N.R.G. 4313/2024
TRIBUNALE ORDINARIO DI ANCONA SEZIONE II
CIVILE Il Giudice Designato, ad esito della riserva assunta, esaminato il ricorso avanzato da (Avv.ti COGNOME COGNOME e COGNOME) che qui si intende interamente richiamato unitamente ai documenti ad esso allegati, esaminata la memoria di costituzione e risposta del resistente (Avv.ti COGNOME e COGNOME), atto che pure si intende integralmente richiamato in uno con i documenti ad esso acclusi, lette le note autorizzate depositate a seguito dell’udienza di trattazione del 19.09.24 ed esaminati i documenti allegati, ha emesso la seguente
ORDINANZA N._R.G._00004313_2024 DEL_05_11_2024 PUBBLICATA_IL_05_11_2024
1.
La ricorrente chiede disporsi il sequestro conservativo anche presso terzi di tutti i beni posseduti dal resistente sino alla concorrenza dell’importo di € 3.148.861,00 (ovvero somma ritenuta di giustizia), corrispondente al pregiudizio patrimoniale arrecato alla società da nella qualità ricoperta di amministratore delegato per il periodo 09.10.2018 – 08.02.2024, per effetto di una gestione affetta da responsabilità professionale ravvisata sia nel difetto di controllo e diligenza necessari a tutelare l’integrità del patrimonio sociale, poi tradottasi in ammanchi di magazzino per € 3.551.895,00, sia nell’omesso controllo e vigilanza della regolare tenuta delle scritture contabili di magazzino e bilancio che hanno consentito di non contabilizzare tali ammanchi in sede di Bilancio chiuso al 31.12.2022. In particolare osserva la ricorrente come un sistema di storni fittizi, di segno uguale e , consentiva di azzerare contabilmente l’effetto di dette rettifiche inventariali negative che, pertanto, non venivano registrate nel Bilancio chiuso al 31.12.2022 come perdite di esercizio, così interferendo sul risultato finale di esercizio, incrementandolo.
Evidenzia come l’irregolarità rilevata e registrata nel Bilancio chiuso al 31.12.2022 si è trascinata sino al Bilancio successivo, del 31.12.2023, ove è stata regolarizzata registrandosi le effettive rimanenze di magazzino sul saldo negativo di apertura del patrimonio netto sotto la voce “Utili (perdite) portate a nuovo”, con ulteriore pregiudizio subito dalla azienda, questa volta consistito nel dover pagare imposte per circa € 1.300.000,00 a titolo di regolarizzazione fiscale degli ammanchi.
Ne è pertanto derivato un danno al patrimonio sociale pari ad € 1.835.909,00 (dato dalla differenza tra il valore delle merci non risultanti, e pari ad € 3.551.895,00, ed il relativo fondo di svalutazione pari ad € 1.715.986,00, espresso in misura prudenziale, vedasi sul punto consulenza dott. in all.16).
A tale danno si aggiunge quello fiscale, conseguente alla tassazione derivante da presunzione di vendita in nero della merce mancante, che a titolo di IVA, IRES, IRAP e per effetto della sopraggiunta Legge di Bilancio n.213 del 30.12.2023 è stato limitato ad € 1.312.952,00 (contro una previsione di gran lunga superiore e sicuramente maggiore a quella di € 2.000.000,00), e così per un totale di € 3.148.861,00 (per cui è stato richiesto il sequestro).
In ragione del prospettato fumus boni iuris la ricorrente rappresenta un periculum in mora consistente nel rischio di spoliazione del proprio patrimonio da parte del resistente -nei cui confronti è già anticipata e deliberata dalla società azione di responsabilità ex artt. 2392 c.c. con richiesta di condanna risarcitoria per le cifre di cui si è detto-, avendo egli già disposto della titolarità del 100% della propria quota societaria nella RAGIONE_SOCIALE in favore delle figlie con trasferimento del 16.7.2024 e temendo che il restante asse patrimoniale a lui facente capo, per lo più costituito da cespiti immobiliari di scarso valore e detenuti nella misura del 50%, non possa offrire garanzia del proprio credito a fronte di indici oggettivi di incapienza patrimoniale oltreché soggettivi (e desunti dal comportamento sin. Il resistente contesta gli addebiti mossi evidenziando la totale assenza di qualsivoglia forma di responsabilità contrattuale sia colposa, financo nella forma della colpa lieve, sia dolosa nella condotta distrattiva delle giacenze di magazzino ed in quella manipolativa delle scritture contabili, ed, in aggiunta, adduce che le parti in data 08.02.2024 stipularono una transazione con la quale la società – cui erano ben noti prima della transazione i problemi relativi al magazzino che ora sono posti a fondamento dell’azione avversaria- rinunciava “ad ogni azione di responsabilità nei confronti del Signor per l’attività dallo stesso espletata sia quale Direttore Generale, durante il Rapporto di Lavoro sia nell’esercizio dell’Ufficio di Amministratore per l’intera durata dello stesso” (all.8, fasc. resistente), essendole così oggi necessario dare prova della colpa grave e del dolo per poter superare l’inciso apposto al contratto transattivo che fa “salvi i casi di dolo o colpa grave”. Ad ogni buon conto respinge ogni accusa sia rispetto ad asserite condotte manipolative delle scritture e di occultamento di dati reali di magazzino, rispetto alle quali si dichiara del tutto estraneo e ignaro, sia rispetto alla censura di aver omesso i controlli, posto che la veridicità della contabilità sociale era stata attestata per tutti gli anni di sua gestione dalla società di revisione di primario standing mondiale “RAGIONE_SOCIALE -con giudizio sempre positivo su tutti i bilanci societari a far data da quello del 2019 e, in particolare, di quello del 2022 (su cui è posto il focus del ricorso, essendo pertanto tale verifica estesa necessariamente anche alle scritture di rettifica della merce di magazzino)- e che non vi erano segnali di allarme tali da suggerire interventi rettificativi di magazzino.
A dimostrazione di condotta trasparente e corretta, scevra da dolo o colpa, sostiene il resistente che, non appena a fine maggio 2023 ebbe contezza del problema delle rettifiche inventariali (dunque dopo l’approvazione del bilancio 2022), si attivò per trovare una soluzione e informare il socio di maggioranza (RAGIONE_SOCIALE) e il consiglio di amministrazione, come in effetti fece inviando le informazioni in suo possesso nel periodo giugno 2023 – luglio 2023.
Sostiene infine che al momento della stipula della transazione dell’08.2.24 era a conoscenza della problematica inerente le rimanenze di magazzino e che, nei suoi confronti a fronte della propria rinuncia (di ad impugnare il licenziamento (quale Direttore generale).
Il resistente afferma altresì e comunque, a prescindere dalle sopra dette argomentazioni in punto di responsabilità, che il credito risarcitorio cui sarebbe finalizzato il sequestro conservativo in realtà non esiste, perché non ve ne è prova, o meglio non vi è prova dell’epoca in cui tale danno si sarebbe formato ed in particolare se tale epoca coincide con la gestione posto che la nel 2019 si trovava ad affrontare il suo terzo piano di risanamento, dopo averne affrontati già due, segno di crisi profonda e perdurante, il che estende un profondo velo di incertezza sull’epoca di formazione degli ammanchi. Per giunta osserva che neppure sarebbe concepibile un danno, posto che una rappresentazione di rimanenze di magazzino che in realtà non ci sono non impoverisce la società e lascia invariata la consistenza patrimoniale.
Sussistono peraltro da parte resistente anche contestazioni circa l’effettiva quantificazione della merce mancante, posto il rinvenimento di merce dapprima considerata assente, e dunque il quantum non sarebbe di 3.5 milioni bensì di 2 milioni di valore, intendendo con ciò rappresentare la scorrettezza ed approssimazione delle rettifiche inventariali.
Le stesse considerazioni sul tempo di produzione del danno e sulla sua riferibilità alla gestione involgono anche la voce del danno fiscale, per il quale, in aggiunta, si allega pure che la condotta alternativa corretta, che avrebbe dovuto tenere secondo la prospettazione della avrebbe cagionato alla società un danno maggiore per esborsi di imposte (ridotti solo per effetto di un evento del tutto casuale e fortunoso coinciso con la emanazione della legge di bilancio del 30.12.23, -vedasi all. 19 fasc. resistente, consulenza Prof. Assume infine la carenza del periculum in mora, presupposto della domanda cautelare, sia per la natura di obbligazione solidale sottesa all’azione di merito che vede potenziali altri condebitori, da ritenersi solvibili, sia perché alcun segnale di comportamento l’atto è stato effettuato il 16.7.24, ovverosia prima delle contestazioni mosse a dalla società ed avviate in epoca immediatamente successiva, sia infine perché in proporzione alla cifra del credito rivendicato il patrimonio del resistente sarebbe comunque e sempre incapiente.
3. Nelle note autorizzate depositate il 21.10.24, sottolinea la sussistenza della responsabilità contrattuale del resistente, nella forma di condotta omissiva colposa declinata sotto le diverse tipologie di mancata adozione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, mancato controllo della regolare tenuta delle contabilità, mancata redazione veridica del bilancio, mancata diligenza e prudente gestione dell’impresa, forma di colpevolezza di certo sufficiente a riconoscere l’insorgenza di una responsabilità contrattuale in capo all’amministratore delegato, a prescindere dall’elemento soggettivo del dolo.
In particolare segnala l’assenza di sistemi di controllo e verifica inventariale da cui è dipesa la possibilità di formazione di ammanchi, da cui deriva una responsabilità da contratto gravemente colposa che consente alla società di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio restando a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle merci per attività riferibili al ciclo produttivo dell’impresa.
Precisa che gli ammanchi sono riferibili alla gestione perché rilevati a dicembre 2022, mentre i bilanci antecedenti, dal 2019 al 2021, non registrano ammanchi, anche in virtù del fatto che la situazione patrimoniale della società al 31.12.2018 era stata attestata come veridica dal Dott. ai sensi dell’art. 67 L.Fall. nell’ambito della procedura per il terzo piano di risanamento e ne emergeva la consistenza e valore di magazzino.
Contesta le obiezioni circa l’assenza di periculum in mora fondate sulla solidarietà dell’obbligazione risarcitoria in virtù del fatto che l’azione cautelare è stata rivolta unicamente nei confronti di In replica, il resistente deduce che è onere della società dimostrare che la consistenza di magazzino è mutata ed in quale esatto periodo ciò si è verificato, non potendo essere che l’ammanco si è formato prima della gestione e che le discrepanze contabili siano emerse soltanto dopo, nella riorganizzazione dei magazzini effettuata nell’ambito del progetto RAGIONE_SOCIALE. Sostiene altresì che l’attestazione del Dott. on può essere utilizzata per sostenere che alla data del 11.5.2020 non vi fosse alcun ammanco, perché effettuata su un’analisi fatta a campione prendendo in esame soltanto alcuni dei molteplici codici aziendali oggetto di movimentazione, alla quale poteva sfuggire eventuali anomalie.
4.
Il ricorso cautelare è infondato e pertanto deve essere rigettato per le motivazioni di fatto e di diritto che si vanno ad illustrare.
Il sequestro conservativo di cui all’art. 671 cpc è strumento predisposto a garanzia di crediti pecuniari attuali, ovverosia non ipotetici ed eventuali, tanto da risultare strumentale solo ad azioni di merito aventi ad oggetto domande di condanna al pagamento di somme di danaro -non essendo infatti ammissibile se finalizzato ad una domanda un mero accertamento-, ed è concepito quale strumento cautelare tipico, caratterizzato dalla peculiarità di un accertamento sommario circa il fumus del diritto rivendicato ed il periculum in mora derivante al diritto stesso dalla tempistica di un giudizio a cognizione piena. La richiesta di sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. non può essere accolta in ragione della mancata prova da parte della ricorrente sia del fumus che del periculum in mora.
Quanto al requisito del “fumus boni iuris”, se ne deve riconoscere la insussistenza sulla base principi che seguono:
• E’ noto che- secondo la costante giurisprudenza di legittimità–
sussiste il requisito del “fumus boni iuris” in presenza di elementi che consentano di ritenere probabile l’esistenza della pretesa in contestazione ( cfr. Cass. N. 8729/97).
• Al riguardo il Giudice deve accertare- con un’indagine sommaria che può anche limitarsi all’esame della documentazione esibita dalla parte istante- la probabile esistenza del credito, restando riservata al giudizio di merito ogni altro • La cognizione del “fumus boni iuris” deve essere circoscritta ad un accertamento delibativo del diritto, fondato sulla ritenuta probabilità della sua esistenza, senza pregiudizio del successivo riesame, con giudizio di certezza e nella completezza delle acquisizioni istruttorie, delle stesse questioni ai fini sostanziali; è sufficiente, quindi, perché sia soddisfatto l’obbligo di motivazione del provvedimento di convalida, che il giudice dia sommaria ragione degli elementi essenziali su cui trovi fondamento la ritenuta probabilità dell’esistenza del diritto (Cass. n. 5444/1991, 2523/1987).
Sulla base di tale premesse, criteri di giudizio da tenere in conto ad un esame delibativo tipico di questa fase, non è possibile esprimersi in termini favorevoli ad una prognosi di accoglibilità della domanda di merito, per difetto di prova di un danno risarcibile invocabile dalla società ricorrente (da cui il credito tutelando) ed imputabile al resistente.
Va osservato infatti come il diritto di credito paventato con la domanda cautelare sia ascrivibile ad un danno di tipo risarcitorio che la società riconduce alla responsabilità del resistente, per aver egli ricoperto il ruolo di amministratore delegato come chiaramente precisato in ricorso con riguardo alla illustrazione della futura causa di merito avente ad oggetto per l’appunto azione di responsabilità ex artt. 2392 e 2393 c.c. con richiesta di condanna al risarcimento del danno quantificato in € 3.148.861,00 (o di diverso maggiore o minore importo ritenuto di giustizia). Schematizzando dunque viene in rilievo una tipica figura di responsabilità contrattuale da inadempimento, ascrivibile a responsabilità professionale, che imputa il danno al debitore inadempiente e lo espone alle conseguenze risarcitorie, evocandosi in tal modo il noto paradigma di cui all’art. 1218 c.c. in tema di causalità materiale (imputazione del danno eziologicamente riconducibile alla condotta del debitore inadempiente), e, successivamente, dell’art. 1223 c.c. in punto di causalità giuridica per gli effetti risarcitori. Più precisamente la disposizione di cui all’art. 1218 c.c. individua due distinte dimensioni, quella del rapporto causale tra condotta ed evento (cd. imputazione oggettiva), e quella ripartizione dell’onere probatorio:
sul creditore della obbligazione inadempiuta grava l’onere di dimostrare il danno e la sua genesi eziologica dalla condotta inadempiente dell’obbligato, su quest’ultimo grava, al contrario, l’onere di ‘discolparsi’, ovverosia di provare che inadempimento non vi è stato ovvero di essere stato impossibilitato a rendere la prestazione dovuta per cause a lui non imputabili.
Il principio è talmente consolidato che non ammette deroghe ed è stato anche di recente ribadito nella pronuncia della S.C.:
“In tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, la previsione dell’art. 1218 c.c. esonera il creditore dell’obbligazione asseritamente non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e l’inadempimento, fonte del danno di cui si chiede il risarcimento, atteso che il cosiddetto “assorbimento” del nesso eziologico nell’inadempimento non deve essere inteso come sua irrilevanza tanto sul piano sostanziale quanto in punto di ricadute di carattere processuale e di distribuzione dell’onere probatorio, bensì come prova “evidenziale” della sua esistenza, giustificata dal fatto che quel nesso, di norma, non è funzionalmente scindibile dall’inadempimento, in quanto quest’ultimo si sostanzia nella lesione dell’interesse del creditore che a sua volta identifica l’evento di danno. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALEC. ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata respinta l’azione risarcitoria proposta, in forza di un contratto atipico di skipass, nei confronti del gestore di una area sciistica, da uno sciatore caduto sulla pista sulla quale erano presenti lastre di ghiaccio, ritenendo non provato, neppure in via presuntiva, il nesso eziologico tra la condotta del gestore e l’evento dannoso)”.
Sez. 3 – , Ordinanza n. 12760 del 09/05/2024 (Rv. NUMERO_DOCUMENTO 02).
Dunque, lungi dal confondere il piano della causalità materiale da quello della colpevolezza, logica vuole che occorre accertare, in primo luogo, che il dedotto inadempimento abbia negli effetti arrecato un danno ad esso riconducibile e, soltanto qualora sia stato accertato positivamente tale primo dato, potrà passarsi allo scrutinio successivo, quello propriamente inerente il giudizio di valore, la colpa.
Calandosi nella materia tipica della responsabilità dell’amministratore nei confronti della società, qui controversa, il principio non muta, posto che trattasi sempre di responsabilità “La responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale sicché la società (o il curatore, nel caso in cui l’azione sia proposta ex art. 146 l.fall.) deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l’osservanza dei doveri previsti dal nuovo testo dell’art. 2392 c.c., modificato a seguito della riforma del 2003, con la conseguenza che gli amministratori dotati di deleghe (cd. operativi) – ferma l’applicazione della “business judgement rule”, secondo cui le loro scelte sono insindacabili a meno che, se valutate “ex ante“, risultino manifestamente avventate ed imprudenti – rispondono non già con la diligenza del mandatario, come nel caso del vecchio testo dell’art. 2392 c.c., ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art. 1176, comma 2, c.c.” (Sez. 1, Sentenza n. 17441 del 31/08/2016). Venendo al caso concreto, difetta dagli atti e dalla documentazione allegata al ricorso ed alla memoria autorizzata, prova che il danno lamentato dalla società, della cui effettiva dimensione non si ha certezza, si sia prodotto durante la gestione amministrativa del resistente.
Prima ancora di indagare le categorie della colpa, lieve o grave che sia, o del dolo, priorità deve riconoscersi al dato primario consistente nel ‘se’ effettivamente danno vi sia stato, quale sia il suo effettivo ammontare e, soprattutto, l’epoca in cui si è verificato ai fini dell’individuazione del responsabile.
Tanto più che il danno in questione assume una particolare forma nella controversia in oggetto, deducendosi dal ricorrente che trattasi di differenze inventariali, ovverosia merce non presente in magazzino e purtuttavia risultante dalle scritture contabili, e che tale discrepanza è stata rilevata soltanto a fine esercizio 2022 con registrazione delle rettifiche negative nei libri di magazzino, rettifiche che tuttavia, proprio perchè irregolarmente redatte al precipuo scopo di non far emergere gli ammanchi attraverso un meccanismo contabile di storni con creazione di magazzini virtuali, non hanno determinato effetti (appunto negativi) sul Bilancio 31.12.22. emergono a fine anno di esercizio 2022 e che gli anni di esercizio precedenti, dal 2018 al 2021, non rilevano mancanze, per cui in forza di deduzione logica quanto automatica ne fa derivare che essi si sono prodotti in detto frangente temporale.
Pone quale punto di partenza, in particolare, la relazione del Dott. redatta il 11.05.2020, e resa ex art. 67 L. Fall in seno alla procedura di risanamento, nella quale con riferimento alla situazione patrimoniale della società alla data del 31.12.2018 si attesta la veridicità dei dati aziendali.
Tale attestazione viene assunta dal ctp Dott. e quindi dalla ricorrente, quale “… idonea garanzia che nel momento in cui il rag. diveniva ad e dg, il magazzino in quantità e valore si presentava sussistente in quanto specificatamente verificato e certificato dall’attestatore” ( doc. 16, fasc. ricorrente).
Vale però osservare, come si evince dalla relazione stessa (all.2 fasc. ricorrente), che la rappresentazione del Dott. si basava su un’analisi a campione delle merci in magazzino, prendendo in esame soltanto alcuni dei molteplici codici aziendali oggetto di movimentazione e non tutte le merci nella loro interezza, per cui alla stessa non può riconoscersi piena attendibilità ai fini precipui che qui interessano (prova della datazione degli ammanchi) posto che ad una verifica sì fatta sarebbero potute sfuggire eventuali mancanze di magazzino, già prodottesi, tanto più che la società proveniva da una situazione di crisi annosa tale da non poter escludere che la consistenza di magazzino si fosse di già assottigliata a quella data ed in quale misura. Tanto premesso non può accedersi alla tesi della ricorrente, rischiandosi altrimenti di basare l’accertamento degli ammanchi sul raffronto meramente formale di scritture contabili non confortato da alcun riscontro concreto e sostanziale.
Escludendosi pertanto di poter assumere come dato di partenza ai fini di determinare l’effettiva consistenza e valore di magazzino quanto emerge alla data del 31.12.2018 per effetto della relazione del Dott. non è possibile considerare, nemmeno con lo standard della verosimiglianza proprio di questa fase sommaria, che a quella data non si fossero già verificate le perdite, anche in ragione di quanto dedotto dagli stessi consulenti e quindi non è fattibile determinare il solo effetto di competenza dell’esercizio precedente (il 2022), conoscendosi il solo effetto cumulativo, così come previsto dal par. 49 e 50 non è stato corretto ai fini comparativi i valori del conto economico dell’esercizio 2022” (all.16, all. 10, fasc. ricorrente). Ne consegue che non vi è prova che gli ammanchi si siano prodotti durante il periodo in osservazione (gestione né in quale misura, quindi risulta assente sia la prova del danno sia del nesso eziologico che lo lega alla condotta del resistente;
e se non risulta traccia probatoria del danno (sub specie di ammanchi) non può neppure sostenersi che sussista un depauperamento del patrimonio sociale, seppur risulti una situazione di irregolarità della contabilizzazione delle merci e nella redazione del bilancio.
E così:
“La mera irregolarità formale nella redazione del bilancio non è fonte di responsabilità risarcitoria dell’amministratore, in quanto tale condotta non causa un danno patrimoniale alla società, avendo invero il bilancio solo la funzione di fornire, in chiave conoscitiva per i soci, i terzi ed in generale il mercato, la ‘fotografia’ del quadro patrimoniale, finanziario ed economico della società in un dato momento “ (Trib. Roma, sez. imprese, sent. del 20.02.2020, nello stesso senso Trib. Milano, sez, RAGIONE_SOCIALE, sent. del 28.7.22 e Trib. Palermo, sez. imprese, sent. del 13.11.2020).
Tali considerazioni in punto di difetto di prova della riconducibilità del danno patrimoniale (e della sua esistenza e consistenza) al resistente si estendono, per medesimezza di ragioni, al conseguenziale danno cd. fiscale.
L’assenza di prova del danno (nella sua duplice voce) e della sua riferibilità alla condotta di esime dal transitare al varco successivo, quello relativo all’accertamento della colpevolezza, e depone per l’assenza del diritto risarcitorio di La conclusione in punto di insussistenza del credito vantato nei confronti di incide anche sull’assenza del periculum, tanto più che l’unico atto posto in essere dal convenuto, ed assunto come atto ‘distrattivo’ dal ricorrente perché indice di un animus spoliandi, è stato dal medesimo posto in essere prima che la società gli contestasse gli addebiti: trattasi della cessione di quote della RAGIONE_SOCIALE alle figlie stipulata ’epoca dell’atto, compiuto in periodo antecedente l’inizio del contenzioso stragiudiziale tra le parti, all’esame proprio di questa fase di giudizio non evoca segnali allarmistici tesi al procurato intento di dismissione patrimoniale, siccome sostenuto da senza peraltro considerare che essa società ben potrebbe nell’eventualità coltivare azione revocatoria in opportuna sede.
Vale pure considerare che qualsivoglia patrimonio personale di persona fisica dotata di ordinaria capacità reddituale non sarebbe mai in grado di offrire una garanzia patrimoniale per un diritto di credito di tali proporzioni, sicchè rischi di incapienza patrimoniale vi sarebbero nella maggior parte dei casi, e così pure in quello di specie, ove deve ritenersi che il patrimonio del resistente fosse incapiente già prima della vendita delle quote considerata sospetta.
In conclusione reputa questo giudice che non sussistono i presupposti per pronunciarsi sulla domanda di sequestro conservativo e pertanto il relativo ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in base ai valori previsti dal D.M. 147/2022, alla luce dell’attività svolta, utilizzando come scaglione di riferimento quello di valore a complessità media (scaglione valore da € 2.000.001 ad €4.000.000), con riduzione del 50% sia per la fase di istruttoria e trattazione, in ragione della natura documentale della controversia, sia per la fase di discussione in ragione delle modalità in cui si è svolta.
Visto l’art. 671 c.p.c., così provvede:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente, C.F. e P. IVA n. , in persona del legale rappresentante pro-tempore, al rimborso, in favore di delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 18.690,00 per compenso professionale oltre rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA.
Ancona, 05.11.2024
Il Giudice Designato NOME COGNOME (atto sottoscritto digitalmente)
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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