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Separazione dei coniugi, addebito, unico episodio di percosse

In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall’altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo, comunque, a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona.

Pubblicato il 02 November 2024 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall’altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo, comunque, a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona (Cass. 817/2011; Cass. 433/2016).

È stato altresì precisato che le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse-, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass. 7388/2017; Cass. 35249/2023).

Le violenze, infatti, integrano atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei e pertanto ad esse va riconnessa incidenza causale preminente rispetto a preesistenti cause di crisi dell’affectio coniugalis (Cass.3925/2018; Cass.31351/2022).

Nel caso esaminato, la Corte di merito si è attenuta ai suesposti principi, ed ha ritenuto dimostrato, con motivazione congrua, che le condotte violente e maltrattanti del marito fossero state la causa scatenante dell’irreversibilità della crisi coniugale.

La Corte d’Appello riporta nella sentenza impugnata le allegazioni anche in fatto, secondo cui quest’ultima “ammette la violazione dell’obbligo di fedeltà, ma deduce, da un lato che tale violazione era dovuta alla situazione di crisi preesistente, in gran parte ascrivibile al comportamento possessivo del marito, spesso assente ed interamente assorbito dagli impegni lavorativi, dall’altro che era successivamente intervenuta tra i coniugi una piena riappacificazione, per circa un anno, cui erano seguite condotte violente ed aggressive del marito, con percosse e minacce di morte, che avevano reso intollerabile la convivenza, costringendola ad allontanarsi da casa e porre fine alla convivenza”.

Alla stregua di detto contesto, la Corte di merito ha, dunque, concluso affermando che le condotte violente e maltrattanti del marito fossero state la causa scatenante dell’irreversibilità della crisi coniugale, facendo corretta applicazione dei principi suesposti, secondo cui, come si è detto, resta irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale, indipendentemente dalle ragioni determinanti la prima criticità.

Ciò a maggior ragione nel caso di specie, in cui risulta accertato, e neppure posto in discussione dal ricorrente, che l’iniziale crisi dovuta all’infedeltà della moglie era stata superata con una riconciliazione protrattasi per un periodo duraturo, sì da elidere ogni nesso causale con la crisi successiva e irreversibile.

Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Ordinanza n. 22294 del 7 agosto 2024

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