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Codice Civile
Codice Penale

Sanzione disciplinare sospensione dal lavoro

La sentenza conferma la legittimità di una sanzione disciplinare di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione inflitta ad un dipendente. Il lavoratore aveva contestato la tempestività della contestazione disciplinare e la valutazione delle prove. La Corte ha ritenuto la contestazione tempestiva e le prove sufficienti a confermare la sanzione, in quanto proporzionata alla gravità dell’infrazione commessa.

Pubblicato il 02 July 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza composta dai magistrati:
1.
NOME
NOME COGNOME Presidente 2. dr.
NOME COGNOME Consigliere rel.
3. dr.
NOME COGNOME Consigliere Riunita nella camera di consiglio tenutasi ai sensi dell’art.127-ter cpc;
lette le note illustrative, ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._191_2024_- N._R.G._00000172_2023 DEL_05_06_2024 PUBBLICATA_IL_07_06_2024

nella causa civile iscritta al n. 172/2023 r. g. sezione lavoro, vertente

TRA

, rappresentato e difeso per procura alle liti in atti dall’Avv. NOME COGNOME Parte appellante in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per procura in atti dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Ancona Parte appellata Conclusioni come in atti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO L’appellante ha impugnato la sentenza n. 340/2022, emessa dal Tribunale di Ancona in funzione di giudice del lavoro, di rigetto del ricorso, proposto nei confronti del , teso all’annullamento della sanzione disciplinare della sospensione per tre giorni dal lavoro e dalla retribuzione. A fondamento dell’impugnazione, l’appellante ha articolato i seguenti motivi di gravame:
1) violazione del termine di cui all’art. 55 bis d.lgs. 165/2001, in quanto il dies a quo da cui far decorrere il termine per la contestazione disciplinare sarebbe il 14 novembre 2020, data in cui il lavoratore avrebbe effettivamente ripreso a svolgere la prestazione lavorativa;
2) erronea valutazione delle dichiarazioni testimoniali dalle quali, contrariamente a quanto statuito dal primo ’appellante del contratto di comodato d’uso;
4) violazione e/o falsa applicazione del principio di proporzionalità e gradualità delle sanzioni disciplinari di cui all’art. 2106 c.c..

Nel processo di appello si sono costituiti il contestandone la fondatezza, in riferimento a ciascuno dei motivi di gravame e chiedendo la conferma integrale della sentenza impugnata.
Allo scadere dei termini per il deposito delle note sostitutive d’udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è infondato e va respinto per le ragioni di seguito esposte.

Con il primo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza nella parte in cui non ha accertato la violazione del termine di cui all’art. 55 bis d.lgs. 165/2001, in quanto il dies a quo da cui far decorrere il termine per la contestazione disciplinare sarebbe il 14 novembre 2020, data in cui il lavoratore avrebbe effettivamente ripreso a svolgere la prestazione lavorativa.

Come correttamente statuito dal giudice di prime cure, le condotte contestate al lavoratore – assenza ingiustificata e rifiuto di eseguire la prestazione lavorativa da remoto secondo le istruzioni ricevute – si sono protratte dall’11.11.2020 sino al 16.11.2020, allorquando l’appellante ha ripreso la propria attività lavorativa in smart working, e sono state segnalate dal DSGA al Dirigente scolastico con comunicazione del 25.11.2020, nella quale si dava atto della mancanza di giustificativi per l’assenza dal servizio. Pertanto, la contestazione del 15.12.2020 non può ritenersi tardiva, essendo intervenuta entro i 30 giorni dalla predetta segnalazione ex art. 55 bis d.lgs. 165/2001.

Non è meritevole di pregio la circostanza dedotta dall’appellante secondo cui già in data 14.11.2020 avrebbe effettivamente ripreso l’espletamento della prestazione lavorativa, come dimostrerebbe l’e-mail inviata dal medesimo al DSGA e al Dirigente scolastico.

Invero, con tale pec il lavoratore, dopo aver ribadito il mancato avvio del servizio di smart working, ha comunicato che avrebbe avviato la propria attività dal 16 novembre 2020.

Pertanto, appare evidente come la condotta contestata si sia protratta sino al 16.11.2020, data in cui l’appellante ha effettivamente avviato il proprio lavoro da remoto.

Sicché solo alla cessazione di tale condotta l’amministrazione ha potuto valutare il complessivo disvalore disciplinare della stessa, con conseguente avvio del procedimento disciplinare.

Con il secondo motivo l’appellante censura l’erronea valutazione delle dichiarazioni testimoniali dalle quali, contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, discenderebbe la prova Collegio condivide la decisione del giudice di prime cure secondo cui le contestazioni risultano ampiamente riscontrate dalla documentazione prodotta e dalle dichiarazioni rilasciate in sede testimoniale.

Risulta dimostrato che il lavoratore ha ricevuto sin dal 10.11.2020 il computer portatile per svolgere attività in smart working e che gli erano state indicate tutte le attività da svolgere;
risulta, inoltre, che, nonostante i solleciti provenienti dall’amministrazione, soltanto in data 16.11.2020 egli ha provveduto ad accendere il pc e ad espletare la prestazione lavorativa.

Al riguardo, la teste ha riferito “ricordo che ho avuto un confronto col Soccio che mi ha chiesto di indicargli le cose urgenti, ricordo anche che nel decreto che attivava lo smart working erano indicate tutte le mansioni che doveva svolgere.

Gli avevo anche scritto una mail dove indicavo le priorità che dovevano essere svolte in quel momento.

L’ho spedita nel periodo in cui gli era appena arrivato il pc o immediatamente prima.

Era il periodo di attivazione dello smartworking.

Mi pare fosse i primi di novembre o inizi seconda settimana di novembre”, circostanza confermata dalla comunicazione avvenuta via mail con la stessa in data 9.11.2020.

Dalla documentazione in atti è pacifico come l’appellante non abbia avviato l’attività lavorativa in smart working nel periodo oggetto di contestazione, giustificando il rifiuto con la mancata sottoscrizione del contratto di comodato d’uso poiché contenente clausole non condivisibili.

In particolare, a fronte dei solleciti rivolti dall’amministrazione affinché il Soccio avviasse il servizio, il lavoratore comunicava “nel caso non fossero effettuate le modifiche di cui ai punti indicati di seguito, lo scrivente non procederà alla firma del contratto pertanto non sarà possibile l’avvio del servizio smart working (…)”;
“il sottoscritto non potrà adempiere e garantire l’avvio dell’attività (…)”;
“ribadisco che quello consegnato (pc) non avendo firmato e accettato le condizioni del contratto è ancora fermo e non messo in funzione” (pec rispettivamente dell’11.11.2020, del 13.11.2020 e del 14.11.2020).

Infine, anche con la seconda mail del 14.11.2020 il medesimo ribadiva di non aver mai messo in funzione il pc e di non aver avviato la prestazione in smart working.

Le comunicazioni intervenute tra il lavoratore e l’amministrazione, relative alla mancata attivazione del lavoro da remoto e al rifiuto di sottoscrivere il contratto di comodato d’uso, non possono certamente essere intese quale svolgimento della prestazione lavorativa.

Inoltre, le dichiarazioni testimoniali riportate nell’atto di appello, volte secondo l’appellante a confutare la fondatezza dell’addebito, afferiscono ad altre condotte contestate ed in particolare al mancato del contratto di comodato d’uso al fine di escludere il rilievo disciplinare dell’omesso svolgimento dell’attività lavorativa nel periodo oggetto di contestazione;
evidenzia che la stessa amministrazione con determina n. 6494 del 9.11.2020 avrebbe subordinato la consegna e l’utilizzo del computer alla sottoscrizione del contratto di comodato d’uso da parte del lavoratore e che l’omessa sottoscrizione dell’accordo era dovuta alla presenza di clausole non condivisibili, specie in merito alle ipotesi di furto o rottura del bene.

Anche tale doglianza non può essere accolta.

Appare condivisibile quanto statuito sul punto dal giudice di prime cure, secondo cui l’amministrazione aveva consegnato il portatile al lavoratore per consentirgli di svolgere la propria prestazione senza condizionarne la consegna o l’utilizzo alla sottoscrizione del contratto allegato.

Ciò appare senz’altro confermato dal testo della determina menzionata dall’appellante e allegata dall’Amministrazione, dalla cui lettura non è possibile evincere in alcun modo la volontà della datrice di subordinare l’utilizzo del computer alla previa sottoscrizione dell’accordo di comodato.

Peraltro, come correttamente rilevato dal primo giudice, in assenza di accordi specifici, la disciplina applicabile al rapporto di comodato d’uso gratuito è comunque quella codicistica ex artt. 1803 cc, sicché ben poteva l’appellante utilizzare il computer nella consapevolezza che, in assenza di sottoscrizione di accordo sottopostogli dalla datrice di lavoro, i suoi obblighi in caso di deterioramento della cosa data in comodato sarebbero stati quelli delineati dalla disciplina generale degli artt. 1803 e ss cc. Del resto, lo stesso lavoratore, in data 16 novembre 2020, dopo la diffida ad adempiere pervenuta dall’amministrazione, ha avviato la prestazione da remoto utilizzando il computer fornitogli senza che la datrice avesse di fatto rinunciato alla sottoscrizione del predetto contratto.

Ebbene, ritiene il Collegio in specie sussistenti i presupposti di legittimità della sanzione impugnata, in quanto comminata a seguito di accertata assenza di una valida giustificazione alla mancata prestazione lavorativa da parte del dipendente, nonché proporzionata al fatto commesso, ove si consideri che l’art. 13 co. 4 lettera c) del CCNL di riferimento punisce l’assenza ingiustificata con la sospensione fino a 10 giorni e che ad essa è stata parametrata la durata del mancato svolgimento dell’attività lavorativa da remoto. Le spese del presente grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

La Corte così provvede:
1) Rigetta l’appello e conferma la sentenza impugnata;
2) condanna D.M.10.03.2014), I.V.A. e C.A.P.;
3) dichiara la ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, del doppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/2002, inserito dall’art.1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, fatti salvi eventuali motivi di esenzione.
Ancona, 24 maggio 2024 Il Consigliere est. Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME dott. NOME COGNOME Sentenza redatta con la collaborazione della dott.ssa NOME COGNOME assegnata all’UPP di questa Corte

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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