REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA
SEZIONE CIVILE
La Corte di Appello di L’Aquila, riunita in camera di consiglio nelle persone di:
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 292/2020 pubblicata il 14/02/2020
Nella causa civile di secondo grado iscritta al n. /2015 R.G., alla quale è riunita la causa iscritta al n. /2015 R.G., assunta in decisione all’udienza collegiale del 12.6.2019 e vertente tra
XXX (Cod. Fisc.), rappresentata e difesa dagli Avv.ti per procura in calce all’atto di citazione in appello,
Appellante nella causa n. /2015 R.G. E
YYY (Cod. Fisc.), rappresentato e difeso dagli Avv.ti, elettivamente domiciliato, per procura a margine delle comparse di costituzione e di risposta,
Appellato nella causa n. /2015 R.G.
Appellato e appellante incidentale nella causa n. /2015 R.G.
NONCHE’
Società ZZZ S.R.L. (Cod. Fisc.), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv., elettivamente domiciliata in per procura in calce all’atto di citazione in appello,
Appellante nella causa n. /2015 R.G.
Società KKK S.p.A. (Cod. Fisc.), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. per procura a margine della comparsa di costituzione e di risposta,
Appellata nella causa n. /2015 R.G. Oggetto: appello alla sentenza non definitiva del Tribunale di Chieti, Sezione Distaccata di Ortona, n. /2015 del 12.5.2015.
Conclusioni dell’appellante XXX: “Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di L’Aquila, per tutti i motivi esposti in narrativa: in via preliminare, disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva della predetta sentenza della Sezione di Ortona del Tribunale Civile di Chieti n. dell’8 maggio 2015 impugnata (e/o previa imposizione di cauzione all’appellato YYY) e/o dell’esecuzione eventualmente e denegatamente medio tempore avviata; I) nel merito, accogliere il presente appello e per l’effetto, in riforma della sentenza predetta, voglia 1) accertare e dichiarare la sussistenza del diritto della Sig.ra XXX alla retrocessione da parte delle KKK S.p.A. degli immobili espropriati; 2) per l’effetto dichiarare la invalidità e/o inefficacia nei suoi confronti del contratto di compravendita stipulato in data 11.07.2005 dal sig. YYY con *** s.p.a.; II) nel merito in via subordinata condannare le KKK s.p.a. al risarcimento di tutti i danni subiti dalla appellante corrispondenti alla differenza tra il valore i mercato delle aree espropriate e mai utilizzate e l’indennizzo nel suo ammontare attualizzato oltre alle spese legali sostenute nelle due fasi di giudizio; III) sempre nel merito: nella denegata ipotesi in cui venissero ritenute fondate le pretese avanzate dalla parte attrice: 1) sollevare la sig.ra XXX da ogni e qualsiasi responsabilità relativamente agli obblighi di restituzione, demolizione, ripristino, risarcimento e pagamento ex art. 938 nei confronti del sig. YYY, ivi comprese le spese del presente giudizio, dichiarando la esclusiva responsabilità delle KKK S.p.a. e condannando queste al soddisfacimento delle pretese del sig. YYY nelle forme e modalità in cui la Corte adita vorrà accoglierle; IV) ancora, nel merito, in ogni caso, ove denegatamente l’appellante fosse costretta a corrispondere alcunché della somma liquidata dal Tribunale all’odierno appellato YYY, chiede si da ora che, in caso di riforma, la Ecc.ma Corte voglia condannare l’appellato a restituire le somme indebitamente percepite con gli interessi oltre gli interessi di mora nella misura di legge ovvero quelli di cui all’art 1284 c.c. nuovo testo dalla data di percezione sino al saldo effettivo. Con vittoria di spese e compensi di lite di entrambi i gradi di giudizio”.
Conclusioni dell’appellato e appellante incidentale YYY: “In via pregiudiziale ritenere l’appello proposto inammissibile ex art. 342 c.p.c., in ogni caso previa valutazione della ragionevole probabilità dì rigetto dell’appello così come proposto, ritenere l’appello medesimo infondato in fatto ed in diritto e quindi rigettarlo in ogni sua parte; in via preliminare rigettare l ‘istanza di sospensione dell’esecuzione provvisoria ex art. 283 c.p.c. perché priva dei presupposti di legge; nel merito ed in via principale rigettare l’appello così come proposto perché infondato in fatto ed in diritto e per l’effetto: – confermare, limitatamente alle parti della sentenza oggetto del presente gravame, la sentenza del Tribunale di Chieti – Sezione distaccata di Ortona – N. /2015- depositata in data 12.05.2015 e quindi – rigettare le domande riconvenzionali avanzate da XXX … — determinare il confine fra il fondo dell’attore YYY sito in in NCT foglio n. particella n. , e quelli di proprietà della convenuta XXX {foglio n. particelle n. , n. e n. ) secondo la linea di confine risultante dalla relazione in data 20.11.2013 del C.T.U. Geom. ***, ed in particolare dalla graficizzazione di cui agli allegati 5, 7 ed 8 alla medesima relazione; – condannare XXX alla restituzione in favore dell’attore YYY della porzione di terreno dalla stessa abusivamente occupata in danno delle particelle n. così come individuata e graficizzata con il colore azzurro nell’allegato 7 della relazione del CTU Geom. ***; condannare la convenuta XXX al pagamento in favore dell’attore della somma di € 4.000,00 a titolo di risarcimento danni per indebita occupazione; condannare, altresì l’appellante alla refusione delle spese e competenze del grado oltre rimborso spese generali 15% DM n. 55/14, CAP ed IVA come per legge”. “Ritenere l’appello proposto inammissibile ex art. 342 c.p.c., in ogni caso previa valutazione della ragionevole probabilità di rigetto dell’appello così come proposto, ritenere l’appello medesimo infondato in fatto ed in diritto e quindi rigettarlo in ogni sua parte; rigettare l’istanza di sospensione dell’esecuzione provvisoria ex art. 283 c.p.c. perché priva dei presupposti di legge; in parziale modifica della sentenza del Tribunale di Chieti – Sezione distaccata di Ortona – N. /2015 – accogliere il proposto appello incidentale e per l’effetto, così come richiesto in primo grado, previo rigetto di tutte le avverse proposte domande riconvenzionali per usucapione, ed ogni altra avversa richiesta, trattandosi di immobili demaniali sino all’anno 2005, accertare e dichiarare che YYY è l’ unico, legittimo ed esclusivo proprietario del terreno in, al foglio di mappa n., particelle , in forza di acquisto nei confronti di *** s.p.a., per atto a rogito notar *** 11/7/2005; per l’effetto accertare e dichiarare che la predetta Società occupa abusivamente la complessiva superficie di mq 5.280 (parte della particella e dell’intera particella entrambe del foglio di mappa) come accertato dal CTU e quindi condannarla in via principale alla restituzione della predetta area – sia quella occupata in maniera stabile che quella occupata in maniera temporanea – in favore del legittimo proprietario YYY, con ordine di demolizione di ogni struttura edilizia abusivamente realizzata sulla proprietà dell’appellato/appellante incidentale, di sgombero dei materiali di risulta e ripristino, a sua cura e spese, dello stato dei luoghi antecedente all’illegittima occupazione; condannarla, inoltre al risarcimento del danno, da quantificarsi in via equitativa, per la illegale detenzione dell’intera superficie occupata dal mese di luglio 2005 all’effettivo rilascio; in via subordinata confermare in ogni sua parte la sentenza impugnata. Condannare l’appellante alla refusione delle spese e competenze del grado oltre rimborso spese generali 15% DM n. 55/ 14, CAP ed IVA come per legge”.
Conclusioni dell’appellante “ZZZ S.r.l.”: “Voglia l’Ill.ma Corte adita:
– Accogliere l’appello e per l’effetto rigettare la domanda di YYY per la restituzione degli immobili oggetto di causa ed accogliere la domanda riconvenzionale e per l’effetto dichiarare ed accertare chela ZZZ Srl è proprietaria in virtù di usucapione ex art. 1158 c.c. delle aree definite dal C.T.U. di primo grado quali aree” in occupazione in maniera temporanea” ad “aree in occupazione stabile” sulle quali insistono le costruzioni; rideterminare di conseguenza il confine tra le proprietà; – rigettare e dichiarare inammissibile la domanda di risarcimento danni per occupazione senza titolo; – condannare la convenuta al pagamento delle spese di lite del doppio grado da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario”. Conclusioni dell’appellata “KKK S.p.A.”: “Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, rigettare tutti i motivi di impugnazione in quanto inammissibili e infondati e in fatto e in diritto e per l’effetto confermare integralmente la sentenza di primo grado. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Chieti, Sezione Distaccata di Ortona, con la sentenza non definitiva n. /2015 del 12.5.2015, ha rigettato le domande riconvenzionali di acquisto della proprietà per usucapione proposte dalla Società “ZZZ S.r.l.” e da XXX e *** relativamente ad una parte delle aree di proprietà dell’attore YYY, site in , distinte al Catasto terreni al foglio, partt., che il predetto ha acquistato dalla Società “*** S.p.A., occupate in più punti dalle convenute e delle quali l’attore ha chiesto il rilascio; ha determinato, su domanda dello stesso attore, il confine tra il suo fondo, descritto al Catasto Terreni al foglio part., e quelli di proprietà di XXX, descritti al foglio partt., secondo la linea di confine individuata nella relazione del C.T.U. in data 20.11.2013; ha condannato la predetta alla restituzione all’attore della parte abusivamente occupata come individuata dal C.T.U. rispetto alle partt. nonché al pagamento all’attore della somma di € 4.000,00 per l’indebita occupazione; ha determinato il confine tra il fondo dell’attore di cui alla part. 320 e quelli della Società “ZZZ S.r.l.” individuati dalle partt. del foglio, secondo la relazione del C.T.U., condannando tale Società alla restituzione all’attore delle aree occupate in maniera temporanea relativamente alle partt. nonché al risarcimento del danno per l’indebita occupazione nella misura di € 9.000,00. Il Tribunale ha poi disposto al prosecuzione della causa in relazione alla costituzione della servitù coattiva di passaggio chiesta dall’attore rispetto ai terreni di proprietà della “ZZZ S.r.l.” e di XXX.
Il Giudice di primo grado, a fondamento della propria decisione, ha rilevato in primo luogo l’infondatezza dell’eccezione, proposta da XXX, di sdemanializzazione dell’area di terreno in contestazione e della nullità della vendita stipulata dall’attore in data 11.7.2005, fondata sulla violazione del diritto della predetta alla retrocessione del bene espropriato nel 1959. Il primo Giudice ha in merito condiviso i rilievi della chiamata in causa “KKK S.p.A.”, ritenendo che l’area predetta sia stata effettivamente oggetto di utilizzo per il sostegno e la protezione delle strutture e quindi per le opere in funzione delle quali l’espropriazione è stata compiuta; in ogni caso il diritto alla retrocessione è stato ritenuto prescritto atteso che XXX avrebbe potuto agire a tale scopo fin dal 29.10.1969.
Pertanto, in ragione della carenza dei presupposti per configurare la cessazione della natura demaniale del bene oggetto del contratto di vendita dell’11.7.2005, il Tribunale ha rigettato anche la domanda di usucapione della Società “ZZZ S.r.l.” e di *** in ragione dell’impossibilità di usucapire i beni pubblici. Tale natura esclude infatti, secondo il primo Giudice, la ricorrenza dell’elemento soggettivo del possesso per l’usucapione, non assumendo così rilievo la distinzione tra le aree detenute in forma stabile e quelle detenute in via temporanea.
Il Tribunale della Sezione Distaccata di Ortona ha poi escluso la sussistenza della rinuncia tacita alla demanialità dell’area in esame, non essendo sufficiente l’asserito abbandono della stessa e la dedotta dismissione delle linee al servizio della ferrovia. In questo caso la declaratoria di “Beni non strumentali” è avvenuta solo in data 2.12.2003 per cui in precedenza tali beni non sono stati sottratti alla loro destinazione e quindi non sono stati oggetto di possesso utile all’usucapione.
Alla luce di tali considerazioni il Tribunale ha individuato la linea di confine tra i fondi delle parti citate secondo la relazione del C.T.U., accogliendo, quanto alla “ZZZ S.r.l.”, la domanda subordinata dell’attore di condanna al pagamento del doppio del valore della superficie occupata ai sensi dell’art. 938 c.c., relativamente alle costruzioni e alle relative pertinenze individuate dal C.T.U. XXX e la Società “ZZZ S.r.l.”, in persona del legale rappresentante, hanno separatamente proposto appello alla sentenza in esame, nei confronti, rispettivamente, di YYY e della Società “KKK S.p.A.”, e del solo YYY. Quest’ultimo si è costituito in giudizio chiedendo la dichiarazione di inammissibilità e comunque il rigetto dell’appello proposto da XXX e di quello proposto dalla “ZZZ S.r.l.”, rispetto al quale ha anche proposto l’appello incidentale per l’accoglimento delle conclusioni sopra indicate. Anche la Società “KKK S.p.A.”, già “KKK S.p.A.”, in persona del legale rappresentante, si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello proposto nei suoi confronti.
La Corte di Appello di L’Aquila, con l’ordinanza in data 3.11.2015, ha rigettato la richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata; poi, all’udienza del 12.6.2019 sono state precisate le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione, con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
1. Pregiudizialmente occorre rilevare che non appare opportuna la riunione dei procedimenti in esame con quelli indicati dal difensore di YYY all’udienza del 12.6.2019 atteso che le domande oggetto di questi ultimi, per quanto può rilevarsi dalla sentenza non definitiva ora impugnata, possono essere autonomamente decise.
2. Il primo motivo dell’impugnazione proposta da XXX concerne la sussistenza del suo diritto ex lege alla retrocessione degli immobili espropriati in ordine al quale la sentenza di primo grado sarebbe caratterizzata dalla carenza della motivazione.
Secondo l’appellante, l’acquisto del terreno da parte di YYY è assolutamente inefficace nei suoi confronti poiché la stessa, al momento della vendita, aveva maturato il diritto alla retrocessione disciplinato dagli artt. 46, 47 e 48 del D.P.R. n. 327 del 2011, per la mancata utilizzazione del bene espropriato allo scopo cui questo era destinato.
1.1. In ordine a tale motivo occorre considerare pregiudizialmente, e dunque con rilievo dirimente, che, come il Giudice di primo grado ha già affermato, la controversia prospettata dall’odierna appellante è compresa nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, configurata dalla disposizione, che la legge del 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, ha reintrodotto nel D.Lgs. del 31 marzo 1998, n.80, art. 34 ed è entrata in vigore a decorrere dal 10.8.2000.
La Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale di tale norma con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204, ma, tenendo conto dell’interpretazione di tale sentenza resa dalla Corte Costituzionale nella successiva decisione n. 191 dell’11 maggio 2006 – nella quale ha dichiarato la parziale illegittimità del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) – la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite ha ripetutamente affermato che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, risultante dalla disposizione richiamata, si estende alle controversie contro atti e comportamenti, che costituiscano l’esecuzione di precedenti manifestazioni in forma provvedimentale di potere ablatorio in relazione al bene di cui si discute (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30254; Cass., Sez. Un., 27 giugno 2007 n. 14794). Il principio è stato ribadito dalla Suprema Corte in relazione alla disposizione dell’art. 133, lett. g, cod. proc. amm., affermando che, in materia di espropriazione per pubblica utilità, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto la mancata retrocessione di un bene, acquisito mediante il decreto di esproprio, nonostante la sopravvenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, atteso che tale domanda è ricollegabile, in parte, direttamente ad un provvedimento amministrativo, venendo in rilievo il concreto esercizio di un potere ablatorio culminato nel decreto di espropriazione, e, per il resto, ad un comportamento della P.A. ad esso collegato, consistito nell’omessa retrocessione del bene malgrado il verificarsi della suddetta decadenza (Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2017, n. 1092).
Pertanto, il riferimento al provvedimento amministrativo e al conseguente comportamento della Pubblica Amministrazione non consentono al giudice ordinario di decidere sulla controversia inerente al diritto alla retrocessione, essendo quindi irrilevante ogni questione sul computo del termine da cui l’esercizio di tale diritto sia stato possibile.
Il motivo esaminato è pertanto infondato.
2. L’appellante ha fondato il proprio diritto alla retrocessione sulla c.d. sdemanializzazione implicita o tacita degli immobili oggetto del contratto del 2015 in favore di YYY deducendo che la stessa possa rinvenirsi, in mancanza della dichiarazione di inservibilità, in un comportamento dell’Amministrazione, quale ad esempio la collocazione in vendita del bene già espropriato.
La citata sdemanializzazione è indicata nel primo motivo dell’impugnazione della “Società ZZZ S.r.l.”, in relazione al rigetto dell’acquisto della proprietà per usucapione fondato dal primo Giudice sul carattere demaniale dell’area e sulla consapevolezza di tale carattere da parte dei soggetti che l’hanno occupata.
Dunque, entrambi gli appellanti hanno criticato la decisione del Giudice di primo grado che ha affermato la predetta demanialità pur in presenza di fatti
– tra cui in particolare l’abbandono della linea elettrica e della linea ferroviaria – che costituiscono comportamenti univoci della rinuncia tacita alla demanialità dell’area.
2.1. In ordine a tali aspetti, si deve considerare, anche in questo caso con rilievo dirimente, in primo luogo, anche con specifico riferimento alla posizione del soggetto che abbia subito l’espropriazione rispetto al diritto alla retrocessione – invocato nel caso in esame – che le opere originariamente previste a giustificazione del provvedimento ablatorio sono state incontrovertibilmente eseguite e che il diritto alla retrocessione del fondo espropriato – il quale sorge allorché questo non venga utilizzato per gli scopi di pubblica utilità ai quali l’opera era destinata – non sussiste qualora detti scopi siano stati comunque raggiunti e, quindi, il provvedimento di espropriazione abbia comunque avuto esecuzione, essendo stata conseguita la pubblica utilità che ne costituisce la ragione. In tal caso, la posizione giuridica del privato nei confronti dell’espropriante non assume la natura di diritto soggettivo, ma assume – già secondo disposizioni antecedenti all’entrata in vigore dell’art. 34 del D.lgs. del 31 marzo 1998, n. 80, come riformulato dall’art. 7 della legge del 21 luglio 2000, n. 205 – la natura e la consistenza di interesse legittimo, tutelabile, come tale, solo innanzi al giudice amministrativo (Cass., 11 novembre 2009, n. 23823).
La prova dell’esecuzione delle opere è emersa sia dal Bollettino di Informazioni FS del periodo luglio – settembre dell’anno 1955 nonché dai rilievi compiuti dal Consulente Tecnico d’Ufficio. Egli ha infatti riferito che le opere quali canali di scolo, pozzetti, tombini etc. risultano in gran parte ancora presenti, con la conseguente infondatezza della critica formulata da XXX in ordine alla indeterminatezza e assenza della prova dell’effettiva realizzazione delle opere da parte delle KKK.
2.2. In secondo luogo, secondo i condivisibili principi affermati dalla Corte di Cassazione, la sdemanializzazione tacita non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico, ma è ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino (in tal senso, Cass., Sez. Un., 26 luglio 2002, n. 11101). Pertanto, la circostanza per cui il bene, da lungo tempo, non sia adibito ad uso pubblico, è del tutto insufficiente al predetto fine, non potendo desumersi da una situazione negativa di mera inerzia o tolleranza una volontà di rinunzia univoca e concludente (Cass., 19 febbraio 2007, n. 3742).
Lo stesso orientamento è stato univocamente espresso dalla Giustizia Amministrativa, affermando appunto che la sdemanializzazione tacita di un bene pubblico presuppone comportamenti univoci dell’Amministrazione proprietaria, che siano concludenti ed incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene stesso all’uso pubblico e non può desumersi dalla pura e semplice circostanza che il bene non sia più adibito, anche da lungo tempo, all’uso pubblico. In questo senso il Consiglio di Stato, Sez. IV, si è espresso nella sentenza del 14 dicembre 2002, n. 6923, proprio in relazione alla natura giuridica dei beni appartenenti alle “KKK S.p.A.”.
2.3. Pertanto, in questo caso, nel quale solo con l’atto di identificazione del 2.12.2003 sono state individuate le aree da non considerare adibite a pubblico servizio, non si può ritenere che il mancato utilizzo delle stesse da parte dell’Ente – dopo che comunque le opere per cui l’esproprio è avvenuto sono state eseguite come risulta dalla documentazione in atti e rilevato dal C.T.U. abbia comportato la cessazione tacita del carattere demaniale delle medesime aree; né quindi che il loro godimento e utilizzo da parti di terzi, ancorché senza l’opposizione dell’Ente, possa qualificarsi come possesso utile per l’usucapione.
Dunque, il Tribunale della Sezione Distaccata di Ortona ha correttamente escluso la sussistenza di tali effetti, cosicché i motivi di impugnazione ora esaminati sono infondati in ordine ai profili dedotti sia da XXX sia dalla “ZZZ S.r.l.”.
3. XXX ha poi dedotto, quale ulteriore motivo di impugnazione, il contrasto di giudicati tra la sentenza ora appellata e l’ordinanza di reintegrazione nel possesso emessa in suo favore dal Tribunale di Chieti, Sezione Distaccata di Ortona, nei confronti di YYY, per effetto della quale, cui la fase di merito non è seguita, la predetta è stata ritenuta titolare di una situazione giuridica soggettiva qualificata ai sensi dell’art. 1140 c.c.
3.1. In ordine a tale motivo si deve rilevare che, proprio in ragione della qualificazione del possesso come situazione di fatto tutelata dall’ordinamento, la decisione intervenuta sulla domanda possessoria non può avere autorità di cosa giudicata nel giudizio petitorio, poiché quest’ultimo è caratterizzato da diversità del petitum e della causa petendi.
Infatti, nel procedimento possessorio l’esame dei titoli costitutivi dei diritti fatti valere dalle parti è compiuto al solo fine di dedurre elementi sulla sussistenza del possesso, restando impregiudicata ogni questione sulla conformità al diritto della situazione di fatto oggetto di tutela (in tal senso, tra le altre, Cass., 8 febbraio 2019, n. 3793; Cass., 5 febbraio 2016, n. 5300).
Quindi anche tale motivo dell’impugnazione non è fondato.
4. XXX e la Società “ZZZ S.r.l.” hanno anche dedotto l’ingiustizia della sentenza di primo grado in ordine alla loro condanna al risarcimento del danno per l’occupazione delle aree di YYY, rilevando che tale condanna sia stata emessa senza indicare il criterio di determinazione della somma liquidata. Inoltre, secondo la ZZZ S.r.l.”, il risarcimento sarebbe stato disposto in mancanza del presupposto dell’abusività e illegittimità del suo possesso rispetto alle aree acquistate da YYY e in contrasto con l’accertamento, ritenuto necessario dal primo Giudice, della determinazione dell’indennizzo per le aree occupate in maniera stabile.
4.1. In ordine a tali aspetti occorre considerare, con rilievo prevalente sulle altre considerazioni, che in effetti il Tribunale della Sezione Distaccata di Ortona ha liquidato il danno predetto in via equitativa, in assenza di elementi, da parte del richiedente, idonei a provare, anche in via presuntiva, il pregiudizio che gli sia derivato dall’indisponibilità delle aree occupate.
Si deve allora osservare, alla luce dei condivisibili espressi dalla Corte di Cassazione, che nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente in re ipsa, come pure in precedenza la stessa Corte ha affermato, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto in primo luogo con l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte espresso nella sentenza n. 26972 del 2008, secondo cui ai fini risarcitori assume rilievo il solo danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato.
In secondo luogo, il criterio del danno in re ipsa contrasta con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico della sentenza della Corte di Cassazione n. 16601 del 2017, che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost.
Pertanto, il danno da occupazione senza titolo, poiché particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma l’affievolimento dell’onere probatorio in questo senso non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, cioè l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto, che in questo caso, come si è detto, non è indicata né provata. Quindi, i motivi di appello in esame devono essere accolti, disponendo, rigettando, in riforma della sentenza impugnata, la domanda di YYY di risarcimento del danno per l’occupazione delle aree da parte di XXX e della “ZZZ S.r.l.”.
5. L’appello incidentale proposto da YYY concerne, in primo luogo, l’accoglimento della domanda, dal medesimo proposta in via subordinata, di condanna della “ZZZ S.r.l.” al pagamento del doppio del valore della superficie dalla stessa occupata ai sensi dell’art. 938 c.c., ritenendo che tale occupazione sia avvenuta in buona fede.
Secondo l’appellante incidentale, tale statuizione si pone in contrasto con il rigetto, della domanda di usucapione, disposto dal primo Giudice, anche in ragione della carenza dell’elemento soggettivo del possesso necessario a tale fine. Inoltre, in questo caso non sussistono i presupposti oggettivi per la c.d. accessione invertita in ragione del fatto che gli edifici della predetta Società sono interamente costruiti sul fondo altrui.
5.1. In ordine a tale motivo occorre considerare che la buona fede di cui all’art. 938 c.c. consiste nel ragionevole convincimento del costruttore di non commettere alcuna usurpazione: in questo caso tale convincimento è desumibile, indipendentemente dall’elemento soggettivo del possesso, dagli elementi oggettivi dello stato di abbandono dei luoghi e dall’incertezza del confine (sulla rilevanza di quest’ultimo aspetto in relazione alla buona fede richiesta dall’art. 938 c.c., Cass., 4 maggio 2006, n. 10268).
In secondo luogo e in relazione al contenuto di tale norma, si deve osservare che nel caso in esame le opere della “ZZZ S.r.l.” non insistono esclusivamente sull’altrui proprietà, essendo le stesse poste in parte anche sulla proprietà della medesima Società, come risulta in particolare dall’atto di citazione del giudizio di primo grado. Pertanto i presupposti per l’applicazione del citato art. 938 c.c. si devono ritenere sussistenti, disponendo il rigetto del motivo di appello incidentale ora esposto.
6. L’esame del secondo motivo dell’appello incidentale, concernente l’individuazione dell’imputazione del danno di € 9.000,00 liquidato dal Tribunale, è reso superfluo dal fatto che tale statuizione deve essere riformata per le ragioni precedentemente esposte.
7. Dalle considerazioni formulate emerge la parziale fondatezza delle impugnazioni proposte da XXX e dalla Società ZZZ S.r.l.” relativamente al risarcimento del danno disposto nei loro confronti, dovendosi rigettare gli altri motivi di tali impugnazioni nonché l’appello incidentale proposto da YYY.
Dalla prevalente soccombenza degli appellanti in relazione alle statuizioni della sentenza non definitiva ora impugnata, che non contiene la statuizione sule spese del giudizio di primo grado, e dal rigetto dell’appello incidentale deriva l’opportunità di disporre l’integrale compensazione delle spese di questo grado del giudizio tra XXX, la Società “ZZZ S.r.l. in persona del legale rappresentante, e YYY.
L’appellante XXX è tenuta al pagamento delle spese di questo grado del giudizio nei confronti della Società “KKK S.p.A.”, in persona del legale rappresentante, in ragione della sua soccombenza nei confronti di tale Ente.
Le predette spese si liquidano ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, come in dispositivo.
3. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 l’appellante incidentale è tenuto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte di Appello di L’Aquila, definitivamente pronunciando nella causa civile sopra indicata, così provvede:
1) Accoglie parzialmente l’appello proposto da XXX e dalla Società “ZZZ S.r.l.”, in persona del legale rappresentante, nei confronti YYY e, quanto a XXX, anche nei confronti della Società “KKK S.p.A.” alla sentenza non definitiva del Tribunale di Chieti, Sezione Distaccata di Ortona n. /2015 del 12.5.2015. Pertanto, in parziale riforma di tale sentenza, rigetta la domanda di risarcimento del danno proposta da YYY nei confronti di XXX e della “ZZZ S.r.l.”, in persona del legale rappresentante, per l’indebita occupazione. Rigetta l’appello incidentale proposto da YYY nei confronti della predetta Società, in persona del legale rappresentante, alla medesima sentenza, che quindi conferma per il resto.
2) Dispone l’integrale compensazione delle spese di questo grado del giudizio tra XXX, la Società “ZZZ S.r.l.”, in persona del legale rappresentante, e YYY.
Condanna XXX al pagamento delle spese di questo grado del giudizio in favore della Società “KKK S.p.A.”, in persona del legale rappresentante, che liquida in € 9.515,00 per compenso, oltre al rimborso spese generali 15%, c.a.p. 4% e i.v.a. 22% come per legge. 3) Dichiara che ricorrono i presupposti per il versamento, da parte dell’appellante incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in L’Aquila in data 22 gennaio 2020
Il Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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