare l’assenza nella sua oggettività, mentre grava sul lavoratore l’onere di provare gli elementi che possono giustificare l’assenza e in particolare la sua dipendenza da causa a lui non imputabile” (Cass. civ., Sez. lavoro, 07/02/2011, n. 2988).
Più in generale, “In tema di licenziamento disciplinare incombe al lavoratore di dimostrare che l’inadempimento accertato non è imputabile ad una sua volontà di sottrarsi ingiustamente alla prestazione o al comportamento dovuto e a tal fine non rilevano le rappresentazioni soggettive che l’obbligato, sia pure in buona fede, si faccia della giustificazione della propria condotta” (Cass. civ., Sez. lavoro, 14/08/2008, n. 21680).
Nella specie, quindi, deve reputarsi che il fatto contestato può già dirsi provato in quanto implicitamente ammesso giacché il ricorrente ha inteso allegare e provare che, contrariamente a quanto constatato in sede di arresto in flagranza, egli era stato vittima di una macchinazione ordita ai suoi danni dal trasportatore ***.
Nella lettera di contestazione disciplinare dell’8 marzo 2016 si legge:
“…Successivamente la YYY apprendeva che, in data 17 febbraio 2016, Lei era stato arrestato dalla medesima Autorità Giudiziaria in flagranza di reato poiché sorpreso nell’atto di ricevere denaro contante dal legale rappresentante della società ***, cooperativa di distribuzione contrattualizzata presso la Filiale di Pesaro. Di tale evento Lei non aveva provveduto ad informare il Suo diretto responsabile diversamente da quanto previsto dalla normativa di riferimento”.
Nel presentare le sue difese per iscritto il lavoratore, dopo aver riferito di aver più volte richiesto al *** la consegna di documenti indispensabili per la regolare prosecuzione del rapporto negoziale, ha affermato che questi lo aveva in plurime occasioni minacciato, anche tramite un messaggio telefonico in data 3 settembre 2015, cosa di cui erano stati informati i responsabili della regione Marche; e che, infine, il ***, data la ferma opposizione incontrata, nei giorni 11, 12, 14 e 15 febbraio 2016 lo aveva ripetutamente contattato per telefono per dirgli che era in possesso dei documenti necessari (certificati penali e certificato di residenza) e, nonostante gli avesse fatto presente che egli ormai non era più addetto alla Filiale di Pesaro bensì a quella di Civitanova Marche, aveva insistito invocando specifica disposizione data dal responsabile regionale; che egli, quindi, dopo aver avuto conferma da tale responsabile circa la propria persistente competenza ad occuparsi della questione, aveva invitato il *** a farsi trovare in un luogo vicino all’autostrada per la consegna dei documenti; che, invece, giunto all’appuntamento, il ***, che non aveva con sé alcun documento, cercò di corromperlo, cosa che egli rifiutò; e che, in quel frangente giunsero i Carabinieri i quali, vedendo un pacco contenente del denaro che il *** aveva lanciato vicino alla sua auto, lo arrestarono.
In sede di audizione orale il XXX ha riferito che già nel mese di gennaio 2016 era stato raggiunto presso la Filiale di Pesaro dal *** il quale gli aveva offerto uno stipendio mensile di €750,00; che il 17 febbraio 2016 era stato contattato nuovamente dal trasportatore, il quale gli aveva dato appuntamento al di fuori delle sedi aziendali (in contraddizione con quanto dedotto nelle difese scritte in cui aveva ammesso di essere stato lui ad invitare il *** in un luogo diverso dall’azienda stante il divieto imposto al medesimo di accedere ai locali) per consegnare i documenti; e che di entrambe tali circostanze egli non aveva avvisato i suoi superiori.
Tale ricostruzione dei fatti è stata sostanzialmente dedotta nel ricorso introduttivo della fase sommaria con offerta di prova orale.
Tuttavia, le prove testimoniali espletate non hanno condotto assolutamente a confermare, neppure indiziariamente, che i fatti si siano svolti come sostenuto dal lavoratore.
Non è inopportuno premettere che l’opponente avrebbe potuto comparire per rendere il libero interrogatorio così da offrire più compiuta esposizione della propria versione dei fatti ed avrebbe ben potuto produrre il verbale di arresto ed i provvedimenti sommari adottati successivamente (è pacifico che egli sia stato rimesso in libertà poco dopo, ma non è noto se con restrizioni o meno) quanto meno per far constatare che i fatti rilevati dai Carabinieri fossero almeno in parte diversi da come erano stati contestati dalla società, sicché deve appunto ritenersi che, invece, quel giorno ed in quel luogo vi sia stata una consegna di denaro dal *** al XXX.
Nessuno dei testi escussi, poi, ha offerto conferma né delle minacce che il trasportatore avrebbe rivolto né dell’offerta da questo fatta di consegnare finalmente i documenti né del fatto che il XXX avesse avvisato i suoi superiori delle dette minacce.
Il teste ***, “operation area manager” delle regioni Toscana, Emilia Romagna e Marche, dopo aver dichiarato che il XXX era stato incaricato di far rispettare le procedure aziendali ed in particolare di controllare che gli appaltatori fossero muniti dei documenti previsti dalle clausole contrattuali (patenti di guida, certificati penali, ecc.), ha affermato che non gli risulta che il ***, convocato nel mese di agosto 2015 dal XXX per rammentare il necessario rispetto di tutte le procedure aziendali, lo avesse aggredito verbalmente ed avesse proferito minacce (…fargliela pagare cara…) se la società avesse applicato penali a suo carico o avesse ridotto i compensi per scarsa produttività, anche se è vero che vi sono stati episodi di intemperanze da parte di appaltatori dei quali comunque è venuto a conoscenza tramite i propri sottoposti; che, parimenti, nulla gli consta circa il fatto che il 24 agosto 2015 il ricorrente avrebbe formalmente chiesto al *** i documenti necessari con avvertimento che, in mancanza, non sarebbero state saldate le fatture fino alla regolarizzazione della posizione, avvertimento cui sarebbe seguita la minacciosa frase: “cubanito del cavolo, ti faccio vedere io i documenti”, né di comunicazioni di tale episodio ai responsabili della regione Marche. Ancora, il teste *** non ha confermato la circostanza secondo cui il XXX nel mese di settembre 2015 avrebbe convocato il *** per rappresentargli la bassa produttività della sua ditta e per applicargli una riduzione della tariffa anziché una penale di €14.000,00, cosa che il trasportatore avrebbe accettato, salvo, una settimana dopo, reiterare le sue minacce. Anzi, il teste ha precisato che i contratti non prevedono penali o riduzioni di corrispettivi connesse a bassa produttività, ma solo penali per disservizi, ed ha aggiunto di aver egli stesso trattato personalmente con il *** il quale aveva a volte atteggiamenti “espansivi” ma non ha mai rivolto minacce. Il *** ha confermato di un incontro cui parteciparono, oltre al *** ed al XXX, egli stesso e ***, responsabile delle filiali di Emilia Romagna e Marche, precisando che ciò avvenne a Pesaro nel mese di gennaio 2016 e che in quella occasione fu fatto presente al *** che mancava ancora il certificato penale, dopo che erano stati raccolti altri documenti necessari, e gli fu detto che, se non lo avesse presentato, ciò sarebbe stato comunicato all’Ufficio acquisti operativo per la eventuale rescissione del contratto di appalto, e dunque non già che gli fosse stato ingiunto di non accedere fisicamente ad alcuna sede dell’azienda (“…tale prassi [consegna di documenti fuori della sede aziendale] non mi risulta assolutamente, in quanto i documenti o vengono consegnati brevi manu presso la filiale oppure inviati tramite email; ADR: dopo la riunione di gennaio non era stato inibito al *** di entrare nella filiale di
Pesaro. … e comunque presso le filiali esiste una reception per i clienti alla quale chiunque può accedere; ADR: io certamente ho sollecitato il XXX a farsi consegnare il documento ma certamente non gli ho dato indicazioni di sorta circa la consegna al di fuori della sede aziendale”). Quanto alla allegazione secondo cui nel mese di novembre 2015 il XXX applicò una riduzione di tariffa a danno del *** e gli comunicò che non poteva entrare più in alcuna sede aziendale non avendo presentato i documenti, il teste *** ha escluso che il ricorrente potesse applicare riduzioni di tariffe o penali ma avrebbe potuto soltanto proporre/richiedere l’applicazione di una penale per disservizi.
Il teste *** – indicato da entrambe le parti, già responsabile operativo di area, dimessosi dalla YYY a febbraio 2017, il quale, in quanto referente del XXX aveva occasioni di contatti sia diretti che telefonici o tramite e-mail o video-conferenza, dopo aver dichiarato di non sapere nulla di riunioni convocate dal ricorrente ad agosto 2015 e, dunque, a maggior ragione di minacce che il *** in tali occasioni avrebbe proferito o comunque successivamente (“Nulla so su eventuale minaccia che il *** avrebbe rivolto al XXX come indicato al capitolo 11 di cui mi viene data lettura; ADR: ribadisco che nulla so su tale minaccia né mi è stato riferito da qualcuno; ADR: non ricordo che alcuno mi abbia riferito di minacce che il *** avrebbe rivolto nei confronti del XXX”) – ha riferito di sapere che vi erano stati degli screzi con il *** perché il servizio da lui svolto non era molto soddisfacente e di aver anche parlato di ciò con il XXX, ma di non ricordare di penali applicate al trasportatore anche se non è stato in grado di escluderlo, evidenziando il fatto che egli riceveva circa 500 mail al giorno e gestiva venti filiali cui facevano capo una quarantina di fornitori. Non ha ricordato specificamente la riunione di gennaio 2016 – di cui invece ha parlato con precisione il *** – ma ha comunque confermato che vi fu una riunione nel corso della quale si parlò dei documenti che il *** avrebbe dovuto presentare. Ha invece confermato che al predetto il XXX comunicò che non poteva più accedere alle sedi aziendali poiché continuava a rimanere inadempiente, e tanto per averlo deciso insieme con lo stesso XXX e con il ***, precisando tuttavia che, ovviamente, il *** ben poteva accedere agli uffici per portare i documenti, come in genere facevano tutti gli appaltatori, senza che vi fossero consegne di atti fuori dei locali aziendali. Infine, il teste ha dichiarato di aver appreso da tale ***, assegnato in supporto alla filiale di Civitanova Marche, che vi sarebbe stata una consegna di documenti fuori della sede e che il XXX era stato arrestato (è evidente che il *** nulla può sapere direttamente del fatto addebitato in quanto lo stesso ricorrente non riferisce certo di una presenza di costui all’appuntamento con il ***; né ulteriori elementi determinanti a sostegno della tesi del ricorrente potrebbe fornire ***, all’epoca suo superiore gerarchico, con il quale l’***, dopo aver saputo indirettamente dell’arresto, parlò telefonicamente riferendogli che il XXX era uscito dalla filiale, tardava a rientrare e non era contattabile tramite cellulare).
In definitiva quindi, escluso che il lavoratore possa essere stato vittima di una macchinazione ordita dal ***, ed evidenziato che l’ulteriore addebito ascrittogli (non aver comunicato al suo diretto responsabile l’avvenuto arresto in contrasto con quanto stabilito dal Codice Etico della società che impone di dare tempestiva comunicazione al superiore dell’insorgenza di dinamiche che possano interferire con la corretta gestione dell’attività lavorativa) non è stato oggetto di contestazione alcuna da parte del XXX, permane il fatto che egli, incontratosi fuori del locali aziendali con persona che era inadempiente all’obbligo di fornire documenti necessari per la prosecuzione dell’attività di trasporto, ha ricevuto da costui del denaro.
Tanto appare sufficiente per giustificare il licenziamento in tronco in quanto si tratta di comportamento che fa venir meno del tutto la fiducia del datore di lavoro nel rispetto di regole essenziali per il regolare svolgimento del rapporto lavorativo in quanto una “gestione” privata e clandestina di un rapporto con un fornitore è in aperto contrasto con gli obblighi essenziali del prestatore d’opera preposto proprio al controllo della produttività della ditte appaltatrici e della presenza di tutti i documenti ritenuti essenziali per lo svolgimento dell’attività anche ai fini della sicurezza aziendale (v. punto 8 del ricorso introduttivo della fase sommaria).
4. – Non si ravvisano i presupposti per far luogo ad ulteriori indagini ex art. 421 c.p.c., sollecitate dal ricorrente all’udienza dell’11 ottobre 2018, e cioè acquisire i tabulati telefonici degli apparecchi aziendali in uso al teste *** ed a lui medesimo per accertare la circostanza che egli, pur trovandosi nella filiale di Civitanova e non quella di Pesaro, dove il *** doveva consegnare i documenti, fu incaricato di ricevere tali documenti in data 17 febbraio 2016, ed i provvedimenti di imposizione di penali che egli stesso avrebbe applicato alla ditta del ***.
A prescindere dal fatto che si tratta di documenti di cui l’opponente ben avrebbe potuto chiedere l’acquisizione con l’atto introduttivo del giudizio, dopo aver dimostrato di non essere stato in grado di disporne egli stesso (l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. viene emesso dal giudice solo allorquando l’istante dimostri di non essere riuscito ad acquisire autonomamente il documento di cui chiede ordinarsi l’esibizione: v. Cass. civ., sez. lav., 24/01/2014, n. 1484; Cass. civ., sez. VI, 16/11/2010, n. 23120), si rammenta che “Nel rito del lavoro, il potere istruttorio d’ufficio ex artt. 421 e 437 c.p.c., non è meramente discrezionale, ma costituisce un potere-dovere da esercitare contemperando il principio dispositivo con quello della ricerca della verità, sicché il giudice (anche di appello), qualora reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati d’indagine, non può arrestarsi al rilievo formale del difetto di prova ma deve provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio idonei a superare l’incertezza sui fatti in contestazione, senza che, in tal caso, si verifichi alcun aggiramento di eventuali preclusioni e decadenze processuali già prodottesi a carico delle parti, in quanto la prova disposta d’ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile ai fini del decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo (fattispecie relativa all’ammissione di buste paga quietanzate)” (Cass. civ., sez. VI, 03/10/2017, n. 23039; v. anche Id., 05/11/2012, n. 18924).
Avendo quindi il potere istruttorio del giudice essenzialmente funzione integrativa dell’attività istruttoria già compiuta su impulso delle parti dalle parti dovendo venir esercitato quando già nella causa sono presenti significativi dati e spunti di indagine (Cass. civ., sez. lav., 12/02/1997, n. 1304; Id., 29/09/2016, n. 19305), coerentemente non sussiste il dovere del giudice di attivarsi ove le prove acquisite non offrano alcun elemento che appaia utile per un approfondimento.
Come detto, le deposizioni testimoniali non hanno in alcun modo confermato le deduzioni del lavoratore circa una macchinazione ai suoi danni.
Peraltro, da un lato i tabulati telefonici potrebbero solo fornire prova di una telefonata che sarebbe intercorsa tra il XXX ed il suo responsabile il 17 febbraio 2016, ma non certo del contenuto della stessa e dall’altro l’eventuale prova di una penale che il ricorrente avrebbe applicato al *** (ma, come rilevato, i testi hanno escluso che il XXX avesse tale potere) offrirebbe solo un indizio del malanimo che il trasportatore avrebbe potuto avere nei suoi confronti ma non avrebbe alcun carattere decisivo per la prova della macchinazione.
5. – Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si precisa che, in applicazione del principio stabilito dall’art. 91 c.p.c., le spese sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, 2) dell’importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell’affare, 3) delle condizioni soggettive del cliente, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia n. 55 del 10.3.2014.
Può farsi riferimento ai valori minimi delle dette tabelle (per cause di valore indeterminabile) in considerazione della sostanziale assenza di nuove questioni rispetto a quelle già esaminate nel corso della fase sommaria; al compenso si aggiunge il rimborso forfetario delle spese generali al 15% (espressamente reintrodotto dall’art. 2 del D.M.), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.
P . Q . M .
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull’opposizione proposta da
XXX, con ricorso depositato telematicamente il 2 maggio 2017, avverso l’ordinanza emessa da questo Tribunale il 31 marzo 2017, così provvede:
1. – rigetta l’opposizione;
2. – condanna XXX al pagamento, in favore della soc. YYY, delle spese di lite che liquida in complessivi €4.657,00# di cui €607,00# per esborsi ed €4.050,00# per compensi, oltre IVA e CPA.
Roma, 15 ottobre 2018
Il Giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
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